Pare sia stato lo storico tedesco August Ludwig von Schlözer (1735-1809) a coniare per la prima volta, nel 1781, l'aggettivo semitisch, per indicare il gruppo delle lingue (siriaco, aramaico, arabo, ebraico, fenicio) parlate da quelle popolazioni che un passo biblico (Gen. 10, 21-31) fa discendere da Sem figlio di Noè. Il neologismo venne accolto dalla comunità dei linguisti, tant'è vero che lo troviamo nel 1890 nelle Lectures on the comparative Grammar of the Semitic Languages di W. Wright (1830-1889), nel 1898 nella Vergleichende Grammatik der semitischen Sprachen di Heinrich Zimmern (1862-1931), fra il 1908 e il 1913 nel Grundriss der vergleichenden Grammatik der semitischen Sprachen di Carl Brockelmann (1868-1956).
L'aggettivo "semitico" si riferisce perciò propriamente ai Semiti, ossia ad una famiglia di popoli che si è diffusa nella zona compresa fra il Mediterraneo, i monti d'Armenia, il Tigri e l'Arabia meridionale, per poi estendersi anche all'Etiopia ed al Nord Africa; come aggettivo sostantivato "il semitico", esso indica il gruppo linguistico corrispondente, il quale si articola in tre sottogruppi: quello orientale o accadico (che nel II millennio si divise a sua volta in babilonese e assiro), quello nordoccidentale (cananeo, fenicio, ebraico, aramaico biblico, siriaco) e quello sudoccidentale (arabo ed etiopico). Del tutto improprio è dunque l'uso dei termini "semita" e "semitico" come sinonimi di "ebreo" e di "ebraico", esattamente come sarebbe improprio dire "ariano" o "indoeuropeo" in luogo di "italiano", "tedesco", "russo" o "persiano". Ne consegue che altrettanto errato è l'uso di "antisemita", allorché con tale termine si vuole designare chi è "reo di antisemitismo" (1), cioè di quel "reato" che un autorevole vocabolario definisce nei termini seguenti: "avversione nei confronti del popolo ebraico, maturatasi di volta in volta in forme di persecuzione o addirittura di mania collettiva di sterminio, da una base essenzialmente propagandistica, dovuta a degenerazione di pseudoconcetti storico-religiosi, o a ricerca di un capro espiatorio da parte di politici e classi politiche impotenti" (2). Se usato correttamente, infatti, il vocabolo "antisemitismo" - coniato nel 1879 dal giornalista viennese Wilhelm Marr (3) - dovrebbe indicare l'ostilità nei confronti dell'intera famiglia semitica, la quale ha oggi la sua componente più numerosa nelle popolazioni di lingua araba, sicché la qualifica di "antisemita" risulterebbe più adatta a designare chi nutre avversione nei confronti degli Arabi, piuttosto che i "rei" di ostilità antiebraica. Ma l'inconsistenza della suddetta sinonimia ("semita" = "ebreo") risulta ancora più evidente qualora si rifletta sul fatto che gli Ebrei odierni non possono essere qualificati come "semiti", e ancor meno come "popolo semitico". Infatti, se l'appartenenza di un gruppo umano ad una più vasta famiglia deve essere stabilita in base alla lingua parlata dal gruppo in questione, allora un popolo potrà essere considerato semitico soltanto nel caso in cui esso parli una delle lingue semitiche enumerate più sopra, col risultato che oggi avranno il diritto di essere definiti semiti a pieno titolo gli Arabi e gli Etiopi, ma non gli Ebrei.
E' vero che dal 1948 l'ebraico (il neoebraico) è diventato lingua ufficiale della colonia sionista insediatasi in Palestina ed è compreso dalla maggior parte degli Ebrei che attualmente vi risiedono, ma si tratta di una lingua che era morta da oltre venti secoli e che solo nel Novecento è stata artificiosamente richiamata in vita. Gli Ebrei della diaspora, oggi come in passato, parlano le lingue dei popoli in mezzo ai quali si trovano a vivere, lingue che sono per lo più indoeuropee (inglese, spagnolo, francese, italiano, russo, farsi ecc.). Lo stesso yiddish, che si formò nel XIII secolo nei paesi dell'Europa centrale sulla base di un dialetto medio-tedesco e diventò una sorta di lingua internazionale in seguito alle migrazioni ebraiche, era pur sempre un idioma tedesco (4), anche se, oltre ad un vocabolario di base tedesco e slavo, conteneva un tasso elevato di elementi lessicali ebraici e veniva scritto in caratteri ebraici. E' dunque evidente che gli Ebrei non costituiscono affatto un gruppo che, sulla base dell'appartenenza linguistica, possa esser definito come semitico. Possiamo allora considerarli semiti sotto il profilo etnico? Per rispondere affermativamente, bisognerebbe essere in grado di ricostruire la genealogia degli Ebrei e di ricondurla fino a Sem figlio di Noè. Cosa praticamente impossibile. Un fatto è certo: all'etnogenesi ebraica hanno contribuito elementi razziali di varia provenienza, acquisiti attraverso il proselitismo e quei matrimoni misti ("i matrimoni con le figlie di un dio straniero") contro i quali tuonavano inutilmente i profeti d'Israele. "A partire dalle testimonianze e dalle tradizioni bibliche, - scrive uno studioso ebreo - si deduce che perfino agli esordi della formazione delle tribù d'Israele queste erano già composte di elementi razziali diversi (...). A quell'epoca troviamo in Asia Minore, in Siria e in Palestina molte razze: gli Amorrei, che erano biondi, dolicocefali e di alta statura; gli Ittiti, una razza di carnagione scura, probabilmente di tipo mongoloide; i Cusciti, una razza negroide; e parecchie altre ancora. Gli antichi Ebrei contrassero matrimoni con tutte queste stirpi, come si vede bene in molti passi della Bibbia" (5).
Secondo un autorevole geografo ed etnologo italiano, Renato Biasutti (1878-1965), "la questione della posizione antropologica o composizione razziale degli Ebrei non è infatti meno complessa e oscura" (6) di tante altre. "Una delle cause di ciò - egli spiega - sta nella difficoltà di raccogliere informazioni adeguate sui caratteri somatici di un gruppo etnico tanto disperso" (7). Occorre poi distinguere tra i gruppi ebraici dell'Asia e quelli dell'Europa e dell'Africa e, in particolare, tra i Sefarditi (il ramo meridionale della diaspora) e gli Aschenaziti (il ramo orientale). Se i Sefarditi si sono diffusi dal Nordafrica e dall'Europa mediterranea fino all'Olanda e all'Inghilterra, gli Aschenaziti hanno popolato vaste aree della Russia meridionale, della Polonia, della Germania e dei Balcani ed hanno fornito il contingente più numeroso al movimento colonialistico che ha dato nascita all'entità politico-militare sionista. Se per gran parte dei Sefarditi si può ipotizzare un'origine parzialmente semitica, benché non necessariamente ebraica (8), per quanto riguarda gli Ebrei aschenaziti, che rappresentano i nove decimi dell'ebraismo mondiale, le cose stanno in tutt'altra maniera.
Ebrei non semiti "Ciò sembra indicare (...) che durante il Medioevo la maggioranza di coloro che professavano la fede ebraica erano cazari. Gran parte di questa maggioranza emigrò in Polonia, Lituania, Ungheria e nei Balcani, dove fondò quella comunità ebraica orientale che a sua volta divenne la maggioranza predominante dell'ebraismo mondiale" (Arthur Koestler, La tredicesima tribù, Torino 2003, p. 119) Nell'ultimo anno del governo nazionalcomunista romeno, in seguito alla costruzione di una diga di sbarramento sul fiume Küsmöd il villaggio transilvano di Bözödújfalu rimase sommerso e i suoi abitanti vennero dispersi. Gli antenati della popolazione di quel villaggio, cristiani unitari (ovvero "antitrinitari") fin verso la fine del XVI secolo, avevano adottato elementi d'origine giudaica e avevano assunto il nome di sabbatariani; nel 1869 si erano ufficialmente convertiti al giudaismo rabbinico e avevano costruito una sinagoga (9). Se gli Ebrei di Bözödújfalu erano stati il prodotto della lenta conversione di un'esigua minoranza di Székely (popolazione ungarofona di origine turcica insediatasi sui Carpazi orientali verso gl'inizi del sec. XI), gli Ebrei di un'altra cittadina transilvana, Sfântu Gheorghe (ungh. Sepsiszentgyörgy), affermano di discendere da mercanti turchi giudaizzati, i quali, trasferitisi in quel luogo per sottrarsi alla conquista russa, vi sarebbero rimasti anche dopo il 1360, quando Luigi I d'Ungheria ordinò l'espulsione degli Ebrei dai suoi territori (10).
Sempre in Transilvania, tra i fiumi Mureş e Someş, la toponomastica ungherese annovera Kozárd e Kozárvár, due insediamenti che dovrebbero essere di fondazione cazara; ma toponimi del tipo Kozár e Kazár si trovano anche in diverse zone dell'Ungheria (11). Questi ed altri indizi hanno indotto molti studiosi a ritenere che l'elemento cazaro abbia rappresentato un importante ingrediente di quel miscuglio etnico che è la popolazione ebraica dell'Ungheria e della Transilvania: "tra gli Ebrei, quelli in cui è più forte la componente cazara [the most strongly Khazar] sono indubbiamente gli Ebrei ungheresi, discendenti degli ultimi Cazari che fuggirono in Ungheria tra il 1200 e il 1300, dove furono accolti dai loro antichi vassalli, i re ungheresi" (12). Questo cenno ad un'antica condizione vassallatica dei progenitori degli Ungheresi si chiarisce alla luce delle vicende che precedettero l' "occupazione della patria" (honfoglalás), cioè l'insediamento dell'orda guidata da Árpád nel bacino carpato-danubiano. Gli antenati degli Ungari si erano allontanati dai territori dell'impero cazaro, compresi tra il Caspio, il Caucaso e il Mar Nero; aggirata la Palude Meotide (l'odierno Mar d'Azov), erano passati nella regione detta Lebedia, tra il Don e il Dnestr; poi, a causa della pressione esercitata su di loro da parte dei Peceneghi (un altro popolo turcico), si erano spostati verso sud-ovest prendendo stanza nella "Terra tra i fiumi" (Etelköz), cioè tra il Dnepr e il Basso Danubio. Attaccato da Peceneghi e Bulgari, nell'896 il popolo di Árpád dilagò nella pianura solcata dal Tibisco e dal Danubio. I nuovi arrivati erano organizzati in una confederazione tribale chiamata On-Ogur ("Dieci Frecce"): oltre alle sette tribù ugriche, tra le quali primeggiava quella magyar di Árpád, la compagine comprendeva anche tre tribù turciche chiamate kabar. Sembra che l'etnonimo kabar significhi "ribelli", in quanto queste tribù si erano presumibilmente ribellate ai Cazari: "alcuni studiosi ipotizzano che la rivolta dei Cabari contro i Cazari fosse stata motivata dal filogiudaismo del re Obadia, ma non esiste nessuna prova definitiva che confermi questa opinione" (13).
Altri ancora sostengono che una delle tribù cabare stanziatesi fra il Danubio e il Tibisco professasse il giudaismo (14). Come in Ungheria e in Transilvania, così anche in Ucraina e in Polonia la toponomastica rivela antichi insediamenti cazari. "In Ucraina e in Polonia - scrive Koestler - esistono parecchi nomi di antiche località, che derivano da 'cazaro' o da 'zhid' (ebreo): Zydowo, Kozarzewek, Kozara, Kozarzow, Zhydowska Vola, Zydaticze ecc. Può darsi che questi fossero un tempo dei villaggi, o anche solo degli accampamenti temporaneamente occupati da comunità cazaro-ebraiche nel loro lungo cammino verso l'occidente. Nomi di località analoghi si possono anche trovare nei monti Carpazi e Tatra e nelle province orientali dell'Austria. Si ritiene che persino gli antichi cimiteri ebraici di Cracovia e di Sandomierz, chiamati entrambi 'Kaviory', possano essere di origine kabaro-cazara" (15). Per quanto concerne in particolare l'Ucraina, ai dati della toponomastica si possono aggiungere quelli antroponimici: a Kiev e a Odessa è attestato il cognome ebraico Kazarinsky.
La presenza dei Cazari in Ucraina risale all'VIII secolo, quando il khanato cazaro portò i suoi confini occidentali alla valle del Dnepr; fin dagli inizi del X secolo una consistente comunità di ebrei cazari si installò a Kiev. "Già dal tempo di Igor, - scrive Solzhenitsyn - la città bassa si chiamava Kozary; Igor vi ha trasferito nel 933 i prigionieri ebrei da Kertch, nel 965 sono venuti prigionieri ebrei dalla Crimea, nel 969 cazari da Itil e Semender, nel 989 da Chersoneso, nel 1017 da Tmutarakan. Studiosi più recenti confermano l'origine cazara dell''elemento ebreo' a Kiev nell'XI secolo" (16).
Sempre a Kiev, non più tardi del 930, cioè quando la città si trovava ancora sotto il dominio dei Cazari, fu scritta in ebraico la Lettera kievana, che è il più antico documento cazaro di cui attualmente si disponga (17). Più che legittima appare perciò la conclusione che da questi e da altri dati trae Kevin Alan Brook: "è altamente probabile che i moderni Ebrei dell'Ucraina (ed altri Ebrei aschenaziti) siano in una qualche misura i discendenti [have at least some ancestry] degli Ebrei originari della Rus' kievana, Cazari inclusi (...) Tradizioni orali del secolo XIX fanno ritenere che discendenti dei Cazari abbiano continuato a vivere in Ucraina fino a tempi recenti" (18).
D'altronde già Avrakham Garkavi aveva sostenuto, nell'Enciclopedia Giudaica pubblicata a San Pietroburgo negli anni immediatamente precedenti la Rivoluzione d'Ottobre, che l'ebraismo russo è stato formato da "ebrei provenienti dalle rive del Mar Nero e dal Caucaso", i quali adottarono lo yiddish solo nel XVII secolo. Una posizione analoga è quella espressa da Peter Golden in relazione all'origine cazara degli Ebrei della Lituania e della Russia Bianca: "E' molto probabile che elementi cazari giudaizzati, specialmente quelli che si erano acculturati nelle città, abbiano contribuito alla formazione delle comunità ebraiche slavofone della Russia kievana, le quali vennero definitivamente assorbite da Ebrei di lingua yiddish che dalla Polonia e dall'Europa centrale entrarono in Ucraina e in Bielorussia" (19).
La Cazaria "In Cazaria c'è grande abbondanza di pecore, di miele e di ebrei" (Al-Muqaddasi, Descriptio Imperii moslemici. Bibliotheca Geographorum Arabicorum, III, 3, E.J. Brill, Lugduni Batavorum 1906)
L'aggettivo "semitico" si riferisce perciò propriamente ai Semiti, ossia ad una famiglia di popoli che si è diffusa nella zona compresa fra il Mediterraneo, i monti d'Armenia, il Tigri e l'Arabia meridionale, per poi estendersi anche all'Etiopia ed al Nord Africa; come aggettivo sostantivato "il semitico", esso indica il gruppo linguistico corrispondente, il quale si articola in tre sottogruppi: quello orientale o accadico (che nel II millennio si divise a sua volta in babilonese e assiro), quello nordoccidentale (cananeo, fenicio, ebraico, aramaico biblico, siriaco) e quello sudoccidentale (arabo ed etiopico). Del tutto improprio è dunque l'uso dei termini "semita" e "semitico" come sinonimi di "ebreo" e di "ebraico", esattamente come sarebbe improprio dire "ariano" o "indoeuropeo" in luogo di "italiano", "tedesco", "russo" o "persiano". Ne consegue che altrettanto errato è l'uso di "antisemita", allorché con tale termine si vuole designare chi è "reo di antisemitismo" (1), cioè di quel "reato" che un autorevole vocabolario definisce nei termini seguenti: "avversione nei confronti del popolo ebraico, maturatasi di volta in volta in forme di persecuzione o addirittura di mania collettiva di sterminio, da una base essenzialmente propagandistica, dovuta a degenerazione di pseudoconcetti storico-religiosi, o a ricerca di un capro espiatorio da parte di politici e classi politiche impotenti" (2). Se usato correttamente, infatti, il vocabolo "antisemitismo" - coniato nel 1879 dal giornalista viennese Wilhelm Marr (3) - dovrebbe indicare l'ostilità nei confronti dell'intera famiglia semitica, la quale ha oggi la sua componente più numerosa nelle popolazioni di lingua araba, sicché la qualifica di "antisemita" risulterebbe più adatta a designare chi nutre avversione nei confronti degli Arabi, piuttosto che i "rei" di ostilità antiebraica. Ma l'inconsistenza della suddetta sinonimia ("semita" = "ebreo") risulta ancora più evidente qualora si rifletta sul fatto che gli Ebrei odierni non possono essere qualificati come "semiti", e ancor meno come "popolo semitico". Infatti, se l'appartenenza di un gruppo umano ad una più vasta famiglia deve essere stabilita in base alla lingua parlata dal gruppo in questione, allora un popolo potrà essere considerato semitico soltanto nel caso in cui esso parli una delle lingue semitiche enumerate più sopra, col risultato che oggi avranno il diritto di essere definiti semiti a pieno titolo gli Arabi e gli Etiopi, ma non gli Ebrei.
E' vero che dal 1948 l'ebraico (il neoebraico) è diventato lingua ufficiale della colonia sionista insediatasi in Palestina ed è compreso dalla maggior parte degli Ebrei che attualmente vi risiedono, ma si tratta di una lingua che era morta da oltre venti secoli e che solo nel Novecento è stata artificiosamente richiamata in vita. Gli Ebrei della diaspora, oggi come in passato, parlano le lingue dei popoli in mezzo ai quali si trovano a vivere, lingue che sono per lo più indoeuropee (inglese, spagnolo, francese, italiano, russo, farsi ecc.). Lo stesso yiddish, che si formò nel XIII secolo nei paesi dell'Europa centrale sulla base di un dialetto medio-tedesco e diventò una sorta di lingua internazionale in seguito alle migrazioni ebraiche, era pur sempre un idioma tedesco (4), anche se, oltre ad un vocabolario di base tedesco e slavo, conteneva un tasso elevato di elementi lessicali ebraici e veniva scritto in caratteri ebraici. E' dunque evidente che gli Ebrei non costituiscono affatto un gruppo che, sulla base dell'appartenenza linguistica, possa esser definito come semitico. Possiamo allora considerarli semiti sotto il profilo etnico? Per rispondere affermativamente, bisognerebbe essere in grado di ricostruire la genealogia degli Ebrei e di ricondurla fino a Sem figlio di Noè. Cosa praticamente impossibile. Un fatto è certo: all'etnogenesi ebraica hanno contribuito elementi razziali di varia provenienza, acquisiti attraverso il proselitismo e quei matrimoni misti ("i matrimoni con le figlie di un dio straniero") contro i quali tuonavano inutilmente i profeti d'Israele. "A partire dalle testimonianze e dalle tradizioni bibliche, - scrive uno studioso ebreo - si deduce che perfino agli esordi della formazione delle tribù d'Israele queste erano già composte di elementi razziali diversi (...). A quell'epoca troviamo in Asia Minore, in Siria e in Palestina molte razze: gli Amorrei, che erano biondi, dolicocefali e di alta statura; gli Ittiti, una razza di carnagione scura, probabilmente di tipo mongoloide; i Cusciti, una razza negroide; e parecchie altre ancora. Gli antichi Ebrei contrassero matrimoni con tutte queste stirpi, come si vede bene in molti passi della Bibbia" (5).
Secondo un autorevole geografo ed etnologo italiano, Renato Biasutti (1878-1965), "la questione della posizione antropologica o composizione razziale degli Ebrei non è infatti meno complessa e oscura" (6) di tante altre. "Una delle cause di ciò - egli spiega - sta nella difficoltà di raccogliere informazioni adeguate sui caratteri somatici di un gruppo etnico tanto disperso" (7). Occorre poi distinguere tra i gruppi ebraici dell'Asia e quelli dell'Europa e dell'Africa e, in particolare, tra i Sefarditi (il ramo meridionale della diaspora) e gli Aschenaziti (il ramo orientale). Se i Sefarditi si sono diffusi dal Nordafrica e dall'Europa mediterranea fino all'Olanda e all'Inghilterra, gli Aschenaziti hanno popolato vaste aree della Russia meridionale, della Polonia, della Germania e dei Balcani ed hanno fornito il contingente più numeroso al movimento colonialistico che ha dato nascita all'entità politico-militare sionista. Se per gran parte dei Sefarditi si può ipotizzare un'origine parzialmente semitica, benché non necessariamente ebraica (8), per quanto riguarda gli Ebrei aschenaziti, che rappresentano i nove decimi dell'ebraismo mondiale, le cose stanno in tutt'altra maniera.
Ebrei non semiti "Ciò sembra indicare (...) che durante il Medioevo la maggioranza di coloro che professavano la fede ebraica erano cazari. Gran parte di questa maggioranza emigrò in Polonia, Lituania, Ungheria e nei Balcani, dove fondò quella comunità ebraica orientale che a sua volta divenne la maggioranza predominante dell'ebraismo mondiale" (Arthur Koestler, La tredicesima tribù, Torino 2003, p. 119) Nell'ultimo anno del governo nazionalcomunista romeno, in seguito alla costruzione di una diga di sbarramento sul fiume Küsmöd il villaggio transilvano di Bözödújfalu rimase sommerso e i suoi abitanti vennero dispersi. Gli antenati della popolazione di quel villaggio, cristiani unitari (ovvero "antitrinitari") fin verso la fine del XVI secolo, avevano adottato elementi d'origine giudaica e avevano assunto il nome di sabbatariani; nel 1869 si erano ufficialmente convertiti al giudaismo rabbinico e avevano costruito una sinagoga (9). Se gli Ebrei di Bözödújfalu erano stati il prodotto della lenta conversione di un'esigua minoranza di Székely (popolazione ungarofona di origine turcica insediatasi sui Carpazi orientali verso gl'inizi del sec. XI), gli Ebrei di un'altra cittadina transilvana, Sfântu Gheorghe (ungh. Sepsiszentgyörgy), affermano di discendere da mercanti turchi giudaizzati, i quali, trasferitisi in quel luogo per sottrarsi alla conquista russa, vi sarebbero rimasti anche dopo il 1360, quando Luigi I d'Ungheria ordinò l'espulsione degli Ebrei dai suoi territori (10).
Sempre in Transilvania, tra i fiumi Mureş e Someş, la toponomastica ungherese annovera Kozárd e Kozárvár, due insediamenti che dovrebbero essere di fondazione cazara; ma toponimi del tipo Kozár e Kazár si trovano anche in diverse zone dell'Ungheria (11). Questi ed altri indizi hanno indotto molti studiosi a ritenere che l'elemento cazaro abbia rappresentato un importante ingrediente di quel miscuglio etnico che è la popolazione ebraica dell'Ungheria e della Transilvania: "tra gli Ebrei, quelli in cui è più forte la componente cazara [the most strongly Khazar] sono indubbiamente gli Ebrei ungheresi, discendenti degli ultimi Cazari che fuggirono in Ungheria tra il 1200 e il 1300, dove furono accolti dai loro antichi vassalli, i re ungheresi" (12). Questo cenno ad un'antica condizione vassallatica dei progenitori degli Ungheresi si chiarisce alla luce delle vicende che precedettero l' "occupazione della patria" (honfoglalás), cioè l'insediamento dell'orda guidata da Árpád nel bacino carpato-danubiano. Gli antenati degli Ungari si erano allontanati dai territori dell'impero cazaro, compresi tra il Caspio, il Caucaso e il Mar Nero; aggirata la Palude Meotide (l'odierno Mar d'Azov), erano passati nella regione detta Lebedia, tra il Don e il Dnestr; poi, a causa della pressione esercitata su di loro da parte dei Peceneghi (un altro popolo turcico), si erano spostati verso sud-ovest prendendo stanza nella "Terra tra i fiumi" (Etelköz), cioè tra il Dnepr e il Basso Danubio. Attaccato da Peceneghi e Bulgari, nell'896 il popolo di Árpád dilagò nella pianura solcata dal Tibisco e dal Danubio. I nuovi arrivati erano organizzati in una confederazione tribale chiamata On-Ogur ("Dieci Frecce"): oltre alle sette tribù ugriche, tra le quali primeggiava quella magyar di Árpád, la compagine comprendeva anche tre tribù turciche chiamate kabar. Sembra che l'etnonimo kabar significhi "ribelli", in quanto queste tribù si erano presumibilmente ribellate ai Cazari: "alcuni studiosi ipotizzano che la rivolta dei Cabari contro i Cazari fosse stata motivata dal filogiudaismo del re Obadia, ma non esiste nessuna prova definitiva che confermi questa opinione" (13).
Altri ancora sostengono che una delle tribù cabare stanziatesi fra il Danubio e il Tibisco professasse il giudaismo (14). Come in Ungheria e in Transilvania, così anche in Ucraina e in Polonia la toponomastica rivela antichi insediamenti cazari. "In Ucraina e in Polonia - scrive Koestler - esistono parecchi nomi di antiche località, che derivano da 'cazaro' o da 'zhid' (ebreo): Zydowo, Kozarzewek, Kozara, Kozarzow, Zhydowska Vola, Zydaticze ecc. Può darsi che questi fossero un tempo dei villaggi, o anche solo degli accampamenti temporaneamente occupati da comunità cazaro-ebraiche nel loro lungo cammino verso l'occidente. Nomi di località analoghi si possono anche trovare nei monti Carpazi e Tatra e nelle province orientali dell'Austria. Si ritiene che persino gli antichi cimiteri ebraici di Cracovia e di Sandomierz, chiamati entrambi 'Kaviory', possano essere di origine kabaro-cazara" (15). Per quanto concerne in particolare l'Ucraina, ai dati della toponomastica si possono aggiungere quelli antroponimici: a Kiev e a Odessa è attestato il cognome ebraico Kazarinsky.
La presenza dei Cazari in Ucraina risale all'VIII secolo, quando il khanato cazaro portò i suoi confini occidentali alla valle del Dnepr; fin dagli inizi del X secolo una consistente comunità di ebrei cazari si installò a Kiev. "Già dal tempo di Igor, - scrive Solzhenitsyn - la città bassa si chiamava Kozary; Igor vi ha trasferito nel 933 i prigionieri ebrei da Kertch, nel 965 sono venuti prigionieri ebrei dalla Crimea, nel 969 cazari da Itil e Semender, nel 989 da Chersoneso, nel 1017 da Tmutarakan. Studiosi più recenti confermano l'origine cazara dell''elemento ebreo' a Kiev nell'XI secolo" (16).
Sempre a Kiev, non più tardi del 930, cioè quando la città si trovava ancora sotto il dominio dei Cazari, fu scritta in ebraico la Lettera kievana, che è il più antico documento cazaro di cui attualmente si disponga (17). Più che legittima appare perciò la conclusione che da questi e da altri dati trae Kevin Alan Brook: "è altamente probabile che i moderni Ebrei dell'Ucraina (ed altri Ebrei aschenaziti) siano in una qualche misura i discendenti [have at least some ancestry] degli Ebrei originari della Rus' kievana, Cazari inclusi (...) Tradizioni orali del secolo XIX fanno ritenere che discendenti dei Cazari abbiano continuato a vivere in Ucraina fino a tempi recenti" (18).
D'altronde già Avrakham Garkavi aveva sostenuto, nell'Enciclopedia Giudaica pubblicata a San Pietroburgo negli anni immediatamente precedenti la Rivoluzione d'Ottobre, che l'ebraismo russo è stato formato da "ebrei provenienti dalle rive del Mar Nero e dal Caucaso", i quali adottarono lo yiddish solo nel XVII secolo. Una posizione analoga è quella espressa da Peter Golden in relazione all'origine cazara degli Ebrei della Lituania e della Russia Bianca: "E' molto probabile che elementi cazari giudaizzati, specialmente quelli che si erano acculturati nelle città, abbiano contribuito alla formazione delle comunità ebraiche slavofone della Russia kievana, le quali vennero definitivamente assorbite da Ebrei di lingua yiddish che dalla Polonia e dall'Europa centrale entrarono in Ucraina e in Bielorussia" (19).
La Cazaria "In Cazaria c'è grande abbondanza di pecore, di miele e di ebrei" (Al-Muqaddasi, Descriptio Imperii moslemici. Bibliotheca Geographorum Arabicorum, III, 3, E.J. Brill, Lugduni Batavorum 1906)
Secondo i criteri genealogici di matrice veterotestamentaria, i Cazari non appartenevano alla discendenza di Sem, né tanto meno a quella di Cam, bensì a quella di Jafet: la letteratura ecclesiastica alto medioevale li dice infatti "figli di Magog" o comunque li localizza "nelle terre di Gog e Magog", mentre Ibn Fadlan li identifica tout court coi coranici Ya'jûj e Ma'jûj (20).
Da Teofane il Confessore, che li definì "Turchi orientali", fino a Lev Gumilëv, che vide in loro un gruppo daghestano o sarmatico o alano turchizzato, gli storici e gli etnologi li hanno ricollegati, in un modo o nell'altro, alla famiglia dei popoli turchi. Alcuni ritengono che il nome dei Cazari derivi da kaz ("errante") ed er ("uomo"); Douglas Dunlop richiama invece il nome cinese di una antica tribù ujgurica, Ko-sa (21). In ogni caso, "una risposta definitiva circa le origini dei Cazari non è ancora disponibile. Deve essere comunque sottolineato il fatto che nella formazione del popolo cazaro è comprovata l'importanza di migrazioni da est ad ovest" (22).
La prima apparizione dei Cazari sulla scena della storia non è databile con certezza. Alcuni la fanno risalire a poco prima del 198 d. C., quando essi occuparono una parte della zona caucasica e le sponde nordoccidentali del Caspio; secondo altri, il gruppo cazaro sarebbe emerso durante la Völkerwanderung (migrazione di popoli) provocata nel 350 dalla vittoria degli Unni sugli Alani; altri ancora ne collocano la formazione verso la fine del VI secolo.
In seguito "l'entità cazara (...) spostando progressivamente il proprio centro di gravità dall'area caspica al Mar Nero, riunì etnie assai differenti e in particolare elementi di origine turca e iranica (gli Alani)" (23), aggiungendo in particolare una componente etnica iranica all'originario elemento turcico. "Tale commistione etnica fu certamente conseguenza della posizione dello Stato chazaro, fulcro delle grandi vie commerciali che congiungevano l'Oriente all'Occidente, il Nord al Sud; crocevia di traffici, sorta di piattaforma girevole, non solo esercitò la propria funzione nello scambio dei beni materiali ma anche nella diffusione delle idee e delle religioni" (24). Sul decisivo ruolo geopolitico e geo strategico del regno cazaro insiste Arthur Koestler nel suo celeberrimo libro.
Prescindendo dalle ipotesi fantastoriche, quello che si può dire con certezza è che la conquista della Persia, seguita alle vittoriose campagne del Califfo Omar contro i Sassanidi (634-642), aveva esteso fino a Tiflis e a Derbent i confini settentrionali del dâr al-islâm, sicché la Cazaria costituiva l'ostacolo che impediva alle armate musulmane di avanzare nelle pianure meridionali della Russia, da dove avrebbero potuto procedere all'accerchiamento dell'impero bizantino. Oltrepassato il Don, occupata l'odierna Ucraina fino al Dnepr e buona parte della Crimea, i Cazari si vennero a trovare al crocevia delle aree geopolitiche islamica e cristiana, sicché il loro ceto dirigente ritenne necessario assumere un'identità religiosa nettamente distinta da quella dei popoli vicini. Solzhenitsyn riassume nei termini seguenti questo momento cruciale della loro storia: "I capi etnici dei turco-cazari (all'epoca idolatri) non accettavano né l'islam (per non doversi sottomettere al califfo di Bagdad), né il cristianesimo (per evitare la tutela dell'imperatore di Bisanzio). Così, circa 732 tribù adottarono la religione giudaica" (27).
In realtà, non è affatto sicuro che la giudaizzazione di una parte del popolo cazaro abbia avuto luogo dopo la nascita del Califfato abbaside, la quale ebbe luogo nel 750. È vero che al-Mas'ûdî fa risalire tale conversione agli ultimi anni del secolo VIII, ma "altre fonti orientali dichiarano il ceto dirigente chazaro - e soprattutto il khagân - convertito fin dal 730-31" (28). A tale conversione si riferisce un'opera scritta in arabo intorno al 1140 da un intellettuale dell'ebraismo spagnolo, Yehudah ben Shemu'el ha-Lewi (1086-1141 ca.), e intitolata Al-hujjah wa'd-dalîl fî nasr ad-dîn adh-dhalîl (Argomentazione e dimostrazione in difesa della religione disprezzata). L'opera, nota altresì come Kuzârî (29), riporta il dialogo che sarebbe avvenuto tra il re (bek) cazaro Bulan ed un rabbino. Il sovrano, indotto da un angelo a svolgere un'indagine sulle religioni, si rivolge prima ad un filosofo, poi a un teologo cristiano, quindi a un sapiente musulmano, ma nessuno di costoro soddisfa le sue esigenze. Ovviamente sarà un rabbino a convincerlo della superiorità del giudaismo e a persuaderlo a convertirsi. La conversione non dovette comunque essere molto stabile e il popolo cazaro, dal momento che nell'860, indotto dalla pressione islamica ad avvicinarsi a Bisanzio, il bek dei Cazari chiese al basileus di inviare in Cazaria un teologo cristiano capace di "replicare alle argomentazioni degli Ebrei e dei Saraceni" (30).
Il compito di evangelizzare i Cazari, affidato a un uomo dotto e pio che col nome di Cirillo sarebbe poi diventato celebre come "apostolo degli Slavi", non sortì grandi risultati: i neofiti cristiani non furono più di duecento, mentre il bek e l'aristocrazia cazara restarono fedeli al giudaismo. Secondo le fonti islamiche coeve, "per ottenere la pace e mettere fine alla lotta che li opponeva al Califfato, i Chazari dovettero promettere di accogliere il credo dell'Islam. (...) E d'altronde, alleggeritasi la minaccia araba nei decenni successivi, i Chazari conservarono alla propria guida un'élite impregnata di ebraismo" (31). A fornirci alcune notizie su questa élite è la Risposta del Re Giuseppe, inviata intorno al 955 da un sovrano cazaro all'ebreo cordovano Hasdai ibn Shaprut, il quale gli aveva scritto per avere la conferma della notizia relativa all'esistenza di un regno giudaico. Dopo avere rievocato la conversione del suo antenato Bulan, il re cazaro Giuseppe scrive: "Dai figli dei suoi figli sorse un re chiamato Obadia. Era un uomo retto e giusto. Riorganizzò il regno e istituì la religione in maniera corretta e irreprensibile. Costruì sinagoghe e scuole, fece venire molti dotti israeliti e li onorò con oro ed argento, ed essi gli spiegarono i ventiquattro libri [della Torah], la Mishnah, il Talmud e l'ordine delle preghiere dei Khazzan" (32).
A Obadia sarebbe succeduta una serie di sovrani dai nomi biblici: Ezechia, Manasse I, Hanukkah, Isacco, Zebulone, Manasse II, Nisi, Aronne I, Menahem, Beniamino, Aronne II, Giuseppe.
Sembra lecito supporre che questa aristocrazia ebraizzata rispondesse all'attività evangelizzatrice di Bisanzio facendosi promotrice essa stessa di iniziative missionarie, intese ad acquisire al giudaismo buona parte della popolazione cazara. La cosiddetta Cronaca di Nestore (il Povest' vremennych let) testimonia inoltre della sottomissione di alcune tribù slave da parte dei Cazari. Alla metà del secolo IX i Cazari attaccarono gli Slavi del medio Dnepr, i Poliani, e imposero loro il pagamento di un tributo. "I Poliani, - si legge nella parte iniziale, non datata, della Cronaca - dopo essersi consultati, dettero una spada per focolare, e [le spade] portarono i Chazari al proprio principe e ai propri anziani" (33). E in corrispondenza dell'anno 859 ("Anno 6367") viene ricordato che i Cazari riscuotevano il tributo non solo dai Poliani, ma anche da altre tribù slave: "dai Severiani e dai Vjatici riscotevano monete d'argento e pelle di scoiattolo per ogni focolare" (34). Venticinque anni più tardi però il principe Oleg, figlio del capostipite dei principi della Rus', vinse i Severiani "e non permise loro di pagare tributo ai Chazari" (35); analogo divieto impose ai Radimici. Nel 965 "mosse Svjatoslav contro i Chazari; avendo avuto sentore di ciò, i Chazari gli andarono incontro guidati dal loro principe Kagan, e si scontrarono, e nella battaglia Svjatoslav sopraffece i Chazari e ne conquistò la città di Belaja Vezha" (36), ossia l'odierna Sarkel, sul Don. "Nel 969, - scrive ancora Solzhenitsyn - i russi occupavano tutto il bacino del Volga, con Itil [la capitale della Cazaria], e le navi russe facevano la loro apparizione presso Semender, sul litorale di Derbent" (37). Sconfitti sul campo, i Cazari fecero ricorso all'arma religiosa. Nel 984, "sullo sfondo degli scambi intensi fra le terre slave e l'Oriente islamico in un'epoca in cui il Volga era un asse di comunicazione primario [e] numerosi musulmani soggiornavano a Kiev accanto a Cazari ebrei e ricchi mercanti latini o bizantini" (38), una delegazione cazara si recò a Kiev allo scopo di convertire il principe Vladimir, che quattro anni prima si era impadronito del trono. Da parte sua, la Rus' kievana si trovava davanti alla necessità di una scelta di campo geopolitica e religiosa da attuarsi tra Bisanzio, l'Occidente romano-germanico, l'area islamica e l'impero cazaro. "È la stessa cerimonia della conversione di Bulan" (39), ma stavolta la scelta è diversa. Respinte le proposte di adesione all'Islam fattegli dai Bulgari della Volga (e "si rifletta su quel che sarebbe potuto accadere qualora il primo Stato russo si fosse volto all'Islam: l'avvento di una vera e propria potenza eurasiatica che il lungo periodo del 'giogo' tataro avrebbe ancor più ancorato all'Asia") (40), il principe Vladimir rifiutò parimenti le sollecitazioni della delegazione cattolica di rito latino. Quindi diede udienza agli ambasciatori cazari, che lo invitarono ad abbracciare il giudaismo. La Cronaca di Nestore registra la replica del principe: "Come istruite gli altri se voi stessi siete stati respinti da Dio e dispersi? Se Dio avesse amato voi e la fede vostra, allora voi non sareste stati dispersi per le terre straniere. O volete che ciò avvenga anche a noi?" (41). Alla fine, come è noto, Vladimir accettò il battesimo secondo il rito greco e sposò una sorella di Basilio II, aprendo così la Russia alla civiltà bizantina. Ebbe inizio in tal modo una diaspora che diffuse in tutta l'Europa centro-orientale i residui dell'ebraismo cazaro.
Da Teofane il Confessore, che li definì "Turchi orientali", fino a Lev Gumilëv, che vide in loro un gruppo daghestano o sarmatico o alano turchizzato, gli storici e gli etnologi li hanno ricollegati, in un modo o nell'altro, alla famiglia dei popoli turchi. Alcuni ritengono che il nome dei Cazari derivi da kaz ("errante") ed er ("uomo"); Douglas Dunlop richiama invece il nome cinese di una antica tribù ujgurica, Ko-sa (21). In ogni caso, "una risposta definitiva circa le origini dei Cazari non è ancora disponibile. Deve essere comunque sottolineato il fatto che nella formazione del popolo cazaro è comprovata l'importanza di migrazioni da est ad ovest" (22).
La prima apparizione dei Cazari sulla scena della storia non è databile con certezza. Alcuni la fanno risalire a poco prima del 198 d. C., quando essi occuparono una parte della zona caucasica e le sponde nordoccidentali del Caspio; secondo altri, il gruppo cazaro sarebbe emerso durante la Völkerwanderung (migrazione di popoli) provocata nel 350 dalla vittoria degli Unni sugli Alani; altri ancora ne collocano la formazione verso la fine del VI secolo.
In seguito "l'entità cazara (...) spostando progressivamente il proprio centro di gravità dall'area caspica al Mar Nero, riunì etnie assai differenti e in particolare elementi di origine turca e iranica (gli Alani)" (23), aggiungendo in particolare una componente etnica iranica all'originario elemento turcico. "Tale commistione etnica fu certamente conseguenza della posizione dello Stato chazaro, fulcro delle grandi vie commerciali che congiungevano l'Oriente all'Occidente, il Nord al Sud; crocevia di traffici, sorta di piattaforma girevole, non solo esercitò la propria funzione nello scambio dei beni materiali ma anche nella diffusione delle idee e delle religioni" (24). Sul decisivo ruolo geopolitico e geo strategico del regno cazaro insiste Arthur Koestler nel suo celeberrimo libro.
"Il paese occupato dai Cazari, una popolazione di origine turca, occupava una posizione strategica sul vitale passaggio tra il Mar Nero e il Mar Caspio, dove le grandi potenze orientali dell'epoca si confrontavano tra loro. Funzionò da stato-cuscinetto a protezione dell'impero bizantino dalle invasioni delle rudi tribù barbare delle steppe nordiche: Bulgari, Magiari, Peceneghi ecc., e più tardi Vichinghi e Russi. Altrettanto, se non più importante dal punto di vista della diplomazia bizantina e della storia europea, fu l'efficace opera di contenimento esercitata dalle armate cazare nei confronti della valanga araba nei suoi primi e più devastanti stadi, un'opera che impedì la conquista musulmana dell'Europa orientale" (25).Prima di Koestler, già D. M. Dunlop aveva rivendicato al regno cazaro la funzione di antemurale christianitatis: "E' quasi certo che, se non ci fossero stati i Cazari nella regione a nord del Caucaso, la stessa Bisanzio, baluardo della civiltà europea in Oriente, si sarebbe trovata circondata dagli Arabi e la storia della Cristianità e dell'Islam forse sarebbe stata assai diversa da quella che conosciamo" (26).
Prescindendo dalle ipotesi fantastoriche, quello che si può dire con certezza è che la conquista della Persia, seguita alle vittoriose campagne del Califfo Omar contro i Sassanidi (634-642), aveva esteso fino a Tiflis e a Derbent i confini settentrionali del dâr al-islâm, sicché la Cazaria costituiva l'ostacolo che impediva alle armate musulmane di avanzare nelle pianure meridionali della Russia, da dove avrebbero potuto procedere all'accerchiamento dell'impero bizantino. Oltrepassato il Don, occupata l'odierna Ucraina fino al Dnepr e buona parte della Crimea, i Cazari si vennero a trovare al crocevia delle aree geopolitiche islamica e cristiana, sicché il loro ceto dirigente ritenne necessario assumere un'identità religiosa nettamente distinta da quella dei popoli vicini. Solzhenitsyn riassume nei termini seguenti questo momento cruciale della loro storia: "I capi etnici dei turco-cazari (all'epoca idolatri) non accettavano né l'islam (per non doversi sottomettere al califfo di Bagdad), né il cristianesimo (per evitare la tutela dell'imperatore di Bisanzio). Così, circa 732 tribù adottarono la religione giudaica" (27).
In realtà, non è affatto sicuro che la giudaizzazione di una parte del popolo cazaro abbia avuto luogo dopo la nascita del Califfato abbaside, la quale ebbe luogo nel 750. È vero che al-Mas'ûdî fa risalire tale conversione agli ultimi anni del secolo VIII, ma "altre fonti orientali dichiarano il ceto dirigente chazaro - e soprattutto il khagân - convertito fin dal 730-31" (28). A tale conversione si riferisce un'opera scritta in arabo intorno al 1140 da un intellettuale dell'ebraismo spagnolo, Yehudah ben Shemu'el ha-Lewi (1086-1141 ca.), e intitolata Al-hujjah wa'd-dalîl fî nasr ad-dîn adh-dhalîl (Argomentazione e dimostrazione in difesa della religione disprezzata). L'opera, nota altresì come Kuzârî (29), riporta il dialogo che sarebbe avvenuto tra il re (bek) cazaro Bulan ed un rabbino. Il sovrano, indotto da un angelo a svolgere un'indagine sulle religioni, si rivolge prima ad un filosofo, poi a un teologo cristiano, quindi a un sapiente musulmano, ma nessuno di costoro soddisfa le sue esigenze. Ovviamente sarà un rabbino a convincerlo della superiorità del giudaismo e a persuaderlo a convertirsi. La conversione non dovette comunque essere molto stabile e il popolo cazaro, dal momento che nell'860, indotto dalla pressione islamica ad avvicinarsi a Bisanzio, il bek dei Cazari chiese al basileus di inviare in Cazaria un teologo cristiano capace di "replicare alle argomentazioni degli Ebrei e dei Saraceni" (30).
Il compito di evangelizzare i Cazari, affidato a un uomo dotto e pio che col nome di Cirillo sarebbe poi diventato celebre come "apostolo degli Slavi", non sortì grandi risultati: i neofiti cristiani non furono più di duecento, mentre il bek e l'aristocrazia cazara restarono fedeli al giudaismo. Secondo le fonti islamiche coeve, "per ottenere la pace e mettere fine alla lotta che li opponeva al Califfato, i Chazari dovettero promettere di accogliere il credo dell'Islam. (...) E d'altronde, alleggeritasi la minaccia araba nei decenni successivi, i Chazari conservarono alla propria guida un'élite impregnata di ebraismo" (31). A fornirci alcune notizie su questa élite è la Risposta del Re Giuseppe, inviata intorno al 955 da un sovrano cazaro all'ebreo cordovano Hasdai ibn Shaprut, il quale gli aveva scritto per avere la conferma della notizia relativa all'esistenza di un regno giudaico. Dopo avere rievocato la conversione del suo antenato Bulan, il re cazaro Giuseppe scrive: "Dai figli dei suoi figli sorse un re chiamato Obadia. Era un uomo retto e giusto. Riorganizzò il regno e istituì la religione in maniera corretta e irreprensibile. Costruì sinagoghe e scuole, fece venire molti dotti israeliti e li onorò con oro ed argento, ed essi gli spiegarono i ventiquattro libri [della Torah], la Mishnah, il Talmud e l'ordine delle preghiere dei Khazzan" (32).
A Obadia sarebbe succeduta una serie di sovrani dai nomi biblici: Ezechia, Manasse I, Hanukkah, Isacco, Zebulone, Manasse II, Nisi, Aronne I, Menahem, Beniamino, Aronne II, Giuseppe.
Sembra lecito supporre che questa aristocrazia ebraizzata rispondesse all'attività evangelizzatrice di Bisanzio facendosi promotrice essa stessa di iniziative missionarie, intese ad acquisire al giudaismo buona parte della popolazione cazara. La cosiddetta Cronaca di Nestore (il Povest' vremennych let) testimonia inoltre della sottomissione di alcune tribù slave da parte dei Cazari. Alla metà del secolo IX i Cazari attaccarono gli Slavi del medio Dnepr, i Poliani, e imposero loro il pagamento di un tributo. "I Poliani, - si legge nella parte iniziale, non datata, della Cronaca - dopo essersi consultati, dettero una spada per focolare, e [le spade] portarono i Chazari al proprio principe e ai propri anziani" (33). E in corrispondenza dell'anno 859 ("Anno 6367") viene ricordato che i Cazari riscuotevano il tributo non solo dai Poliani, ma anche da altre tribù slave: "dai Severiani e dai Vjatici riscotevano monete d'argento e pelle di scoiattolo per ogni focolare" (34). Venticinque anni più tardi però il principe Oleg, figlio del capostipite dei principi della Rus', vinse i Severiani "e non permise loro di pagare tributo ai Chazari" (35); analogo divieto impose ai Radimici. Nel 965 "mosse Svjatoslav contro i Chazari; avendo avuto sentore di ciò, i Chazari gli andarono incontro guidati dal loro principe Kagan, e si scontrarono, e nella battaglia Svjatoslav sopraffece i Chazari e ne conquistò la città di Belaja Vezha" (36), ossia l'odierna Sarkel, sul Don. "Nel 969, - scrive ancora Solzhenitsyn - i russi occupavano tutto il bacino del Volga, con Itil [la capitale della Cazaria], e le navi russe facevano la loro apparizione presso Semender, sul litorale di Derbent" (37). Sconfitti sul campo, i Cazari fecero ricorso all'arma religiosa. Nel 984, "sullo sfondo degli scambi intensi fra le terre slave e l'Oriente islamico in un'epoca in cui il Volga era un asse di comunicazione primario [e] numerosi musulmani soggiornavano a Kiev accanto a Cazari ebrei e ricchi mercanti latini o bizantini" (38), una delegazione cazara si recò a Kiev allo scopo di convertire il principe Vladimir, che quattro anni prima si era impadronito del trono. Da parte sua, la Rus' kievana si trovava davanti alla necessità di una scelta di campo geopolitica e religiosa da attuarsi tra Bisanzio, l'Occidente romano-germanico, l'area islamica e l'impero cazaro. "È la stessa cerimonia della conversione di Bulan" (39), ma stavolta la scelta è diversa. Respinte le proposte di adesione all'Islam fattegli dai Bulgari della Volga (e "si rifletta su quel che sarebbe potuto accadere qualora il primo Stato russo si fosse volto all'Islam: l'avvento di una vera e propria potenza eurasiatica che il lungo periodo del 'giogo' tataro avrebbe ancor più ancorato all'Asia") (40), il principe Vladimir rifiutò parimenti le sollecitazioni della delegazione cattolica di rito latino. Quindi diede udienza agli ambasciatori cazari, che lo invitarono ad abbracciare il giudaismo. La Cronaca di Nestore registra la replica del principe: "Come istruite gli altri se voi stessi siete stati respinti da Dio e dispersi? Se Dio avesse amato voi e la fede vostra, allora voi non sareste stati dispersi per le terre straniere. O volete che ciò avvenga anche a noi?" (41). Alla fine, come è noto, Vladimir accettò il battesimo secondo il rito greco e sposò una sorella di Basilio II, aprendo così la Russia alla civiltà bizantina. Ebbe inizio in tal modo una diaspora che diffuse in tutta l'Europa centro-orientale i residui dell'ebraismo cazaro.
note
1. Giacomo Devoto e Gian Carlo Oli, Vocabolario illustrato della lingua italiana, Selezione dal Reader's Digest, Milano 1967, vol. I, p. 146. E' interessante notare che, mentre l'antisemita è "reo", ossia "colpevole di un reato", secondo lo stesso Devoto-Oli non sono affatto rei coloro che nutrono avversione nei confronti di altri gruppi umani. "Anticristiano" infatti significa semplicemente "ostile ai cristiani o alle loro dottrine" (op. cit., vol. I, p. 142); "antitedesco", chi è "storicamente o politicamente avverso ai tedeschi" (op. cit., vol. I, p. 147); perfino "antidemocratico" è agg. e s. m. che designa, senza esprimere giudizio di condanna, ogni "persona, atteggiamento o movimento che ostacola la democrazia, i suoi principi sociali e politici" (op. cit., vol. I, p. 142).
2. G. Devoto - G. C. Oli, op. cit., p. 146.
3. P. G. J. Pulzer, The rise of political anti-Semitism in Germany and Austria, Wiley, New York 1964, pp. 49-52.
4. Va detto però che alcuni studiosi contestano la matrice tedesca dello yiddish, ipotizzandone l'origine dalla rilessificazione di un dialetto sorabo parlato dai discendenti di nuclei balcanici (e probabilmente anche caucasici e slavo-avari) che si erano convertiti al giudaismo. "I do not accept - dichiara uno di loro - the common view that Yiddish is a form of German. I believe that Yiddish arose approximately between the 9th and 12th centuries when Jews in the mixed Germano-(Upper) Sorbian lands of present-day Germany 'relexified' their native Sorbian, a West slavic language" (Paul Wexler, Yiddish evidence for the Khazar component in the Ashkenazic ethnogenesis, in: The World of the Khazars. New Perspectives. Selected Papersfrom the Jerusalem 1999 International Khazar Colloquium hosted by the Ben Zvi Institute, edited by Peter B. Golden, Haggai Ben-Shammai and Andras Rona-Tas, Brill, Leiden-Boston, 2007, p. 388). A parere di Wexler, lo yiddish costituirebbe un'ulteriore conferma della presenza di una fondamentale componente cazara nell'etnogenesi aschenazita. Cfr. P. Wexler, The Ashkenazic Jews.
A Slavo-Turkic people in search of a Jewish identity, Columbus, Ohio, 1993; Idem, Two-tiered relexification in Yiddish: the Jews, the Sorbs, the Khazars and the Kiev-Polessian dialect, Berlin-New York, 2002.
A Slavo-Turkic people in search of a Jewish identity, Columbus, Ohio, 1993; Idem, Two-tiered relexification in Yiddish: the Jews, the Sorbs, the Khazars and the Kiev-Polessian dialect, Berlin-New York, 2002.
5. M. Fishberg, The Jews: A Study of Race and Environment, The Walter Scott Publ. Co., London-New York, 1911, p. 181.
6. Renato Biasutti, Le razze e i popoli della terra, vol. II (Europa - Asia), UTET, Torino, 1967, p. 563.
7. Ibidem.
8. Paul Wexler, The non-Jewish origins of the Sephardic Jews, Albany, 1996.
9. Raphael Patai, The Jews of Hungary: History, Culture, Psychology, Wayne State University Press, Detroit, 1996, pp. 157 e 159-160.
10. Kevin Alan Brook, The Jews of Khazaria, Rowman & Littlefield Publ., Lanham-Oxford, 2006, p. 169.
11. Hansgerd Göckenjan, Hilfsvölker und Grenzwächter im mittelalterlichen Ungarn, Franz Steiner, Wiesbaden, 1972, pp. 40-41.
12. Monroe Rosenthal - Isaac Mozeson, Wars of the Jews: A Military History from Biblical to Modern Times, Hippocrene Books, New York, 1990, p. 224.
13. K. A. Brook, The Jews of Khazaria, cit., p. 164.
14. István Herényi, A magyar törzsszövetség törzsei és törzsföi [Le tribù e i capi tribali dell'alleanza tribale magiara], "Századok", 116, 1 (1982), pp. 68-70. 15. Arthur Koestler, La tredicesima tribù. Storia dei cazari dal Medioevo all'Olocausto ebraico, UTET, Torino, 2003, p. 115. Cfr. K. A. Brook, The Jews of Khazaria, cit., p. 172.
16. Aleksandr Solgenitsin, Due secoli insieme. Ebrei e Russi prima della rivoluzione, Controcorrente, Napoli, 2007, vol. I, p. 15.
17. Norman Golb - Omeljan Pritsak, Khazarian Hebrew Documents of the Tenth Century, Cornell University Press, Ithaca, 1982.
18. K. A. Brook, The Jews of Khazaria, cit., p. 177.
19. Peter B. Golden, An Introduction to the History of the Turkic Peoples, Otto Harassowitz, Wiesbaden, 1992, pp. 243-244.
20. Cfr. Claudio Mutti, "... berranno le acque del Tigri e dell'Eufrate...", "Eurasia. Rivista di studi geopolitici", a. IV, n. 4, ott.-dic. 2007, pp. 25-34.
21. Douglas Dunlop, The History of the Jewish Khazars, Schocken, New York, 1967, pp. 34-35.
22. K. A. Brook, The Jews of Khazaria, cit., p. 6.
23. Francis Conte, Gli Slavi. Le civiltà dell'Europa centrale e orientale, Einaudi, Torino, 1990, p. 412.
24. F. Conte, op. cit., pp. 412-413.
25. Arthur Koestler, La tredicesima tribù.
Storia dei cazari dal Medioevo all'Olocausto ebraico, cit., p. 5.
Storia dei cazari dal Medioevo all'Olocausto ebraico, cit., p. 5.
26. D.M. Dunlop, The History of the Jewish Khazars, Princeton University Press, Princeton 1954, p. x.
27. Aleksandr Solgenitsin, Due secoli insieme. Ebrei e Russi prima della rivoluzione, cit., vol. I, pp. 13-14.
28. F. Conte, op. cit., p. 413.
29. Yehudah ha-Lewi, Il re dei Khàzari, Bollati Boringhieri, Torino, 1991.
30. F. Dvornik, Les légendes de Constantin et de Méthode vues de Byzance, Prague, p. 168.
31. F. Conte, op. cit., pp. 414-415.
32. Letter from Rabbi Chisdai to King Joseph, in: Yehuda HaLevi, The Kuzari: In Defense of the Despised Faith, Jason Aronson, Northvale, 1998, p. 349.
33. Racconto dei tempi passati. Cronaca russa del secolo XII, Einaudi, Torino, 1971, p. 10.
34. Racconto dei tempi passati. Cronaca russa del secolo XII, cit., p. 11.
35. Racconto dei tempi passati. Cronaca russa del secolo XII, cit., p. 14.
36. Racconto dei tempi passati. Cronaca russa del secolo XII, cit., p.
37. 37. A. Solgenitsin, op. cit., p. 14.
38. F. Conte, op. cit., p. 412.
39. Aldo C. Marturano, Mescekh. Il paese degli ebrei dimenticati, Atena, Poggiardo, 2004, p. 162.
40. F. Conte, ibidem.
41. Racconto dei tempi passati. Cronaca russa del secolo XII, cit., p. 50.
Fonte: Claudio Mutti
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