Nell’autunno più “old-style” che si ricordi in Italia da lustri a
questa parte, ovvero ricco di precipitazioni e di associati episodi di
dissesto idro-geologico, endemici per un territorio fragile come quello
italiano, era solo questione di tempo prima che il Rescue Team tirasse fuori tutto il suo armamemtario clima-catastrofista. Parliamo qui della declinazione della narrativa nella modalità “fenomeni estremi”. Categoria in cui ovviamente ricade il recente episodio di acqua alta record a Venezia.
Immediatamente si è levato infatti il grido di dolore del clima che
si sfascia sotto i nostri occhi. Timidamente qualcuno ha fatto notare
che rimane imbattuto l’evento del 1966 passato alla storia come “Acqua
Granda”. Ma poco importa: i record si usano solo quando fanno comodo.
Infatti Repubblica sentenzia: “di
fronte a ciò che sta accadendo, con Venezia sommersa da quasi 2 metri
d’acqua, nemmeno i negazionisti più accaniti possono far finta di non
vedere gli effetti dei cambiamenti climatici, o fare spallucce con la
tranquillizzante vulgata secondo cui nel passsato “era già successo”. Capito l’antifona? Se è già successo in passato, chissenefrega, questa volta sappiate che è colpa del Climate Change, mentre prima no. E se non siete d’accordo, allora siete negazionisti.
Amarcord
A dispetto delle ridicole invettive di Repubblica e dei suoi fratelli, vale proprio la pena buttare un occhio a quel 1966
per assaporare il contesto in cui quell’alluvione avvenne. A questo
scopo può essere interessante leggere il resoconto che ne fa il Sole 24 Ore
nel quale, pur pagando il solito tributo ai cambiamenti climatici, si
ricorda come in quel periodo si vedesse in eventi record come l’Acqua
Granda il segno di una imminente glaciazione. Ebbene sì, perché la scienza climatica “consolidata”
di allora, dava per probabile proprio l’avvento di una glaciazione a
seguito di una serie di anni particolarmente rigidi (ricordiamo per
l’Italia gli inverni del 1956 e del 1963). Dimentichi, evidentemente,
degli eventi caldi occorsi negli anni ’30. Ché la memoria storica in fatto di clima tende ad essere estremamente breve per l’essere umano.
A proposito di memoria corta, una chiave di lettura meno scalcagnata
del fenomeno ce la offriva qualche anno fa proprio Repubblica, che nel
2013 in un articolo intitolato “Venezia Affonda (…)” spiegava come la città si abbassasse per effetto della subsidenza: Venezia è stata costruita su isole create gettando sabbia e terra nel mare, e l’assestamento di questo fondo morbido è la “causa principale dell’abbassamento naturale (della città)”. Abbassamento che nell’ultimo secolo è stato di ben 25 centimetri:
una enormità che falsa alla radice qualsiasi esercizio di confronto
brutale tra i livelli delle acque alte registrate nella serie storica.
Subsidenza, chi era costei?
Pare proprio che dalle parti di Repubblica
insieme a qualche centinaio di migliaia di lettori abbiano perso per
strada anche la memoria degli articoli e delle battaglie del passato.
Perché una quindicina d’anni fa il tema della subsidenza andava assai di moda nei circuiti ambientalisti:
proprio nel nome della subsidenza partì infatti una campagna di
opinione violentissima contro le perforazioni petrolifere in alto
Adriatico, ovvero quello che è il più ricco bacino di idrocarburi
gassosi in Italia. Campagna che innescò a sua volta indagini penali col
gravissimo capo di imputazione di disastro ambientale, che portarono al
blocco dell’attività estrattiva. Fu proprio allora che partì la
gigantesca opera di demonizzazione mediatica dello sviluppo delle risorse minerarie nazionali, opera
conclusasi brillantemente con la distruzione dell’intera filiera
industriale dell’industria estrattiva italiana, con perdite di migliaia
di posti di lavoro e di know-how associato.
Vale la pena ricordare che le accuse in questione si sono rivelate una bolla di sapone, soltanto anni dopo, quando le indagini penali furono chiuse con l’unica spiegazione possibile: ovvero che la subsidenza della costa adriatica con l’attività petrolifera non c’entrava un piffero. Preponderanti erano altri fattori, in particolare quelli legati allo sfruttamento delle falde acquifere. Ma era troppo tardi, perché la valanga ambientalista aveva già ottenuto il suo scopo:
lasciare in Adriatico le stesse risorse minerarie che i nostri vicini
di casa potranno estrarre e venderci a loro volta, facendo profitto
(loro) e scaricando addosso a noi tutti gli eventuali rischi associati.
Una replica perfetta dell’altro capolavoro fatto anni prima con
l’energia nucleare.
Caccia al colpevole
Se proprio si vuole cercare un colpevole per l’acqua alta di oggi, rimaniamo quindi con due possibilità: prendercela con chi ha costruito Venezia (in linea con l’attuale narrativa green che vuole questo Pianeta migliore senza la presenza umana tout court), oppure col mancato completamento del Mose: l’opera
che avrebbe dovuto mettere in sicurezza la città lagunare già 5 anni
fa, e che invece è rimasta inceppata per anni nell’intrico infernale di
italici tormenti burocratici e giudiziari che si manifestano ogni qual
volta si prova ad aprire un cantiere, e a finire il lavoro.
Resta un fatto, ovvero che l’acqua alta di Venezia ci ha offerto uno spunto per mettere assieme le tessere di un puzzle:
– Un Paese fragile dal punto di vista idro-geologico che si affida alla buona stella ogni volta che il tempo volge al brutto.– Il solito intrico di burocrazia, malaffare, inchieste giudiziarie, inefficienza che rende qualsiasi progetto di sviluppo irrealizzabile se non a costo di sforzi disumani. Ma che funziona invece molto bene ogni qual volta si decide di uccidere una eccellenza industriale italiana.– Un ambientalismo cieco e autoreferenziale che annienta l’attività economica e sparge miseria a piene mani servendosi di cause scientificamente infondate.– Una cronaca giornalistica miserevole, che accusando il global warming di ogni nefandezza rende sicuramente un servizio gradito a chi intende speculare sul clima-catastrofismo, ma offre un servizio pessimo ai pochi lettori rimasti, nascondendo le vere cause di quello che accade attorno a noi, e anteponendo la propaganda a qualsiasi esercizio serio di analisi.
Non è un’istantanea tra le tante sull’acqua alta di Venezia, questa. Quanto piuttosto il puzzle di un intero Paese che affonda.
Fonte: ClimateMonitor
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