In questo studio non intendiamo trattare in modo speciale il
punto di vista sociale, punto di vista che ci interessa solo assai
indirettamente, non rappresentando che un’applicazione alquanto lontana dei
princìpi fondamentali. Così, non è nel dominio sociale che in ogni caso potrebbe
prendere inizio un’essenziale rettificazione del mondo moderno. Se questa
rettificazione venisse infatti attuata a rovescio, partendo dalle conseguenze
anziché dai princìpi, essa mancherebbe per forza di una base seria e sarebbe
affatto illusoria. Nulla di stabile potrebbe mai risultarne e bisognerebbe
cominciar sempre di nuovo per aver trascurato d’intendersi anzitutto circa le
verità essenziali. Per cui, non ci è possibile concedere alle contingenze
politiche, anche dando a questa parola il suo senso più ampio, altro valore se
non quello di semplici segni esteriori della mentalità di un’epoca. Ma per ciò
stesso non possiamo nemmeno passar del tutto sotto silenzio le manifestazioni
del disordine moderno nel dominio sociale propriamente detto, nelle loro forme
più caratteristiche, che giungono fino al periodo dell’immediato dopoguerra
(1): i
fenomeni politico-sociali più recenti, in parte di “reazione” o
“controrivoluzione”, per ora li lasceremo fuori di considerazione, anche perché
finora essi non hanno sviluppato tutte le loro possibilità fino a dar materia ad
un giudizio definitivo dal punto di vista in cui noi qui ci poniamo
esclusivamente, cioè da un punto di vista universale e superpolitico.
Come si è detto poco fa, allo stato attuale del mondo
occidentale quasi nessuno si trova nel posto che normalmente gli spetterebbe in
base alla sua natura propria. Ciò si vuole esprimere dicendo che le caste non
esistono più, poiché la casta, intesa nel suo senso vero e tradizionale, altro
non è che la stessa natura individuale con l’insieme delle attitudini speciali
che essa implica e che predispongono ogni uomo all’adempimento di una data
funzione e non di un’altra. Quando l’accesso a qualsiasi funzione non è più
controllato da alcuna regola legittima, il risultato inevitabile è che ognuno
sarà portato a fare qualunque cosa e spesso ciò per cui egli è meno dotato. La
funzione che egli avrà nella società sarà determinata, se non dal caso, giacché
il caso in realtà non esiste, da qualcosa che può sembrare il caso, cioè da un
intreccio di circostanze accidentali d’ogni specie. L’ultimo ad intervenire,
sarà proprio il solo fattore che dovrebbe contare in un simile caso, cioè la
differenza di natura esistente fra gli uomini. La causa di siffatto disordine è
la denegazione di una tale differenza, denegazione che implica quella di ogni
gerarchia sociale. E una tale negazione, che forse a tutta prima può essere
stata appena cosciente e più pratica che teorica, perché la confusione delle
caste ha preceduto la loro completa soppressione, o, in altre parole, perché si
è disconosciuta la natura dei singoli prima di finire col non tener alcun conto
di essa – una tale negazione, diciamo, è stata costituita dai moderni in uno
pseudo-principio sotto il nome di “eguaglianza”.
Ora, sarebbe troppo facile dimostrare che l’eguaglianza non
può esistere in nessun caso, per la semplice ragione che è impossibile che due
esseri siano realmente distinti eppure simili sotto ogni riguardo. Non meno
facile sarebbe mettere in rilievo tutte le conseguenze assurde che derivano da
questa idea chimerica, in nome della quale si è preteso di imporre dappertutto
un completo uniformismo, ad esempio impartendo a tutti un identico insegnamento,
come se tutti fossero egualmente capaci di capire le stesse cose e come se, per
farle comprendere, gli stessi metodi fossero adatti per tutti indistintamente.
D’altronde, ci si può chiedere se non si tratti più di “apprendere” che non di
veramente “comprendere”, cioè se non si sia sostituita la memoria
all’intelligenza nella concezione affatto verbale e “libresca” del moderno
insegnamento, il quale mira solo ad accumulare nozioni elementari e eteroclite e
nel quale la qualità resta interamente sacrificata alla quantità, come accade
dappertutto nel mondo moderno per ragioni che chiariremo in seguito: si tratta
sempre di una dispersione nel molteplice. Nel riguardo, vi sarebbe molto da dire
sui misfatti democratici dell’ “istruzione obbligatoria”: ma non è questo il
luogo d’insistervi e, per non uscire dallo schema che ci siamo proposto,
dobbiamo limitarci a segnalare di passata questa conseguenza speciale delle
teorie “egualitarie” come uno di quegli elementi di disordine, che son divenuti
troppo numerosi per poterli enumerare tutti senza omissioni.
Naturalmente, quando noi ci troviamo di fronte ad una idea,
come quella dell’ “eguaglianza”, o del “progresso”, o di fronte ad altri “dogmi
laici” che quasi tutti i nostri contemporanei hanno accettato ciecamente e la
maggior parte dei quali han cominciato già a formularsi nettamente durante il
XVIII secolo, non ci è possibile ammettere che tali idee siano nate
spontaneamente. Si tratta, in fondo, di autentiche “suggestioni”, nel senso più
stretto della parola, che peraltro poterono produrre un effetto solo in un
ambiente già preparato a riceverle. Se dunque esse non hanno creato lo stato
d’animo complessivo che caratterizza l’epoca moderna, hanno tuttavia contribuito
ad alimentarlo e a svilupparlo fino ad un punto, che altrimenti non sarebbe
stato di certo raggiunto. Se queste suggestioni venissero meno, la mentalità
generale sarebbe assai vicina a cambiar d’orientamento: per questo esse vengono
così accuratamente favorite da tutti coloro che hanno un qualche interesse a
protrarre il disordine, se non pure ad aggravarlo – e tale è anche la ragione
per cui in tempi, nei quali si pretende di tutto sottoporre alla discussione,
queste suggestioni sono le sole cose che non si debbono mai discutere. Del resto
è difficile determinare esattamente il grado di sincerità di coloro che si fanno
i propagandisti di simili idee, e sapere in che misura certe persone finiscono
con l’essere prese dalle loro stesse menzogne e col suggestionarsi all’atto di
voler suggestionare gli altri. Spesso in una propaganda del genere gli ingenui
sono anzi gli strumenti migliori, perché vi portano una convinzione che agli
altri sarebbe alquanto difficile fingere, e che è facilmente contagiosa. Ma
dietro a tutto questo, almeno inizialmente, occorre che vi sia stata un’azione
assai più cosciente, una direzione che può venir soltanto da uomini sapienti
perfettamente il fatto loro in ordine alle idee fatte circolare in tal guisa.
Noi abbiamo parlato di “idee”, ma una tale parola qui calza assai poco, essendo
evidente che nella fattispecie non si tratta per nulla di idee pure e nemmeno di
alcunché che appartenga come che sia all’ordine intellettuale. Si tratta, se si
vuole, di idee false, ma sarebbe ancor meglio chiamarle “pseudo-idee”, destinate
soprattutto a provocare reazioni sentimentali, questo essendo il mezzo più
efficace e più facile per agire sulle masse. Del resto, in questo ambito, le
parole hanno una importanza maggiore dei concetti che esse dovrebbero esprimere
e la gran parte degli “idoli” moderni non sono, invero, che parole, e noi ci
troviamo dinanzi al curioso fenomeno noto sotto il nome di “verbalismo”: la
sonorità delle parole basta a dare una illusione di pensiero. L’influenza che
gli oratori demagogici esercitano sulle folle è, a tale riguardo, assai
caratteristica e non occorre studiarla da presso per rendersi conto che si
tratta di un procedimento di suggestione paragonabile in tutto e per tutto a
quello degli ipnotizzatori.
Ma senza soffermarci ulteriormente su queste considerazioni,
torniamo alle conseguenze della negazione di ogni vera gerarchia e notiamo che
allo stato attuale delle cose non solo ogni uomo adempie alla sua funzione
propria solo eccezionalmente e quasi accidentalmente, mentre è proprio l’opposto
che in via normale dovrebbe essere l’eccezione; ma accade altresì che uno stesso
individuo sia chiamato a esercitare successivamente funzioni affatto diverse,
quasi come se le sue attitudini potessero venir cambiate a volontà. In un’epoca
di “specializzazione” ad oltranza, ciò può sembrare paradossale, ma pure così è,
specie nel mondo politico obbediente alle ideologie democratiche e liberali.
Se la competenza degli “specialisti” è spesso illusoria e in
ogni caso ristretta ad un dominio limitatissimo, la fede in una tale competenza
è tuttavia un fatto, per cui ci si può chiedere come è che questa fede non abbia
più parte alcuna quando si tratta della carriera degli uomini politici, ove, in
regime parlamentare, l’incompetenza più completa ben di rado ha costituito un
ostacolo. Tuttavia, pensandoci sopra, ci si accorge facilmente che non v’è da
stupirsi, che si tratta insomma di un risultato naturalissimo della concezione
“democratica”, in virtù della quale il potere viene dal basso e poggia
essenzialmente sulla maggioranza, cosa che ha per necessario corollario
l’esclusione di ogni vera competenza, dato che la competenza è sempre una
superiorità, anche se relativa, e può esser solo di pertinenza di una minoranza.
Qui qualche spiegazione non sarà inutile per mettere in rilievo, da un lato, i
sofismi nascondentisi dietro l’idea “democratica”, dall’altro, i legami che
connettono tale idea con tutto l’insieme della mentalità moderna. Dato il punto
di vista in cui ci poniamo, è quasi superfluo far rilevare che queste
osservazioni saranno formulate fuor da ogni quistione di partito e da ogni
disputa politica. Noi consideriamo queste cose in modo assolutamente
disinteressato, come si farebbe per qualsiasi altro oggetto di studio, cercando
solo di renderci conto il più chiaramente possibile di quel che vi è al fondo di
tutto ciò; il che è del resto la condizione necessaria e sufficiente per
dissipare tutte le illusioni che i moderni si sono fatte nel riguardo. Se, come
è stato detto poco fa circa le idee un po’ diverse, si tratta proprio di
“suggestione”, basterà accorgersene e comprendere come la suggestione agisca,
per impedire senz’altro a quelle illusioni di svilupparsi e di attecchire.
Contro cose del genere un esame un po’ approfondito e puramente “oggettivo” –
come oggi si dice nel gergo speciale preso in prestito dai filosofi tedeschi – è
assai più efficace che non tutte le dichiarazioni sentimentali e le polemiche
partigiane, che non provano nulla e sono l’espressione di mere preferenze
individuali.
L’argomento più decisivo contro la “democrazia” si riduce a
due parole: il superiore non può promanare dall’inferiore, perché il più non può
trarsi dal meno. Ciò è di un rigore matematico assoluto, contro cui non v’è cosa
che possa. Importa notare che proprio lo stesso argomento, applicato ad un altro
ordine, vale anche contro il “materialismo”: concordanza per nulla fortuita,
giacché le due attitudini sono assai più connesse di quanto possa sembrare a
prima vista. E’ fin troppo evidente che il popolo non può conferire un potere
che esso non possiede. Il vero potere può solo venire dall’alto, ed è per
questo, diciamolo di passata, che esso può divenire legittimo solo attraverso la
sanzione di qualcosa di superiore all’ordine sociale, cioè di una autorità
spirituale: altrimenti è solo una contraffazione di potere, uno stato di fatto
ingiustificato perché mancante di un principio, e tale da dar luogo solo a
disordine e confusione. Questo capovolgimento di ogni gerarchia comincia non
appena il potere temporale vuole rendersi indipendente dall’autorità spirituale,
e poi subordinarla a sé, pretendendo di asservirla a finalità
materialisticamente politiche. Questa è la prima usurpazione che apre la via a
tutte le altre, e si potrebbe mostrare ad esempio che la regalità francese, a
partire dal XIV secolo, ha lavorato inconsciamente a preparare la Rivoluzione
che poi doveva rovesciarla. E’ un punto che noi abbiamo sviluppato in un altro
lavoro, per cui qui ci limitiamo a questo accenno sommario.
Definita come l’autogoverno del popolo, la “democrazia” è una
vera impossibilità, qualcosa che non può nemmeno esistere come un fatto bruto,
né nell’epoca nostra, né in un’altra qualsiasi. Non bisogna farsi giocare dalle
parole: è contradditorio ammettere che stessi uomini possano essere ad un tempo
governati e governanti perché, usando il linguaggio aristotelico, uno stesso
essere non può essere in “atto” e in “potenza” simultaneamente e sotto lo stesso
riguardo. La relazione suppone necessariamente la presenza di due termini: non
possono esservi dei governati se non vi sono anche dei governanti, siano pur
essi illegittimi e non aventi altro diritto al potere oltre quello che essi
stessi si sono arrogato. Ma la grande abilità dei dirigenti democratici del
mondo moderno sta nel far credere al popolo che esso si governi da sé. E il
popolo si lascia persuadere volentieri, tanto più che così esso si sente
adulato, mentre è incapace di riflettere quanto occorre per accorgersi di una
simile impossibilità. Per creare questa illusione, si è inventato il “suffragio
universale”: è l’opinione della maggioranza come presunto principio della legge.
Ciò di cui non ci si accorge, è che l’opinione pubblica è qualcosa che si può
facilissimamente dirigere e modificare. Per mezzo di adeguate suggestioni in
essa si possono sempre provocare delle correnti nell’uno o nell’altro senso. Non
ricordiamo più chi ha parlato di “fabbricare l’opinione”: espressione
giustissima, benché bisogna dire, da un lato, che i dirigenti apparenti non sono
sempre coloro che dispongono dei mezzi necessari per venire a tanto. Quest’ultima
osservazione spiega anche perché l’incompetenza degli uomini politici più in
vista sembra non aver avuto che un peso assai relativo nel periodo demo-liberale
cui alludiamo e là dove concezioni del genere ancor oggi persistono. Ma poiché
qui non ci siamo proposti di analizzare l’ingranaggio di ciò che si potrebbe
chiamare la “macchina per governare”, ci limiteremo a segnalare che questa
stessa incompetenza offre il vantaggio di alimentare la illusione in discorso:
effettivamente solo in tali condizioni gli uomini politici in quistione possono
sembrare l’emanazione della maggioranza, apparendo quasi come un’imagine di
essa, giacché la maggioranza, quale si sia la materia su cui è chiamata a
pronunciarsi, sarà sempre costituita dagli incompetenti, il cui numero è
incomparabilmente più grande di quello degli uomini capaci di decidere con piena
cognizione di causa.
Ciò permette senz’altro di dire che il principio, secondo cui
la maggioranza dovrebbe dettar legge, è essenzialmente sbagliato. Anche se un
tale principio, per la forza stessa delle cose, è solo teorico e non può
corrispondere a nessuna realtà effettiva, resta tuttavia da spiegare come è che
esso abbia potuto far presa sullo spirito moderno, resta da vedere quali sono le
tendenze di quest’ultimo alle quali esso corrisponde, e che esso almeno in
apparenza, soddisfa. L’errore più visibile è proprio quello or ora indicato: il
parere della maggioranza non può essere che l’espressione dell’incompetenza, la
quale poi risulta dalla mancanza d’intelletto o dall’ignoranza pura e semplice.
Qui si potrebbero fare intervenire alcune osservazioni in fatto di “psicologia
collettiva” ricordando soprattutto il fatto ben noto, che in una folla l’insieme
delle reazioni mentali producentisi negli individui che ne fanno parte forma una
risultante che non corrisponde nemmeno al livello medio, bensì a quello degli
elementi più bassi. D’altra parte, vi sarebbe anche da rilevare che certi
filosofi moderni hanno voluto trasportare nell’ordine intellettuale la teoria
“democratica” che fa prevalere il parere della maggioranza, facendo di quel che
essi chiamano il “consenso universale” un preteso “criterio di verità”. Anche
supponendo che vi siano effettivamente cose su cui tutti gli uomini siano
d’accordo, questo accordo, in sé stesso, non proverebbe proprio nulla. Inoltre
anche se questa umanità esistesse – cosa dubbia già per il fatto che vi saranno
sempre uomini che non hanno opinioni di sorta circa una data quistione e che
tale quistione non se la son mai posta – sarebbe impossibile verificarla
praticamente, per cui quel che si invoca in favore di una opinione come segno
della sua verità si riduce ad esser soltanto l’assenso del maggior numero,
riferentesi, per di più, ad un ambiente necessariamente limitato nello spazio e
nel tempo. In questo dominio appare in modo ancor più chiaro che la teoria in
quistione è priva di base, perché qui è più facile isolarla dall’influenza del
sentimento, che invece ha quasi inevitabilmente una parte non appena si entri
nel campo politico. Proprio questa influenza è uno dei principali ostacoli per
la comprensione di certe cose, perfino in coloro la cui capacità intellettuale
sarebbe già più che sufficiente per pervenire senza fatica a tale comprensione.
Gli impulsi emotivi inibiscono la riflessione e una delle abilità più volgari
della politica demagogica moderna è quella che consiste nel trar partito da tale
incompatibilità.
Ma andiamo più in fondo alla quistione: che cosa è
propriamente cotesta legge del maggior numero invocata dai governi moderni più o
meno democratici come unica loro giustificazione? E’ semplicemente la legge
della materia e della forza bruta, la legge stessa in virtù della quale una
massa trasportata dal proprio peso schiaccia tutto quel che incontra sulla sua
via. Proprio qui si ha il punto d’interferenza fra la concezione “democratica” e
il “materialismo” e ciò che fa sì che quella concezione sia intimamente legata
alla mentalità attuale. E’ il completo capovolgimento dell’ordine normale,
giacché è la proclamazione della supremazia della molteplicità come tale,
supremazia che effettivamente esiste soltanto nel mondo materiale
(2). Invece
nel mondo spirituale, e ancor più semplicemente nell’ordine universale, l’unità
sta al sommo della gerarchia, essendo il principio donde procede ogni
molteplicità (3);
ma quando il principio viene negato o viene perduto di vista, non resta più che
la molteplicità pura, identificantesi alla stessa materia.
D’altra parte, l’accenno ora fatto al peso è più di un
semplice paragone, perché il peso, nel dominio delle forze fisiche nel senso più
comune del termine, rappresenta effettivamente la tendenza discendente e
comprensiva, che crea nell’essere una limitazione sempre più grande e che in
pari tempo procede nella direzione della molteplicità, figurata qui da una
densità sempre maggiore
(4); ed è
questa tendenza che indica il senso secondo cui l’attività umana si è sviluppata
a partir dall’epoca moderna. V’è inoltre da notare che la materia, per via del
suo potere di divisione e in pari tempo di limitazione, è quel che la dottrina
scolastica chiama “principio d’individuazione”, il che riallaccia le
considerazioni ora esposte a quanto abbiamo detto precedentemente circa
l’individualismo. Proprio la tendenza ora in quistione potrebbe dirsi la
tendenza “individualizzante”, quella secondo cui si attua ciò che la tradizione
giudeo-cristiana designa come la “caduta” degli esseri separatisi dall’unità
originaria (5).
La molteplicità considerata fuor dal suo principio e come tale insuscettibile ad
essere ricondotta all’unità, nell’ordine sociale è la collettività concepita
come la mera somma aritmetica degli individui che la compongono, e che essa non
è più connessa a nessun principio superiore agli individui. Da tale punto di
vista la legge della collettività è proprio la legge del maggior numero su cui
si basano le varietà dell’idea “democratica”.
Su ciò, bisogna fermarsi un istante per prevenire una
possibile confusione. Parlando dell’individualismo moderno abbiamo considerato
quasi esclusivamente le sue manifestazioni nell’ordine intellettuale. Si
potrebbe credere che nell’ordine sociale il caso sia ben diverso. Se infatti si
prendesse il termine “individualismo” nella sua accezione più ristretta si
potrebbe esser tentati di contrapporre la collettività all’individuo e di
pensare che fenomeni, come la parte sempre più invadente degli Stati
collettivistici antiliberali e la complessità crescente delle relative
istituzioni sociali centralizzate, siano il segno di una tendenza opposta
all’individualismo. In realtà, non si tratta di nulla di simile: la collettività
altro non è che la somma degli individui e come tale non è l’opposto di questi,
come non lo è lo stesso Stato concepito alla moderna, cioè come una semplice
espressione della massa, in cui non si riflette alcun principio superiore
(caso-limite: lo Stato-massa autoritario del sovietismo materialista). Ora,
Proprio la negazione di ogni principio super-individuale costituisce
l’individualismo quale noi lo abbiamo definito. Se dunque nel campo sociale si
verificano dei conflitti fra varie tendenze derivanti tutte e in egual modo
dallo spirito moderno, tali conflitti non sono tra l’individualismo e qualcosa
d’altro, ma solo fra le varietà multiple o le multiple conseguenze cui lo stesso
individualismo dà luogo; ed è facile rendersi conto che, finché mancherà ogni
principio capace di unificare realmente dall’alto la molteplicità, tali
conflitti saranno sempre più numerosi e più gravi nella nostra epoca che non in
un qualsiasi tempo passato, giacché chi dice individualismo dice necessariamente
divisione – e questa divisione, con lo stato di caos che essa ingenera, è la
conseguenza fatale di ogni civiltà soltanto materiale, la radice della divisione
e della molteplicità essendo propriamente la stessa materia.
Ciò detto, bisogna insistere ancora su di una conseguenza
immediata dell’idea “democratica” in generale, e in particolare di quella
“collettivista”: è la negazione dell’élite intesa nella sua sola accezione
legittima. Non per nulla “democrazia” si oppone ad “aristocrazia”, questa
seconda parola, almeno quando è intesa nel suo senso etimologico, designando
precisamente il potere dell’élite. La quale, quasi per definizione, non può
essere che una minoranza, e la sua potenza o, per dir meglio, la sua autorità,
procedente dalla sua superiorità intellettuale, non può avere nulla in comune
con la forza numerica su cui poggia la “democrazia”, il carattere essenziale
della quale è di sacrificare la minoranza alla maggioranza epperò, come dicevamo
poco fa, la qualità alla quantità e l’élite alla massa. La funzione dirigente di
una vera élite e la sua stessa esistenza (poiché per essa esistere e avere una
tale funzione fa tutt’uno), sono radicalmente incompatibili con la “democrazia”,
che è intimamente connessa alla concezione “egualitaria”, cioè alla negazione di
ogni gerarchia: al fondo dell’idea “democratica” sta la pretesa che un qualunque
individuo equivalga all’altro per il fatto del loro essere uguali numericamente,
benché non possono esserlo che numericamente. Una élite vera, l’abbiamo già
detto, può essere soltanto intellettuale nel senso superrazionalistico da noi
sempre dato a questo termine: per cui la “democrazia”, e con essa ogni
individualismo liberale e ogni collettivismo, possono farsi largo solo là dove
l’intellettualità pura non esiste più, come ne è appunto il caso del mondo
moderno. Solo che l’eguaglianza essendo impossibile di fatto, e essendo
praticamente impossibile sopprimere ogni differenza tra gli uomini, ad onta di
ogni opera di livellamento si finisce, con un curioso illogismo, con l’inventare
delle false élites, élites multiple, che pretendono sostituirsi alla sola élite
reale. E queste false élites si basano sulla considerazione di superiorità
varie, eminentemente relative e contingenti, e sempre d’ordine materiale. Ci si
può accorgere facilmente di ciò notando come quasi dappertutto la distinzione
sociale che oggi più conta è quella basantesi sulla fortuna, sui beni, cioè su
di una superiorità affatto esteriore e d’ordine esclusivamente quantitativo; la
sola, insomma, che sia conciliabile con la “democrazia” perché procedente dal
suo stesso punto di vista. Vi è però da dire che anche coloro che attualmente si
atteggiano ad avversari di un simile stato di cose, nella misura in cui non
facciano intervenire alcun principio d’ordine superiore, restano incapaci di
rimediare efficacemente ad un tale disordine, quand’anche non rischiano di
aggravarlo nel portarsi ancor più oltre nello stesso senso.
Queste brevi riflessioni riteniamo che basteranno per
caratterizzare quel che nel mondo sociale contemporaneo ha agito in modo più
distruttivo e, in pari tempo, per mostrare che in questo campo, come in ogni
altro, vi è un solo mezzo per uscire decisamente dal caos: restaurare
l’intellettualità e ricostituire quindi una élite che, nell’accezione
superpolitica e nettamente metafisica da noi data a tale termine, attualmente in
Occidente deve considerarsi inesistente, non potendosi dare quel nome a degli
elementi isolati e senza coesione, i quali possono soltanto rappresentare delle
possibilità non ancora sviluppate. Infatti in tali elementi si possono in genere
trovare solo tendenze o aspirazioni, che li portano indubbiamente a reagire
contro lo spirito moderno, senza però che una corrispondente influenza abbia
modo di esercitarsi in modo effettivo, Quel che loro manca è la vera conoscenza,
sono i dati tradizionali, dati che non si improvvisano e ai quali, specie in
circostanze così sfavorevoli sotto ogni riguardo, una intelligenza abbandonata a
sé stessa può supplire solo assai imperfettamente e debolmente. Non esistono
dunque che sforzi dispersi, spesso deviati causa la mancanza di princìpi e di
orientamento dottrinale. Si potrebbe dire che il mondo moderno si difende per
mezzo della sua stessa dispersione, a cui perfino i suoi avversari non sanno
sottrarsi. E così andranno le cose finché costoro si terranno sul terreno
“profano”, dove lo spirito moderno ha un vantaggio evidente, essendo il suo
terreno proprio e esclusivo: d’altronde, se essi restano in questo campo, ciò
non prova forse che un tale spirito, malgrado tutto, conserva su di essi un
notevole potere? Per questo tante persone, benché animate di una buona volontà
incontestabile, sono incapaci di comprendere che occorre necessariamente
cominciare dai princìpi e si ostinano a dissipare le loro energie in questo o
quel dominio relativo, sociale o simile, in cui in tali condizioni nulla di
durevole e di reale può esser compiuto. La vera élite non dovrà invece
intervenire direttamente in questi dominii, e nemmeno mescolarsi all’azione
esterna. Essa dirigerà tutto per mezzo di una influenza impercettibile per
l’uomo comune, tanto più profonda per quanto meno sarà visibile. Se si pensa al
potere di quelle suggestioni, di cui parlavamo poco fa, le quali tuttavia non
presuppongono nessuna vera intellettualità, si potrà anche sospettare ciò che, a
maggior ragione, sarebbe il potere di una influenza come questa, esercitantesi
in modo ancor più nascosto per via della sua stessa natura, e traente la sua
origine dall’intellettualità pura: potere che, peraltro, invece di esser
menomato dalla divisione inerente al molteplice e dalla debolezza insita in
tutto quel che è menzogna o illusione, sarebbe invece intensificato dalla
concentrazione nell’unità del principio e si identificherebbe alla forza stessa
della verità.
René Guénon
René Guénon
1 - Qui si allude
al primo dopoguerra 1918-1939. La frase che segue è di quelle che l’A. aveva
creduto opportuno aggiungere alla prima edizione italiana del presente libro (La
crisi del mondo moderno), uscita nel 1937. Ndt.
2 - Basta leggere S. Tomaso d’Aquino per vedere che numerus stat ex parte materiae.
3 - Dall’un ordine di realtà passando all’altro, l’analogia, qui, come in ogni caso consimile, si applica strettamente in senso inverso.
4 - Una tale tendenza è quella che la dottrina indù chiama tamas e che essa assimila all’ignoranza e all’oscurità. Si noterà che, secondo quanto dicevamo poco fa circa l’applicazione dell’analogia, la compressione o condensazione di cui si tratta è l’opposto della concentrazione considerata nell’ordine spirituale o intellettuale; per cui, benché ciò possa apparire singolare a tutta prima, essa in realtà corrisponde alla divisione e alla dispersione nel molteplice. Lo stesso si verifica per l’uniformità realizzata partendo dal basso, dal livello del più inferiore, che costituisce l’estremo opposto dell’unità superiore e principale.
5 - Per questo Dante pone la sede simbolica di Lucifero al centro della terra, cioè nel punto in cui convergono da ogni parte le forze del peso. Da questo punto di vista, esso è l’inverso del centro dell’attrazione spirituale o “celeste”, simbolizzato dal sole nella gran parte delle dottrine tradizionali.
2 - Basta leggere S. Tomaso d’Aquino per vedere che numerus stat ex parte materiae.
3 - Dall’un ordine di realtà passando all’altro, l’analogia, qui, come in ogni caso consimile, si applica strettamente in senso inverso.
4 - Una tale tendenza è quella che la dottrina indù chiama tamas e che essa assimila all’ignoranza e all’oscurità. Si noterà che, secondo quanto dicevamo poco fa circa l’applicazione dell’analogia, la compressione o condensazione di cui si tratta è l’opposto della concentrazione considerata nell’ordine spirituale o intellettuale; per cui, benché ciò possa apparire singolare a tutta prima, essa in realtà corrisponde alla divisione e alla dispersione nel molteplice. Lo stesso si verifica per l’uniformità realizzata partendo dal basso, dal livello del più inferiore, che costituisce l’estremo opposto dell’unità superiore e principale.
5 - Per questo Dante pone la sede simbolica di Lucifero al centro della terra, cioè nel punto in cui convergono da ogni parte le forze del peso. Da questo punto di vista, esso è l’inverso del centro dell’attrazione spirituale o “celeste”, simbolizzato dal sole nella gran parte delle dottrine tradizionali.
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