venerdì 6 dicembre 2019

COP 25: una Conferenza nata sotto una cattiva stella



Certo, non ne va bene una! L’anno scorso ci eravamo lasciati in quel di Katowice, in Polonia, commentando il magro bottino di una COP24 in tono minore e dandoci appuntamento a Santiago del Cile. Ad onor del vero doveva essere il Brasile a organizzare la Conferenza, ma il cambiamento politico al vertice del Paese latino-americano, ha determinato il passo indietro del governo brasiliano ed ha fatto entrare in gioco quella che, allora, era considerata una potenza economica emergente del Sud America, cioè il Cile.

Nonostante la falsa partenza, la COP25 si preannunciava scoppiettante, in quanto i gruppi di pressione dell’America Latina, non avrebbero fatto mancare calore e colore intorno alla Conferenza delle Parti. Nel frattempo Greta Thunberg si era avviata per tempo e, stante il suo ostinato rifiuto ad utilizzare l’aborrito aereo perché forte emettitore di CO2, aveva attraversato l’Atlantico tra gli osanna dei suoi seguaci che non cessavano di sottolinearne l’ardente ambientalismo: pur di non danneggiare l’ambiente, si era sottoposta ad un faticoso viaggio in una barca a vela. Che si trattasse di uno dei più lussuosi e confortevoli yacht in circolazione, veniva taciuto. Nulla sembrava, ormai, impedirle la trionfale marcia su Santiago del Cile, ove avrebbe tentato di condizionare la Conferenza, forte dell’appoggio plebiscitario di tutti i giovani del globo e dopo aver preso, come sua abitudine, a pesci in faccia gli inetti governanti del mondo, rei di non salvaguardare il futuro delle nuove generazioni.

Le cose sono andate, invece, in ben altra direzione. All’inizio di novembre il Cile ha dato forfait. Le manifestazioni di piazza, i morti ed i feriti e la stretta autoritaria imposta dalle autorità preposte alla tutela dell’ordine pubblico cileno, rendevano impossibile lo svolgimento in sicurezza dell’incontro, per cui era sembrato che la COP25 dovesse essere annullata. L’annullamento è stato scongiurato in extremis grazie alla Spagna che si è offerta di ospitare la Conferenza delle Parti n°25. Non è che lì le cose vadano molto meglio: instabilità politica, spinte secessioniste, manifestazioni di piazza in Catalogna. A Madrid però le cose funzionano meglio che a Santiago del Cile o a Barcellona e, quindi, la cosa si poteva fare. Si sono dovute organizzare, in fretta e furia, le strutture per ospitare le decine di migliaia di partecipanti alla Conferenza. Siccome senza soldi non si cantano messe, il sacrificio finanziario non è stato di poco conto, ma si è puntato tutto sul guadagno di immagine di cui il traballante Primo Ministro spagnolo ha tanto bisogno. Si è resa necessario, in ogni caso, una riduzione dei partecipanti: dai trentamila della Polonia, si è passati ai circa venticinquemila di Madrid. Secondo il copione già collaudato a Bonn, in Germania, in occasione della COP23, la presidenza cilena della Conferenza delle Parti 2019 è stata confermata.

Grossi problemi per Greta Thunberg, comunque: tra lei e la COP25 c’era l’Atlantico e poiché i servizi a vela transatlantici sono stati soppressi da tempo, si rendeva necessario trovare un altro yacht che potesse trasbordare l’attivista svedese sulle coste europee. Il servizio è stato offerto da due blogger australiani che hanno messo a sua disposizione il loro modesto trimarano, attrezzato con tanto di pannelli solari, micro turbina eolica ed ammennicoli vari rigorosamente green. Niente di paragonabile al battello del principato monegasco, ma in ogni caso una barca di tutto rispetto in grado di circumnavigare il globo senza troppi problemi. Non so dove in questo momento si trovi e, onestamente, non mi importa neanche.

Dopo il gossip è opportuno, però, tornare al tema della COP25 vera e propria. Il panorama è ancora una volta desolante: si tratterà dell’ennesima conferenza interlocutoria. Come tutte le altre che sono seguite alla pirotecnica Conferenza di Parigi di quattro anni fa. Pensando a queste conferenze, non posso fare a meno di ricordare gli Ent del Signore degli Anelli: Barbalbero, rispondendo agli Hobbit che chiedevano l’aiuto del Popolo degli Alberi Parlanti nella lotta contro le forze del male, descrisse in modo superbo il lentissimo processo decisionale che regolava le azioni degli Ent e che poteva durare anche secoli. Ecco, alle COP succede più o meno la stessa cosa: si procede a passi piccoli piccoli e, difatti, sono passati oltre trenta anni ed ancora non si è riusciti a cavare un ragno dal buco. Le emissioni di diossido di carbonio continuano ad aumentare ed hanno raggiunto i livelli più alti registrati nel corso degli ultimi 800.000 anni. Tale è, almeno, il parere dell’Organizzazione Meteorologica Mondiale. Il raggiungimento degli obiettivi previsti a Parigi (mantenere l’incremento delle temperature globali entro i 2°C, possibilmente entro 1,5°C), è una pia illusione. Studi pubblicati negli ultimi giorni da vari gruppi di ricerca, hanno messo in evidenza che qualora tutti gli impegni presi a Parigi venissero mantenuti, le temperature globali al 2100 supererebbero i 3,2°C.

In questo quadro appare addirittura ottimistico il grido d’allarme lanciato oggi dal Segretario Generale dell’ONU A. Guterres dalla tribuna della COP 25 durante la cerimonia inaugurale. Egli ha detto, infatti, che “il mondo deve scegliere tra speranza e capitolazione”. Subito dopo ha sottolineato come gli sforzi messi in atto dai Paesi del mondo siano allo stato “totalmente insufficienti”.

Il compito della COP25 è, a dir poco, titanico. Manca una leadership politica in grado di guidare il mondo verso un’economia decarbonizzata e, ammesso che ci fosse, è assolutamente utopistico immaginare che in trenta anni sia possibile procedere ad una transizione energetica totale. Perché di questo si tratta e non di altro. In un mondo dove l’energia prodotta proviene per oltre l’ottanta per cento da fonti fossili è, infatti, utopia parlare non solo di decarbonizzazione, ma addirittura di emissioni nette nulle nel 2050. Ciò significherebbe delle trasformazioni del nostro sistema industriale (passaggio integrale all’economia circolare) ed all’implementazione di tecniche di cattura e stoccaggio delle emissioni. Di tali trasformazioni non mi sembra, però, di scorgere traccia.

Passando dai sogni alla realtà, vediamo che cosa sta succedendo oggi nel mondo. Le speranze di tutti sono puntate sulla Cina, ma da quelle parti si predica bene e si razzola male. Secondo una ricerca del Global Energy Monitor, nei diciotto mesi tra gennaio 2018 e giugno 2019 la capacità di bruciare carbone della Cina è aumentata di oltre 40 GW, mentre quella del resto del mondo è diminuita de circa 8 GW. La Cina sta finanziando, inoltre, la costruzione di centrali a carbone in Sudafrica, Pakistan e Bangladesh. Per fare un dispetto a Trump i cinesi prometteranno mari e monti alla COP25, ma ai fini pratici non cambieranno il loro modello di sviluppo per molti anni a venire. Non dimentichiamo, infatti, che i cinesi si considerano un Paese emergente che non può essere assoggettato a vincoli sulle emissioni come i Paesi cosiddetti ricchi.

E, vista la citazione, un accenno alla posizione degli USA. A Madrid non ci sarà una delegazione politica, ma solo una delegazione tecnica il cui compito sarà quello di spianare il terreno di gioco in modo tale da consentire alle imprese statunitensi parità di trattamento nel mercato globale. America first, ora e sempre. Tradotto significa che le imprese americane dovranno godere degli stessi diritti ad emettere di quelle cinesi e, quindi, game over.

Se mettiamo insieme le emissioni di USA e Cina, sfioriamo il 50% delle emissioni globali (lo superiamo se consideriamo anche l’India), come ci si può rendere conto dal grafico seguente, tratto da qui.



Come si vede il controllo di oltre la metà delle emissioni globali è in mano a tre stati che, in modo esplicito o implicito, non ne vogliono sapere di rinunciare all’economico fossile per produrre energia.

L’Unione Europea sarà, invece, capofila dei volenterosi. Si batterà per rendere tutto vincolante, per raggiungere tutto e di più. Per noi saranno dolori, ma per le emissioni mondiali non cambierà proprio nulla: tutti insieme gli europei incidono per meno del 10% delle emissioni globali. Siamo nani politici e nani emettitori.

Gli europei giocheranno, però, un ruolo importante nel prenderci in giro. Non potendo rinunciare in modo rapido alle emissioni, in quanto il costo sarebbe enorme sia a livello economico che elettorale, punteranno tutto sull’implementazione del famigerato articolo 6 dell’Accordo di Parigi. Si tratta del contestatissimo articolo che prevede il rilancio del mercato del carbonio. Detto in soldoni, i grandi emettitori pagano i Paesi in via di sviluppo, affinché evitino di emettere CO2 e sviluppino tecnologie prive di emissioni (pannelli fotovoltaici, turbine eoliche e via cantando). Dal punto di vista morale non è una bella cosa: ti pago per poter emettere al posto tuo. Alla fine questi soldi andranno a finanziare le corrotte amministrazioni dei Paesi in via di sviluppo e noi potremo continuare ad emettere come ci pare e piace. La povera gente di quei Paesi continuerà, invece, a vivere in povertà ed in condizioni inumane. Il mercato del carbonio è, però, miseramente crollato dopo la crisi finanziaria del 2008 e, ad oggi, non si è ripreso che in minima parte. Nel passato le truffe in questo campo sono state all’ordine del giorno: i Paesi in via di sviluppo vendevano i loro crediti a più acquirenti, creando una bolla speculativa di dimensioni colossali. Sorge, quindi, la necessità di contabilizzare in modo preciso le emissioni ed imputarle in modo esatto ai vari emettitori: più facile a dirsi che a farsi.

E, ultimo, ma non per importanza, il problema dei cento miliardi di dollari che i paesi sviluppati dovrebbero trasferire annualmente a quelli in via di sviluppo: su questo scoglio si sono infrante tutte le precedenti COP e, presumo, quella che è iniziata oggi, seguirà lo stesso destino.

Alla luce di tutto ciò non stupisce, quindi, il titolo di un post su Facebook del TG3: COP25: una missione quasi impossibile”. Si perché per poter dire che la COP25 sarà un successo, dovrebbero essere prese decisioni per rendere operativo a livello globale l’Accordo di Parigi ed andare anche oltre, visto l’insufficienza delle misure previste per limitare il riscaldamento globale. E, per ora, non mi sembra che ci siano le condizioni. Probabilmente verrà rinviato tutto alla dead line ineludibile: la COP26 del 2020. Sperando che Trump non sia più il presidente degli USA.



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