Di Luigi Mariani e Franco Zavatti
Il Nord Italia è per sua natura esposto ad eventi pluviometrici
estremi che per la loro intensità, estensione areale e persistenza nel
tempo sono in grado di dar luogo a piene rovinose del Po o dei relativi
sottobacini di primo ordine (Tanaro, Ticino, Adda, ecc.) e di secondo
ordine (nomi ai più sconosciuti come Rabbiosa, Febbraro, Aveto e tanti
altri). Al riguardo ricordiamo che:
- Con una certa frequenza irrompono sul Mediterraneo le maggiori ondulazioni del flusso perturbato atlantico in forma di grandi saccature, che sul nostro mare trovano un enorme alimento energetico in forma di aria umida. Da questo derivano le grandi alluvioni perché tali strutture si muovono con molta lentezza, essendo spesso “bloccate” da anticicloni che persistono nella parte orientale del bacino del Mediterraneo.
- Quando il flusso atlantico meno ondulato interessa il Nord Italia è relativamente frequente assistere all’innesco spesso di una caratteristica ciclogenesi di sottovento alle Alpi, con formazione di una depressione su Golfo di Genova – Alto Tirreno (il che vuol dire che tale depressione può alimentarsi di energia dal mare, in un Golfo la cui forma arcuata si presta a uno sviluppo “esplosivo”). Non a caso il Golfo di Genova è la zona ciclogenetica principale del mediterraneo. Il “Genoa cyclone” (così è chiamato nella bibliografia scientifica internazionale – http://glossary.ametsoc.org/wiki/Genoa_cyclone) presenta poi traiettorie che interessano spesso la Val padana, con piogge abbondanti e a volte estreme (spesso non sono le grandi alluvioni del Po come nel caso b ma alluvioni limitate a sottobacini).
A tale riguardo sulla rivista scientifica Environmetnal Research
Communicatons è uscito l’articolo di Nazzareno Diodato, Fredrik
Charpentier Ljungqvist and Gianni Bellocchi dal titolo “Monthly
storminess over the Po River Basin during the past millennium (800 –
2018 CE)” – Environ. Res. Commun. 2 ( 2020 ) 031004, liberamente
scaricabile dal sito https://iopscience.iop.org/article/10.1088/2515-7620/ab7ee9
In sostanza gli autori hanno effettuato un data mining sui dati
presenti in Google books giungendo in tal modo a individuare 1000
eventi alluvionali che nel periodo compreso fra l’Alto medioevo
(800d.C.) ad oggi (2018) hanno colpito il bacino padano. Gli eventi sono
classificati come 0 (normal) , 1 (stormy) , 2 (very stormy) , 3 (
great stormy) e 4 (extraordinary stormy). Da ciò si deduce la presenza
di 387 eventi alluvionali estremi nel periodo d’indagine.
Analizzando tali dati gli autori stabiliscono in sostanza che nei
periodi a bassa attività solare la storminess è più elevata che in
quelli a alta attività solare contestando con ciò l’ipotesi legata
all’equazione di Clausius Clapeyron per cui freddo=secco, il che
conferma in sostanza quanto affermato da un sempre più rilevante numero
di lavori (Diodato et al., 2019, Glaser et al., 2010, Wirth eyt al.,
2013, Wilhelm et al., 2012, Yiou et al., 2006).
La cosa buona che cogliamo nell’articolo è che a differenza di quanto
accade in altri articoli scientifici di settore il ragionamento non si
sviluppa a partire da ipotesi preconcette ma viceversa si guardano i
dati e se ne deducono delle conseguenze. Ciò detto vogliamo rilevare che
leggendo il lavoro ci sono sorti alcuni dubbi che qui di seguito
elenchiamo perché possono a nostro avviso tradursi in nuove opportunità
di ricerca.
Anzitutto gli autori non considerano la teoria di Shaviv e Svensmank
(Svensmark et al, 2017) secondo la quale nelle fasi a bassa attività
solare vi sarebbe maggior presenza di raggi cosmici galattici (Glactic
Cosmic Rays o GCR) in atmosfera, che quando il sole è molto attivo sono
deviati dal vento solare. Ciò avrebbe un effetto sulla pluviometria in
quanto i GCR dovrebbero stimolare la nucleazione nelle nubi con
formazione di pioggia.
Un ulteriore legame da indagare potrebbe essere quello fra eventi
pluviometrici e il ciclo nodale della Luna, che in più occasioni si
ritrova nelle periodicità delle precipitazioni, vedere ad esempio
Agosta, 2014, o, su CM, un articolo sulle piogge nei bacini di 15 fiumi inglesi
di qualche giorno fa, e la cui ragione fisica risiede a nostro avviso
nel fatto che la Terra è soggetta ad effetti mareali indotti dal nostro
satellite. La serie di Diodato et al, 2020 mostra, nello spettro dei
dati annuali, il massimo a 18.6 anni del ciclo nodale lunare.
Dobbiamo infine rilevare che poiché nel lavoro si copre un periodo
molto lungo sarebbe stato a nostro avviso auspicabile in sede di
materiale accessorio riportare l’elenco completo delle fonti documentali
utilizzate.
Concludiamo segnalando ai lettori che l’articolo merita sicuramente di essere letto e discusso.
Bibliografia
- Agosta E. 2014 The 18.6-year nodal tidal cycle and the bi-decadal precipitation oscillation over the plains to the east of subtropical Andes, South America, Int. J. Climatol., 34, 1606-1614
- Diodato N, Ljungqvist F C and Bellocchi G 2019 A millennium-long reconstruction of damaging hydrological events across Italy Sci. Rep. 9 9963
- Glaser R. et al., 2010. The variability of European floods since AD 1500, Climatic Change (2010) 101:235–256, DOI 10.1007/s10584-010-9816-7
- Svensmark H., Enghoff M. B., Shaviv N. J. & Svensmark J., 2017. Increased ionization supports growth of aerosols into cloud condensation nuclei, Nature Communications volume 8, Article number: 2199
- Wirth S.B., Glur L., Gilli A., Anselmetti F.S., 2013. Holocene flood frequency across the Central Alps – solar forcing and evidence for variations in North Atlantic atmospheric circulation, Quaternary science reviews, 80(2013), 112-128.
- Wilhelm, B., Arnaud, F., Sabatier, P., Crouzet, C., Brisset, E., Chaumillon, E., Disnar, J.-R., Guiter, F., Malet, E., Reyss, J.-L., Tachikawa, K., Bard, E. and Delannoy, J.-J. 2012. 1400 years of extreme precipitation patterns over the Mediterranean French Alps and possible forcing mechanisms. Quaternary Research 78: 1-12.
- Yiou P., Ribereau P., Naveau P., Nogaj M., Brázdil R., 2006. Statistical analysis of floods in Bohemia (Czech Republic) since 1825, Hydrological Sciences Journal, 51:5, 930-945, DOI: 10.1623/hysj.51.5.930
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