mercoledì 5 giugno 2019

Doggerland, il paradiso scomparso

Nell’Europa del nord prima del diluvio



Doggerbank. Questo è il banco di sabbia che emerge dal Mare del Nord e resta a testimoniare la presenza della terra sommersa.

Doggerland: un nome ancora poco conosciuto. Il nome di una terra scomparsa. Da molti decenni, ormai, le reti a strascico dei pescatori del Mare del Nord portano a galla ossa di uri, mammut, renne, creature preistoriche e strani oggetti che, in seguito ad attente analisi, si sono rivelati essere delle armi arcaiche. 

Reperti antichissimi. Più antichi delle piramidi d’Egitto e delle ziqqurat sumere. Una mandibola umana contava ben 9500 anni d’età. A che cultura appartengono?
I pescatori raccontavano che talvolta, con la bassa marea, si vedevano tronchi d’albero emergere dalla melma del Mare del Nord, sparsi qua e là in una zona vastissima che, partendo dalla Danimarca, la Germania e l’Olanda, giungeva sino alla costa della Gran Bretagna. Con il loro tipico senso dell’umorismo, gli inglesi chiamavano queste distese di fango inframmezzate da ceppi millenari “le foreste di Noè”.
Alla fine del XIX secolo un paleobotanico inglese, Clement Reid, cominciò a studiare i resti pescati e poi, nel 1931, ci fu una svolta sorprendente: le reti portarono alla superficie un pezzo di torba in cui era intrappolato un arpione di osso intagliato della lunghezza di 21,6 cm. Un’arma realizzata dalla mano dell’uomo che l’analisi del C-14 ha datato nell’11.740 a.C., un’epoca ancor più antica del favoloso complesso di Göbekli Tepe.

Doggerland Project

Bryony Coles, una docente di Archeologia dell’Università di Exeter, pubblicò nel 1998 i risultati delle ricerche di quello che fu da lei chiamato il Doggerland Project. Fu così che si iniziò a parlare del continente sommerso e finalmente, nell’agosto 2011, anche il governo tedesco ha incaricato il Schiffahrtsmuseum di Bremerhaven di svolgere una ricerca archeologica sistematica del Mare del Nord per evitare che importanti reperti vadano perduti.

Nel frattempo lo studioso Vince Gaffney dell’Università di Birmingham e il suo team dell’istituto VISTA (Visual and Spatial Technology Center) hanno portato avanti il progetto “Mapping Doggerland”, ricostruendo il modello virtuale della terra scomparsa. Un territorio di pianura che abbracciava circa 23.000 chilometri quadrati, costellato di fiumi e laghi, con un mare interno di acqua dolce. Attraversandolo in un’epoca remota, si poteva andare a piedi dalla Danimarca all’Inghilterra.
Un territorio molto ampio, che oggi è chiamato Doggerland: ma da dove viene questo nome? “Doggerbank” è detta una vasta zona di secca, un banco di sabbia che si estende a circa 100 km dalla costa orientale della Gran Bretagna e a circa 125 km dalla costa ovest della Danimarca, proprio nella zona in cui è stato individuato il territorio sommerso. Per questo motivo l’archeologa Coles battezzò la nuova terra nascosta dal mare Doggerland.
Intanto gli studi continuano. Non soltanto ci si è potuti fare un’idea sull’epoca in cui la terra sommersa fiorì, sulle sue dimensioni e la topografia, ma anche sulle cause della sua sparizione, che deve essere avvenuta circa 8200 anni fa. Come accadde la gigantesca catastrofe?
Durante il periodo di riscaldamento globale, all’inizio dell’Olocene (ca. 11.700 anni fa), il livello dei mari cominciò a salire. Questo processo, che continuò per ben due millenni, portò alla rottura dei ghiacci nel continente nordamericano (in quell’epoca era la massa di ghiaccio più estesa del globo) e questo provocò un aumento del livello dei mari di addirittura 120 metri.
Ci furono, quindi, terribili inondazioni su tutti i territori costieri e il Mare del Nord inghiottì gran parte di Doggerland. Solo l’area più alta del continente emergeva dalle acque come un’isola. Inoltre circa 8000 anni fa una formazione rocciosa grande quanto l’Islanda si staccò dalla costa della Norvegia tra Bergen e Trondheim e scivolò nelle profondità marine. Di conseguenza si alzarono onde gigantesche che s’infransero sulle coste delle isole vicine e ne distrussero gran parte.

Carta di Vince Gaffney dell’Università di Birmingham che mostra la Doggerland originaria e i diversi stadi dell’inondazione che hanno portato alla scomparsa del territorio, fino all’attuale situazione costiera.


Tracce della catastrofe naturale sono state trovate nella Scozia orientale, nei pressi di Inverness, dove resti archeologici raccontano che l’onda titanica sembra aver sorpreso un gruppo di persone sedute intorno al fuoco. Anche in Norvegia, nelle isole Shetland e Faeroer, i reperti dicono che delle onde di 20 metri inghiottirono le coste.
Così l’isola di Doggerland scomparve definitivamente e, circa 7000 anni fa, le acque, continuando la loro opera invasiva, finirono per separare la Gran Bretagna e le isole della Danimarca dalla Terraferma.

Doggerland: il paradiso in terra

Eppure prima di essere inghiottita dal mare Doggerland era un territorio fertile dal clima sorprendentemente mite, popolato da uomini e animali, ombreggiato da boschi di betulle e conifere, bagnato da laghi e fiumi che fornivano pesce in abbondanza. Un paradiso dell’Età della pietra.
Secondo la lettura dei reperti pescati dalle acque, il territorio doveva essere abitato da cacciatori raccoglitori. La popolazione viveva in centri stagionali, situati nelle vicinanze del mare e dei fiumi. I cacciatori raccoglitori erano verosimilmente giunti dalle regioni dell’Europa del nord, seguendo le migrazioni di cervi, uri e cinghiali avvenute durante il periodo di riscaldamento globale del clima.
Laura Spinney, giornalista di National Geographic, scrive:
Estate e autunno erano periodi dell’abbondanza. Sul terreno alluvionale pascolavano animali selvatici. C’erano ricche aree di pesca, tutti i tipi di nocciole e bacche. Nell’inverno la popolazione si spostava nei territori più elevati. Siti archeologici con un numero maggiore di artefatti suggerisce che gli uomini si siano riuniti in certe circostanze, magari durante l’autunno, quando le foche si avvicinavano alle coste e i salmoni risalivano i fiumi. In questo modo giovani uomini e donne potevano trovare un partner. Vi erano però anche degli scambi tra popolazioni avvenuti lungo il corso dei fiumi, al di là dei territori da loro occupati. Nel periodo in cui il mare cambiò ulteriormente il paesaggio, queste informazioni divennero di importanza vitale.”
Allorché il livello del mare iniziò ad aumentare con una velocità di due metri al secolo, la popolazione si vide costretta ad abbandonare Doggerland.  Ondate migratorie cominciarono a susseguirsi, la popolazione si muoveva alla ricerca di nuove aree abitabili. Alcuni si stabilirono nelle Isole Britanniche, lungo la costa del nord. Infatti proprio nella zona di Nothumberland  gli archeologi hanno scoperto i resti di un centro abitato che è stato ricostruito per ben tre volte nell’arco di 150 anni e risale al 7900 a.C.
Ed ecco che con la scoperta di Doggerland si affaccia una nuova terra sommersa che potrebbe essere l’Atlantide perduta. L’amenità del territorio dalle pianure verdeggianti interrotte da corsi d’acqua e con un clima all’epoca molto mite  contraddistinguono sia Doggerland che la terra di cui racconta il filosofo greco Platone. Anche il periodo in cui le acque avrebbero inghiottito il paradiso nordico corrisponderebbe grosso modo alla sparizione dell’Atlantide.
E le leggende degli Iperborei raccontano di un popolo che viveva nel lontano Settentrione, all’estremo nord del mondo allora conosciuto. Dalla biblioteca di Apollodoro  giunge l’eco del giardino delle Esperidi con le loro mele d’oro. Un luogo che, secondo lui, deve essere stato proprio lassù, dove Atlante reggeva sulle spalle la volta celeste.

Erodoto e Plinio il Vecchio narrarono che gli Iperborei non erano creature mitiche ma realmente esistenti, prova ne sia che questi abitanti del lontano nord inviavano ogni anno i loro doni ai centri di culto Delfi e Delo. Mi piace pensare che il territorio misterioso di Iperborea, quello che da secoli causa fiumi d’inchiostro, si trovi proprio lì, perduto sotto le acque del Mare del Nord.





Doggerland,from 12.000 BCE - 6.000 BCE

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