martedì 10 dicembre 2019

COP 25: chiusi i tavoli tecnici, la parola passa alla politica




La prima settimana della COP 25 si è conclusa. Tralasciando gli aspetti di colore (sessione inaugurale, eventi collaterali, sfilate per le vie di Madrid, Greta Thunberg et similia) che incidono poco o niente sulla sostanza delle trattative in corso, è opportuno fare una bilancio di questa prima settimana di lavoro. Contrariamente a quanto mi aspettassi, le notizie vere sono giunte nella giornata di sabato e, precisamente, tra sabato pomeriggio e sabato sera.

Sono state pubblicate, infatti, le prime bozze dei documenti su cui si gioca il destino di questa Conferenza delle Parti. Mi riferisco ai documenti elaborati dai corpi secondari che si occupano di questioni finanziarie e di contabilizzazione delle emissioni, oltre che di problematiche scientifiche. Nei post precedenti ho avuto modo di porre in evidenza che il successo o l’insuccesso della COP 25 si sarebbe giocato su quattro punti: il controllo delle emissioni per evitare il doppio conteggio, il mercato del carbonio, i meccanismi compensativi per far fronte ai danni e perdite dei Paesi in via di sviluppo (i famigerati cento miliardi di dollari da trasferire annualmente dai Paesi industrializzati a quelli in via di sviluppo) e gli impegni di riduzione delle emissioni (NDCs) dei singoli Stati.

Queste problematiche sono contemplate dall’art. 6 del Protocollo di Parigi, per cui appare evidente che rendere operativo questo articolo, renderà operativo l’intero Accordo di Parigi.

La discussione sull’art. 6 si svolge all’interno di diversi corpi sussidiari la cui denominazione è piuttosto impegnativa. Le discussioni vertono intorno a tre paragrafi dell’art 6: 6.2, 6.4, 6.8 ed hanno generato altrettante bozze di documento finale. Gli stessi documenti alla fine della COP 24 contenevano oltre cinquecento punti di disaccordo e, per circa un anno, pochi di tali punti sono stati definiti. All’inizio della Conferenza di Madrid i punti da definire  erano circa 500 e, dopo una settimana di trattative, si sono dimezzati. Restano, comunque,  quasi 250 punti di disaccordo tra le Parti. Di essi alcuni sono squisitamente politici e dovranno essere definiti nella settimana che va ad iniziare, altri sono molto tecnici e, probabilmente, slitteranno al prossimo anno, salvo accelerazioni dell’ultima ora che, nelle trattative ONU, sono sempre possibili. Un segnale negativo si è avuto sabato sera: la sessione notturna di incontri è stata annullata. Ciò non significa, però, che il dialogo si sia interrotto: le trattative continuano, probabilmente, in altro modo e sotto altra forma.

E con questo abbiamo capito, grossomodo, come si stanno evolvendo le cose. Per chi è meno interessato ai dettagli tecnici, la lettura può concludersi a questo punto.

Coloro che sono interessati ai tecnicismi giuridico-economici, potranno seguirmi nella disamina dei principali punti di disaccordo ancora in essere. Lo faranno, però, a loro rischio e pericolo!
A solo titolo esemplificativo consideriamo il documento:
SBSTA 51 agenda item 12(a) –  Matters relating to Article 6 of the Paris Agreement: Rules, modalities and procedures for the mechanism established by Article 6, paragraph 2, of the Paris Agreement. 

Punto 12 (a) dell'ordine del giorno SBSTA 51 - Questioni relative all'articolo 6 dell'accordo di Parigi: norme, modalità e procedure per il meccanismo istituito dall'articolo 6, paragrafo 2, dell'accordo di Parigi.
Il frutto del lavoro di questo tavolo di trattativa è condensato in una bozza pubblicata alle 18,00 di sabato 7 dicembre. Sono quasi cento paragrafi, racchiusi in 13 pagine e costituiscono il quadro normativo entro cui devono muoversi i legislatori nazionali e sovranazionali, per rendere operativa una parte dell’Accordo di Parigi. Questo e gli altri documenti elaborati dai vari corpi sussidiari della COP 25, costituiscono quello che può essere definito in modo un po’ impreciso, ma efficace, il “regolamento attuativo dell’Accordo di Parigi”. La loro definizione è il discrimine tra il successo e l’insuccesso della trattativa in corso. Molto importante è anche il modo in cui essi saranno definiti: a seconda delle opzioni adottate, potremo stabilire se l’Accordo di Parigi sarà vincolante e, quindi inciderà sulle nostre vite o resterà ciò che attualmente è, ovvero una mera dichiarazione d’intenti. Nelle righe seguenti analizzeremo i punti critici di questo documento.

Partiamo dal punto VIII  della lettera F della bozza. Si tratta della parte che riguarda il mercato del carbonio e, in particolare, la contrattazione bilaterale dei crediti di carbonio. Il meccanismo di base può essere così riassunto. Un Paese A si impegna a raggiungere un certo livello di emissioni, ma non riesce ad ottenere i risultati previsti. Può compensare il mancato raggiungimento dei suoi obbiettivi, trattando con un Paese B che, invece, ha raggiunto e superato i suoi obbiettivi e, quindi, è in grado di cedere, previa corresponsione di un compenso in denaro, quelli che potremmo definire dei “crediti in carbonio”. In gergo tecnico si parla di ITMO (Internationally Transferred Mitigation Outcomes). La questione circa le modalità con cui queste contrattazioni possono essere effettuate e certificate a livello internazionale, non sono state ancora definite ed i paragrafi 52, 53 e 54 della bozza sono altrettante possibili opzioni. Leggendo le tre possibili opzioni, si capisce che esse graduano in modo differente la libertà di contrattazione dei singoli stati: 
si passa da un automatismo piuttosto rigoroso, alla completa volontarietà della questione. La cosa buffa è che tutto il punto VIII della lettera F è racchiuso in parentesi quadre: significa che può essere completamente eliminato dal documento finale. Della serie l’importante è partecipare….
 Il punto IX della medesima lettera F della bozza (paragrafo 55) è definito “anti-Australia”. in quanto l’Australia ha chiesto di conteggiare le emissioni secondo l’unità di Kyoto, ovvero le definizioni del Trattato di Kyoto di unità di emissione e non secondo le definizioni dell’Accordo di Parigi. Se resta la formulazione attuale, l’Australia non sarebbe in grado di raggiungere il suo NDC, ma sarebbe in grado di farlo,  se le emissioni fossero conteggiate in base alle vecchie unità. Anche questa parte è compresa in parentesi quadre per cui vale lo stesso discorso del punto VIII.

Il punto VII della lettera F della bozza (paragrafi da 45 a 51) riguarda l’accantonamento di una quota dei proventi derivanti dal mercato degli ITMO, per l’attuazione di iniziative di adattamento nei Paesi in via di sviluppo. Il numero di risultati ottenibili attraverso la combinazione delle possibili alternative, è tale da far girare la testa, per cui tutto è possibile. Per inciso anche tale punto è tra parentesi quadra: può essere eliminato del tutto dal documento finale.

Un altro punto della trattativa che resta irrisolto è contemplato nella parte della bozza contraddistinta con la lettera E (paragrafo 23). Esso riguarda le regole relative alla compensazione, ovvero alla libertà di contrattare le emissioni (commercio degli ITMO). La gamma di possibilità è vasta: si va dal divieto alla limitazione. Inutile dire che anche questa parte è compresa entro parentesi quadre, per cui interamente eliminabile dal documento finale.

Le altre parti della bozza, pur presentando diverse opzioni, appaiono meglio definite.

La lettera B (da paragrafo 9 a 14) regola il mercato del carbonio ed il modo in cui devono essere contabilizzate le emissioni dei singoli Paesi, in modo da escludere la doppia contabilità. In altri termini si vuole evitare che un pannello fotovoltaico prodotto in Cina ed acquistato dalla Germania, venga contabilizzato due volte in termini di riduzione delle emissioni. Le alternative in campo sono ancora parecchie, ma il grosso è stato definito. Diciamo che su questo punto non ci dovrebbero essere problemi.

L’altra bozza di documento pubblicata sabato sera, riguarda il paragrafo 4 dell’articolo 6 dell’Accordo di Parigi. Scorrendo il documento si nota un’imbarazzante “somiglianza” con quello relativo al paragrafo 6.2. Le ragioni di tale somiglianza deve essere ricercata nelle ambiguità con cui fu concepito l’art. 6 quattro anni fa. Sulla base di interpretazioni giuridiche che occupano centinaia di pagine, sembra che esistano due tipi di contabilità del carbonio:
una sotto il controllo delle Parti ( paragrafo 6.2) ed un’altra sotto il controllo della Conferenza delle Parti (paragrafo 6.4).  Ciò a rendere più trasparenti (si fa per dire) le cose.
 Si tratta di un documento meno “contestato” dell’altro, in quanto le opzioni non riguardano interi punti, ma solo parti dei singoli paragrafi, su cui si è raggiunto un accordo di massima. In questo documento spiccano per difficoltà negoziali i paragrafi da 73 a 76 relativi all’accantonamento di una quota dei proventi derivanti dal mercato del carbonio, per l’attuazione di iniziative di adattamento nei Paesi in via di sviluppo. La decisione su questo punto non è tecnica, ma politica e potrebbe essere presa in settimana. Ribadisco che solo ad un esame superficiale questo punto del documento sembrerebbe una replica di quanto già scritto nella bozza precedentemente discussa. In realtà si tratta di proventi diversi: nel primo caso mercato degli ITMO, nel secondo mercato del carbonio in generale.

Altri aspetti su cui si dovrà discutere molto nel corso della prossima settimana, sono i paragrafi da 77 ad 81 riguardanti la mitigazione globale ed il conteggio delle emissioni. Anche per essi possiamo ripetere quanto scritto nel commento al documento relativo ai corrispondenti argomenti della bozza di regolamento del paragrafo 2 dell’art. 6. E per finire un cenno ai paragrafi da 86 a 94. Si tratta delle procedure per passare dalla contabilità sulla base delle unità di emissione di Kyoto a quelle di Parigi. Il punto è tutto compreso tra parentesi quadre, per cui potrebbe essere completamente cancellato dal documento definitivo.

Come si vede, la carne al fuoco è ancora tanta e molto lunga ed insidiosa la strada fino al traguardo.



Fonte:  ClimateMonitor

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