giovedì 9 febbraio 2017

AMMAZZARE IL TEMPO

  La dimensione del tempo ultimamente sta ricevendo grande attenzione a giudicare dal numero di film incentrati su questo tema, come Ritorno al futuro, Terminator, Peggy Sue si è sposata ecc. A Brief History of Time di Stephen HawkIngs (1989) è stato un best-seller ed è diventato, cosa ancora più sorprendente, un popolare film. Notevole, oltre al diversi libri sul tempo, è il numero ancora più alto di quelli che in realtà non ne parlano, ma che comunque comprendono questa parola nei loro titoli, come The Color of Time: Claude Monet di Virginia Spate (1992). Tali riferimenti riguardano, seppure indirettamente, l'improvvisa, angosciante consapevolezza del tempo, lo spaventoso senso di essere legati ad esso. Il tempo è sempre in maggior misura una manifestazione chiave dell'insoddisfazione e dell'umiliazione che caratterizzano l'esistenza moderna: illumina l'intero panorama deformato e lo farà in modo sempre più pesante finché questo panorama e tutte le forze che lo modellano non cambieranno al punto da divenire irriconoscibili. Questo contributo all'argomento ha poco a che fare con il fascino esercitato dal tempo su produttori cinematografici e televisivi, o con l'attuale interesse accademico per le concezioni geologiche del tempo, la storia della tecnologia degli orologi e la sociologia del tempo, o con osservazioni personali e consigli su come utilizzarlo. Né gli aspetti né gli eccessi del tempo meritano tanta attenzione quanto la sua logica e il suo significato intrinseco. Perché nonostante la natura inquietante del tempo sia diventata. secondo John Michon (1988) "quasi un'ossessione intellettuale", la società è palesemente incapace di gestirlo. Il tempo ci presenta un enigma filosofico, un mistero psicologico e un rompicapo per la logica. Non sorprende che, considerando l'enorme reificazione che esso comporta, siano stati espressi dubbi sulla sua stessa esistenza fin da quando l'umanità iniziò a distinguere il "tempo" dai cambiamenti visibili e tangibili nel mondo. Come disse Michael Ende (1984): "C'è nel mondo un grande, seppure ordinario, segreto. Tutti ne siamo a conoscenza, ognuno ne è consapevole, ma pochissimi se ne interessano. La maggior parte di noi semplicemente lo accetta e non ci pensa mai. Questo segreto è il tempo".


Cos'è esattamente il "tempo"? Spengler dichiarò che a nessuno dovrebbe essere consentito chiederlo. Il fisico Richard Feynman (1988) rispose, "Non chiedetemelo nemmeno. È semplicemente troppo difficile pensarci". Tanto in modo empirico che teorico, i laboratori non sono in grado di rivelare lo scorrere del tempo poiché non esiste strumento in grado di registrare il suo passaggio.

Ma perché abbiamo una forte sensazione che il tempo scorra, ineluttabilmente ed in una precisa direzione, se in realtà ciò non accade? Perché questa "illusione" ha un tale potere su di noi? A questo punto possiamo chiederci perché l'alienazione ha un tale potere su di noi. Il passaggio del tempo è intimamente familiare, il concetto di tempo è ironicamente elusivo, perché dovrebbe sembrare strano in un mondo che sopravvive grazie alla mistificazione delle sue categorie più basilari? Ci siamo conformati alla legittimità del tempo così che ora sembra un fatto naturale, un potere che ha pieno diritto di esistere. Lo sviluppo del senso del tempo - l'adeguamento al tempo - è un processo di assuefazione ad un mondo sempre più reificato. È una dimensione costruita, l'aspetto più elementare della cultura. La natura inesorabile del tempo fornisce il modello basilare di dominazione. Più ci inoltriamo nel tempo, peggio diventa. Popoliamo un'era di disintegrazione dell'esperienza, secondo Adorno. La pressione esercitata dal tempo - e dalla sua progenitrice essenziale, la divisione del lavoro - frammenta e disperde tutto. Uniformità, uguaglianza, separazione sono sottoprodotti dell'inesorabile forza del tempo. Il significato e la bellezza intrinseci di quel frammento di mondo che non-è-ancora-cultura si muovono stabilmente verso l'annientamento sotto un unico orologio che comprende tutte le culture. L'affermazione di Paul Rfcoeur (1985) "noi non siamo In grado di produrre un concetto di tempo che sia contemporaneamente cosmologico, biologico, storico e Individuale" non riesce a rilevare la misura in cui queste definizioni convergono. In merito a questa "simulazione" che rafforza e accompagna tutte le forme di prigionia, si espresse molto bene Bernard Aaronson (1972) "il mondo è pieno di propaganda che presume la sua esistenza". La poetessa Denise Levertov (1974) scrisse: "Qualsiasi cognizione consiste nella cognizione del tempo", mostrando perfettamente quanto sia profonda la nostra alienazione nel tempo. Siamo stati sottomessi al suo impero, mentre tempo e alienazione continuano ad approfondire la loro intrusione, il loro avvilimento della vita quotidiana. David Carr (1988) chiese: "questo significa che la `lotta per l'esistenza consiste nello sconfiggere il tempo?". È possibile che sia esattamente questo l'ultimo nemico da combattere. Per affrontare questo onnipresente, seppure fantomatico avversario, è in un certo senso più facile dire ciò che il tempo non è. Non è sinonimo, per ragioni piuttosto ovvie, di cambiamento. Neppure è sequenza o ordine di successione. Il cane di Pavlov, per esempio, deve avere imparato che il suono del campanello era seguito dal cibo, diversamente come avrebbe potuto essere condizionato a produrre saliva a quel suono? Ma i cani non sono coscienti del tempo, quindi non si può dire che prima e dopo costituiscano il tempo. In qualche modo analoghi sono i tentativi, peraltro inadeguati, di giustificare il nostro inesorabile senso del tempo. Il neurologo Gooddy (1988), più o meno sulla linea di Kant, lo ritrae come una delle nostre "ipotesi subcoscienti sul mondo".

Alcuni lo hanno descritto, in modo altrettanto poco utile, come un prodotto dell'immaginazione ed il filosofo J.J.C. Smart (1980) lo ha definito una sensazione "derivante dalla confusione metafisica". Mc Taggart (1908), EH. Bradley (1930), E. Dummett (1978) sono alcuni dei pensatori del ventesimo secolo che si sono pronunciati contro l'esistenza del tempo a causa delle sue caratteristiche logiche contraddittorie. Ma sembra abbastanza palese che la presenza del tempo abbia cause ben più profonde della mera confusione mentale.

"Le giornate del bambino sfuggono al tempo degli adulti, sono del tempo gonfiato dalla soggettività, dalla passione, dal sogno abitato di reale. Fuori, gli educatori vigilano, attendono orologio alla mano, che il bambino entri nella danza delle ore. Essi HANNO il tempo. E il bambino sente dapprima come un'intrusione estranea l'impostazione da parte degli adulti del tempo loro proprio; poi finisce per soccombervi, acconsente ad invecchiare. Ignorando tutto dei metodi di condizionamento, si lascia prendere in trappola, come un giovane animale. Quando, detentore delle armi della critica, vorrà puntarle contro il tempo, gli anni l'avranno trascinato lontano dal bersaglio. Porterà l'infanzia nel cuore come una ferita sempre aperta."

Non esiste nulla che sia anche lontanamente simile al tempo. È tanto innaturale e tuttavia tanto universale quanto l'alienazione.
Chacalos (1988) fece notare che presente è una nozione sconvolgente e intrattabile quanto lo è il tempo stesso. Cos'è il presente?
Sappiamo che è sempre ora; si è confinati ad esso in un senso importante e non si può esperire alcuna altra "frazione" di tempo.
Parliamo sicuri di altre frazioni di tempo che chiamiamo "passato" e "futuro", ma mentre le cose che esistono altrove nello spazio continuano ad esistere, le cose che non esistono ora, come osservò Sklar (1992), in realtà non esistono affatto. Il tempo necessariamente scorre; senza il suo passaggio non ci sarebbe il senso del tempo. Qualsiasi cosa scorra, però, scorre rispetto al tempo. Il tempo pertanto scorre rispetto a sé stesso, che non ha alcun significato perché nulla può scorrere rispetto a sé stesso.
Non è disponibile alcun termine per fornire una spiegazione astratta del tempo eccetto termini in cui il tempo sia già presupposto. È necessario mettere in dubbio tutto quanto è scontato. La metafisica con le restrizioni che la divisione del lavoro ha imposto fin dal suo inizio è troppo limitata per un tale compito. Cosa provoca lo scorrere del tempo, cosa lo fa muovere verso il futuro? Qualunque cosa sia, deve trattarsi di qualcosa oltre il nostro tempo, più profondo e più potente, deve dipendere, come sostenne Conly (1975) "da forze elementari continuamente attive". William Spanos (1987) fece notare che alcune parole latine usate per cultura non solo significano anche agricoltura o addomesticamento, ma sono traduzioni di termini greci riferiti all'immagine spaziale del tempo. Fondamentalmente "catturiamo il tempo", per usare il lessico di Alfred Korzybski (1948); la specie, grazie a questa caratteristica, crea una classe simbolica di vita, un mondo artificiale. La cattura del tempo si rivela come un "enorme aumento del controllo sulla natura". Il tempo diventa reale perché ha delle conseguenze, e questo effetto non è mai stato così angosciosamente manifesto. Si dice che nel suo profilo più scarno la vita sia un viaggio attraverso il tempo; che sia un viaggio attraverso l'alienazione è uno dei più pubblici dei segreti. "L'ora non batte per l'uomo felice", recita un proverbio tedesco.

Lo scorrere del tempo, una volta insignificante, è ora il battito inevitabile, limitante e coercitivo che rispecchia l'autorità cieca.
Guyau (1890) affermò che lo scorrere del tempo costituisce "la distinzione fra ciò che si desidera e ciò che si ha" e pertanto "il principio del rimpianto". Carpe diem, consiglia la massima, ma la civiltà ci obbliga sempre ad ipotecare il presente per il futuro.
Il tempo tende ad essere sempre più regolare e universale. In base ad esso il mondo tecnologico del capitale registra i suoi progressi e non potrebbe esistere in sua assenza. Secondo Bertrand Russel (1929) "L'importanza del tempo [si trova] più in relazione al nostri desideri che in relazione alla verità". II desiderio è palpabile quanto lo è diventato il tempo stesso e la sua negazione non può essere misurata in modo più preciso che mediante il vasto costrutto che chiamiamo tempo. Il tempo, al pari della tecnologia, non è mai neutrale; come giustamente valutò Castoriadis (1991) è "sempre dotato di significato". Tutte le considerazioni sulla tecnologia espresse da opinionisti come Ellul si applicano infatti anche al tempo e in maniera ancora più profonda. Entrambi i presupposti si propagano, sono onnipresenti, basilari e in generale dati per scontati quanto la stessa alienazione. Il tempo, al pari della tecnologia, non è solo un fattore determinante, ma anche l'elemento dissimulatore in cui si sviluppa la società divisa. Esso richiede che i suoi soggetti siano scrupolosi, "realistici", seri e soprattutto dediti al lavoro. È autonomo nel suo aspetto generale, come la tecnologia va avanti in perpetuo per moto proprio. Come la divisione del lavoro, che sta a monte e mette in moto tempo e tecnologia, questo dopo tutto è un fenomeno appreso a livello sociale. Gli esseri umani e il resto del mondo sono sincronizzati al tempo e alla sua incarnazione tecnica, piuttosto che il contrario. L'aspetto sostanziale di questa dimensione - come dell'alienazione di per sé - è la sensazione di essere uno spettatore indifeso. Ogni ribelle quindi insorge anche contro il tempo e la sua inesorabilità. La liberazione deve comportare, in un senso estremamente fondamentale, la liberazione dal tempo.



Il tempo e il mondo simbolico

Secondo Epicuro "il tempo è l'accidente degli accidenti". Ad un più attento esame però la sua genesi appare meno misteriosa. È venuto in mente a molti, infatti, che nozioni quali "passato", "presente" e "futuro" siano più linguistiche che reali o fisiche. Il teorico neofreudiano Lacan, per esempio, riteneva che l'esperienza del tempo fosse essenzialmente un effetto del linguaggio.

Una persona priva di linguaggio probabilmente non avrebbe alcun senso dello scorrere del tempo. R.A. Wilson (1980) avvicinandosi al nocciolo della questione suggerì che il linguaggio fosse stato introdotto dall'esigenza di esprimere il mondo simbolico.

 Gosseth (1972) sostenne che il sistema dei tempi grammaticali delle lingue indoeuropee si sviluppò parallelamente alla consapevolezza di un tempo universale o astratto. Secondo Derrida (1982) il tempo e il linguaggio sono contigui: "essere in uno equivale ad essere nell'altro". Il tempo è un costrutto simbolico che ha l'immediata precedenza, relativamente parlando, su tutti gli altri e che ha bisogno del linguaggio per la sua realizzazione.

 "Lo spazio puntuale della vita quotidiana carpisce una particella di tempo esterno, grazie al quale si crea un piccolo spazio-tempo, unitario: è lo spazio-tempo dei momenti, della creatività, del piacere, dell'orgasmo. Il luogo in cui avviene tale alchimia è infinitesimale, ma l'intensità vissuta è tale da esercitare sulla maggior parte degli individui un fascino senza pari. Visto con gli occhi del piacere, osservato dall'esterno, il momento appassionato non è che un punto derisorio, un istante drenato dal futuro al passato. Del presente come presenza soggettiva immediata, la linea del tempo oggettivo non sa niente e non vuole sapere niente. E a sua volta, la vita soggettiva racchiusa nello spazio di un punto - la gioia, il piacere, le fantasticherie - vorrebbe non saper nulla dello stillicidio, del tempo lineare, del tempo delle cose. Al contrario, essa desidera imparare tutto sul proprio presente, poiché dopo tutto essa non è che un presente".

 Paul Valéry (1960) si riferì alla caduta della specie nel tempo come ad un segnale di alienazione dalla natura e scrisse: "attraverso un certo tipo di abuso l'uomo crea il tempo". Si dice spesso che nell'epoca senza tempo antecedente la caduta, che costituisce la stragrande maggioranza della nostra esistenza in qualità di esseri umani, la vita avesse un ritmo ma non una progressione. Era lo stato in cui l'anima poteva "raccogliersi nell'insieme del suo essere", nelle parole di Rousseau, in assenza di limitazioni temporali e "in cui il tempo non significava nulla per l'anima". Le attività, solitamente di natura ricreativa, costituivano i punti di riferimento prima della comparsa del tempo e della civilizzazione, la natura forniva i segnali necessari indipendentemente dal "tempo". L'umanità deve essere stata consapevole di avere ricordi e progetti molto tempo prima che venisse fatta una distinzione esplicita fra passato, presente e futuro (Fraser, 1988). Inoltre, come valutò il linguista Whorf (1956), "le comunità preletterarie (primitive) lontane dall'essere subrazionali, possono mostrare il funzionamento della mente umana ad un livello di razionalità più alto e più complesso che non fra gli uomini civilizzati".


 La chiave di accesso al mondo simbolico è il tempo; esso sta addirittura alle origini dell'attività simbolica umana. Il tempo provoca così la prima alienazione, la via che allontana dalla ricchezza e dall'integrità originarie. Charles Simic (1971) riferisce che "con la comparsa del linguaggio si passa dalla simultaneità dell'esperienza alla concezione del tempo lineare". Ricercatori come Zohar (1982) ritengono che le facoltà telepatiche e precognitive siano state relegate alla vita simbolica nell'interesse dell'evoluzione. Se questo può sembrare inverosimile, il sobrio positivista Freud (1932) vedeva la telepatia come il probabile "mezzo arcaico originario che consente agli individui di comprendersi fra loro". Se la percezione e l'appercezione del tempo riguardano la vera essenza della vita culturale (Gurevitch, 1976), la comparsa del senso del tempo e la cultura concomitante rappresentano un impoverimento se non addirittura una deformazione.

 Le conseguenze di questa intrusione del tempo, attraverso il linguaggio, indicano che quest'ultimo non è più innocente, neutrale o autentico del primo. Come disse Kant, il tempo non solo è imprescindibile da tutte le nostre rappresentazioni, ma proprio per questo è anche essenziale per il nostro adattamento ad un mondo simbolico qualitativamente ridotto. La nostra esperienza in questo mondo è sottoposta a pressioni che ci spingono prepotentemente ad essere una rappresentazione, ad essere quasi inconsciamente degradati in simboli e misure. Secondo il mistico tedesco Meister Eckhart "Il tempo è ciò che trattiene la luce dal raggiungerci".

 La consapevolezza del tempo ci dà la facoltà di affrontare il nostro ambiente a livello simbolico; il tempo non esiste al di fuori di questa estraniazione. Mediante una progressiva simbolizzazione il tempo viene naturalizzato, dato per scontato e quindi eliminato dalla sfera della produzione culturale con-scia. Per dirlo In altre parole "Il tempo diventa umano nella misura in cui nella narrazione diventa reale" (Ricoeur, 1984). L'apporto simbolico a questo processo costituisce un soffocamento costante del desiderio istintivo e da questa repressione emerge il senso del dispiegarsi del tempo. L'immediatezza viene abbandonata e sostituita dalle mediazioni che rendono possibile la storia - prima fra tutte, il linguaggio.

 Si comincia a guardare oltre banalità come "il tempo è una qualità incomprensibile del mondo dato" (Sebba, 1991). I numeri, l'arte, la religione fanno la loro apparizione in questo "dato" mondo, fenomeni incorporei di vita reificata. Gurevitch (1964) suppone che la comparsa di questi riti portò a sua volta alla "produzione di nuovi contenuti simbolici, incoraggiando così il balzo in avanti del tempo". I simboli, incluso il tempo naturalmente, hanno ora vite indipendenti in questa progressione interattiva globale. The Reality of Time and tbc Eadstence of God di David Braine (1988) è esemplificativo: in esso si sostiene che è esattamente la realtà del tempo a dimostrare l'esistenza di Dio: la logica perfetta della civiltà.

 Il rito non è altro che un tentativo di tornare attraverso il simbolismo allo stato senza tempo. Esso tuttavia è un atto di astrazione da tale stato, un passo falso che se ne allontana ulteriormente. L'atemporalità dei numeri è parte di questo percorso e contribuisce ampiamente all'elaborazione di una concezione fissa del tempo. La valutazione di Blumenberg (1983) sembra infatti sostanzialmente corretta: "il tempo non viene misurato come un qualcosa che sia sempre esistito, ma viene invece prodotto per la prima volta dalla misurazione". Per esprimere il tempo dobbiamo in qualche modo quantificarlo, i numeri sono quindi essenziali. Anche dove il tempo ha già fatto la sua comparsa, un'esistenza sociale gradatamente più divisa si avvia verso la sua progressiva reificazione solo per mezzo dei numeri. Il senso dello scorrere del tempo non è comune fra i popoli tribali, per esempio, che non lo segnano con calendari e orologi.

 Tempo: uno dei significati originari della parola in greco antico è divisione. I numeri, applicati al tempo, rendono la divisione o la separazione molto più efficace. I non civilizzati spesso considerano "nefasto" contare le creature viventi e generalmente oppongono resistenza all'adozione di questa pratica (vedi Dobrizhoffer, 1822). L'intuizione dell'uso dei numeri fu tutt'altro che spontanea e inevitabile; "già nelle prime civiltà", riferisce Schimmel (1992), "si ha la sensazione che i numeri siano una realtà circondata da qualcosa di simile a un campo magnetico". Non sorprende che fra le culture antiche che possedevano un senso del tempo molto forte - Egizi, Babilonesi, Maya - si vedano i numeri associati a figure e divinità rituali; invero, Maya e Babilonesi avevano entrambi divinità numeriche (Barrow, 1992).

 Molto più tardi l'orologio, con il suo quadrante di numeri, incoraggiò la società ad astrarre e quantificare ulteriormente l'esperienza del tempo. Ogni lettura dell'orologio costituisce una misurazione che unisce l'osservatore dell'orologio al "flusso del tempo". E noi superficialmente ci illudiamo di sapere cos'è il tempo perché sappiamo che ora è. Se eliminassimo gli orologi, ci ricorda Shallis (1982), sparirebbe anche il tempo oggettivo. Sostanzialmente, se eliminassimo la specializzazione e la tecnologia sparirebbe anche l'alienazione.

 La matematizzazione della natura costituì la base per la nascita del razionalismo e della scienza moderna in Occidente e fu determinata dall'esigenza di disporre di numeri e misure da applicare al tempo al servizio del capitalismo mercantile. La continuità dei numeri e del tempo come luogo geometrico fu fondamentale per la Rivoluzione Scientifica, che proiettò il principio di Galileo in base al quale occorre misurare tutto ciò che è misurabile e rendere misurabile ciò che non lo è. Un tempo matematicamente divisibile è necessario per la conquista della natura e persino per i rudimenti della tecnologia moderna.

"La volontà di vivere reagisce sempre unitariamente. La maggio parte degli individui si dedicano ad un vero détournement del tempo a favore dello spazio vissuto. Se i loro sforzi per rinforzare l'intensità del vissuto, per accrescere lo spazio tempo dell'intensità non si perdessero nella confusione e noi si frammentassero nell'isolamento, chi sa se il tempo oggettivo, il tempo della morte, non si spezzerebbe? Il momento rivoluzionario non è forse un'eterna giovinezza?"

Da questo punto in poi, il tempo simbolico basato sui numeri è diventato straordinariamente reale, una costruzione astratta "estranea e persino contraria ad ogni esperienza interiore ed esteriore dell'essere umano" (Syzamosi, 1986). Sottoposti a questa pressione, denaro e linguaggio, merce e informazione sono diventati sempre più indistinguibili e la divisione del lavoro sempre più estrema.

 La trasformazione in simbolo significa esprimere la coscienza del tempo poiché il simbolo incarna la struttura del tempo (Darby, 1982). Ancora più chiara è la formulazione di Meerloo: "Comprendere un simbolo e la sua evoluzione significa racchiudere in un guscio la storia umana". Il contrasto è dato dalla vita dei non civilizzati vissuta in un ampio presente che non può essere ridotto al singolo momento del presente matematico. Mentre il continuo cede ora il passo ad un crescente affidarsi a sistemi di simboli significativi (linguaggio, numeri, arte, rituali, miti) rimossi dal momento presente, inizia a svilupparsi l'ulteriore astrazione, la storia. Il tempo storico non è più intrinseco alla realtà o meno imposto ad essa di quanto non lo fossero le forme di tempo precedenti.

 In un contesto che diventa gradatamente più sintetico, vengono conferiti nuovi significati all'osservazione astronomica. Se una volta veniva perseguita per il solo interesse nei suoi confronti, fornisce ora un mezzo per pianificare riti e coordinare le attività di una società complessa. Grazie alle stelle esistono l'anno e le sue frazioni quali strumenti dell'autorità organizzata (Leach, 1954). La creazione di un calendario è basilare per la formazione di una civiltà. Il calendario fu il primo manufatto simbolico che regolò il comportamento sociale in base allo scorrere del tempo. Ne risulta non tanto il controllo sul tempo ma il suo opposto: l'imprigionamento, da parte del tempo, in un mondo di reale alienazione. Si può ricordare che la parola da noi usata deriva dal latino calendae, il primo giorno del mese, giorno in cui venivano saldati i debiti.



Tempo per pregare, tempo per lavorare

Lo stoico Crisippo diceva che "il tempo non è mai interamente presente" mentre il concetto di tempo veniva ulteriormente ampliato dal dogma giudaico-cristiano che prevedeva un percorso lineare e irreversibile fra creazione e salvezza. Questa visione essenzialmente storica del tempo è il vero nucleo della cristianità; tutte le nozioni fondamentali sul tempo misurabile a senso unico si possono trovare negli scritti di Sant'Agostino (V secolo). Con la diffusione della nuova religione si rese necessaria a livello pratico una rigida regolazione del tempo per mantenere la disciplina della vita monastica. Le campane che invitavano i monaci a pregare otto volte al giorno erano udite ben oltre le mura del convento e quindi una misura della regolazione del tempo veniva imposta alla società nel suo insieme. Secondo Marc Bloch (1940), durante l'epoca feudale la popolazione continuò a mostrare "una grande indifferenza al tempo", ma non è un caso che i primi orologi pubblici furono quelli che adornavano le cattedrali occidentali. A questo proposito si può osservare che il richiamo a ore precise di preghiera divenne la principale esternazione del credo islamico medievale.

"Il progetto di arricchimento dello spazio-tempo vissuto passa per l'analisi di ciò che lo impoverisce. Il tempo lineare non ha presa sugli uomini se non nella misura in cui vieta loro di trasformare il mondo, nella misura in cui li costringe dunque ad adattarsi. Per il Potere, il nemico numero UNO è la creatività individuale che si irradia liberamente".

 L'invenzione dell'orologio meccanico fu una delle svolte più importanti nella storia della scienza e della tecnologia, in realtà di tutta l'arte e la cultura umana (Synge, 1959). Il miglioramento della precisione offrì alle autorità maggiori opportunità di oppressione. Uno dei primi appassionati di elaborati orologi meccanici fu per esempio il Duca Gian Galeazzo Visconti, descritto nel 1381 come "un posato ma astuto governante con un grande amore per l'ordine e la precisione" (Fraser, 1988). Come scrisse Weizenbaum (1976), l'orologio iniziò a creare "letteralmente una nuova realtà ... che fu e rimane una versione impoverita di quella vecchia".

 Fu introdotto un cambiamento qualitativo. Anche quando non avveniva nulla, il tempo non smetteva di scorrere.
 Gli eventi, da quest'era in poi, vennero inseriti in questo involucro mobile. omogeneo, misurato oggettivamente, e questa progressione unilineare stimolò movimenti di resistenza. I più estremi furono i movimenti chiliastici e millenaristici che comparvero in diverse zone dell'Europa dal XIV al XVII secolo. In generale, assunsero la forma di rivolte contadine che miravano a ricreare lo stato egualitario originario della natura e si opponevano esplicitamente al tempo storico. Queste esplosioni utopiche furono soffocate, ma residui delle precedenti concezioni del tempo persistettero come strato "inferiore" di coscienza popolare in molte zone.

 Durante il Rinascimento, il dominio del tempo raggiunse un nuovo livello, poiché ora gli orologi pubblici suonavano tutte le ventiquattro ore del giorno ed erano dotati di nuovi bracci per indicare il passaggio dei secondi. Una forte sensazione della presenza divoratrice del tempo costituì l'enorme scoperta dell'epoca e nulla offre una migliore rappresentazione grafica della figura di Padre Tempo. L'arte rinascimentale fuse il dio greco Crono con il dio romano Saturno per formare la familiare e truce divinità che rappresenta il potere del tempo, armata di una falce fatale, simbolo della sua associazione con l'agricoltura/addomesticamento. La Danza della Morte ed altre rappresentazioni medievali memento mori precedettero Padre Tempo, ma il soggetto è ora il tempo piuttosto che la morte.

 II XVII secolo fu il primo in cui la gente pensò di vivere in un determinato secolo. Era ora necessario assumere la propria posizione all'interno del tempo.
 The Masculine BIrth of 7Yme (1603) e A Discourse Concernine a NewPlanet(1605) di Rrancis Bacon abbracciarono la dimensione dell'approfondimento e rivelarono come un elevato senso del tempo potesse servire il nuovo spirito scientifico. "Scegliere il tempo significa risparmiare tempo", scrisse, e "La verità è figlia del tempo". Seguì Cartesio, che introdusse il concetto di tempo infinito. Fu uno dei primi sostenitori dell'idea moderna di progresso, strettamente collegata a quella di tempo lineare illimitato, idea che veniva caratteristicamente espressa nel suo famoso invito a diventare "possessori e dominatori della natura".

 L'universo meccanicistico di Newton fu il coronamento della Rivoluzione Scientifica nel XVII secolo; esso era radicato nella concezione di un "tempo assoluto, vero e matematico che, di per sé e per sua natura, scorre uniformemente senza relazione ad alcunché di eterno". Il tempo è ora il grande dominatore che non risponde a nessuno, non viene influenzato da nulla, è completamente indipendente dall'ambiente: modello di autorità incontestabile e perfetto garante di alienazione Immutabile. Nonostante l'evoluzione della scienza, la fisica classica newtoniana rimane infatti la concezione del tempo predominante.

 La comparsa del tempo astratto indipendente trova il suo parallelo nell'emergere di una classe lavoratrice crescente, formalmente libera ma costretta a vendere la sua forza-lavoro come un bene astratto sul mercato. Benché già assoggettata al potere disciplinare del tempo, prima dell'arrivo del sistema delle fabbriche questa forza-lavoro era l'opposto del tempo sovrano: libera e indipendente solo di nome. Secondo Foucault (1973) l'occidente da questo momento in poi diventò una "società carceraria". Forse più pertinente è il proverbio balcanico "Un orologio è una gabbia".

 Nel 1749 Rousseau gettò l'orologio, un rifiuto simbolico della scienza moderna e della civiltà. Più rappresentativo dello spirito dominante dell'epoca fu tuttavia il regalo di cinquantuno orologi a Maria Antonietta per il suo fidanzamento. La gente osserva sempre più spesso l'orologio e questo diviene presto uno dei primi beni di consumo durevoli dell'era industriale. William Blake e Goethe attaccarono entrambi Newton, simbolo del nuovo tempo e della nuova scienza, per il suo separare la vita dal sensuale e ridurre il naturale al misurabile. L’ideologo del capitalismo Adam Smith d'altro canto ricalcò e ampliò le teorie di Newton sollecitando una maggiore razionalizzazione e l'ottimizzazione dei processi routinari. Smith come Newton lavorò sotto l'incantesimo di un tempo sempre più potente e inesorabile per promuovere una maggiore divisione del lavoro quale progresso oggettivo ed assoluto.

 I Puritani avevano proclamato la perdita di tempo il primo e in linea di principio il più mortale dei peccati (Weber, 1921); questo divenne, circa un secolo dopo, "Il tempo è denaro" di Benjamin Franklin. Il sistema delle fabbriche venne avviato dai produttori di orologi e l'orologio fu il simbolo e la fonte dell'ordine, della disciplina e della repressione necessari per creare un proletariato industriale.

 Il grandioso sistema di Hegel agli inizi del XIX secolo annunciò la "spinta nel tempo" e cioè lo stimolo della Storia e definì il tempo nostro "destino e necessità". Postone (1993) fece notare che il "progresso" del tempo astratto è strettamente legato al "progresso" del capitalismo come stile di vita. Le onde dell'industrialismo annegarono la resistenza dei luddisti; valutando questo periodo in generale Lyotard (1988) affermò: "la malattia del tempo è ora incurabile".

 Una società classista sempre più complessa richiede una serie ancora più ampia di segnali del tempo. Come fecero notare Thompson (1967) e Hohn (1984) le lotte contro il tempo lasciarono il posto agli scontri sul tempo; la resistenza ad essere sottomessi al tempo e alle sue esigenze intrinseche fu in generale sconfitta e sostituita dalle controversie sulla giusta determinazione degli orari o della durata della giornata lavorativa (In un discorso alla Prima Internazionale [28 luglio 1868) Karl Marx sostenne fra l'altro che l'età di nove anni fosse quella a cui si dovrebbe iniziare a lavorare).

 L'orologio scese dalla cattedrale al tribunale e al palazzo di giustizia, vicino alla banca e alla stazione ferroviaria e infine al polso e nella tasca di ogni cittadino perbene. Il tempo doveva diventare più "democratico" per riuscire realmente a colonizzare la soggettività. Come Adorno e altri avevano intuito, la sottomissione della natura esterna ha successo solo in rapporto alla conquista della natura interna. Per dirlo in altre parole, lo scatenamento delle forze della produzione dipendeva dalla vittoria del tempo nella sua lunga guerra contro una coscienza più libera. L'industrialismo portò con sé una più completa mercificazione del tempo, il tempo in una forma predatoria finora mai vista. Fu questo che Giddens (1981) vide come "la chiave alle trasformazioni più profonde della vita sociale quotidiana provocate dalla comparsa del capitalismo".

"Il tempo è una forma di percezione dello spirito, non evidentemente un'invenzione dell'uomo ma un rapporto dialettico con la realtà esterna, e di conseguenza una relazione subordinata all'alienazione e alla lotta degli uomini in e contro questa alienazione". Assolutamente sottomesso all'adattamento, l'animale non possiede la conoscenza del tempo. L'uomo, invece, rifiuta l'adattamento e pretende di trasformare il mondo. Ogni volta che incorre in un fallimento nella sua volontà di demiurgo, conosce l'angoscia di adattarsi, l'angoscia di sentirsi alla passività dell'animale. La coscienza dell'adattamento necessario è la coscienza del tempo che passa. Per questo il tempo è legato all'angoscia umana. E più la necessità di adattarsi alle circostanze prevale sul desiderio e la possibilità di cambiare, più la coscienza del tempo prende l'uomo alla gola. Il male di sopravvivere è forse qualcosa di diverso dalla coscienza acuta del trascorrere nel tempo e nello spazio dell'altro, della coscienza dell'alienazione?

"Rifiutare la coscienza dell'invecchiamento e le condizioni oggettive dell'invecchiamento della conoscenza implica una più grande esigenza di voler fare la storia, con una maggior conseguenza e secondo i desideri della soggettività di tutti."

"Il tempo vola" dice il detto, in un mondo che dipende sempre più dal tempo e in cui il tempo è sempre più unificato. Un unico gigantesco orologio sovrasta il mondo e lo domina, pervade tutto: nel suo tribunale non esiste appello. L'unificazione del tempo a livello mondiale segna una vittoria per l'efficiente macchina sociale, un universalismo che elimina l'individualità con la stessa determinazione con cui i computer portano all'omogeneizzazione del pensiero.

 A parte tali voli teorici, vi sono comunque numerose prove e testimonianze in merito al ruolo centrale del tempo nella società. In "Time - The Next Source of Competitive Advantage" (Harvard Business Review, luglio-agosto 1988), George Stark Jr. lo considera un elemento di cardinale importanza per l'affermazione del capitale. "Come arma strategica, il tempo equivale a denaro, produttività, qualità, persino innovazione". La gestione del tempo sicuramente non è confinata alle imprese; lo studio di Levine del 1985 sugli orologi accessibili al pubblico in sei paesi dimostrò che la loro precisione forniva una misura esatta del livello di industrializzazione della vita nazionale. Nel suo contributo all'Harvard Business Review di gennaio-febbraio 1993, "Time-and-Motion Regained", Paul Adler difende apertamente la standardizzazione e l'inquadramento del lavoro neo-tayloristi: dietro la tanto pubblicizzata "democrazia sul posto di lavoro" in alcune fabbriche non vi è altro che "la disciplina tempo-e-moto e le strutture burocratiche formali essenziali per l'efficienza e la qualità nelle operazioni routinarfe".



La psicologia del tempo

 Passando a ciò che viene comunemente chiamato psicologia, ci troviamo nuovamente di fronte ad una delle domande fondamentali: esiste davvero un fenomeno del tempo indipendente da qualsiasi individuo o il tempo consiste esclusivamente nella percezione che si ha di esso? Husserl per esempio non fu in grado di rivelare perché nel mondo moderno la consapevolezza sembri inevitabilmente fondarsi sul tempo. Sappiamo che le esperienze, come gli eventi di qualsiasi altro tipo, non sono di per sé né presenti, né passate, né future.

 Sotto il profilo sociologico l'interesse nei confronti del tempo rimase scarso fino agli anni '70, mentre nella letteratura psicologica il numero di studi sul tempo cominciò ad aumentare rapidamente fin dal 1930 (Lauer, 1988).
Il tempo è forse la cosa più difficile da definire "psicologicamente". Cos'è il tempo? Cos'è l'esperienza del tempo? Cos'è l'alienazione? Cos'è l'esperienza dell'alienazione? Se quest'ultima non fosse così trascurata, la sua interdipendenza con Il tempo diventerebbe palese.

 Davies (1977) definì il passaggio del tempo come "un fenomeno psicologico di origine misteriosa" e concluse (1983) che "il segreto della mente sarà risolto solo quando comprenderemo il segreto del tempo". Poiché separano artificialmente l'individuo dalla società, è inevitabile che psicologi e psicoanalisti come Eissler (1955), Loewald (1962), Namnum (1972) e Morris (1983) siano incorsi in "enormi difficoltà" nello studiare il tempo!

 Se non altro, si è giunti ad alcune intuizioni parziali. Hartcollis (1983) per esempio osservò che il tempo non è solo un'astrazione ma anche una sensazione, mentre Korzybski (1948) aveva già superato questo assunto osservando che "il tempo è una sensazione prodotta dalle condizioni del mondo...". Arlow (1986) riteneva che la nostra esperienza del tempo prendesse origine da esigenze emotive insoddisfatte e che tutti nella vita "aspettiamo Godot". Analogamente, Reichenbach (1956) definì le filosofie antitempo, come la religione, "testimonianze di insoddisfazione emotiva". In termini freudiani, Bergler e Roheim (1946) interpretarono il passaggio del tempo come la rappresentazione dei periodi di separazione generatisi nella prima infanzia. "Il calendario è una materializzazione estrema dell'ansia della separazione". Se informate ad un interesse critico al contesto sociale e storico, le implicazioni poste da questi punti scarsamente approfonditi potrebbero essere oggetto di importanti riflessioni, ma confinate alla psicologia rimangono limitate e persino fuorvianti.

 Nel mondo dell'alienazione nessun adulto può concepire o instaurare la libertà dal tempo di cui gode abitualmente il bambino (e di cui dovrà essere privato). L'apprendimento del concetto di tempo, fondamentale nell'educazione, è di vitale importanza per la società. Come spiega Eraser in modo molto persuasivo, questo apprendimento "assomiglia in forma quasi paradigmatica ad un processo di civilizzazione". Una paziente di Joost Meerlo (1966) affermò in tono sarcastico: "Il tempo è civiltà, con cui intendeva dire che l'organizzazione e la puntualità erano le potenti armi usate dagli adulti per imporre ai giovani la sottomissione e l'obbedienza". Gli studi di Piaget (1946,1952) non sono stati in grado di rivelare un senso innato del tempo, al contrario il concetto astratto di "tempo" è particolarmente difficile per i bambini. Non è una nozione che si acquisisce automaticamente; non esiste un orientamento spontaneo nei confronti del tempo (Hermelin e O'Connor, 1971; Voyat, 1977).

 I termini "tempo" e "ordinato" (in inglese "time" e "tidy", NAT) sono etimologicamente collegati e la nostra idea newtoniana di tempo rappresenta un ordine perfetto e universale. Il carico complessivo di questa pressione sempre più incalzante è dimostrato dal numero crescente di pazienti che presentano sintomi di ansia dovuta al tempo (Lawson, 1990). Dooley (1941) riferì di aver "osservato che le persone con un carattere ossessivo, a prescindere dal loro tipo di nevrosi, sono quelle che fanno un uso più ampio del senso del tempo...". In Anality and 7Yrne (1969) Pettit sostenne in maniera convincente lo stretto collegamento fra l'ansia e il tempo, mentre Meerloo (1966), citando il carattere di Mussolini e Eichmann ed i risultati da loro conseguiti, riscontrò "un chiaro collegamento fra la natura costrittiva del tempo e l'aggressione fascista". Capek (1961) chiamò il tempo "una colossale e cronica allucinazione della mente umana"; vi sono davvero poche esperienze che si possano definire senza tempo. L'orgasmo, l'LSD, "la vita che scorre davanti agli occhi" in un momento di estremo pericolo ... queste sono alcune delle rare, evanescenti situazioni sufficientemente intense da eludere l'insistenza del tempo.

 Marcuse scrisse (1955) che l'atemporalità è il modello ideale del piacere. Lo scorrere del tempo d'altra parte ci incoraggia a dimenticare ciò che è stato e ciò che potrà essere. È il nemico dell'eros ed Il profondo alleato dell'ordine e della repressione. In effetti Freud stabilì (1920) che i processi mentali dell'inconscio trascendono il tempo: "...il tempo non li cambia in alcun modo e l'idea del tempo non può essere applicata ad essi". Pertanto il desiderio è già estraneo al tempo. Come disse Irreud nel 1932: "Non vi è niente nell'Es che corrisponda alla nozione di tempo; non vi è riconoscimento dello scorrere del tempo".

 Maria Bonaparte (1939) sostenne che il tempo diventa sempre più elastico e obbediente al principio del piacere nella misura in cui allentiamo i limiti del controllo totale sull'ego. I sogni sono una forma di pensiero fra i popoli non civilizzati (Kracke, 1987); in passato questa facoltà deve essere stata molto più accessibile anche a noi. I Surrealisti ritenevano che avremmo potuto comprendere la realtà in modo molto più completo se fossimo stati in grado di collegarla alle nostre esperienze subconscie e istintive; Breton (1924) per esempio proclamò l'obiettivo radicale di fondere sogno e realtà conscia.

 Quando sogniamo, il senso del tempo di fatto non esiste ed è sostituito da una sensazione di presente. Non stupisce che i sogni, ignorando le regole del tempo, attraggano l'attenzione di coloro che ricercano indizi liberatori e che l'inconscio, con le sue "tempeste di impulsi" (Stern, 1977), spaventi chi fa affidamento sulla nevrosi che chiamiamo civiltà. Norman O. Brown (1959) interpretò il senso del tempo o la storia in funzione della repressione e considerò che l'abolizione della repressione ci avrebbe riscattati dal tempo. Analogamente, Coleridge (1801) riconobbe nell'uomo della "industria metodica" l'origine ed il creatore del tempo.

 Nella sua Critique ofCynical Reason (1987), Peter Sloterdijk richiese il "riconoscimento radicale dell'Essenza riserve", uri autoaffermazione narcisistica che ride In faccia alla tetra società. Naturalmente il narcisismo è sempre stato tacciato di viziosità, "l'eresia dell'amor proprio". In realtà ciò significava che era riservato alle classi dominanti, mentre tutti gli altri (lavoratori, donne, schiavi) dovevano far pratica di sottomissione e auto annullamento (Fine, 1986). I sintomi del narcisismo sono sensazioni di vuoto, irrealtà, alienazione, la vita come nient'altro che una successione di momenti, accompagnata dal desiderio di una forte autonomia e autostima (Alford, 1988; Grunberger, 1979). Poiché questi "sintomi" e desideri sono alquanto appropriati, non sorprende che il narcisismo possa essere visto come una potenziale forza emancipatrice (Zweig, 1980). Il suo bisogno di soddisfazione totale coincide ovviamente con un individualismo sovversivo.

 Il narcisista "odia il tempo, nega il tempo" (lettera all'autore, Alford 1933) e questo come sempre provoca una dura reazione da parte dei difensori del tempo e dell'autorità. Per esempio lo psichiatra E. Mark Stern (1977): "Poiché il tempo inizia al di là del proprio controllo, ci si deve conformare alle sue richieste... Il coraggio è l'antitesi del narcisismo". Questa condizione, che certamente può avere aspetti negativi, contiene il germe di un principio di realtà differente, che mira al nontempo della perfezione in cui l'essere e il divenire costituiscono un unico elemento e che comporta implicitamente un arresto del tempo.



Il tempo nella scienza

Non sono uno scienziato, ma so che tutte le cose iniziano e finiscono nell'eternità. L'uomo che cadde sulla terra, Walter Tevis.

La scienza, per quanto ci riguarda, non fa commenti sul tempo e sull'estraniazione in modo altrettanto diretto di quanto non faccia per esempio la psicologia. Ma la scienza può essere riconcepita per far luce sull'argomento in questione, grazie ai numerosi parallelismi fra la teoria scientifica e le questioni umane.

"Non c'è bisogno che il presente che possa essere totale. Un punto di incredibile densità. Bisogna imparare a rallentare il tempo, a vivere la passione permanente dell'esperienza immediata."

 "Il tempo", stabilì N.A. Kozyrev (1971), "è il più importante e il più misterioso fenomeno della Natura. La sua nozione si trova oltre i confini dell'immaginazione". Alcuni scienziati (per es. Dingle, 1966) hanno infatti osservato che "tutti i veri problemi associati alla nozione di tempo sono indipendenti dalla fisica". La scienza, e la fisica in particolare, potrebbero davvero non avere l'ultima parola, tuttavia costituiscono un'altra fonte di osservazioni, seppure alienata e generalmente indiretta.

 Il "tempo fisico" equivale al tempo di cui siamo consapevoli? In caso contrario, in che cosa differisce? Nella fisica, il tempo sembra costituire una dimensione di base indefinita, un elemento tanto scontato quanto lo è al di fuori del regno scientifico. Questo ci ricorda che come per qualsiasi altro tipo di pensiero le idee scientifiche sono prive di significato se si isolano dal loro contesto culturale. Esse sono sintomi e simboli degli stili di vita che danno loro origine. Secondo Nietzsche, tutti i testi scritti sono intrinsecamente metaforici, anche se la scienza viene raramente vista in questa luce. La scienza si è sviluppata tracciando una separazione sempre più netta fra il mondo interno e quello esterno, fra il sogno e la "realtà". Questo è stato reso possibile dalla matematizzazione della natura, che in gran parte ha significato che lo scienziato procede secondo un metodo che lo priva del contesto più ampio, incluse le origini ed il significato dei suoi progetti. Ciò nonostante, come dichiarò H.P Robinson (1964), "le cosmologie che l'umanità ha elaborato in periodi e luoghi diversi inevitabilmente riflettono l'ambiente fisico e intellettuale, compresi soprattutto gli interessi e la cultura di ogni società".

 Come fece notare PC. Davies (1981),1 tempo soggettivo "possiede qualità innegabili che sono assenti nel mondo 'esterno' ma che sono fondamentali per la nostra concezione della realtà" - principalmente lo "scorrere" del tempo. Il nostro senso di separazione dal mondo è dovuto in gran parte a questa discordanza.
Esistiamo nel tempo (e nell'alienazione), ma il tempo non si trova nel mondo fisico. La variabile tempo, sebbene utile per la scienza, è un costrutto teorico.     "Le leggi della scienza", spiegò Stephen Hawking (1988), "non fanno una distinzione fra passato e futuro". Einstein andò oltre questo principio circa trent'anni prima; in una delle sue ultime lettere, scrisse: "La gente come noi, che crede nella fisica, sa che la distinzione fra passato, presente e futuro è solo uri ostinata e persistente illusione". Ma per quanto riguarda il tempo la scienza prende parte alla società in altri modi, e ad un livello molto profondo. Più "razionale" diventa, più vengono eliminate le variazioni del tempo. Per esempio la fisica teorica geometrizza il tempo concependolo come una linea retta; la scienza non rimane quindi estranea alla storia culturale del tempo.

 La fisica non prevede l'idea di un istante presente di tempo che passa (Park, 1972). Inoltre, come osservò Hawking, le leggi fondamentali sono completamente reversibili se applicate alla "freccia del tempo" e oltre a ciò, secondo Watanabe (1953) "i fenomeni irreversibili sembrano frutto della peculiarità della nostra conoscenza umana". Ancora una volta l'esperienza umana svolge un ruolo decisivo, persino in questo ambiente estremamente "obiettivo". Zee (1992) si espresse in questi termini: "Nella fisica il tempo è un concetto di cui non possiamo parlare senza chiamare in causa in qualche misura la coscienza".

 Persino su temi apparentemente semplici si riscontrano ambiguità per quanto concerne il tempo. Per esempio, mentre la complessità della specie più complessa può aumentare non tutte le specie divengono più complesse, da cui J.M. Smith (1972) deduce che è "difficile stabilire se l'evoluzione nel suo insieme abbia una direzione".

 In termini cosmici, si sostiene che la "freccia del tempo" sia indicata automaticamente dal fatto che le galassie si allontanano l'una dall'altra. Ma sembra essere unanimemente riconosciuto che per quanto riguarda le basi della fisica il "flusso" del tempo sia irrilevante e privo di significato; le leggi fisiche fondamentali sono completamente neutrali rispetto alla direzione del tempo (Mehlberg 1961,1971, Landsberg 1982, Squires 1986, Watanabe 1953,1956, Swinburne 1986, Morris 1984, Mallove 1987, D'Espagnant 1989 ecc. ). La fisica moderna fornisce persino contesti in cui il tempo cessa di esistere e viceversa inizia ad esistere. Perché il nostro mondo è asimmetrico rispetto al tempo?  Perché non può andare indietro così come va avanti? Si tratta di un paradosso in quanto le dinamiche molecolari individuali sono tutte reversibili. Il punto principale, su cui tornerò più avanti, è che la freccia del tempo si manifesta man mano che aumenta il grado di complessità in formidabile parallelismo con il mondo sociale.

 Il flusso del tempo si manifesta nel contesto di passato e futuro che a loro volta dipendono da un riferimento noto come il momento presente. Einstein con la sua teoria della relatività ha dimostrato che non esiste un presente universale: non possiamo dire che è ora in tutto l'universo. Non esiste alcun intervallo fisso che sia indipendente dal sistema a cui fa riferimento, proprio come l'alienazione dipende dal suo contesto.

 Il tempo viene così spogliato dell'autonomia e dell'obiettività di cui godeva nell'epoca newtoniana. Nelle rivelazioni di Einstein assume un carattere decisamente più individuale rispetto al sovrano assoluto e universale che fu. Il tempo è relativo, dipende da condizioni specifiche e varia a seconda di fattori quali la velocità e la gravità.
 Ma se il tempo è diventato più "decentralizzato" è anche vero che ha colonizzato la soggettività come mai era riuscito a fare prima. Poiché il tempo e l'alienazione sono ormai la regola in tutto il mondo, sapere che essi dipendono da svariate circostanze non è una gran consolazione. Il sollievo è dato dall'agire alla luce di questa comprensione; è l'invarianza dell'alienazione a far sì che il modello newtoniano dello scorrere indipendente del tempo ci domini, anche se la teoria della relatività da lungo tempo ne ha sradicato le basi teoriche.

 "Nello spazio della creazione, il tempo si dilata. Nella inautenticità lo spazio si accelera". A colui che possiederà la poetica del presente capiterà l'avventura del piccolo cinese innamorato della Regina dei Mari. Egli partì alla sua ricerca sul fondo degli oceani. Quando ritornò sulla terra, un uomo vecchissimo che tagliava delle rose gli disse: «Mio nonno mi ha parlato di un fanciullo scomparso in mare, che portava precisamente il vostro nome».


 La meccanica quantistica, che si occupa delle particelle più piccole dell'universo, è nota come la teoria fondamentale della materia. Il nucleo della teoria dei quanti segue gli altri principi fisici fondamentali, come la relatività, nel non fare distinzioni sulla direzione del tempo (Coveny e Highfield, 1990). Un presupposto di base è l'indeterminismo in cui il movimento delle particelle a questo livello è una questione di probabilità. Insieme ad elementi come i positroni, che possono essere considerati come elettroni che si muovono all'indietro nel tempo, ed i tachioni, particelle più veloci della luce che generano effetti e contesti che invertono l'ordine temporale (Gribbin, 1979; Lindley 1993), la meccanica quantistica ha sollevato questioni fondamentali sul tempo e la causalità. Nel micromondo quantistico, si è riscontrato che relazioni comuni a-causali trascendono il tempo e mettono in discussione l'idea stessa di ordinare gli eventi nel tempo. Possono esistere "collegamenti e correlazioni fra eventi molto distanti in assenza di qualsiasi forza osservabile intermedia" che si verificano istantaneamente (Zohar, 1982; Aspect, 1982). II celebre fisico americano John Wheeler ha richiamato l'attenzione (1977,1980,1986) su fenomeni in cui l'azione intrapresa adesso influenza il corso di eventi che sono già accaduti.

 Gleick (1992) riassunse così la situazione: "Con la sparizione della simultaneità, la sequenzialità crollava, la causalità era sotto pressione e gli scienziati in generale si sentivano liberi di considerare possibilità temporali che sarebbero sembrate inverosimili alla generazione precedente". Nella teoria dei quanti è stato fatto almeno un tentativo di eliminare completamente la nozione di tempo (J.G. Taylor, 1972); D. Park, per esempio, disse: "Preferisco la rappresentazione atemporale a quella temporale".

 La sconcertante situazione della scienza trova corrispondenza nella radicalità del mondo sociale. L'alienazione, come il tempo, produce anomalie e pressioni sempre maggiori: le questioni più importanti alla fine emergono quasi necessariamente in entrambi i casi.

"Si tratta sempre di risolvere le contraddizioni del presente, di non fermarsi a metà strada, di non lasciarsi distrarre, di andare verso il superamento. Opera collettiva, opera di passione, opera di gioco (l'eternità è il mondo del gioco dice Boheme). Per quanto povero possa essere, il presente contiene sempre la vera ricchezza, quella della costruzione possibile."

Nel V secolo Sant'Agostino protestava perché non comprendeva in cosa realmente consistesse la misurazione del tempo. Einstein, ammettendo l'inadeguatezza del suo commento, spesso definiva il tempo come "ciò che viene misurato dall'orologio". Da parte sua, la teoria quantistica postula l'inseparabilità dello strumento di misura da ciò che viene misurato. Mediante un processo che neanche i fisici sostengono di comprendere pienamente, l'atto di osservazione o misurazione non solo rivela la condizione di una particella, ma di fatto la determina (Pagels, 1983). Questo ha indotto Wheeler (1984) a chiedersi, "Tutto - compreso il tempo - viene creato dal nulla mediante atti di partecipazione dell'osservatore?". Ancora uno straordinario parallelismo perché l'alienazione, a tutti i livelli e fin dalla sua origine, richiede esattamente la stessa partecipazione per la sua determinazione.

 La freccia del tempo - il tempo irrevocabile, a senso unico - è il mostro che ha dimostrato di essere più terrificante di qualsiasi proiettile fisico. Il tempo senza direzione non è affatto tempo e Cambel (1993) identifica le proprietà direzionali del tempo come "una caratteristica basilare dei sistemi complessi". Schlegel (1961) concluse che il comportamento reversibile nel tempo delle particelle atomiche è "generalmente commutato nel comportamento di un sistema che è irreversibile". Se non è radicato nel micromondo, da dove arriva il tempo?

 Da dove arriva il nostro mondo vincolato al tempo? Qui si delinea un'analogia provocatoria. Il mondo su piccola scala descritto dalla fisica, con la sua misteriosa trasformazione nel macro mondo dei sistemi complessi, è analogo al mondo sociale "primitivo" che con la divisione del lavoro si è trasformato nella società complessa, divisa in classi con il suo "progresso" apparentemente irreversibile.

 Un principio generalmente adottato nella fisica teorica prevede che la freccia del tempo dipenda dalla seconda legge della termodinamica (per es. Reichenbach, 1956) in base alla quale tutti i sistemi tendono verso un sempre maggiore disordine o entropia. Il passato è quindi più ordinato del futuro.
Alcuni promotori della seconda legge (per es. Bolzmann, 1866) hanno trovato nell'incremento entropico il vero significato della distinzione fra passato e futuro.

 Questo principio generale di irreversibilità venne sviluppato nei decenni centrali del XIX secolo, a partire da Carnot nel 1824, quando lo stesso capitalismo industriale raggiunse il suo punto di evidente irreversibilità. In questo secolo, se l'evoluzione è stata l'interpretazione ottimistica del tempo irreversibile, la seconda legge della termodinamica è stata invece quella pessimistica. Nei suoi termini originali paragonava un universo ad un'enorme macchina termica in fase di esaurimento il cui funzionamento è sempre più soggetto all'inefficienza e al disordine. Ma come fece notare Toda (1978), la natura non è una macchina, non si può dire che abbia un funzionamento o che si interessi all' "ordine" o al "disordine". È difficile non cogliere l'aspetto culturale di questa teoria e precisamente la paura del futuro del capitale.

 Centocinquanta anni dopo, i fisici teorici si sono resi conto che la seconda legge e la sua presunta spiegazione della freccia del tempo non può essere considerata un problema risolto (Néeman, 1982). Molti sostenitori del tempo reversibile in natura considerano la seconda legge troppo superficiale, una legge secondaria e non primaria (per es. Haken, 1988; Penrose, 1989). Altri (per es. Sklar, 1985) ritengono che il concetto stesso di entropia sia mal definito e problematico e in quanto all'accusa di superficialità, si sostiene che i fenomeni descritti dalla seconda legge possano essere attribuiti a particolari condizioni iniziali ma non rappresentino la validità di un principio generale (Davies, 1981; Barrow, 1991). Inoltre, non tutte le coppie di eventi caratterizzate da una relazione "posteriore" fra l'uno e l'altro presentano una differenza entropica. La scienza della complessità (che ha un campo di applicazione più ampio rispetto alla teoria del caos) ha scoperto che non tutti i sistemi tendono al disordine (Lewin, 1992), tesi contraria alla seconda legge. Inoltre, i sistemi isolati a cui non sono consentiti scambi con l'ambiente esterno mostrano la tendenza irreversibile della seconda legge, ma persino l'universo potrebbe non essere un tale sistema chiuso. Sklar (1974) osserva che attualmente non è noto se l'entropia totale dell'universo sia in aumento, in diminuzione o in condizioni stazionarie.

 Malgrado tali apologie e obiezioni, si sta sviluppando un movimento per una "fisica irreversibile" basata sulla seconda legge, con implicazioni piuttosto interessanti. Il premio Nobel del 1977 Ilya Prigogine sembra essere il più instancabile difensore pubblico dell'idea che vi sia un tempo unidirezionale innato a tutti i livelli dell'esistenza. Mentre i principi fondamentali di tutte le più importanti teorie scientifiche sono neutri nei confronti del tempo, Prigogine dà al tempo un'importanza prioritaria nell'universo. Secondo la sua opinione, nonché quella di chi ha lo stesso orientamento mentale, l'irreversibilità costituisce un assioma primario. Nella scienza presumibilmente non di parte, la questione del tempo è diventata chiaramente oggetto di discussioni politiche.

 Prigogine (1985) in un simposio sponsorizzato dalla Honda per promuovere progetti come l'intelligenza artificiale sostenne: "Questioni come l'origine della vita, le origini dell'universo o le origini della materia non possono più essere discusse senza far ricorso all'irreversibilità". Non è un caso che Alvin Toffier, che non è uno scienziato ma il principale sostenitore americano di un mondo ad alta tecnologia, si sia prodigato in un'appassionata promozione di uno dei testi basilari della campagna pro-tempo, Order outofchaosdi Prigoggrne e Stenger (1984).

 Il discepolo di Prigogine Ervin Laszlo, in un invito a legittimare e ampliare il dogma del tempo universalmente irreversibile, si chiede se le leggi della natura possano essere applicate al mondo umano. In effetti risponde subito alla sua domanda retorica (1985): "La generale irreversibilità delle innovazioni tecnologiche domina l'indeterminatezza dei singoli punti di diramazione e trascina il processo della storia nella direzione che si può osservare nell'evoluzione dalle tribù primitive agli stati moderni tecno-industriali". Che "scienza"! È difficile migliorare questa trasposizione delle "leggi di natura" al mondo sociale con una descrizione del tempo, della divisione del lavoro e della mega-macchina che annienta l'autonomia o la "reversibilità" delle decisioni umane. Leggett (1987) espresse il concetto perfettamente: "Sembra così che la freccia del tempo che si manifesta nell'ambito apparentemente impersonale della termodinamica, sia intimamente collegata a ciò che noi In qualità di agenti umani possiamo o non possiamo fare".

 Ciò che Prigogine e altri promettono al sistema dominante è la liberazione dal "caos" mediante l'applicazione del modello del tempo irreversibile. II capitale ha sempre regnato nella paura dell'entropia o del disordine. La resistenza, in particolare la resistenza al lavoro, è la vera entropia che il tempo, la storia ed il progresso cercano costantemente di eliminare. Prigogine e Stenger (1984) scrissero: "L’irreversibilità o è vera a tutti i livelli o a nessuno". Tutto o niente, sempre la posta finale del gioco.

 Fin da quando la civilizzazione ha soggiogato l'umanità abbiamo dovuto vivere con la malinconica idea che le nostre più alte aspirazioni sono forse impossibili in un mondo In cui il tempo è in costante ascesa. Più si rimandano e allontanano i piaceri e la tolleranza - e questa è l'essenza della civiltà - più diventa concreta la dimensione del tempo. La nostalgia per il passato, il fascino esercitato dall'idea di viaggiare nel tempo e l'appassionata ricerca di una maggiore longevità sono alcuni dei sintomi della malattia del tempo per cui non sembra esistere alcuna cura. Come intuì Merleau-Ponty (1945) "ciò che non trascorre nel tempo è l'intervallo di tempo".

 Oltre alla diffusa antipatia generale si possono comunque segnalare alcuni esempi recenti di opposizione. La Society for the Retardation of Time, fondata nel 1990, conta alcune centinaia di membri in quattro paesi europei. Meno stravaganti di quanto possa sembrare, i suoi membri si impegnano ad invertire l'accelerazione contemporanea del tempo nella vita quotidiana per poter vivere un'esistenza più felice. Negative Theolog of Túne di Michael Theunissen uscito nel 1991 mirava esplicitamente a ciò che l'autore considera il nemico ultimo degli esseri umani. Quest'opera ha generato un dibattito molto acceso nei circoli filosofici (Penta, 1993) a causa della sua rivendicazione di una riconsiderazione negativa del tempo.

 "Il tempo è l'unico movimento adatto a se stesso in tutte le sue parti", scrisse Merleau-Ponty (1962). Qui vediamo la pienezza dell'alienazione nel mondo diviso del capitale. Pensiamo al tempo piuttosto che alle sue parti ed esso ci rivela quindi la sua totalità. La crisi del tempo è la crisi della totalità. Il suo trionfo, apparentemente ben riconosciuto, in realtà non è mai stato completo finché chiunque ha potuto mettere in discussione i presupposti fondamentali della sua esistenza.

 Sul lago Silviplana Nietzsche trovò l'ispirazione per Così parlò Zarathustra. "Seimila piedi al di sopra di uomini e tempo..." scrisse nel suo diario. Ma non si può trascendere il tempo per mezzo di un superbo disprezzo dell'umanità, perché sconfiggere l'alienazione che esso genera non può essere un progetto solitario. In questo senso preferisco la formulazione di Rexroth (1968): "l'unico Assoluto è la Comunità dell'Amore con cui il Tempo finisce".

 Possiamo mettere fine al tempo? Il suo movimento può essere visto come il campione e la misura di un'esistenza sociale che è diventata sempre più vuota e tecnicizzata. Avverso a tutto ciò che è spontaneo e immediato, il tempo rivela sempre più chiaramente il suo legame con l'alienazione. L'intento del nostro progetto di rinnovamento deve contemplare l'intera portata di questa dominazione collettiva. La vita divisa sarà sostituita dalla possibilità di vivere completamente e pienamente - in assenza di tempo - solo se eliminiamo le cause primarie di tale divisione.

John Zerzan


John Zerzan (Salem, 10 agosto 1943) è un anarchico e filosofo statunitense. È un anarchico propugnatore e filosofo del primitivismo.

Zerzan ha scritto numerosi articoli e saggi di opposizione radicale ad ogni forma di civilizzazione, in particolare individuandone le basi da refutare nei concetti di agricoltura, linguaggio, pensiero simbolico (numero e arte) e tempo. Zerzan avversa l'oppressione intrinseca alla civilizzazione e propone la riconquista di una libertà primordiale ispirata ad un modello di vita preistorico basato su caccia e raccolta. I suoi libri più significativi sono: Elements of Refusal (1988), Future Primitive and Other Essays (1994), Against Civilization: A Reader (1998) e Running on Emptiness (2002).
Zerzan individua nell'avvento della civiltà l'origine di ogni forma di potere, ciò che ha condotto alla domesticazione l'uomo, gli animali, l'ambiente. Si tratta di una macchina sociale che ha introdotto il principio della proprietà, della divisione del lavoro, della legge. Tale struttura si regge attraverso l'ausilio di alcuni artifici (reificazione) per la rappresentazione astratta della realtà, quali il tempo, il linguaggio, la scrittura, il numero, la religione (funzionali all'esigenza alla classe dominante per stabilire i confini delle proprietà, i ritmi di lavoro, la codificazione delle norme). È infatti l'agricoltura una delle prime e fondamentali manifestazioni della civiltà. Rispetto a una fase antecedente, nella quale uomini e donne erano liberi raccoglitori-cacciatori, essi vivono alienati, estraniati dal proprio ambiente e dalla necessità di soddisfazione dei propri bisogni.
La tecnologia è invece esclusivamente lo strumento di lavoro indispensabile alla produzione delle merci e della conservazione dell'impalcatura sociale. Pertanto la tecnologia non nasce come mezzo neutrale. La tecnologia inoltre modifica l'ambiente, il modo di vivere degli esseri umani e l'uomo stesso, fra l'altro, rendendolo dipendente delle macchine.
Per tutte queste considerazioni Zerzan differisce dai pensatori anarchici della seconda metà dell'Ottocento e da Marx (pur condividendone l'analisi sul capitalismo), ritenendo che essi si limitino a sostituire un modello di società con un altro, per quanto alternativo, che non scardina le strutture portanti della civiltà. Zerzan collabora con la rivista di critica radicale Fifth Estate.



LIBRI CITATI
Beckett Samue1,1980, Murphy, Torino, Einaudi.
Hawking Stephen,1988, Dal Big Bang at buchi neri, Milano, Rizzoli. Pater Walter, intr. di Mario Praz, 1970, Mario 1 Epicureo, 'Ibrino. Einaudi. Sloterdijk Peter, 1992, Critica della ragion cinica, Milano, Garzanti. Spate Virginia, 1993, Claude Monet Milano, Fabbri.
Sterne Laurence, 1983, 7Y1stram Shandy, Novara, DeAgostini. 'Ilevis Walter, 1977, Uomo che cadde sula terra, Milano, B. Mondadori. Watt Ian, 1994, Le origini del romanzo borghese: studi su Defoe, Richardson e Helding, Milano, Bompiani.

BIBLIOGRAFIA

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Fonte: www.ecn.org/



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