martedì 3 dicembre 2019

“QUALSIASI APPROCCIO ALL’AMBIENTE CHE NON TENGA CONTO DELLA QUESTIONE MILITARE È RIDICOLO”

Lancio ATLAS V

 

Cambiamenti climatici e test militari. 

Il Pianeta in guerra nel libro di Rosalie Bertell


Recensione di Albertina Nania

L’agosto del 1945, quando vennero sganciate le due bombe atomiche “Little Boy” e “Fat Man” su Hiroshima e Nagasaki, stravolse per sempre la visione della guerra, i rapporti politici e le dinamiche internazionali a livello globale.

L’altissimo numero di vittime, stimate tra le 100’000 e 200’000, quasi esclusivamente civili, aprì il tema delle armi di distruzione di massa, delle loro implicazioni etiche e diplomatiche e dei pericoli altissimi che sarebbero derivati dallo scoppio di un’altra guerra.

Non è un caso infatti che nel giro di pochi anni, dopo che la “cortina di ferro” calò sull’Europa, l’equilibrio che si andò ad instaurare tra Stati Uniti ed Unione Sovietica fu un equilibrio “del terrore”, basato sulla detenzione delle armi nucleari, e sulla sperimentazione sempre più avanzata nel campo degli armamenti. 

Per tale motivo sia nell’immaginario comune, sia nei rapporti internazionali, la questione del nucleare è stata sempre al centro del dibattito (come testimoniano ad esempio gli accordi SALT I e SALT II rispettivamente del 1972 e del 1979 o il Trattato di non proliferazione nucleare del 1968) per via della sua immensa portata distruttrice, che non può non rappresentare una minaccia per le sorti dell’umanità nella sua interezza.

Ma davvero l’innovazione nel campo militare si è fermata a questo? Sono ancora le bombe atomiche il massimo pericolo per il nostro Pianeta?

La scienziata e attivista ambientale Rosalie Bertell nel suo radicale quanto illuminante libro Pianeta Terra. L’ultima arma di guerra ci svela una realtà del tutto ignorata. Una realtà caratterizzata da una guerra di portata planetaria, silenziosa e sottaciuta, che si alimenta nutrendosi delle risorse del Pianeta, impattando in maniera distruttiva, e spesso irreparabile, sui territori e sulle popolazioni che li abitano.

Scrive infatti la Bertell:  
“Io penso che i militari abbiano preso le distanze dalle bombe atomiche per ragioni pratiche. Io penso che esse non siano più utilizzabili, ma le tengono come potenziale minaccia, e le tengono anche allo scopo di occupare così un sacco di persone a scriverci su dei libri, e sul perché dovremmo eliminarle. ‘Via tutti gli armamenti nucleari’, questo genere di cose. Questo tiene inchiodata l’attenzione della gente, in modo che non guardi più alle altre cose che i militari stanno attualmente facendo.” (L’ultima intervista concessa dalla dott.ssa Bertell nel 2010, tratta da: Rosalie Bertell, “Pianeta Terra, L’ultima arma di guerra”, Asterios Editore, 2018, pag. 243)

Ecco perché questo libro è un libro necessario, un libro che si prende la responsabilità di denunciare i crimini dei “geo-guerrafondai”, paesi come Stati Uniti, Russia, Regno Unito, Canada, Australia e Giappone, che conducono senza sosta esperimenti di geoingegneria, all’oscuro della popolazione mondiale, con la finalità di modificare e manipolare i fenomeni naturali come il clima, gli oceani, i cieli, e dunque il nostro Pianeta nella sua totalità. Tutto ciò in un’ottica di incessante corsa alla conquista, ma allo stesso tempo alla difesa, della ricchezza derivante dalle risorse naturali, attraverso la brutalità dello sfruttamento e la logica della violenza, che si esprimono in termini di forza militare, esplosioni, sperimentazioni, che non producono altro che inquinamento, intossicazione e distruzione della vita sulla terra.

Gli stessi paesi che sedendosi poi ai tavoli delle trattive stipulano convenzioni e trattati, come ad esempio durante la Conferenza di Copenhagen del 2010 il cui tema principale fu quello di ridurre drasticamente le emissioni di gas a effetto serra, presentandosi all’opinione pubblica come, per dirla con le parole della dottoressa Bertell, “eroi del cambiamento climatico”.

La modalità con la quale viene sviluppato questo sconvolgente libro dimostra tutta la grandezza della sua autrice, che riesce a combinare un approccio scientifico capillare, mutuato dai suoi studi di matematica e biometria, ad un impianto teorico-ideologico, che rendono tale lavoro un vero e proprio caposaldo del pensiero nonviolento e ambientalista, fonte di conoscenza, ma anche di ispirazione, per chiunque voglia prendere atto della tragica situazione nella quale ci troviamo, e magari contribuire a modificarla.

Nei capitoli sull’esplorazione del cielo e sui piani militari per lo spazio, Rosalie Bertell analizza in maniera scientificamente accurata e precisa, tutti quegli esperimenti militari che nel corso della storia hanno provocato danni incalcolabili all’ecosistema, alle risorse naturali e agli elementi protettivi del nostro Pianeta, attraverso il rilascio nell’atmosfera di sostanze altamente tossiche che, venendo assorbite nel terreno, dagli animali, e dagli essere umani, sono state la causa di danni a lungo termine dai quali la società civile è stata totalmente tenuta all’oscuro.

È il caso del Progetto Argus, portato avanti tra l’agosto e il settembre del 1958 dal governo degli Stati Uniti, che fu definito dall’Agenzia statunitense per l’energia atomica come “il più grande esperimento scientifico mai realizzato dall’uomo”. Esso consistette nell’esplosione di tre bombe nucleari sull’Oceano Atlantico del sud, all’altezza della fascia più bassa delle cinture di Van Allen, “cinture magnetiche della terra a protezione del potere distruttivo delle particelle cariche dei venti solari” (Rosalie Bertell, Pianeta Terra, L’ultima arma di guerra, Asterios editore, 2018, pag. 30), che provocarono delle finte aurore boreali e altri effetti mai resi pubblici.

Uno di questi effetti viene studiato dalla Bertell all’interno del primo capitolo del libro, nel paragrafo “l’anno in cui i caribù non vennero”, ed è solo uno dei tanti esempi di come la sperimentazione a fini militari vada ad impattare, distruggendo, sia gli esseri umani che il loro habitat, provocando danni ai quali raramente vi è possibilità di porre un rimedio.

In seguito al progetto Argus infatti, la comunità Esquimese del Canada nord-occidentale fu quasi interamente estinta per via della mancata migrazione dei caribù, necessari alla loro sopravvivenza in quanto fonte di cibo e di vestiario, e per gli altissimi casi di cancro.
Il cesio rilasciato dalle finte aurore boreali provocate dall’esplosione delle tre bombe era stato assorbito infatti sia dai caribù, provocandone l’infertilità o la morte, sia dagli Inuit.

Come risposta alla situazione critica, il governo canadese nella primavera del 1958 spedì nella tundra degli elicotteri si cui si fecero salire i superstiti. Costruirono degli insediamenti per gli Inuit e dissero loro che non sarebbero più potuto tornare ‘sul territorio’. […] Alcuni funzionari dell’autorità sanitaria cominciarono a notare il numero straordinariamente elevato di casi di cancro, che danneggiava la capacità riproduttiva, rendendo così ancor più difficile la sopravvivenza della gente. Nessuno pare abbia messo in connessione questo fenomeno con i problemi riproduttivi dei caribù.” (ibidem, pag.54)

Ma questo è solo uno dei numerosissimi esempi che l’autrice riporta come prova dello stretto legame che intercorre tra attività militari e degrado ambientale, distruzione dei territori e dei loro abitanti.

Il Pianeta e la società civile portano e porteranno i segni di attività illecite commesse ai loro danni, che vengono ancora oggi perpetuate dagli apparati militari di numerosi paesi in un regime di massima segretezza, che prescinde totalmente dall’approvazione e dal consenso della collettività.

Partendo dalla constatazione di questa preoccupante e gravissima realtà dei fatti, che a prima lettura sembrerebbe senza possibilità di cambiamento alcuno, Rosalie Bertell esprime con forza un invito alla partecipazione, all’eradicazione dei nostri vecchi e insostenibili stili di vita, basati su di un sistema patriarcale che trova nella dominazione, nella violenza, nell’accaparramento sfrenato delle risorse naturali ai danni del pianeta terra e delle sue popolazioni, la sua massima espressione e la sua sopravvivenza.

Pianeta Terra. L’ultima arma di guerra è un invito alla “sobrietà”, ad un futuro “più intelligente, umano e femminile”, un manifesto ambientalista e pacifista che trae la sua forza da una lucida consapevolezza delle crudeltà e delle distruzioni perpetuate dai “geo-guerrieri” nei confronti del nostro pianeta, in un’ottica di partecipazione attiva ad un cambiamento che, se vorrà davvero essere risolutivo, dovrà necessariamente essere costituito a livello globale, coinvolgendo non solo la società civile, ma anche i governi e gli eserciti, in una direzione nonviolenta, sostenibile, destinata alla protezione e alla cura della Terra e dei suoi abitanti. 

Io penso che la Terra sia un dono. La creazione è un dono. È qualcosa di bello e questo Pianeta è stato creato per viverci. Non vedo nessun senso nel volerlo distruggere, nel volerlo cambiare, nel volersene accaparrare delle parti. C’è più che abbastanza per tutti, se sappiamo condividere. E possiamo vivere bene senza tutte quelle cose che possediamo. Ma non c’è bisogno di tornare alle caverne! Siamo creature intelligenti, e io penso che possiamo far nostra una nuova coscienza, che ci aiuti a vivere in un modo diverso. Io spero che queste armi ci spaventeranno profondamente e tramite ciò arriveremo a comprendere quanto sia insensata e folle la guerra.  E io penso, io spero, che impariamo a vivere insieme. Ama la varietà, godi della Terra, ama l’aria, ama l’acqua, condividi ogni cosa e gioisci di vivere su questo Pianeta.” 

(L’ultima intervista concessa dalla dott.ssa Rosalie Bertell nel 2010 tratta da: Rosalie Bertell, Pianeta Terra. L’ultima arma di guerra, p.246.)

Albertina Nania per Jai jagat Italia.




LETTERA INEDITA DI ROSALIE BERTELL ALLE NAZIONI UNITE – SENZA RISPOSTA








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