Ricostruzione in 3D di un Vimana attenendosi alle descrizioni presenti sui manoscritti |
E’ ormai assodato che nel corso della preistoria, la nostra amata Terra fu abitata da civiltà avanzatissime con conoscenze strabilianti, in grado di volare a bordo di velivoli fantascientifici e capaci di progettare armi devastanti come la nostra bomba atomica. Fino a pochi anni fa tutto ciò era “etichettato” come fanta-archeologia, oggi però, nuovi studi e moderne teorie aprono nuove porte al mondo dell’ignoto e dell’incomprensibile.
Più di 15 mila anni fa, a cavallo tra India e Pakistan esistevano popoli in possesso di una tecnologia molto avanzata, con conoscenze e competenze in campo aeronautico, capaci di costruire e utilizzare potentissime armi di distruzione di massa nonché combattere il nemico telepaticamente.
No, non avete capito male: stiamo parlando di civiltà che avevano raggiunto traguardi scientifici superiori a quelli dell’uomo moderno e che l’archeologia classica, da sempre legata a “dimostrazioni razionali”, come lo studio dei reperti o dei siti in cui questi sono stati rinvenuti, etichetta come fantasiose dissertazioni prive di ogni fondatezza.
Esiste però una moderna scuola di pensiero, con una maggiore apertura mentale, che non ha paura di riscrivere la storia e che ritiene altrettanto validi anche quei fatti citati da antichi testi a volte avvolti da un alone di mitologia, che in varie occasioni si sono dimostrati veri.
Come possiamo dimenticare il ritrovamento della città di Troia da parte di Heinrich Schliemann? Ex commerciante tedesco e archeologo dilettante, Schliemman decise di trovare i luoghi della guerra di Troia sulla sola base degli antichi poemi omerici. Nel 1872, dopo due anni di ricerche, l’uomo concentrò la sua attenzione sulla collina di Hissarlik che sembrava riprodurre alla perfezione le descrizioni di Omero.
Nell’estate dello stesso anno, sotto quell’altura emersero le rovine di una città e nel giugno del 1873 vennero alla luce le prove che quella era veramente la Troia cantata dal poeta greco.
No, non avete capito male: stiamo parlando di civiltà che avevano raggiunto traguardi scientifici superiori a quelli dell’uomo moderno e che l’archeologia classica, da sempre legata a “dimostrazioni razionali”, come lo studio dei reperti o dei siti in cui questi sono stati rinvenuti, etichetta come fantasiose dissertazioni prive di ogni fondatezza.
Esiste però una moderna scuola di pensiero, con una maggiore apertura mentale, che non ha paura di riscrivere la storia e che ritiene altrettanto validi anche quei fatti citati da antichi testi a volte avvolti da un alone di mitologia, che in varie occasioni si sono dimostrati veri.
Come possiamo dimenticare il ritrovamento della città di Troia da parte di Heinrich Schliemann? Ex commerciante tedesco e archeologo dilettante, Schliemman decise di trovare i luoghi della guerra di Troia sulla sola base degli antichi poemi omerici. Nel 1872, dopo due anni di ricerche, l’uomo concentrò la sua attenzione sulla collina di Hissarlik che sembrava riprodurre alla perfezione le descrizioni di Omero.
Nell’estate dello stesso anno, sotto quell’altura emersero le rovine di una città e nel giugno del 1873 vennero alla luce le prove che quella era veramente la Troia cantata dal poeta greco.
Un esempio di come il mito possa celare qualcosa di realmente esistito che, se non fosse stato per le convinzioni e la tenacia dell’archeologo tedesco, sarebbe rimasto sotto una coltre di terra ancora per secoli. In alcune circostanze però, anche dinanzi a scoperte documentate da reperti archeologici abbastanza chiari, alcuni studiosi continuano a far finta di nulla, rifiutando o nascondendo queste “anomalie” storiche che, tuttavia, nel corso degli anni stanno venendo a galla. Scoperte che proverebbero la ciclicità del genere umano, il quale, dopo aver raggiunto livelli di conoscenza elevatissimi, si auto-annienterebbe o scomparirebbe per sempre in balia delle forze della natura, distrutto da cataclismi indescrivibili e imprevedibili.
Duane Robert Ballard, professore di oceanografia presso l’Università di Rhode Island, noto per i suoi lavori di archeologia subacquea, alcuni anni fa trovò alcune tracce del diluvio universale in una linea costiera sommersa situata tra il Mar Morto e il Mediterraneo, “ingoiata” dalle acque in seguito a una gigantesca inondazione avvenuta più di 8 mila anni fa. Quante altre città dell’antichità inoltre sono state rivenute sommerse in varie parti del mondo! La prova che la leggenda di un “nubifragio globale” o qualunque altra catastrofe naturale abbiano colpito la Terra in tempi molto antichi è ormai assodata e lo proverebbero anche alcuni testi sacri estranei alla tradizione giudaico-cristiana, come l’epopea di Gilgamesh, il poema epico babilonese scritto in caratteri cuneiformi su tavolette d’argilla e risalente a circa 4500 anni fa e molte leggende Maya che narrano come i loro antenati provenissero da una terra chiamata Aztlan sprofondata nel mare in seguito a un terribile disastro.
Duane Robert Ballard, professore di oceanografia presso l’Università di Rhode Island, noto per i suoi lavori di archeologia subacquea, alcuni anni fa trovò alcune tracce del diluvio universale in una linea costiera sommersa situata tra il Mar Morto e il Mediterraneo, “ingoiata” dalle acque in seguito a una gigantesca inondazione avvenuta più di 8 mila anni fa. Quante altre città dell’antichità inoltre sono state rivenute sommerse in varie parti del mondo! La prova che la leggenda di un “nubifragio globale” o qualunque altra catastrofe naturale abbiano colpito la Terra in tempi molto antichi è ormai assodata e lo proverebbero anche alcuni testi sacri estranei alla tradizione giudaico-cristiana, come l’epopea di Gilgamesh, il poema epico babilonese scritto in caratteri cuneiformi su tavolette d’argilla e risalente a circa 4500 anni fa e molte leggende Maya che narrano come i loro antenati provenissero da una terra chiamata Aztlan sprofondata nel mare in seguito a un terribile disastro.
Del resto, quanti reperti al di fuori di ogni logica convenzionale collocazione, che sosterrebbero la teoria di una civiltà pre-diluviana e tali da mettere in crisi la visione delle cose che la scienza ritiene di aver ormai acquisito, sono stati rinvenuti sino ai giorni nostri? Tanto per fare dei nomi:
La pila di bagdad (250 a.C),
le lampade di dendera nell’antico Egitto,
il computer di antikythera (Grecia, 85 a.C.),
i teschi di cristallo rinvenuti nell’antica città Maya di Lubaantum e, dulcis in fundo, i vari templi indiani che riproducono i vimana, oggetti volanti citati in numerosi testi religiosi ma mai fisicamente rinvenuti, in grado di volare nell’aria, nello spazio e di immergersi nell’acqua, di cui sono stati ritrovati i manuali di volo e manutenzione.
le lampade di dendera nell’antico Egitto,
il computer di antikythera (Grecia, 85 a.C.),
i teschi di cristallo rinvenuti nell’antica città Maya di Lubaantum e, dulcis in fundo, i vari templi indiani che riproducono i vimana, oggetti volanti citati in numerosi testi religiosi ma mai fisicamente rinvenuti, in grado di volare nell’aria, nello spazio e di immergersi nell’acqua, di cui sono stati ritrovati i manuali di volo e manutenzione.
Il nostro viaggio inizia proprio da qui, in India, il paese dai mille volti, problemi, contraddizioni e contrasti, ma anche dalle mille meraviglie e misteri. Pochi sanno che i numeri sono un’invenzione indiana. Le cifre che abitualmente utilizziamo ogni giorno vengono chiamate numeri arabi poiché sono giunte a noi dall’antichità attraverso questo popolo, ma in realtà sono un’invenzione indiana risalente al 400 a.C.!
Ma cosa è stato scoperto di tanto importante in quest’area dell’Asia meridionale da spingere giornalisti, archeologi, scienziati, scrittori e appassionati di ogni genere a dedicarne intere pagine di giornale? Tutto ha avuto inizio alcuni anni fa con il rinvenimento da parte dei cinesi di alcuni antichi manoscritti, a Lhasa, in Tibet.
I testi, interamente in sanscrito e risalenti al 4° secolo a.C., furono inviati per la traduzione alla dottoressa Ruth Reyna dell’Università di Chandigarth. La scoperta è sorprendente e lascia tutti sbigottiti proprio perché la risposta non arriva da chicchessia ma dal più antico e prestigioso ateneo dell’India.
I testi, interamente in sanscrito e risalenti al 4° secolo a.C., furono inviati per la traduzione alla dottoressa Ruth Reyna dell’Università di Chandigarth. La scoperta è sorprendente e lascia tutti sbigottiti proprio perché la risposta non arriva da chicchessia ma dal più antico e prestigioso ateneo dell’India.
La raccolta di documenti riporta le indicazioni per la costruzione di aeromobili con un metodo di propulsione essenzialmente anti-gravitazionale basato su un sistema analogo al “Laghima” o potere della levitazione, una sconosciuta energia dell’ego, presente fisiologicamente nella struttura dell’uomo, paragonabile a una potente forza centrifuga, talmente forte da compensare tutte le spinte gravitazionali. A bordo di questi mezzi, chiamati “Astra” ma meglio conosciuti come “Vimana”, gli antichi indiani erano in grado di inviare ordini a uomini distaccati su altri pianeti. I testi fanno riferimento anche a potenti armi di distruzione di massa che ricordano molto da vicino le moderne bombe atomiche nonché a nozioni di dottrina tattica militare per soggiogare il nemico attraverso l’uso “dell’Antima” (invisibilità) o “il Garima” (pietrificazione degli avversari).
La prima reazione degli scienziati è stata di scetticismo e fastidio, sentendosi presi quasi in giro da interpretazioni di questo genere, con una parvenza più da film di fantascienza che da scoperta archeologica.
Quando però il governo cinese ha ufficialmente annunciato che avrebbe incluso nel proprio programma spaziale tutte le nozioni contenute in questi elaborati per lo studio dei sistemi antigravità, i ricercatori hanno “fiutato” che qualcosa di strano e veramente importante si celava tra le righe di questi testi e hanno cominciato a seguire l’argomento con una certa attenzione. Tutto ha avuto inizio nel 1980, in seguito all’ammissione dell’esistenza dell’Impero Rama, vissuto nella valle dell’Indo intorno al 10-15000 a.C. e citato in alcuni poemi epici della mitologia induista, come il Ramayana e il Mahabahrata. Secondo questi testi sacri, tra i più importanti della tradizione religiosa e filosofica indiana, esistevano un tempo due grandi civiltà tecnologicamente avanzate: Rama e Atlantide.
L’impero della valle dell’Indo era in grado di volare nello spazio utilizzando aeromobili fantascientifici, i Vimana, di forma circolare, piatti o a forma di sigaro.
Quando però il governo cinese ha ufficialmente annunciato che avrebbe incluso nel proprio programma spaziale tutte le nozioni contenute in questi elaborati per lo studio dei sistemi antigravità, i ricercatori hanno “fiutato” che qualcosa di strano e veramente importante si celava tra le righe di questi testi e hanno cominciato a seguire l’argomento con una certa attenzione. Tutto ha avuto inizio nel 1980, in seguito all’ammissione dell’esistenza dell’Impero Rama, vissuto nella valle dell’Indo intorno al 10-15000 a.C. e citato in alcuni poemi epici della mitologia induista, come il Ramayana e il Mahabahrata. Secondo questi testi sacri, tra i più importanti della tradizione religiosa e filosofica indiana, esistevano un tempo due grandi civiltà tecnologicamente avanzate: Rama e Atlantide.
L’impero della valle dell’Indo era in grado di volare nello spazio utilizzando aeromobili fantascientifici, i Vimana, di forma circolare, piatti o a forma di sigaro.
Anche il nemico, Atlantide, utilizzava una tecnologia all’avanguardia, i “Vailixi Atlantidei”, lunghe fusoliere sigariformi capaci di navigare in ogni ambiente, dall’atmosfera, agli abissi oceanici fino allo spazio profondo. La documentazione in possesso del governo cinese descrive in maniera strabiliante il funzionamento di queste astronavi, le modalità di pilotaggio, le diete dei piloti, le rotte planetarie da seguire per evitare di finire nel bel mezzo di tempeste magnetiche, le potenti armi di cui erano dotati, i radar e i monitor. I Vimana venivano spinti da un propellente particolare di colore giallo-bianco e mercurio che ricordano molto da vicino un propulsore ionico elettrostatico, un motore spaziale sviluppato dalla NASA agli inizi degli anni sessanta. Le sacre scritture indiane, raccontano inoltre della tremenda guerra che vide opposte fra i 15-20 mila anni fa le due grandi civiltà dell’epoca e che venne condotta con avanzatissimi ordigni di distruzione di massa.
« Una colonna incandescente di fumo e fiamme brillante come mille soli si sollevò in tutto il suo splendore – così descrive l’antico Mahabarata gli effetti di tale arma – una saetta di ferro, un gigantesco messaggero di morte che ridusse in cenere l’intera razza dei Vrishnis e gli Andhakas. I cadaveri erano così bruciai da essere irriconoscibili. I capelli e le unghie caddero. Le ceramiche si ruppero senza alcuna ragione e gli uccelli diventarono bianchi. Dopo qualche ora tutte le riserve di cibo erano infette. Per sfuggire a questo fuoco, i soldati si lanciarono nei corsi d’acqua per lavare se stessi e il loro equipaggiamento».
« Una colonna incandescente di fumo e fiamme brillante come mille soli si sollevò in tutto il suo splendore – così descrive l’antico Mahabarata gli effetti di tale arma – una saetta di ferro, un gigantesco messaggero di morte che ridusse in cenere l’intera razza dei Vrishnis e gli Andhakas. I cadaveri erano così bruciai da essere irriconoscibili. I capelli e le unghie caddero. Le ceramiche si ruppero senza alcuna ragione e gli uccelli diventarono bianchi. Dopo qualche ora tutte le riserve di cibo erano infette. Per sfuggire a questo fuoco, i soldati si lanciarono nei corsi d’acqua per lavare se stessi e il loro equipaggiamento».
Chiunque legga questo passo del famoso poema epico indiano non può fare a meno di pensare alle 8:16 (ora locale) del 6 agosto 1945, quando gli americani sganciarono su Hiroshima la prima bomba atomica che provocò istantaneamente la morte di circa 130 mila persone. Quando gli archeologi trovarono i resti di Lanhka, una delle più importanti città dell’impero Rama, si trovarono dinanzi uno spettacolo impressionante: gli scheletri giacevano lungo le vie con le mani serrate e presentavano delle lesioni osteoarticolari come se fossero stati gettati nel vuoto da altezze molto elevate (anche qui è evidente l’effetto dell’atomica. La bomba, esplodendo tra i 400 e i 500 metri, con il proprio spostamento d’aria è in grado di schiacciare i corpi). Sembrerà incredibile, ma questi resti umani risultano essere tra i più radioattivi mai trovati prima, alla stessa stregua di quelli di Hiroshima e Nagasaki.
Le strade erano completamente vetrificate, di un color nero intenso, frutto dello scioglimento dell’argilla per l’intenso calore. Ecco, di seguito, un elenco dell’armamento bellico dell’antico impero Rama con i relativi effetti:
Le strade erano completamente vetrificate, di un color nero intenso, frutto dello scioglimento dell’argilla per l’intenso calore. Ecco, di seguito, un elenco dell’armamento bellico dell’antico impero Rama con i relativi effetti:
- SURADTSANA: arma a forma di disco, simile al sole splendente, che inceneriva gli eserciti;
- LA VERGA DI KALA: arma in grado di uccidere il nemico a distanza;
- BHUCUNDI: arma capace di scagliare folgori contro i nemici;
- VAYAVYA ASTRA: generatore artificiale di turbolenze;
- MURCHCHDHANA: arma in grado di sopprimere temporaneamente alcune sensazioni
- SHABDAVEDITVA: missile intelligente
- TVASHTAR: l’arma degli dei, paragonabile alla nostra bomba atomica e i cui effetti sono stati appena menzionati.
Andando avanti nella lettura dei libri sacri, vengono descritti altri elementi degni di menzione: i materiali con i quali i Vimana venivano realizzati nonché i relativi procedimenti per ottenere queste particolari leghe che, da quanto accertato sino ad oggi, presupponevano la conoscenza della “Tavola periodica degli elementi” che verrà però ideata solo nel 1869 dal chimico russo Dmitrij Mendeleev; la cabina di pilotaggio, all’interno della quale si trovano tre sedili, tre leve e tre anelli ruotanti che servivano per: sollevare il veicolo, dare la direzione e l’accelerazione. Direttamente dai manoscritti dell’epos indiano, ecco alcune delle tecniche segrete per la conduzione delle astronavi:
- MAANTRIKA: invocazione del Mantra (sorta di preghiera) che permetterà ad una persona di ottenere determinati poteri spirituali e ipnotici cosicché possa realizzare veicoli volanti indistruttibili;
- GOODHA: permette al pilota di rendere il Vimana invisibile ai nemici;
- PAROKSHA: consente al pilota di paralizzare altri Vimana e metterli fuori combattimento;
- APAROKSHA: metodo per proiettare fasci di luce dinanzi alla propria navicella per illuminare la via;
- PRALAYA: comprime la forza elettrica attraverso i cinque tubi aerei cosicché il pilota possa distruggere qualsiasi cosa come se fosse in atto un cataclisma;
- SAARPA-GAMANA: questo segreto permette al pilota di attrarre le forze dell’aria, unirle con i raggi solari e passare la mistura attraverso il centro della nave in maniera tale che il Vimana avrà un movimento a zig-zag come un serpente;
- ROOPAAKARSHANA: consente al pilota di vedere dentro al Vimana nemico;
- KRYAAGRAHANA: permette ad uno di spiare tutte le attività che avvengono sotto terra;
- JALADA ROOPA: queste istruzioni consentono al pilota di conoscere le corrette proporzioni di alcuni composti chimici che miglioreranno il Vimana donandogli la forma di una nuvola.
Per chi ancora crede che si tratti di pura fantasia o di una bellissima favola chiuda per sempre questa parentesi ma rifletta con attenzione: l’Egitto, il Perù, la Cina e molti altri paesi del mondo sono pieni di storie misteriose che col tempo stanno assumendo sempre più credibilità. Gli egiziani, ad esempio, erano abili osservatori e avevano scoperto un metodo “naturale” per spostare enormi pietre con l’uso di ultrasuoni; osservando la pianta di sesamo si erano resi conto che, in fase di maturazione, un minimo rumore, anche impercettibile per noi essere umani, era sufficiente per far “esplodere” le capsule del frutto, permettendo l’inseminazione del terreno. Conoscenze dimenticate nei secoli ma realmente applicabili! E cosa dire della famosissima “Lastra di Palenque” uno dei reperti archeologici più importanti e misteriosi della storia. Si tratta della copertura di un sarcofago Maya sulla quale è raffigurato un uomo in una strana posizione, quasi a guidare un veicolo dei nostri tempi, impegnato ad armeggiare con delle leve e con un oggetto triangolare inserito al naso. Anche questa una leggenda metropolitana?
Lastra di Palenque |
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