Ecco il primo inventario indipendente del neonato Ispettorato nazionale: le due regioni messe insieme hanno centinaia di metri cubi di materiali radiotossici in più
Puglia
e Basilicata messe assieme, pur non avendo mai avuto una centrale
nucleare sul proprio territorio (anche se un progetto in tal senso vi fu
per Nardò, nel Salento), hanno centinaia di metri cubi di materiali
radiotossici in più di quanti se ne trovino in Campania e in Emilia
Romagna dove pure sono, rispettivamente, la centrale di Sessa Aurunca,
nel Casertano, e quella di Caorso, vicino Piacenza. Per non parlare
dell’ammontare delle radiazioni, campo in cui la Basilicata batte il
Lazio. Ad affermarlo, dopo molti decenni di attività atomiche
(dichiarate e “sotterranee”) durante i quali sono “volati” numeri in
libertà circa il patrimonio radiotossico italiano è l’Ispettorato
nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione (Isin), che ora
pubblica un «Inventario nazionale dei rifiuti radioattivi».
Ed
è una buonissima notizia giacché è la prima volta che il nostro Paese
può contare su un dossier prodotto da un ente statutariamente terzo
rispetto alle agli attori atomici italiani. L’Isin, infatti, è diventato
operativo soltanto il primo agosto del 2018. Fino ad allora, nonostante
l’ovvietà di avere un controllore dichiaratamente indipendente e
nonostante le richieste in tal senso di Euratom e Iaea (l’Agenzia
internazionale per l’energia atomica), gli italiani non avevano nemmeno
potuto godere di questo genere di presidio scientifico-democratico.
È
un primo passo, dunque, nella direzione dell’ordinato procedere.
Sebbene non possiamo tacere che la strada sia ancora molto lunga sia da
un punto di vista operativo (l’Isin è sotto organico, tanto per dirne
una), sia da un punto di vista normativo (per esempio il Belpaese
rischia di essere deferito alla Corte di giustizia europea per ritardi
nell’adeguamento alle disposizioni Euratom in fatto di «norme
fondamentali di sicurezza relative alla protezione contro i pericoli
derivanti dall’esposizione alle radiazioni» della popolazione e dei
lavoratori), sia sul fronte della trasparenza (su queste pagine abbiamo
dato conto di come sia stato opposto il segreto di Stato alle richieste
della «Gazzetta» di conoscere «come» si intenda procedere per
smantellare l’Impianto trattamento elementi combustibili-Itrec che si
trova in Basilicata, a Trisaia, cioè a 78 km in linea d’aria da Taranto,
108 da Bari).
Ma,
tant’è, visto che un inventario c’è andiamo a scoprire cosa dice
l’Isin, tenendo però a mente che i dati sono comunque un po’ vecchiotti
giacché sono aggiornati al 31 dicembre 2017. Ebbene, in Puglia ci sono
1.007 metri cubi di quelli che vengono definiti «rifiuti radioattivi» e
pare non siano al top della classifica di feralità giacché la loro
attività complessiva è pari a 37 miliardi di Becquerel (la radioattività
presente di una determinata quantità di materia si misura in Becquerel;
ndr). Se non sono molti di più, è grazie alla bonifica coordinata dalla
Commissario Vera Corbelli che, d’intesa con la Società Gestione
Impianti Nucleari (la Sogin è una Spa a controllo pubblico) è riuscita a
togliere almeno i fusti più «attivi» dal deposito mezzo marcio della ex
Cemerad di Statte, in provincia di Taranto.
Tutt’altra
storia nella vicinissima Basilicata. Il volume di rifiuti radioattivi è
il triplo, pari a 3.250 metri cubi, ma la mole di radiazioni è
enormemente maggiore: 267.007 miliardi di Becquerel. A ciò vanno
aggiunte le 64 barre uranio/torio, quelle importate dagli Usa e che
nessun Governo finora è riuscito a «esportare» altrove. Queste, da sole,
hanno un’attività pari a 1.562 migliaia di miliardi di Becquerel
(migliaia di miliardi, non miliardi!). Per cui, sommando le due voci,
secondo l’Isin in Basilicata c’è materiale per 1.829 migliaia di
miliardi di Becquerel.
Per capire l’ordine di grandezza, in Campania sono 366; nel Lazio sono 989,2. E, visto che vicino Roma c’è la centrale plutonigena di Latina (le cui barre di combustibile sono state prodotte in un impianto lucano) questo lascia intendere che lo smantellamento dell’eredità nucleare laziale è progredita in modo ben spedito.
Tutto
questo ammasso di veleni dovrà, stando ai piani governativi, essere
stoccato in un’unica area. Non è ancora chiaro quale regione italiana si
aggiudicherà il deposito nazionale dei materiali a bassa e media
attività e quello, definito «temporaneo», per l’alta attività e lunga
vita. L’elenco delle aree idonee è pronto da anni ma resta chiuso nei
cassetti dei vari Esecutivi. Evidentemente, anche se i politici
cambiano, la paura di indispettire le popolazioni-votanti è sempre la
stessa.
Da 50 anni la Basilicata custodisce le scorie nucleari americane che nessuno vuole
8.246
chilometri separano Elk River, in Minnesota, e Rotondella, in
Basilicata. Tra le due città esiste però un legame quasi impossibile da
sciogliere, sancito da un ‘tesoro’ maledetto: 84 barre da 1.672 chili di
combustibile radioattivo, che da quasi cinquant’anni sono al centro di
una contesa che coinvolge Italia e Stati Uniti.
Tra
reciproche scaramucce, preoccupazioni e polemiche, una vera soluzione
non è mai stata trovata. Adesso però, giurano i diretti interessati,
siamo vicini a mettere la parola fine a una vicenda che esemplifica il
rapporto travagliato tra gli italiani e le scorie nucleari.
Ci troviamo a Rotondella, un comune di 2.700 abitanti nella provincia di Matera. Noto come il “balcone dello Ionio” per la posizione invidiabile da cui si gode della vista di tutta la costa ionica, questo
borgo è salito agli onori delle cronache per un motivo meno
invidiabile: la presenza di materiale nucleare unico al mondo, barre di
combustibile irraggiato uranio-torio, stoccate all’interno dell’impianto
ITREC(acronimo di Impianto di Trattamento e Rifabbricazione Elementi di Combustibile) di Trisaia, da quasi mezzo secolo.
Che cosa ci fa l’Elk River in Basilicata?
La centrale fu costruita alla fine degli anni ’60, nell’ambito
di una collaborazione tra il defunto Comitato Nazionale per l’Energia
Nucleare (CNEN) e il suo omologo americano, l’Atomic Energy Commission. Lo
scopo dell’ambizioso progetto, era quello di valutare la convenienza
economica del ciclo uranio-torio rispetto al consueto ciclo
uranio-plutonio, per la produzione di energia nucleare. 84 barre di Elk
River – nome che deriva dal paese del Minnesota dove si trovava l’unico reattore che avesse mai prodotto quel combustibile – furono così spedite dagli Stati Uniti in Basilicata.
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