Certo, non ne va bene una! L’anno scorso ci eravamo lasciati in
quel di Katowice, in Polonia, commentando il magro bottino di una COP24
in tono minore e dandoci appuntamento a Santiago del Cile. Ad onor del
vero doveva essere il Brasile a organizzare la Conferenza, ma il
cambiamento politico al vertice del Paese latino-americano, ha
determinato il passo indietro del governo brasiliano ed ha fatto entrare
in gioco quella che, allora, era considerata una potenza economica
emergente del Sud America, cioè il Cile.
Nonostante la falsa partenza, la COP25 si preannunciava scoppiettante, in quanto i gruppi di pressione dell’America Latina, non avrebbero fatto mancare calore e colore intorno alla Conferenza delle Parti. Nel frattempo Greta Thunberg si era avviata per tempo e, stante il suo ostinato rifiuto ad utilizzare l’aborrito aereo perché forte emettitore di CO2, aveva attraversato l’Atlantico tra gli osanna dei suoi seguaci che non cessavano di sottolinearne l’ardente ambientalismo: pur di non danneggiare l’ambiente, si era sottoposta ad un faticoso viaggio in una barca a vela. Che si trattasse di uno dei più lussuosi e confortevoli yacht in circolazione, veniva taciuto. Nulla sembrava, ormai, impedirle la trionfale marcia su Santiago del Cile, ove avrebbe tentato di condizionare la Conferenza, forte dell’appoggio plebiscitario di tutti i giovani del globo e dopo aver preso, come sua abitudine, a pesci in faccia gli inetti governanti del mondo, rei di non salvaguardare il futuro delle nuove generazioni.
Le cose sono andate, invece, in ben altra direzione. All’inizio di
novembre il Cile ha dato forfait. Le manifestazioni di piazza, i morti
ed i feriti e la stretta autoritaria imposta dalle autorità preposte
alla tutela dell’ordine pubblico cileno, rendevano impossibile lo
svolgimento in sicurezza dell’incontro, per cui era sembrato che la COP25 dovesse essere annullata. L’annullamento è stato scongiurato in
extremis grazie alla Spagna che si è offerta di ospitare la Conferenza
delle Parti n°25. Non è che lì le cose vadano molto meglio: instabilità
politica, spinte secessioniste, manifestazioni di piazza in Catalogna. A
Madrid però le cose funzionano meglio che a Santiago del Cile o a
Barcellona e, quindi, la cosa si poteva fare. Si sono dovute
organizzare, in fretta e furia, le strutture per ospitare le decine di
migliaia di partecipanti alla Conferenza. Siccome senza soldi non si
cantano messe, il sacrificio finanziario non è stato di poco conto, ma
si è puntato tutto sul guadagno di immagine di cui il traballante Primo
Ministro spagnolo ha tanto bisogno. Si è resa necessario, in ogni caso,
una riduzione dei partecipanti: dai trentamila della Polonia, si è
passati ai circa venticinquemila di Madrid. Secondo il copione già
collaudato a Bonn, in Germania, in occasione della COP23, la presidenza
cilena della Conferenza delle Parti 2019 è stata confermata.
Grossi problemi per Greta Thunberg, comunque: tra lei e la COP25
c’era l’Atlantico e poiché i servizi a vela transatlantici sono stati
soppressi da tempo, si rendeva necessario trovare un altro yacht che
potesse trasbordare l’attivista svedese sulle coste europee. Il servizio
è stato offerto da due blogger australiani che hanno messo a sua
disposizione il loro modesto trimarano, attrezzato con tanto di pannelli
solari, micro turbina eolica ed ammennicoli vari rigorosamente green.
Niente di paragonabile al battello del principato monegasco, ma in ogni
caso una barca di tutto rispetto in grado di circumnavigare il globo
senza troppi problemi. Non so dove in questo momento si trovi e,
onestamente, non mi importa neanche.
Dopo il gossip è opportuno, però, tornare al tema della COP25 vera e
propria. Il panorama è ancora una volta desolante: si tratterà
dell’ennesima conferenza interlocutoria. Come tutte le altre che sono
seguite alla pirotecnica Conferenza di Parigi di quattro anni fa.
Pensando a queste conferenze, non posso fare a meno di ricordare gli Ent
del Signore degli Anelli: Barbalbero, rispondendo agli Hobbit che
chiedevano l’aiuto del Popolo degli Alberi Parlanti nella lotta contro
le forze del male, descrisse in modo superbo il lentissimo processo
decisionale che regolava le azioni degli Ent e che poteva durare anche
secoli. Ecco, alle COP succede più o meno la stessa cosa: si procede a
passi piccoli piccoli e, difatti, sono passati oltre trenta anni ed
ancora non si è riusciti a cavare un ragno dal buco. Le emissioni di
diossido di carbonio continuano ad aumentare ed hanno raggiunto i
livelli più alti registrati nel corso degli ultimi 800.000 anni. Tale è,
almeno, il parere
dell’Organizzazione Meteorologica Mondiale. Il raggiungimento degli
obiettivi previsti a Parigi (mantenere l’incremento delle temperature
globali entro i 2°C, possibilmente entro 1,5°C), è una pia illusione.
Studi pubblicati negli ultimi giorni da vari gruppi di ricerca, hanno
messo in evidenza che qualora tutti gli impegni presi a Parigi venissero
mantenuti, le temperature globali al 2100 supererebbero i 3,2°C.
In questo quadro appare addirittura ottimistico il grido d’allarme
lanciato oggi dal Segretario Generale dell’ONU A. Guterres dalla tribuna
della COP 25 durante la cerimonia inaugurale. Egli ha detto, infatti,
che “il mondo deve scegliere tra speranza e capitolazione”. Subito dopo
ha sottolineato come gli sforzi messi in atto dai Paesi del mondo siano
allo stato “totalmente insufficienti”.
Il compito della COP25 è, a dir poco, titanico. Manca una leadership
politica in grado di guidare il mondo verso un’economia decarbonizzata
e, ammesso che ci fosse, è assolutamente utopistico immaginare che in
trenta anni sia possibile procedere ad una transizione energetica
totale. Perché di questo si tratta e non di altro. In un mondo dove
l’energia prodotta proviene per oltre l’ottanta per cento da fonti
fossili è, infatti, utopia parlare non solo di decarbonizzazione, ma
addirittura di emissioni nette nulle nel 2050. Ciò significherebbe delle
trasformazioni del nostro sistema industriale (passaggio integrale
all’economia circolare) ed all’implementazione di tecniche di cattura e
stoccaggio delle emissioni. Di tali trasformazioni non mi sembra, però,
di scorgere traccia.
Passando dai sogni alla realtà, vediamo che cosa sta succedendo oggi
nel mondo. Le speranze di tutti sono puntate sulla Cina, ma da quelle
parti si predica bene e si razzola male. Secondo una ricerca
del Global Energy Monitor, nei diciotto mesi tra gennaio 2018 e giugno
2019 la capacità di bruciare carbone della Cina è aumentata di oltre 40
GW, mentre quella del resto del mondo è diminuita de circa 8 GW. La Cina
sta finanziando, inoltre, la costruzione di centrali a carbone in
Sudafrica, Pakistan e Bangladesh. Per fare un dispetto a Trump i cinesi
prometteranno mari e monti alla COP25, ma ai fini pratici non
cambieranno il loro modello di sviluppo per molti anni a venire. Non
dimentichiamo, infatti, che i cinesi si considerano un Paese emergente
che non può essere assoggettato a vincoli sulle emissioni come i Paesi
cosiddetti ricchi.
E, vista la citazione, un accenno alla posizione degli USA. A Madrid
non ci sarà una delegazione politica, ma solo una delegazione tecnica il
cui compito sarà quello di spianare il terreno di gioco in modo tale da
consentire alle imprese statunitensi parità di trattamento nel mercato
globale. America first, ora e sempre. Tradotto significa che le imprese
americane dovranno godere degli stessi diritti ad emettere di quelle
cinesi e, quindi, game over.
Se mettiamo insieme le emissioni di USA e Cina, sfioriamo il 50%
delle emissioni globali (lo superiamo se consideriamo anche l’India),
come ci si può rendere conto dal grafico seguente, tratto da qui.
Come
si vede il controllo di oltre la metà delle emissioni globali è in mano
a tre stati che, in modo esplicito o implicito, non ne vogliono sapere
di rinunciare all’economico fossile per produrre energia.
L’Unione Europea sarà, invece, capofila dei volenterosi. Si batterà
per rendere tutto vincolante, per raggiungere tutto e di più. Per noi
saranno dolori, ma per le emissioni mondiali non cambierà proprio nulla:
tutti insieme gli europei incidono per meno del 10% delle emissioni
globali. Siamo nani politici e nani emettitori.
Gli europei giocheranno, però, un ruolo importante nel prenderci in
giro. Non potendo rinunciare in modo rapido alle emissioni, in quanto il
costo sarebbe enorme sia a livello economico che elettorale, punteranno
tutto sull’implementazione del famigerato articolo 6 dell’Accordo di
Parigi. Si tratta del contestatissimo articolo che prevede il rilancio
del mercato del carbonio. Detto in soldoni, i grandi emettitori pagano i
Paesi in via di sviluppo, affinché evitino di emettere CO2 e sviluppino
tecnologie prive di emissioni (pannelli fotovoltaici, turbine eoliche e
via cantando). Dal punto di vista morale non è una bella cosa: ti pago
per poter emettere al posto tuo. Alla fine questi soldi andranno a
finanziare le corrotte amministrazioni dei Paesi in via di sviluppo e
noi potremo continuare ad emettere come ci pare e piace. La povera gente
di quei Paesi continuerà, invece, a vivere in povertà ed in condizioni
inumane. Il mercato del carbonio è, però, miseramente crollato dopo la
crisi finanziaria del 2008 e, ad oggi, non si è ripreso che in minima
parte. Nel passato le truffe in questo campo sono state all’ordine del
giorno: i Paesi in via di sviluppo vendevano i loro crediti a più
acquirenti, creando una bolla speculativa di dimensioni colossali.
Sorge, quindi, la necessità di contabilizzare in modo preciso le
emissioni ed imputarle in modo esatto ai vari emettitori: più facile a
dirsi che a farsi.
E, ultimo, ma non per importanza, il problema dei cento miliardi di
dollari che i paesi sviluppati dovrebbero trasferire annualmente a
quelli in via di sviluppo: su questo scoglio si sono infrante tutte le
precedenti COP e, presumo, quella che è iniziata oggi, seguirà lo stesso
destino.
Alla luce di tutto ciò non stupisce, quindi, il titolo di un post
su Facebook del TG3: “COP25: una missione quasi impossibile”. Si
perché per poter dire che la COP25 sarà un successo, dovrebbero essere
prese decisioni per rendere operativo a livello globale l’Accordo di
Parigi ed andare anche oltre, visto l’insufficienza delle misure
previste per limitare il riscaldamento globale. E, per ora, non mi
sembra che ci siano le condizioni. Probabilmente verrà rinviato tutto
alla dead line ineludibile: la COP26 del 2020. Sperando che Trump non
sia più il presidente degli USA.
Fonte ClimateMonitor
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