giovedì 26 settembre 2019

Continua la caccia al neutrino di Majorana



neutrino
(immagine: Getty Images)

 

Continua la caccia al neutrino di Majorana

 

Ancora risultati incoraggianti dall’esperimento Gerda, in corso ai Laboratori Nazionali del Gran Sasso: potremmo essere più vicini all’individuazione del neutrino di Majorana, una delle particelle più sfuggenti al mondo





Esiste? Non esiste? E se esiste, com’è fatto? Domande alle quali, al momento, ancora non abbiamo trovato una risposta. Ma, a piccoli passi, con tanta pazienza, sembra che finalmente procediamo nella direzione giusta. L’oggetto delle questioni è un’entità più che ineffabile: i fisici la chiamano neutrino di Majorana. Una particella teorizzata dal fisico catanese, mai osservata sperimentalmente e che – qualora esistesse per davvero – dovrebbe coincidere con la propria antiparticella. Il motivo di una ricerca così affannosa è presto detto: individuare e caratterizzare il neutrino di Majorana aiuterebbe a far luce su uno dei più grandi misteri della fisica moderna, ovvero la cosiddetta asimmetria tra materia e antimateria – il fatto che nell’Universo si osserva più materia che antimateria (il che è un bene per noialtri, perché le due entità, se fossero presenti in pari quantità, si annichilerebbero completamente a vicenda).  È per questo motivo che diversi esperimenti in tutto il mondo – Gerda, Cuore, Nemo-3 e tanti altri – continuano a bombardare isotopi di germanio, tellurio e altri elementi in attesa di osservare un evento di decadimento direttamente riconducibile all’esistenza del neutrino. Al momento, i risultati non sono in alcun modo conclusivi: gli scienziati sono riusciti a migliorare significativamente potenza, sensibilità e precisione degli apparati sperimentali ma del neutrino ancora nessuna traccia. E non c’è modo, almeno finora, di capire se l’evento è talmente raro e sfuggente da avere poche speranze di osservarlo in tempo ragionevole e con la tecnologia che abbiamo a disposizione o se, più semplicemente, stiamo cercando qualcosa che non esiste.


Ripasso di fisica. Stando a quello che sappiamo finora, tutte le particelle elementari, e le loro mutue interazioni, sono descritte e regolate dalle leggi del cosiddetto Modello standard, una teoria che ha superato con successo innumerevoli prove sperimentali. Un modello corretto, dunque, ma incompleto, nel senso che le sue equazioni non riescono a giustificare l’asimmetria tra materia e antimateria. Una possibile spiegazione del fenomeno, fornita da diverse estensioni del Modello Standard, prevede che i neutrini siano particelle di Majorana, ovvero che coincidano con la propria antiparticella. In altre parole, che neutrino e antineutrino siano la stessa cosa. Excursus nell’excursus: i neutrini sono entità con massa molto piccola – fino a non molto tempo fa pensavamo addirittura che non avessero massa – e carica elettrica neutra; per di più, interagiscono molto poco con la materia, ragion per cui sono estremamente difficili da studiare e individuare. Cionondimeno sono di estremo interesse per i fisici, dal momento che giocano un ruolo centrale nel funzionamento delle stelle, nell’esplosione delle supernovae e nella formazione degli elementi durante il Big Bang.


Se cercare i neutrini è già di per sé così difficile, capire se sono o meno una particella di Majorana lo è ancora di più. Per provare a osservarlo, i fisici vanno a caccia di un particolare tipo di decadimento radioattivo, il cosiddetto decadimento β doppio senza neutrini (neutrinoless double-β decay, o 0νββ). Si tratta di una reazione in cui due neutroni all’interno di un nucleo atomico decadono simultaneamente in due protoni e due elettroni senza rilasciare alcun neutrino: la misura dell’energia dei due elettroni, spiegano all’Infn, costituisce la firma principale del β doppio senza neutrini. In altre parole, osservare il decadimento implicherebbe, indirettamente, l’esistenza del neutrino di Majorana. “L’osservazione di un eventuale neutrino di Majorana”, ci aveva spiegato Antonio Polosa, fisico teorico della Sapienza università di Roma, “sarebbe di importanza capitale per la fisica moderna. Da quando infatti si è scoperto che il neutrino è una particella massiva, e non senza massa come ritenuto in precedenza, il fatto che il neutrino possa coincidere con la propria antiparticella gioca un ruolo centrale nella teoria della supersimmetria, una teoria fisica secondo la quale ogni bosone avrebbe un corrispondente fermione simmetrico e viceversa (bosoni e fermioni sono le due classi in cui sono divise tutte le particelle elementari in base al valore dello spin).


L’ultima notizia, in ordine di tempo, è che gli scienziati dell’esperimento Gerda (GERmanium Detector Array), in corso ai Laboratori Nazionali del Gran Sasso dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Lngs-Infn), che si occupano per l’appunto della ricerca del neutrino di Majorana, sono appena riusciti a raggiungere un nuovo record di sensibilità del rivelatore, il che potrebbe auspicabilmente rendere più vicina l’individuazione della particella. I dettagli della ricerca sono stati pubblicati su Science. Gerda è un esperimento allestito sotto le migliaia di metri cubi di roccia del Gran Sasso, che fungono da schermo naturale per i raggi cosmici, le particelle energetiche provenienti dallo Spazio che creerebbero disturbi al rivelatore. “Quando si cercano eventi rarissimi come il decadimento senza neutrini”, ci racconta Riccardo Brugnera, ricercatore Infn, professore all’Università di Padova e spokeperson di Gerda, “il nemico è il rumore di fondo, ovvero tutti i segnali esterni che possono coprire quello cercato. Per abbattere il più possibile il rumore di fondo si combinano tre approcci: il posizionamento del rivelatore in un luogo il più possibile schermato dai raggi cosmici [sotto la roccia del Gran Sasso, in questo caso, nda], l’uso di un materiale più puro possibile e un insieme di tecniche di analisi statistica che filtrano matematicamente il rumore”. L’esperimento è costituito da diversi cilindri di un isotopo del germanio (l’isotopo 76, l’unico che almeno teoricamente potrebbe generare un decadimento doppio beta) immersi in un criostato che contiene 63 metri cubi di argon liquido tenuto a una temperatura di -190 °C. Il criostato è a sua volta immerso in un contenitore riempito con 590 metri cubi di acqua ultrapura: l’argon e l’acqua sono privi di contaminazioni e agiscono come ulteriori schermi contro la radiazione naturale proveniente dall’ambiente esterno. Due anni fa i responsabili di Gerda erano riusciti a minimizzare il rumore di fondo: l’esperimento, al momento attuale, è quello con minor rumore di fondo tra tutti quelli che cercano di vedere il decadimento senza neutrini. “Con l’abbattimento degli eventi di fondo ai livelli che siamo riusciti a raggiungere”, dice ancora Brugnera, “Gerda si è posto nelle condizioni ottimali per poter rivelare il decadimento senza neutrini. Oggi abbiamo fatto un ulteriore passo avanti, migliorando significativamente la sensibilità dello strumento. Siamo arrivati a una sensibilità per il tempo di dimezzamento del germanio (cioè il tempo che deve trascorrere affinché la metà dei nuclei dia luogo al decadimento) di oltre 1026 anni, di gran lunga superiore all’età dell’Universo.


Di per sé, sapere che per osservare un decadimento senza neutrini bisogna aspettare un’età superiore a quella dell’Universo sembrerebbe una notizia non troppo confortante. Ma non è così: “Il fatto che siamo riusciti a raggiungere questa sensibilità”, conclude Brugnera, “ci aiuterà a progettare esperimenti più efficienti. Dal momento che l’evento che cerchiamo è così raro, per aumentare le probabilità di osservarlo non resta altro da fare che aumentare la massa del germanio: più atomi ci sono, più è probabile che avvenga il decadimento. E infatti Gerda terminerà la sua presa dati alla fine di quest’anno e sarà sostituito da un nuovo apparato, Legend-200, basato sugli stessi principi ma con un numero 5 volte superiore di rivelatori e un fondo previsto 5 volte inferiore. Legend-200 migliorerà così di un fattore 10 la sensibilità record di Gerda”.

Fonte:  Wired


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Il motivo per il quale ho condiviso questo articolo di Wired è perché mi ha colpito questa frase all'inizio.
«Una particella teorizzata dal fisico catanese, mai osservata sperimentalmente e che – qualora esistesse per davvero – dovrebbe coincidere con la propria antiparticella.»

Ma tenete presente che è una mia associazione di idee e che non necessariamente deve esere associata all'articolo di cui sopra.


Corrado Malanga, qualche anno addietro ha teorizzato la stessa cosa e l'ha chiamato EVIDEON. È una corposa ricerca che spazia dalla fisica classica alla fisica quantistica ma che include anche concetti filosofici, sulla nostra mente e l'anima; sulla consapevolezza del sé e dello spazio circostante, che comprende l'intero universo, alieni inclusi.

L’idea dello specchio.
Se noi siamo i creatori di questo universo virtuale e mutevole a seconda delle nostre stesse esigenze, noi stessi, avevamo creato le situazioni in cui gli alieni venivano ed interferivano con noi. La scelta di accettare questa interferenza era dunque la nostra, anche se noi eravamo apparentemente inconsapevoli di aver creato questa evidenza.
In parole povere noi avevamo creato l’opportunità di essere interferiti dall’alieno perché questa opportunità dava la possibilità alla nostra coscienza di fare una esperienza e di acquisire consapevolezza di sé.
Infatti l’alieno serve a noi come specchio di noi stessi e del nostro problema.
L’alieno serve a farci prendere coscienza della nostra realtà di anima, mente e spirito: serve a farci comprendere che noi siamo la creazione e farci ricordare chi siamo e perché siamo qui. Analogamente noi serviamo all’alieno come specchio di sé stesso. Noi ricordiamo ogni giorno all’alieno che egli sbaglia percorso di evoluzione, volendo prendere la nostra esperienza e non volendo affrontare la sua. L’alieno vuole crescere e divenire completo usando l’esperienza di altri, per paura di soffrire nel proporsi egli stesso in prima persona, di fronte alla esperienza stessa, che appare insopportabile e dolorosa.
L’alieno non comprende e lotta da migliaia di anni, contro la nostra resistenza a farci usare da lui, che, alla fine,, si vede costretto ad ammettere la sconfitta.
Nell’istante in cui noi comprendiamo a cosa ci è servito l’alieno, ecco che egli comprende che ha sbagliato percorso. I due eventi accadono in un unico momento poiché, nella virtualità di Bohm, l’universo non locale, prevede che il tempo non esista.
In un universo in cui il tempo non esiste, non esiste separazione tra causa ed effetto, che divengono la stessa cosa poiché sovrapposti.
Il fenomeno fisico non è più misurato dalle macchine ma dall’operatore, che sta dietro le macchine e soprattutto misurato dalla propria coscienza, che prende consapevolezza del fenomeno che lei stessa sta creando. Esperimenti di termodinamica quantistica, mostrano come i risultati delle apparecchiature di misura, si modificano sostanzialmente se l’esperimento viene fatto in presenza od in assenza di un osservatore. La dualità tra onda e particella viene distrutta nell’istante in cui si dimostra che una particella subatomica, come un fotone, può apparirmi onda o particella semplicemente perché nel primo caso non manifesto consapevolezza del suo essere, sebbene sappia che essa esiste. Nel secondo caso invece la particella è per l’osservatore perfettamente identificata, cioè se ne ha completa consapevolezza.
Gli esperimenti di fisica, i cui risultati sono difficilmente criticabili, vengono così reinterpretati sulla base dell’osservatore che usa, come strumento più o meno raffinato, la sua stessa consapevolezza.
Così, se io non ho consapevolezza del fenomeno, qualunque esso sia, esso si presenterà come un fenomeno ondulatorio la cui forma sarà messa in relazione alla probabilità che io possa comprendere come è fatto. Quando l’onda sferica, che ne rappresenta la probabilità di identificazione, diventa sempre più piccola, fino a divenire un punto, la probabilità di identificare il fenomeno con chiarezza, aumenterà. In parole povere, io posso credere che un fotone sia misurabile nello spazio, nel tempo e nell’energia, solo se esso mi colpirà, cioè se interferirà con la mia coscienza. Altrimenti la mia coscienza, sarà consapevole dell’esistenza del fotone ma non saprà localizzarlo nella virtualità ed esso mi apparirà come un’onda spalmata in tutto lo spazio-tempo.








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