lunedì 6 maggio 2019

Super cervelli: il caso del potenziamento cognitivo




Negli ultimi anni si è intensificato il dibattito, in bioetica, riguardo allo human enhancement, o potenziamento umano. Stiamo parlando di interventi medici, realizzati per via farmacologica, di manipolazione genetica o tramite l'ibridazione uomo-macchina, attuati su pazienti sani. La peculiarità di tali interventi è proprio il loro fine, che non è più tradizionalmente terapeutico, bensì migliorativo.

Le tipologie, i metodi e i fini del potenziamento sono stati riordinati e classificati in uno studio del 2009, redatto da una commissione scelta dal Parlamento europeo. In particolare, attira l'attenzione il potenziamento di tipo cognitivo (cognitive enhancement). Lo scopo di un simile trattamento è ampliare e intensificare le capacità della nostra mente come la memoria, la velocità, la concentrazione e l'efficienza grazie alla stimolazione magnetica transcranica (TMS), oppure tramite l'utilizzo di farmaci, alcuni dei quali sono già in commercio con lo scopo originario di aiutare persone che soffrono di carenza di attenzione o di problemi affini.

“Nelle neuroscienze cognitive si studia quale possa essere l'effetto di certi metodi non per curare i sani, ma per curare alcuni problemi”. Questo è ciò che ci spiega Raffaella Rumiati, professoressa di neuroscienze cognitive alla SISSA di Trieste. “La TMS viene usata per curare i sintomi della schizofrenia con ottimi effetti. Poi viene usata anche per il trattamento delle afasie nella logopedia”. Questo è lo scopo originario della TMS, ma, come ricorda lo studio sull'enhancement, il suo uso sembra poter essere ampliato anche al potenziamento delle prestazioni mentali di pazienti già sani. Per quanto riguarda i farmaci, invece, ricordiamo per esempio il Ritalin, medicinale psicostimolante che nasce con lo scopo di curare il disturbo da deficit di attenzione e iperattività.

Nel momento in cui farmaci del genere vengono assunti o prescritti off label, cioè per uno scopo diverso da quello per cui sono stati pensati, ecco che perdono la loro finalità terapeutica e vengono usati, al contrario, per intensificare ulteriormente prestazioni mentali il cui funzionamento rientra già nella norma. Sembra dunque che il passaggio dal terapeutico al migliorativo stia avvenendo in questo modo, e non essendo sempre chiaro lo scopo per cui un certo farmaco viene assunto, il confine tra cura e potenziamento diventa alquanto sfumato e non sempre rintracciabile.




Tra i sostenitori del potenziamento che hanno offerto argomenti favorevoli all'uso di sostanze neurostimolanti (e all'enhancement cognitivo in generale), ricordiamo in particolare John Harris, filosofo e bioeticista inglese dell’Università di Manchester. Uno dei suoi contributi principali sull'argomento è il libro Enhancing evolution - the ethical case for making better people. Harris si appella spesso alla responsabilità di automigliorarsi come uno dei caratteri peculiari dell'essere umano (per chi volesse approfondire la questione e seguire più approfonditamente il ragionamento, può ascoltare una sua lezione qui). Se avessimo la possibilità di aiutare uno studente a ricordare il doppio delle informazioni nella metà del tempo grazie a un semplice farmaco, si chiede Harris, perché non dovremmo farlo? Le sostanze in questione, secondo la sua opinione, potrebbero idealmente portare un individuo a vivere al massimo delle sue possibilità, rendendolo davvero in grado di esprimere la sua libertà perseguendo gli obiettivi che si prefigge, superando in una certa misura i limiti naturali del suo cervello.

Tuttavia, posizioni come quella di Harris non sono universalmente accettate nell'ambito del dibattito sull'argomento. Il Comitato nazionale per la bioetica italiano (CNB) ne parla nel documento Neuroscienze e potenziamento cognitivo farmacologico: problemi bioetici del 2013, che viene ancora citato spesso come punto di riferimento per affrontare la discussione in maniera critica. Il documento, consultabile qui, raccoglie e mette in ordine i principali motivi di preoccupazione riguardo ai farmaci neurostimolanti.

Si parla, per esempio, del pericolo che si crei un divario sociale tra persone potenziate e non potenziate, tema molto caro anche alla professoressa Rumiati, la quale specifica che per quanto riguarda l'uso di farmaci o della TMS per l'enhancement cognitivo, chi si serve di questi mezzi si trova in una posizione avvantaggiata rispetto a chi non lo fa. Non tutti hanno la possibilità di sottoporsi a questi trattamenti, per motivi principalmente economici, per cui si rischia che gli effetti di tali trattamenti vadano ad allargare ulteriormente un divario economico e sociale già presente.

Non si devono sottovalutare, poi, i riferimenti a quella che potremmo definire una medicalizzazione esagerata e superflua, della quale si parla anche nel documento del CNB.

La medicalizzazione, concentrandosi sull’aspetto biologico del disagio, tende a sottovalutare, se non a disconoscere, le cause sociali e familiari/relazionali che possano essere all’origine del malessere" CNB – Neuroscienze e potenziamento cognitivo farmacologico: problemi bioetici (2013)

In una società fortemente stimolata da simili farmaci, che ruolo assumono metodi di potenziamento più “tradizionali” quali l'educazione, l'istruzione, o l'esercizio fisico e mentale? La professoressa Rumiati ci aiuta a chiarire la questione constatando che il trattamento, curativo o migliorativo che sia, senza l'accoppiamento della riabilitazione o di un insegnamento finisce nel nulla. Perciò, per quanto possa sembrare attraente l'idea di migliorare le proprie prestazioni cognitive grazie a un farmaco, bisogna tenere a mente che questo non può sostituire, ma solo essere combinato con altri metodi. Insomma, si tratta di “trattamenti sintomatici, non risolutivi; anche perché l'effetto del farmaco prima o poi finisce”.

Il CNB conclude il documento del 2013 con una posizione di cauta apertura nei confronti del potenziamento cognitivo. Non si schiera totalmente contro, ma ritiene necessaria una regolamentazione ordinata del modo in cui sostanze del genere vengono prescritte, e un maggiore impegno nella ricerca e nell'informazione riguardo ai rischi e alle conseguenze sociali di certi trattamenti.

Come ci fa notare la professoressa Rumiati, è insensato fare del moralismo o pretendere di insegnare un unico comportamento giusto. È importante, invece, che il dibattito sul tema continui, e che la società venga maggiormente informata riguardo alle possibilità, ai modi e ai rischi del consumo di farmaci neurostimolanti.

Fonte: Ilbolive


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