Le microplastiche sono oggi diffusissime in tutti gli oceani
del pianeta. I risultati di uno studio di recentissima pubblicazione
(Zhu et al., 2020) evidenziano il ruolo chiave dell’UV solare come
agente di alterazione dei polimeri che le compongono, con rilascio di
molecole organiche a corta catena che vanno a far parte del pool del DOC
(carbonio organico dissolto nell’acqua marina) il quale è suscettibile
di attacco da parte dei batteri e per tale ragione riveste un ruolo
essenziale nell’alimentare le catene trofiche oceaniche. Si tratta di un
dato per molti versi positivo e che ci mostra ancora una volta le
grandi doti di resilienza proprie degli ecosistemi marini. Ciò non deve
tuttavia far dimenticare che gli oceani non sono il luogo adatto per
smaltire le materie plastiche, per cui è auspicabile una sempre più
elevata attenzione alla gestione razionale e sostenibile di tali
prodotti.
AbstractMicroplastics are widespread in all the oceans of the planet. The results of a very recent study (Zhu et al., 2020) highlight the key role of solar UV as agent of alteration of the polymers that compose microplastics, with the release of short-chain organic molecules that become part of the DOC (organic carbon dissolved in sea water). The DOC pool is susceptible to attack by bacteria and for this reason plays an essential role in feeding oceanic trophic chains. This is in many ways positive and shows us once again the great resilience qualities of marine ecosystems. This should not, however, make us forget that the oceans are not the right place to dispose of plastic materials, for which it is desirable an ever higher attention to the rational and sustainable management.
Premessa
La lignina e la cellulosa, caratteristici del mondo vegetale, sono
fra i polimeri più diffusi In natura. Per tale ragione le prime materie
plastiche nacquero sfruttando direttamente tali polimeri (ad es. la
celluloide, ottenuta da Hyatt nella seconda metà dell’800 plastificando
con canfora la nitrocellulosa[1]).
Solo in un secondo tempo si giunse ad ottenere nuovi e più performanti
polimeri, per lo più derivati dal petrolio. A tale categoria appartiene
ad esempio il moplen, frutto della polimerizzazione stereospecifica del
propilene e la cui invenzione valse a Giulio Natta (1903-1979) il Nobel
per la chimica del 1963.
Se le materie plastiche hanno innumerevoli vantaggi (robustezza,
elasticità, leggerezza, costo contenuto, gradevolezza visiva, ecc.) e
hanno consentito di produrre moltissimi oggetti utili alla vita umana
(dai volanti delle automobili alle valvole cardiache, dalle confezioni
per alimenti ai materiali per gli impianti di microirrigazione o per le
serre, dal vestiario alle calzature) è altresì evidente che il destino
ambientale degli oggetti in plastica non più utili al loro scopo desta
moltissime preoccupazioni, anche in virtù del fatto che la quantità
prodotta e smaltita è in continua crescita, come dimostra la figura 1
che presenta i trend di produzione e smaltimento di materie plastiche a
livello mondiale pregressi (1950-2015) e previsti (2016-2050) (Geyer et
al., 2017). Sempre da Geyer et al (2017) sono tratti i dati con cui si è
realizzato lo schema in figura 2 che illustra la
produzione globale, l’uso e il destino delle materie plastiche (resine
polimeriche, fibre sintetiche e additivi) prodotte dal 1950 a oggi.
Figura 1 – Produzione e smaltimento plastiche a livello mondiale 1950-2015 e proiezioni fino al 2015 |
Figura 2: Produzione totale globale, uso e destino di resine polimeriche, fibre sintetiche additivi dal 1950 al 2015 in milioni di tonnellate (dati da Geyer et al., 2017). |
Per quanto riguarda i rifiuti in plastica occorre anzitutto
evidenziare che in base alla dimensione essi sono classificati in
macroplastiche (diametro > 5 mm), microplastiche (1-5000 micron) e
nano plastiche (1-100 nanometri). Da rilevare poi che tali rifiuti sono
troppo spesso smaltiti in mare ove interferiscono in modo rilevante con
la vita marina e subiscono un processo di degradazione che è a grandi
linee illustrato in figura 3. Si noti anche che in
ambiente marino i rifiuti in plastica galleggiano e si muovono con le
correnti marine di superficie, accumulandosi in aree in cui tali
correnti convergono. Una delle più importanti zone marine di accumulo è
costituita dalla North Pacific Gyre NPG (vortice del pacifico
settentrionale – figura 4) ove la plastica rilasciata dalle aree costiere asiatiche e americane[2]
giunge dopo un lunghissimo viaggio e forma caratteristiche chiazze
galleggianti ove il diametro medio dei detriti plastici è di 5,9 +/- 3.1
mm, per cui le microplastiche vi giocano un ruolo rilevantissimo.
Figura 3 – Schema di degradazione della plastica della plastica flottante negli oceani |
Figura 4 – North Pacific Gype |
La fotodegradazione delle microplastiche
Molti dei polimeri oggi in uso sono fotolabili e cioè si degradano
per effetto dell’UV solare e da ciò prende le mosse un recentissimo
lavoro (Zhu et al., 2020) che parte dall’evidenza secondo cui gli
innumerevoli frammenti di plastica che galleggiano in mare rappresentano
solo l’1% delle materie plastiche che raggiungono l’oceano ogni anno,
per domandarsi quale sia il destino ambientale della “plastica mancante”[3].
Per rispondere a tale domanda Zhu et al. hanno posto in beute
contenenti acqua di mare una serie di materiali e cioè microplastiche di
rifiuto (polietilene PE, polipropilene PP e polistirolo espanso EPS)
oltre a PE standard e a frammenti di plastica raccolti nell’NPG. Le
beute sono state poi irraggiate con un simulatore di luce solare,
evidenziando che la luce solare per effetto dell’UV frammenta, ossida e
altera il colore dei polimeri, con tassi di degradazione che dipendono
dalla chimica dei polimeri stessi, tant’è che EPS si degrada più
rapidamente di PP mentre PE si rivela il polimero più resistente
(tabella 1).
Più nello specifico gli autori hanno evidenziato che:
- la foto-degradazione è il presupposto essenziale per la degradazione delle microplastiche e ciò spiega anche perché in assenza di luce le microplastiche persistano molto più a lungo.
- La degradazione delle microplastiche porta al rilascio di metaboliti carboniosi a catena corta che vanno a far parte del pool del carbonio organico disciolto nell’acqua marina (Dissoved Organic Carbon – DOC) composto da sostanze organiche solubili a basso peso molecolare. Tale pool è rapidamente attaccato dai batteri che lo usano come fonte di carbonio.
- il pool DOC in cui confluiscono i prodotti di degradazione delle plastiche è un componente essenziale dell’ecosistema marino, essendo la principale sorgente di carbonio per i microrganismi eterotrofi che sono alla base delle catene alimentari marine.
- il pool DOC ha un contenuto totale in carbonio paragonabile a quella del pool atmosferico di CO2 e il contributo che a esso danno i prodotti di fotodegradazione delle materie plastiche è di entità modesta rispetto a quello dei prodotti di origine naturale (detriti di origine animale e vegetale)
- Il DOC derivante dalle microplastiche è biolabile al 76 ± 8% per EPS e al 59 ± 8% per PP, il che lo avvicina ai DOC di sostanze provenienti da fonti naturali come quelle naturalmente presenti nell’acqua di mare (biolabili al 40%), il fitoplancton (biolabile al 40-75%) e le acque di fusione del permafrost (biolabili al 50%). Tale caratteristica rende il DOC prodotto dalle microplastiche di EPS e PP prontamente utilizzabile dai batteri marini
- la biolabilità del DOC da PE è invece pari solo al 22 ± 4% e gli autori hanno evidenziato che il suo utilizzo avviene per il 95% ad opera di un solo ceppo batterico. Tale bioresistenza farebbe in prima battuta pensare a un’azione inibitrice della crescita microbica, magari ad opera di coformulanti presenti nel materiale.
- nel caso specifico del Pacifico Settentrionale, gran parte del processo di foto-degradazione e di produzione di DOC ha probabilmente luogo nel corso del lungo viaggio che porta la plastica dalle zone di rilascio al cuore dell’NPG.
Conclusioni
In sintesi dunque Zhu et al (2020) evidenziano che l’UV solare si
rivela efficacissimo nel dissolvere la plastica che staziona alla
superficie dell’oceano.
Ciò non toglie comunque che l’oceano, nonostante le sue enormi
capacità si autoregolazione, non possa essere considerato come un
possibile luogo di smaltimento delle materie plastiche, anche perché
macro e microplastiche possono essere ingerite dalla macrofauna marina
con danni rilevanti e possibili rischi per la stessa salute umana, come
mette in luce una pubblicazione dell’EFSA (2016) che stimola ad
approfondire le analisi fin qui condotte. Un approfondimento di indagine
è anche sollecitato da Zhu et al (2020) con riferimento al PE, per il
quale gli autori paventano il rischio che i sottoprodotti della
fotodegradazione possano incidere negativamente sull’attività microbica e
sulle catene alimentari che da essa dipendono.
Note
[1] La nitrocellulosa a sua volta prodotta facendo agire acido nitrico e acido solforico su cotone idrofilo
[2]
In media occorrono ad esempio 8 anni perché microplastiche rilasciate a
Shangai raggiungano la zona di convergenza dell’NPG mostrata in figura 2
[3]
Su tale destino in passato si sono fatte molte ipotesi fra cui il
consumo da parte degli organismi marini, l’aggregazione con detriti
organici con successivo affondamento, la deposizione in località remote
non monitorate o ancora la degradazione a dare piccole particelle o
soluti che superanno le reti da 335 μm utilizzate per campionare e
microplastiche marine.
Bibliografia
- EFSA, 2016. Presence of microplastics and nanoplastics in food, with particular focus on seafood EFSA Panel on Contaminants in the Food Chain (CONTAM), EFSA journal, 11 maggio 2016, doi: 10.2903/j.efsa.2016.4501
- Geyer R., Jambeck J.R., Law K.L., 2017. Production, use, and fate of all plastics ever made, 3(7), e1700782. 3 Science Advances, DOI: 10.1126/sciadv.1700782
- WUWT, 2019. Simulated sunlight reveals how 98% of plastics at sea go missing each year, https://wattsupwiththat.com/2019/11/08/simulated-sunlight-reveals-how-98-of-plastics-at-sea-go-missing-each-year/
- Zhu L., Zhao S., Bittar T.B., Stubbins A., Li D., 2020. Photochemical dissolution of buoyant microplastics to dissolved organic carbon: Rates and microbial impacts, Journal of Hazardous Materials 383, (2020), 121065
Fonte: ClimateMonitor
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