5G, IOT, POLVERI INTELLIGENTI, AI…Tali sistemi costituiranno la base delle guerre future ancora più disumane.
Articolo di Antonio Vecchio
Con
il termine “Offset”(1), letteralmente compensazione, si intende nella
dottrina militare USA una capacità operativa che consenta di bilanciare
un divario esistente con un competitor.
L’arma
nucleare fu considerata il “First Offset”. Durante la guerra fredda,
l’ingente disponibilità di vettori e la capacità di reazione immediata
per assicurare la Mutual Assured Distruction (MAD),
consentirono a Washington di controbilanciare il vantaggio di Mosca sul
piano delle forze schierate e in quello degli armamenti a disposizione.
Il “Second Offset” fu costituito, negli anno 80-90 del secolo scorso, dalla implementazione della Information Technology (IT),
che assicurò agli USA, nella fase multilaterale apertasi al crollo
dell’Unione Sovietica, la necessaria superiorità tecnologica per
bilanciare le minacce multiformi, gran parte delle quali di natura
asimmetrica, provenienti da attori statuali e non.
Il
disorientamento delle divisioni corazzate di Saddam all’indomani della
prima guerra del Golfo nel 1991, di fronte alle unità alleate manovriere
e in grado di agganciare più bersagli senza essere viste, ancora oggi
fornisce a studiosi e osservatori attenti la plastica rappresentazione
della superiorità tattica americana ottenuta grazie all’impiego della
IT, che in pochi giorno indirizzò gli esiti del conflitto.
Negli ultimi anni, però, nella dottrina USA si è consolidata un’ulteriore caratterizzazione del termine Offset,
legata questa volta al progressivo affermarsi in moltissimi campi di
applicazione militare della intelligenza artificiale (IA).
"Third Offset”, notoriamente,
indica oggi il complesso dei sistemi autonomi (2) di comando e
controllo (C2) dotati di IA e la rete dei sensori e degli assetti da
combattimento a questi connessi – come i droni aerei e terrestri, gli
sciami di droni, i killer robot -, in grado di svolgere anche in forma
autonoma azioni cinetiche contro il nemico.
La IA è divenuta nell’ultimo decennio il terreno di ricerca più promettente in campo militare con la Cina e gli USA che si contendono la leadership, seguiti a ruota da Russia (3) e Israele.
Essa è un “game changer”:
una tecnologia che cambierà inesorabilmente la natura della guerra, non
più archetipo di un confronto violento tra volontà (umane)
contrapposte, ma – quasi fossimo in un video gioco -, successione di
azioni, reazioni e contro-reazioni, concepite e condotte da sistemi
autonomi, con una velocità e una efferatezza impensabili, senza
l’intervento dell’uomo.
Non è la prima volta che ciò accade nella storia militare.
Era
già successo, ad esempio, con l’adozione del moschetto a canna rigata o
coll’impiego combinato di carri armati e aviazione nella seconda guerra
mondiale.
La
IA, considerata in questa prospettiva, rappresenta per gli affari
militari un punto di non ritorno, che modifica in maniera irreversibile
il modo di combattere.
Non a caso, il suo avvento è stato salutato come la settima rivoluzione militare,
dopo: l’imposizione fiscale per sostenere l’esercito, in epoca
westfaliana; la leva universale durante la rivoluzione francese; la
produzione di serie assicurata dalla rivoluzione industriale nel 1800;
l’impiego combinato e fulmineo dei carri e dell’aviazione durante le due
guerre mondiali; le bombe nucleari all’epoca della guerra fredda; e
l’avvento, infine, della Information Technology (IT) sul finire del
secolo scorso.
In ciascuno di quei frangenti, ogni novità introdusse un vantaggio competitivo pari
a quello che la IA assicura ai giorni nostri con l’introduzione di
sistemi di C2 in grado di analizzare ingenti quantità di dati sul nemico
e l’ambiente (raccolti da numerosi sensori posti sul terreno), i quali,
successivamente analizzati mediante algoritmi, si traducono in ordini
per azioni anche cinetiche, condotte da assetti senza pilota o capo
arma.
Tali
sistemi costituiranno la base della guerra futura, facilitati dalla
capacità di imparare dai propri errori grazie al “machine learning”,
ossia all’impiego di algoritmi studiati per valorizzare i dati
provenienti dall’ambiente esterno e modificare le azioni nel modo più
idoneo a assolvere il compito dato.
Il generale John Allen (4) , già comandante di ISAF e attuale presidente di Brookings Institution (5) l’ha battezzata “Iperguerra”,
soprattutto in riferimento alla velocità con la quale sarà combattuta;
in essa prevarrà un flusso istantaneo di dati situazionali, che
comporterà decisioni real time di “natura algoritmica” ben oltre le possibilità di elaborazione dell’uomo.
Al
riguardo, il dibattito in corso si concentra ancora su quale sarà il
ruolo riservato all’uomo: continuerà egli a essere centrale in tutte le
decisioni da compiere, comprese quelle ai più bassi livelli tattici (in
the loop); o si limiterà a supervisionare i processi delegando una ampia
autonomia ai sistemi di IA impegnati (on the loop)?
Al
momento, la prima opzione risulta essere quella prevalente in campo
USA, molto attenti come sono alle conseguenze di natura etica scaturenti
dalla possibilità che un qualsivoglia sistema di C2 o d’arma, in
completa autonomia di giudizio, decida di sferrare un attacco contro
umani.
Una
posizione diversa da quella di Pechino, i cui sviluppi dottrinali in
materia, probabilmente in virtù di una connaturata tendenza a
privilegiare l’accentramento del potere decisionale, propendono per
conferire ai droni e robot maggiore autonomia a partire dai livelli
ordinativi più bassi.
Ad ogni buon conto, appare ormai assodato che in un futuro non tanto lontano, droni e robot sostituiranno in parte se non del tutto, i tradizionali boots on the ground.
Si
stima che entro il 2030 circa un quarto della forza combattente USA
sarà rappresentata da sistemi autonomi capaci di svolgere una
molteplicità di missioni negli ambienti operativi più disparati (nel
2016 gli USA già schieravano 12.000 veicoli terrestri senza pilota – UGV
(6) in operazioni).
D’altronde
i sistemi “unmanned” hanno un vantaggio non da poco: sono facilmente
spendibili, e sempre più economici a causa delle produzioni di massa;
sono addestrabili e aggiornabili in tempi velocissimi: quelli necessari,
misurabili in secondi, per l’upload dei programmi che li fanno operare.
Il cloud fornisce
infatti la possibilità di addestrare all’istante un numero infinito di
combattenti robotizzati, basandosi sulla esperienze provenienti dai
combattimenti in itinere, la cui valorizzazione non dovrà più passare
per i lunghi tempi dei cicli di lezione apprese e di quelli necessari a
ricalibrare l’addestramento.
Una
eventuale perdita in azione, infine, equivarrà a quella di un mezzo che
si ferma per strada, molto lontana dal costo politico e sociale causato
dalla morte di un solo soldato.
2 Un
sistema si dice “automatizzato” quando agisce principalmente in modo
deterministico, reagendo sempre allo stesso modo quando sottoposto ai
medesimi input. Un sistema “autonomo”, invece, ragiona su base
probabilistica: ricevuta una serie di input, elabora le
migliori risposte. A differenza di quanto accade con i sistemi
automatizzati, un sistema autonomo, a parità di input, può produrre
risposte differenti. Per saperne di più: https://www.chathamhouse.org/sites/default/files/publications/research/2…
3 Il capo di Stato Maggiore della Difesa della Federazione Russa, gen. Vasilyevich Gerasimov, ha affermato nel 2013 che “Nel
prossimo futuro si può ritenere saranno schierati reparti composti
completamente da robot, in grado di svolgere attività di combattimento
in forma autonoma”.
6 Unmanned Ground Vehicles
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Defense advanced research projects agency 1958-2018
Fonte NoGeoingegneria
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