domenica 26 aprile 2020

Raggi cosmici, uomini e nuvole




By Donato Barone on Mag 31, 2016

Da anni gli scienziati discutono circa l’influenza dei raggi cosmici sul processo di nucleazione, ovvero sulla parte iniziale della catena di eventi che porta alla formazione delle nuvole. Secondo la teoria corrente il processo di nucleazione è fortemente legato alla presenza atmosferica di acido solforico stabilizzato da tutta una serie di molecole organiche come le ammine, o inorganiche come l’ammoniaca. Si presume, infatti, che in assenza di tale composto chimico il processo di nucleazione non possa avvenire. Appare scontato, pertanto, che variando la concentrazione di acido solforico in atmosfera, deve variare anche il tasso di nucleazione e, quindi, la copertura nuvolosa del pianeta.

Il gruppo guidato da J. Kirkby, impegnato nell’esperimento CLOUD presso il CERN di Ginevra, ha pubblicato su Nature uno studio (da ora Kirkby et al., 2016) in cui questa teoria viene messa in crisi: il processo di nucleazione può avvenire anche in assenza di acido solforico ed è fortemente influenzato dai raggi cosmici.


Gli autori hanno ricreato in una camera particolare le condizioni in cui si generano i nuclei di condensazione delle nuvole ed hanno potuto constatare che anche in assenza di acido solforico, possono generarsi nuclei di condensazione a partire dalla nucleazione di vapori atmosferici relativamente ricchi di molecole di origine organica come, ad esempio, il cosiddetto α-pinene o monoterpene che di tali composti è quello più abbondante.

Si tratta di un composto chimico che viene generato dalle foreste e che si concentra nella fascia atmosferica in cui avviene la nucleazione e, successivamente, la formazione dei nuclei di condensazione. Le molecole di α-pinene da sole non sono assolutamente in grado di giustificare quantitativamente il processo di nucleazione, ma le cose cambiano quando ci si trova in presenza di ioni, ovvero di particelle elettricamente cariche di origine cosmica. Tali particelle che costituiscono i cosiddetti raggi cosmici galattici (GCR), sono in grado di modificare profondamente la velocità di nucleazione: i risultati sperimentali dimostrano che tale velocità aumenta di uno o due ordini di grandezza in presenza di ioni rispetto ad una situazione neutra, cioè in assenza di particelle elettricamente cariche.  La cosa si giustifica, da un punto di vista fisico, con la maggiore velocità di interazione tra le particelle cariche ed i composti volatili rispetto a quella tra particelle neutre e composti volatili. Detto in altri termini i raggi cosmici svolgono per i composti volatili biogeni lo stesso ruolo stabilizzante che le ammine svolgono per l’acido solforico.  Questo accade, però, solo se le particelle di origine biologica sono presenti in concentrazioni inferiori ad una certa soglia: quando la soglia viene superata la nucleazione neutra e quella ionica coincidono.

I risultati di questo studio mettono in discussione buona parte dei risultati ottenuti dalla scienza del clima in quanto ridimensionano l’influenza antropica sui cambiamenti climatici. Oggi si è dell’avviso che la concentrazione atmosferica di acido solforico è il principale fattore che determina la quantità di nuclei di condensazione e che gli ioni siano un fattore secondario del processo di nucleazione. In epoca industriale gli esseri umani hanno immesso in atmosfera immense quantità di inquinanti tra cui acido solforico. La concentrazione di questo composto è fortemente aumentata dopo l’avvio dell’era industriale e le piogge acide che hanno arrecato danni anche gravi alle foreste del nord-emisfero nel corso del 19° e, soprattutto, 20° secolo, ne sono una prova evidente. L’influenza antropica appare quindi evidente. Secondo i risultati di Kirkby tale influenza deve essere ridimensionata in quanto gli attuali modelli che spiegano la formazione delle nubi non tengono nel giusto conto il peso degli ioni. Secondo le stime di Kirkby et al, 2016 la capacità di nucleazione dei composti volatili biogeni è confrontabile con quella dell’acido solforico. Questo a patto che le molecole di origine biologica siano stabilizzate dai raggi cosmici. Poiché questi ultimi vengono modulati dall’attività solare appare evidente il ruolo del Sole nel determinare il clima terrestre in modo indipendente dal valore della TSI (Total Solar Irradiance).

Il meccanismo illustrato è in grado di giustificare la nucleosintesi anche in aree caratterizzate da basse concentrazioni di acido solforico come, per esempio, l’atmosfera al di sopra della foresta amazzonica. Alla luce dei risultati sperimentali sembrerebbe che i modelli climatici sottostimino la copertura nuvolosa in epoca pre-industriale in quanto l’atmosfera di quel periodo storico viene considerata “incontaminata”. Secondo Kirkby et al., 2016 la copertura nuvolosa in epoca pre-industriale non doveva essere molto diversa da quella attuale per cui l’effetto albedo connesso alle nuvole della Terra pre-industriale non era molto diverso da quello attuale.

Secondo la vulgata comune poiché in tale epoca la temperatura globale era inferiore a quella attuale anche in presenza di un albedo minore, il forzante radiativo antropico assume valori molto alti. Ciò non appare congruente, però, con i risultati di Kirkby et al., 2016 in quanto, rendendo confrontabile l’albedo pre-industriale con quello attuale,  la componente positiva del forzante radiativo di origine antropica ne risulta ridotta.

Tale fatto si comprende meglio se si considera che la variazione della temperatura globale terrestre è esprimibile mediante la seguente relazione 1

dTs = a dF                         (1)

in cui
  • dTs è la variazione di temperatura in un dato periodo,
  • a  è la sensibilità climatica
  • dF è la variazione del forzante radiativo globale o totale.
La variazione della temperatura globale nel periodo compreso tra il 1750 ed i giorni nostri è stata oggetto di stima da parte dei climatologi sulla base di dati di prossimità e di serie di misurazioni opportunamente omogeneizzate e, quindi, rappresenta un dato del problema. Gli altri due parametri che compaiono nella formula sono oggetto di discussione nell’ambito della comunità scientifica e nel mondo che gira intorno ad essa (questo blog, per esempio). La sensibilità climatica, di cui mi sono occupato da poco in un altro post pubblicato su CM, si considera un valore costante e viene determinato principalmente come output dei modelli matematici di simulazione del clima. Il forzante radiativo viene stimato dai ricercatori sulla base di considerazioni fisiche che coinvolgono l’equilibrio radiativo terrestre. Sulla scorta dei dati dell’esperimento ERBS, opportunamente corretti per tener conto delle fluttuazioni cui il forzante è soggetto, esso è pari a circa 2,1 Wm-2.

Il forzante radiativo nell’ipotesi del cambiamento climatico di origine antropica è quasi esclusivamente dovuto alle azioni dell’uomo ed è costituito da due componenti: una componente positiva o “riscaldante” ed una componente negativa o “raffreddante”. Nella prima dobbiamo inserire il forzante radiativo legato ai gas serra come la CO2 o il colore scuro della superficie terrestre; nella seconda possiamo inserire l’albedo (delle nuvole o dei ghiacciai)  e l’effetto schermante degli aerosol. Secondo IPCC (AR5, S.P.M. pag. 17) il forzante radiativo totale di origine antropica per il 2011 rispetto al 1750 è 2,29 [1,13-3,33] Wm-2, quindi di poco diverso dal valore misurato. Sempre dalla stessa fonte si individua la componente  negativa del forzante radiativo dell’effetto totale degli aerosol in atmosfera, che include anche le alterazioni delle nuvole causate dagli aerosol: essa è di -0,9 [da -1,9 a -0,1] Wm-2. Dai dati precedenti si vede che la componente negativa del forzante radiativo è aumentata (in valore assoluto) di quasi 1 Wm-2 rispetto al 1750. Sulla scorta dei risultati di Kirby et al., 2016 la componente negativa del forzante radiativo deve essere rivista al ribasso (in valore assoluto). Ciò comporta che il forzante radiativo totale aumenta e qui cominciano i problemi.

Tenendo presente l’equazione (1)  ed in particolare il 2° membro, si vede che in presenza di un aumento della variazione del forzante radiativo deve diminuire la sensibilità climatica. Se consideriamo costante la sensibilità climatica deve diminuire, invece, il forzante radiativo. Detto in altri termini devono essere ridotte le componenti positive che lo determinano. In entrambi i casi un bel grattacapo.

Tutto questo sulla scorta di un esperimento condotto in una camera opportunamente strumentata e con atmosfera molto particolare. Nella realtà le cose sono piuttosto diverse dalle asettiche condizioni sperimentali del CERN, per cui Kirkby et al., 2016 è del parere che i risultati sperimentali devono essere suffragati da indagini in sito per verificarne la bontà. Gli autori suggeriscono anche una possibile soluzione del problema: indagare le aree caratterizzate da bassissime concentrazioni di acido solforico ed altri inquinanti come le foreste amazzoniche e quelle delle alte latitudini.

Sembra che qualcuno lo abbia fatto e, in buona sostanza, abbia confermato le conclusioni di Kirkby et al., 2016.

Questa è, però, un’altra storia.


Nota.
(1) – G. Maracchi – I cambiamenti del clima e gli eventi estremi: prospettive. In: Cambiamenti climatici e sviluppo sostenibile – G.F. Cartei (a cura di) – G. Giappichelli Editore Torino – 2013



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