sabato 18 gennaio 2020

LA TREDICESIMA TRIBU' (Prima Parte)



I CAZARI E L'ORIGINE DEGLI EBREI
DELL'EUROPA ORIENTALE
(rielaborazione del saggio di Arthur Koestler del 1976)


A nord del Caucaso nel settimo secolo d.C. si formò un impero la cui popolazione, di origine turca, aderì in massa all'ebraismo. Queste genti, che non avevano niente a che fare con la Palestina, in seguito migrarono verso l'Europa, ed è da esse che deriva la gran parte della comunità ebraica mondiale.









PRIMA PARTE








Veduta aerea degli scavi della fortezza cazara di Sarkel, lungo il Don
condotti negli anni '30 del Novecento
oggi l'area è sommersa da un lago artificiale



“In Cazaria pecore, miele
ed ebrei
si trovano in grande abbondanza”
Al-Muqaddasi, Descriptio Imperii Moslemici, X secolo



 Nota introduttiva

1. L'ORIGINE E L'APOGEO
2. LA CONVERSIONE
3. IL DECLINO
4. LA CADUTA
5. L'ESODO
6. LEGGENDE RENANE
7. L'ORIGINE DELL'YIDDISH


 Nota introduttiva


Il presente testo è un riassunto rielaborato del saggio di Arthur Koestler La tredicesima tribù. L'impero cazaro e la sua eredità, pubblicato per la prima volta nel 1976 in Inghilterra, ove l'autore viveva da tempo. Si tratta di uno dei vari testi del filone storiografico che riporta alla realtà il mito dell'esilio del popolo ebraico dall'antico Israele, dimostrando che dal punto di vista etnico gran parte degli ebrei dell'Europa orientale, e dunque dell'odierna comunità ebraica mondiale, discende dai cazari, una popolazione di ceppo turco che originariamente abitava a nord del Caucaso, e tra il settimo e il decimo secolo d.C. diede vita a un vasto impero medievale.

Questo affascinante libro è stato tradotto in molte lingue, tuttavia un'edizione in ebraico praticamente non esiste, visto che a quanto pare l'unica data alle stampe, nel 1999 per conto di un editore privato di Gerusalemme, non fu mai distribuita. In precedenza, l'ultimo testo in ebraico che si occupasse dei cazari, intitolato Cazaria. Storia di un impero ebraico, era uscito nel lontano 1951 a Tel Aviv, nel neonato Israele, ad opera dello storico Abraham Poliak.

Koestler fu a suo tempo un militante sionista, e fino alla fine dei suoi giorni non smise mai di sostenere l'esistenza dello stato di Israele. Intuendo che il proprio lavoro potesse rappresentare un colpo al mito del sionismo, nelle pagine finali si sentì in dovere di ribadire la propria fede politica:
...mi rendo conto del pericolo che, con malizia, esso possa venire interpretato erroneamente come una negazione del diritto a esistere dello Stato di Israele. Ma il fondamento di quel diritto non sta, si badi, nelle ipotetiche origini del popolo ebraico, né nell'alleanza mitologica di Abramo con Dio; esso si fonda sul diritto internazionale, cioè sulla decisione presa dalle Nazioni Unite nel 1947... A prescindere dalle origini etniche dei cittadini israeliani, e anche dalle illusioni che essi nutrono circa tali origini, il loro Stato esiste de jure e de facto...
Questa dichiarazione evidentemente non bastò, perché il sionismo tiene molto alle giustificazioni di carattere etnico per portare avanti la colonizzazione della Palestina.

All'uscita del libro, l'ambasciatore israeliano in Gran Bretagna lo definì un'iniziativa antisemita finanziata dai palestinesi. L'organo dell'Organizzazione Sionista Mondiale espresse la preoccupazione che Il libro, grazie ai suoi elementi di esotismo e alla notorietà di Koestler, rischia di attrarre un pubblico di lettori ebrei privi non solo di una consapevolezza storica ma anche di senso critico, che potrebbero prendere alla lettera la sua ipotesi e relative implicazioni.

Zvi Ankori, professore del Centro per la storia degli ebrei dell'Università di Tel Aviv, propose di interrogarsi sulle motivazioni psicologiche che avevano spinto Koestler a mutuare la vecchia tesi di Poliak, già “rigettata” in passato e potenzialmente dannosa per Israele nel presente. In seguito anche il professor Shelomoh Simonsohn, collega di Ankori all'Università di Tel Aviv, si domandò se dietro l'interesse di Koestler per i cazari non ci fossero i suoi problemi identitari di immigrato dell'Europa orientale nel contesto della cultura inglese.

E anche Simonsohn, come Ankori, si premurò di precisare che la fonte delle infondate “calunnie” in merito all'origine degli ebrei dell'Europa orientale era il loro collega Abraham Poliak.

Il filone storiografico sionista tradizionale continua a sostenere, senza alcun riscontro storico, che gli ebrei dell'Europa orientale vengano dalla Germania (infatti la denominazione corrente è ashkenaziti, dal nome ebraico della Germania nel Medioevo). E questo filone sostiene che gli ebrei sarebbero giunti in Germania dall'antico Israele, dopo essersi temporaneamente fermati a Roma. La conoscenza del contenuto del libro di Koestler  è importante per confutare questa menzogna, fornendo argomentazioni in più per mettere in discussione l'esistenza dello stato razzista e coloniale di Israele e contribuire alla lunga e impegnativa opera di giustizia che è la decolonizzazione della Palestina storica.


1. LE ORIGINI E L'APOGEO


All'epoca in cui Carlo Magno veniva incoronato imperatore d'Occidente, l'estremo limite orientale dell'Europa tra il Caucaso e il Volga era governato da uno stato ebraico, noto come l'impero dei cazari. Nel suo momento di massimo potere, tra il settimo e il decimo secolo, questo stato ebbe una notevole influenza sui destini dell'Europa medievale e, quindi, di quella moderna. Ne era ben consapevole l'imperatore e storico bizantino Costantino Porfirogenito (913 - 959), quando scriveva nel suo trattato Delle cerimonie della Corte di Bisanzio che le lettere indirizzate al Papa di Roma, così come quelle all'imperatore d'Occidente, portavano un sigillo d'oro del valore di due solidi, mentre i messaggi diretti al re dei cazari si fregiavano di un sigillo del valore di tre solidi. E non certo per adulazione, ma per Realpolitik. "Nel periodo di cui ci occupiamo - scrive Bury - è probabile che per la politica estera di Costantinopoli il Khan dei cazari non fosse meno importante di Carlo Magno e dei suoi successori."1

Il paese abitato dai cazari, una popolazione di origine turca, occupava una posizione strategica sul vitale passaggio tra il mar Nero e il mar Caspio, dove le grandi potenze orientali dell'epoca si confrontavano tra loro. Funzionò da stato-cuscinetto a protezione dell'impero bizantino dall'invasione delle rudi tribù barbarie delle steppe nordiche: bulgari, magiari, peceneghi, etc., e più tardi vichinghi e russi. Altrettanto, se non di più, importante dal punto di vista della diplomazia bizantina e della storia europea, fu l'efficace opera di contenimento esercitata dalle armate cazare nei confronti dell'avanzata araba nei suoi primi stadi, un'opera che impedì la conquista musulmana dell'Europa orientale. Il professor Dunlop della Columbia University, uno specialista autorevole di storia dei cazari, così riassume questo episodio decisivo è assai poco conosciuto:
Il territorio cazaro... si estendeva attraverso la naturale via dell'avanzata araba. Pochi anni dopo la morte di Maometto (632 d. C.) gli eserciti del Califfato, spingendosi a nord tra le rovine di due imperi e travolgendo tutto ciò che si parlava loro dinnanzi, raggiunsero la grande barriera montagnosa del Caucaso. Una volta superata questa barriera, la strada per le pianure dell'Europa orientale era aperta. Ma sulla linea del Caucaso gli arabi incontrarono le forze di una potenza militare organizzata che bloccò con successo l'estendersi delle loro conquiste in questa direzione. Perciò le guerre tra gli arabi e i cazari, che durarono più di cent'anni, anche se poco conosciute ebbero un'importanza storica considerevole. I franchi di Carlo Martello sul campo di battaglia di Poitiers posero fine all'invasione araba. Circa nello stesso periodo le minacce che incombevano sull'Europa orientale non erano meno gravi... I musulmani vittoriosi vennero fermati e contenuti dalle forze del regno cazaro... È quasi certo che, se non ci fossero stati i cazari nella regione a nord del Caucaso, la stessa Bisanzio, baluardo della civiltà europea in Oriente, si sarebbe trovata circondata dagli arabi e la storia della Cristianità e dell'Islam forse sarebbe stata assai diversa da quella che conosciamo.2
Forse non è sorprendente, date le circostanze, che nel 732 – dopo una clamorosa vittoria cazara sugli arabi – il futuro imperatore romano Costantino sposasse una principessa cazara. Il loro figlio divenne a suo tempo l'imperatore Leone IV, noto come Leone il Cazaro.

Per ironia della sorte l'ultima battaglia, nel 737 d. C., finì con una sconfitta dei cazari. Ma a quel tempo l'impeto della guerra santa musulmana era ormai spento, il califfato era scosso da dissensi interni e gli arabi invasori ritornarono sui loro passi attraverso il Caucaso senza aver conquistato una posizione permanente nel nord, mentre i cazari divennero molto più potenti di prima.

Qualche anno dopo, probabilmente nel 740 d. C, il re, la corte e la classe militare si convertirono al giudaismo, che divenne così la religione di stato dei cazari. Di certo i loro contemporanei furono altrettanto stupiti di questa decisione quanto gli studiosi moderni nello scoprirne le testimonianze attraverso le fonti arabe, greche, russe ed ebraiche. Uno degli autori che più recentemente hanno trattato l'argomento è uno storico marxista ungherese, Antal Bartha. Nel suo libro su La società magiara dei secoli IX e X ci sono parecchi capitoli dedicati ai cazari, giacché per gran parte di quel periodo essi furono i dominatori degli ungheresi. Ma la loro conversione al giudaismo è trattata in un solo paragrafo, con evidente imbarazzo. In esso Bartha afferma:
La nostra ricerca non intende penetrare nei problemi della storia delle idee, tuttavia dobbiamo richiamare l'attenzione dei lettori sulla religione di stato del regno cazaro. La fede giudaica era divenuta la religione ufficiale della classe dirigente della società. Va da sé che l'accettazione della fede giudaica come religione di stato da parte di una popolazione eminentemente non ebraica potrebbe diventare l'oggetto di interessanti supposizioni. Ci limitiamo tuttavia ad osservare che questa conversione ufficiale – in aperto contrasto sia con il proselitismo cristiano di Bisanzio sia con l'influenza musulmana proveniente da est, e malgrado le pressioni politiche esercitate dalle due potenze – a una religione che non aveva l'appoggio di nessun potere politico e che al contrario veniva perseguitata da tutti, è stata una sorpresa per tutti gli storici che si sono occupati dei cazari e non può essere considerata casuale, ma deve essere vista come un segno della politica indipendente condotta da quel regno.3
Ciò che resta da discutere è quale fine abbiano fatto gli ebrei cazari dopo la distruzione del loro impero, avvenuta nel dodicesimo o tredicesimo secolo. A questo proposito le testimonianze sono scarse; si citano tuttavia numerosi insediamenti cazari nel tardo Medioevo in Crimea, in Ucraina, in Ungheria, in Polonia e in Lituania. Da tutti questi frammenti di informazione emerge il quadro più ampio di una migrazione di tribù e di comunità cazare verso quei paesi dell'Europa orientale – in particolare la Russia e la Polonia – nei quali vennero a trovarsi all'alba dell'evo moderno le più cospicue concentrazioni di ebrei. Ciò ha indotto numerosi storici a formulare l'ipotesi che buona parte se non la maggioranza degli ebrei orientali, e quindi degli ebrei del mondo intero, siano di origine cazara e non semitica.

Le conseguenze di una tale ipotesi andrebbero lontano, e ciò può forse spiegare la notevole cautela con cui gli storici abbordano l'argomento, quando non lo evitano del tutto.

Così accade che nell'edizione del 1973 dell' Encyclopaedia Judaica la voce "cazari" sia sì firmata da Dunlop, ma affronti in una sezione a parte l'argomento degli "ebrei cazari dopo la caduta del regno", e che questa sezione sia firmata dai curatori e scritta con il chiaro intento di evitare traumi ai lettori che credono nel dogma del Popolo Eletto:
I caraiti4 di lingua turca che si trovano in Crimea, in Polonia e altrove hanno affermato di essere imparentati coi cazari, e ciò trova forse conferma anche nelle testimonianze tratte dal folklore e dalla antropologia, oltre che dal linguaggio. Sembra esistere un considerevole numero di prove che attestano la presenza costante in Europa di discendenti dei cazari.
Che importanza ha, in termini quantitativi, questa "presenza" dei figli caucasici di Jafet nelle tende di Sem?5 Uno dei più radicali sostenitori dell'ipotesi circa l'origine cazara degli ebrei è il professore di storia ebraica medievale all'università di Tel Aviv, Abraham Poliak. Il suo libro Cazaria (in ebraico) venne pubblicato nel 1944 a Tel Aviv, con una seconda edizione nel 1951. Nell'introduzione egli scrive che i fatti richiedono un nuovo tipo di impostazione sia del problema relativo ai rapporti tra l'ebraismo cazaro e le altre comunità ebraiche, sia nel considerare fino a che punto si possa ritenere questo ebraismo il nucleo del grande insediamento ebraico nell'Europa orientale... I discendenti di questo insediamento – quelli che rimasero dov'erano, quelli che emigrarono negli Stati Uniti o in altri paesi, e quelli che sono andati in Israele – costituiscono oggi la grande maggioranza degli ebrei di tutto il mondo.6

Questo testo venne scritto quando non era ancora nota tutta la dimensione dell'Olocausto, ma ciò non toglie che la grande maggioranza degli ebrei sopravvissuti nel mondo provengano dall'Europa orientale e siano perciò forse di origine prevalentemente cazara. In questo caso, significherebbe che i loro antenati non provengono dal Giordano ma dal Volga, non da Canaan ma dal Caucaso, ritenuto un tempo la culla della razza ariana; dal punto di vista genetico sarebbero perciò più strettamente legati alle tribù degli unni, degli uiguri e dei magiari che al seme di Abramo, Isacco e Giacobbe. Se così fosse, allora il termine “antisemitismo” diventerebbe privo di significato, basato su un malinteso condiviso sia dai carnefici sia dalle vittime.

“Attila fu, dopotutto, solo il re di un popolo nomade. Il suo regno scomparve – mentre la città di Costantinopoli che egli aveva disprezzato conservò la sua potenza. Le tende scomparvero, le città rimasero. L'impero degli unni fu un ciclone”. Così scrive Paulus Cassel7, un orientalista dell'Ottocento, facendoci supporre che i cazari abbiano condiviso, per ragioni analoghe, la sorte degli unni. Tuttavia la presenza degli unni sulla scena europea non durò che ottant'anni8, mentre il regno dei cazari resistette per circa quattro secoli. Anch'essi vivevano per lo più in tende, ma avevano anche grossi insediamenti urbani ed erano in fase di trasformazione da guerrieri nomadi a nazione di agricoltori, allevatori, pescatori, coltivatori di vite, mercanti e abili artigiani. Gli archeologi sovietici hanno scoperto i segni di una civiltà relativamente avanzata che era nel complesso diversa dal “ciclone unno”.9 Hanno trovato tracce di villaggi che si estendevano per chilometri, con case collegate da gallerie ad enormi stalle, ovili e scuderie (misuravano da 3 metri e 3 metri e mezzo per 10 – 14 metri ed erano sostenute da colonne). Resti di aratri testimoniano la presenza di un artigianato notevole; lo stesso dicasi per altri manufatti conservati: fermagli, fibule, placche ornamentali di selle.

Di particolare interesse sono le fondamenta sotterranee di abitazioni a pianta circolare. Secondo gli archeologi sovietici esse si trovano su tutti i territori abitati dai cazari e sono anteriori ai loro edifici “normali” di forma rettangolare. Le case circolari evidentemente segnano il momento di transizione dalla tenda a cupola trasportabile a una dimora permanente, dal nomadismo alla vita sedentaria, o perlomeno semisedentaria. Le testimonianze arabe dell'epoca infatti ci dicono che i cazari restavano nelle loro città – ivi compresa Itil, la capitale – solo d'inverno; all'inizio della primavera, riprendendo le loro tende, abbandonavano le loro case e ripartivano verso le steppe con il bestiame o si accampavano nei loro campi o nei loro vigneti.

Gli scavi hanno anche mostrato che, nell'ultimo periodo, il regno era circondato da una complessa catena di fortificazioni che risalgono all'ottavo e al nono secolo, e proteggevano le frontiere settentrionali prospicienti le aperte distese delle steppe. Queste fortezze formavano una specie di arco semicircolare che dalla Crimea (che i cazari dominarono per un certo periodo), attraverso i bacini inferiori del Donec e del Don, arrivava fino al Volga; mentre verso sud l'impero era protetto dalla barriera del Caucaso, verso ovest dal mar Nero e verso est dal “mare cazaro”, il Caspio. Tuttavia la catena settentrionale di fortificazioni segnava solo una linea di difesa interna, a protezione del centro permanente del paese; infatti i confini reali del dominio cazaro sulle tribù settentrionali fluttuavano a seconda delle alterne vicende belliche. Nel momento di massima potenza i cazari controllavano o riscuotevano tributi da una trentina di nazioni e tribù stanziate sui vari territori tra il Caucaso, il lago d'Aral, i monti Urali, la città di Kiev e le steppe ucraine. Tra i popoli soggetti alla sovranità cazara c'erano i bulgari, i burta, i ghuz, i magiari, e anche le colonie gotiche e greche della Crimea, e nelle foreste nordoccidentali le tribù slave. Al di là di questi già estesi domini, le armate cazare fecero numerose scorrerie in Georgia e in Armenia e penetrarono nel territorio del Califfato arabo fino a Mosul.

Così dice l'archeologo sovietico Mikhail Artamonov:
Fino al nono secolo la supremazia cazara non ebbe rivali nelle regioni al nord del mar Nero, nella contigua steppa e nella regione forestale del Dnepr. I cazari furono i sovrani della metà meridionale dell'Europa orientale per un secolo e mezzo, costituendo una possente barriera che bloccava il passaggio dagli Urali al Caspio, cioè dall'Asia all'Europa. Durante tutto questo periodo essi fermarono l'assalto delle tribù nomadi provenienti dall'Oriente.10
Nella storia dei grandi imperi nomadi orientali, per durata, estensione e livello di civiltà il regno cazaro occupa una posizione intermedia tra gli imperi unno e avaro, che lo precedettero, e quello mongolo che lo seguì.

Ma chi furono i cazari, questo popolo così notevole, sia per potenza e conquiste, sia per essersi convertito ad una religione di paria? Le descrizioni che ci sono pervenute provengono da fonti ostili e non possono perciò essere prese per oro colato. "Per quanto concerne i cazari - scrive un cronista arabo - essi si trovano a nord delle terre abitate, vicino al settimo clima, e hanno su di sé la costellazione dell'Orsa maggiore. Il loro territorio è freddo e umido. Quindi hanno carnagione bianca, occhi azzurri, capelli fluenti e prevalentemente rossastri, corporatura robusta e temperamento freddo. L'aspetto generale è selvaggio."11

Dopo un secolo di guerra, lo scrittore arabo non aveva ovviamente grandi simpatie per i cazari. E non ne avevano neppure gli scribi georgiani o armeni, i cui paesi, che già possedevano una civiltà molto più matura, erano stati ripetutamente devastati dai cavalieri cazari. Una cronaca georgiana che si ispira a un'antica tradizione lì identifica con le schiere di Gog e Magog: "uomini barbari, con facce orrende e maniere da bestie selvagge, bevitori di sangue."12 Uno scrittore armeno parla della "orribile moltitudine di cazari, dalle facce larghe, insolenti e senza ciglia e dai lunghi capelli che ricadono come quelli delle donne."13 Infine il geografo arabo Istakhri, una delle principali fonti arabe, dice:" I cazari non assomigliano affatto ai turchi. Hanno i capelli neri e si distinguono in due specie, una chiamata Kara-Khazar con la carnagione scura tendente al nero come se fossero una specie di indiani, e una specie bianca, nella quale trovasi individui di sorprendente bellezza."14

Quest'ultima definizione è più lusinghiera, ma non fa che aumentare la confusione.
Infatti era usanza delle popolazioni turche di indicare le classi o i clan dirigenti come i “bianchi” e i ceti subalterni come i “neri”. Non c'è perciò motivo di pensare che i “bulgari bianchi” fossero più bianchi dei “bulgari neri” o che gli “unni bianchi” (gli eftaliti) che invasero l'India e la Persia nel quinto e nel sesto secolo avessero la pelle più chiara delle altre tribù unne che invasero l'Europa. I cazari neri di Istakhri – come altre notizie che si trovano nei suoi scritti o in quelli di altri geografi – derivano da dicerie e leggende; e noi non sappiamo di più sull'aspetto fisico dei cazari e sulle loro origini etniche.

Su quest'ultimo punto non siamo in grado di dare altro che risposte vaghe e generiche. Ma è altrettanto deludente ricercare le origini degli unni, degli alani, degli avari, dei bulgari, dei magari, dei bashkiri, dei burta, dei sabiri, degli uiguri, dei saraguri, degli onoguri, degli utiguri, dei kutriguri, dei tarniachi, dei kotragari, dei kabari, degli zabenderi, dei ghuz, dei cumani, dei kipchaki e di dozzine di altre tribù o popolazioni che, in un momento o in un altro della vita del regno cazaro, migrarono oltre i suoi confini. Persino gli unni, dei quali sappiamo più cose, sono di origine incerta; il loro nome sembrerebbe derivare dal cinese Hiung-nu, che indica in generale i guerrieri nomadi, tanto che presso altre nazioni il nome "unno" è stato applicato indiscriminatamente a tutte le orde di nomadi, ivi compresi i già citati "unni bianchi", i sabiri, i magari e i cazari.

Nel primo secolo dopo Cristo i cinesi spinsero verso occidente questi sgraditi vicini unni, ed ebbero così inizio quelle periodiche valanghe che per secoli dall'Asia si abbatterono sull'Occidente. Dal quinto secolo in poi molte di queste tribù dirette verso occidente vennero genericamente chiamate "turchi". Anche questo termine parrebbe di origine cinese (deriverebbe dal nome di una collina) e venne in seguito usato per indicare tutte le tribù che parlavano idiomi con certe caratteristiche comuni, appartenenti cioè al gruppo turco-tataro. Così il termine "turco", nel senso in cui era usato dagli scrittori medievali, e spesso anche dagli enologi moderni, si riferisce innanzitutto alla lingua e non alla razza. In questo senso gli unni e i cazari erano popolazioni "turche". Si suppone che la lingua cazara fosse un dialetto ciuvascio derivato dal turco, che sopravvive ancora nella Repubblica sovietica autonoma dei ciuvasci, tra il Volga e il Sura. In effetti si ritiene che il popolo ciuvascio discenda dai bulgari, i quali parlavano un dialetto simile a quello dei cazari. Ma tutte queste connessioni sono assai tenui e si basano su deduzioni più o meno ipotetiche dei cultori di filologia orientale. Tutto ciò che possiamo affermare con sicurezza è che i cazari erano una tribù "turco-tatara", sbucata dalle steppe asiatiche, probabilmente nel quinto secolo d.C.

Anche sull'origine del nome cazaro è sui suoi derivati moderni si sono avanzate numerose e ingegnoso ipotesi. Molto probabilmente il termine deriva dalla radice turca gaz, "errare", e significa semplicemente "nomade". Di maggior interesse per i non specialisti sono alcuni presunti derivati moderni: tra questi troviamo il russo kasak (cosacco) e l'ungherese huszar (ussaro), termini che fanno entrambi riferimento ai militari a cavallo, e anche il tedesco Ketzer, che significa eretico, cioè ebreo. Qualora fossero esatte, queste derivazioni mostrerebbero che i cazari ebbero una notevole influenza sull'immaginazione di un gran numero di popoli del Medioevo.

Uno dei più antichi riferimenti ai cazari si trova in una Cronaca siriaca attribuita a Zaccaria il Retore, che risale alla metà del sesto secolo. I cazari sono citati in un elenco di popolazioni che abitano la regione del Caucaso. Altre fonti indicano che essi erano già ben noti un secolo prima e in stretti rapporti con gli unni. Nel 448 d.C. l'imperatore Teodosio II mandò ad Attila un'ambasceria di cui faceva parte un famoso retore di nome Prisco. Questi tenne un diario particolareggiato non solo dei negoziati diplomatici, ma anche degli intrighi di corte e di quanto accadeva nella sontuosa sala dei banchetti di Attila: fu veramente un perfetto cronista mondano, e rimane tuttora una delle fonti principali di informazione sugli usi e costumi degli unni. Ma Prisco riporta anche alcuni aneddoti relativi a un popolo assoggettato agli unni che chiama akatziri – cioè, con tutta probabilità, gli Ak-Khazar, o cazari “bianchi”. Prisco narra che l'imperatore di Bisanzio tentò di trarre questa stirpe di guerrieri dalla propria parte, ma l'esoso capo cazaro chiamato Karidach considerò inadeguato il compenso offertogli e parteggiò per gli unni. Attila sconfisse gli altri capi rivali, insediò Karidach quale capo unico degli akatziri e lo invitò a visitare la sua corte.

Karidach si profuse in ringraziamenti per l'invito, ma aggiunse che “sarebbe stato troppo duro per un mortale contemplare la faccia di un dio. Infatti, così come non si riesce guardare il sole, non sarebbe possibile guardare la faccia del più grande degli dei senza danni”. Attila dovette esserne compiaciuto, poiché Karidach fu confermato nella carica.

La cronaca di Prisco conferma così che i cazari comparvero in Europa attorno alla metà del quinto secolo come un popolo sottomesso agli unni, che può quindi essere considerato, con i magiari e con altre tribù, uno degli ultimi discendenti delle orde di Attila.

La caduta dell'impero unno dopo la morte di Attila lasciò un vuoto di potere nell'Europa orientale, che rimase esposta ancora una volta alle continue invasioni di orde nomadi provenienti dall'est, tra le quali le più importanti erano gli uiguri e gli avari.

Durante gran parte di questo periodo sembra che i cazari fossero felicemente impegnati a compiere razzie nelle ricche regioni transcaucasiche della Georgia e dell'Armenia, per raccogliere preziosi bottini. Nella seconda metà del sesto secolo divennero la forza dominante tra le tribù stanziate a nord del Caucaso. Alcune di queste tribù - i sabiri, i saraguri, i samandari, i balangiari etc. - in quest'epoca scompaiono dalle cronache: erano state sottomesse o assorbite dai cazari. I potenti bulgari opposero evidentemente un'accanita resistenza. Ma attorno al 641 anch'essi subirono una schiacciante sconfitta, che provocò lo smembramento di quel popolo in due parti: una parte migrò a ovest verso il Danubio fino alla regione dell'attuale Bulgaria, l'altra si diresse a nord-est verso il medio corso del Volga, restando sotto la sovranità cazara. Nel corso della nostra storia avremo spesso occasione di incontrare sia i bulgari del Danubio che quelli del Volga.

Ma prima di diventare uno stato sovrano i cazari dovettero ancora fare i conti con un'effimera potenza, il cosiddetto impero turco occidentale, o regno Turkut. Si trattava di una confederazione di tribù, tenute insieme da un monarca chiamato Kagan o Khagan - un titolo che i capi cazari avrebbero in seguito adottato. Questo primo stato turco - se così si può chiamare - durò circa un secolo (550 - 650), poi cadde senza lasciare tracce. Tuttavia  soltanto dopo la nascita di questo regno il termine "turco" venne usato per indicare una specifica nazione, distinta da tutti gli altri popoli di lingua turco-tatara come i cazari  o i bulgari.

I cazari quindi erano stati prima sotto la tutela degli unni, poi sotto quella dei turchi.

Dopo la scomparsa dei turchi, alla metà del settimo secolo venne il loro turno di dominare il "Regno del Nord", come persiani o i bizantini lo avrebbero chiamato. Secondo una leggenda,15 il grande re persiano Cosroe Anushirwan nel suo palazzo aveva tre troni d'oro riservati agli imperatori di Bisanzio, della Cina e dei cazari. Nessuna visita ufficiale venne mai fatta da questi sovrani e i troni d'oro, se mai esistettero, ebbero funzioni puramente simboliche. Verità o leggenda che sia, la storia si accorda perfettamente con l'affermazione ufficiale dell'imperatore Costantino del triplo sigillo d'oro che la cancelleria imperiale riservava ai sovrani cazari.

Così nei primi decenni del settimo secolo, immediatamente prima che la tempesta musulmana si scatenasse dall'Arabia, il Medio Oriente era dominato da una triade di grandi potenze: Bisanzio, la Persia e l'impero turco occidentale. Le prime due si erano battute a intervalli l'una contro l'altra per un secolo, ed entrambe sembravano sull'orlo del collasso; in seguito Bisanzio si riprese, mentre il regno di Persia andò incontro alla propria fine e i cazari ebbero una parte concreta nel propiziarne la scomparsa.

I cazari erano nominalmente ancora sotto la sovranità del regno turco d'Occidente, del quale costituivano l'elemento più vigoroso e al quale sarebbero presto succeduti.

Perciò, nel 627, l'imperatore romano d'Oriente Eraclio concluse con essi un'alleanza militare - la prima di una lunga serie - quando stava preparandosi alla campagna conclusiva contro la Persia. Ci sono numerose versioni sul ruolo dei cazari in quella campagna - che sembrerebbe essere stata abbastanza ingloriosa - ma i fatti principali sono ben chiari. I cazari fornirono a Eraclio 40.000 cavalieri comandati da un certo Ziebel, che parteciparono all'invasione della Persia ma in seguito - probabilmente stanchi della prudente strategia dei greci - tornarono indietro a porre l'assedio a Tiflis; non ebbero successo, ma l'anno successivo si unirono ancora ad Eraclio, presero la capitale georgiana e tornarono a casa con un ricco bottino. Gibbon ha fornito una colorita descrizione (tratta da Teofane) del primo incontro tra l'imperatore romano e il capo cazaro:
All'alleanza ostile che Cosroe aveva concluso con gli avari, l'imperatore romano oppose quella utile e onorevole con i turchi.16 In seguito al suo generoso invito, le orde dei cazari trasportarono le loro tende dalle pianure del Volga alle montagne della Georgia; Eraclio li ricevette nei pressi di Tiflis e qui, se possiamo credere ai greci, il khan e i nobili del suo seguito scesero da cavallo e si prostrarono al suolo per adorare la porpora del Cesare. Tale volontario omaggio e l'importante aiuto fornito meritarono un caloroso ringraziamento; e l'imperatore, toltosi il diadema, lo pose sulla testa del principe turco mentre lo salutava con un tenero abbraccio e con l'appellativo di figlio. Dopo un sontuoso banchetto egli offrì a Ziebel il vasellame e gli ornamenti, l'oro, le gemme e la seta che erano serviti per imbandire la tavola imperiale, e con le sue stesse mani distribuì ai suoi nuovi alleati orecchini e altri ricchi gioielli. Nel corso di una conversazione riservata, l'imperatore mostrò il ritratto della propria figlia Eudocia, non disdegnando di lusingare il barbaro con la promessa di una così bella e nobile sposa; ciò gli valse un immediato aiuto di 40.000 cavalli...17
Eudocia (o Epifania) era la sola figlia che Eraclio aveva avuto dalla prima moglie. La promessa di darla in sposa al “turco” mostra ancora meglio quale importanza attribuiva la corte bizantina all'alleanza con i cazari. Tuttavia il matrimonio non fu mai celebrato perché Ziebel morì mentre Eudocia con il seguito era in viaggio diretta da lui. In Teofane si trova anche un riferimento equivoco secondo il quale Ziebel offrì all'imperatore “il figlio, un giovane imberbe”.

Lo stato persiano non si riprese più dalla bruciante sconfitta inflittagli dall'imperatore Eraclio nel 627. Ci fu una rivoluzione, il re venne assassinato dal figlio, il quale a sua volta morì pochi mesi dopo; venne posto sul trono un fanciullo e dopo una decina d'anni e di anarchia e di caos l'irruzione sulla scena delle prime armate arabe diede il colpo di grazia all'impero sassanide. Più o meno nello stesso periodo si dissolveva anche la confederazione turca d'Occidente e ogni tribù ritrovava la propria autonomia. Una nuova triade di potenze si sostituì alla precedente: il califfato islamico, la Bisanzio cristiana e, ultimo arrivato, il regno cazaro del nord. Toccò a quest'ultimo sostenere l'urto dei primi assalti arabi e proteggere le pianure dell'Europa orientale dagli invasori.

Nei primi vent'anni dell'Egira - la fuga di Maometto a Medina nel 622, che segna l'inizio del calendario arabo - i musulmani avevano conquistato la Persia, la Siria, la Mesopotamia, l'Egitto e circondavano il cuore dell'impero bizantino (l'attuale Turchia) con un pericoloso semicerchio che si estendeva dal Mediterraneo al Caucaso e alle sponde meridionali del Caspio. Il Caucaso costituiva un ostacolo naturale formidabile, ma non più proibitivo dei Pirenei; poteva essere valicato mediante il passo Darjal, o attraversato incuneandosi nella gola di Darband, sulle rive del Caspio.

Questa strettoia fortificata, chiamata dagli arabi Bab al Abwab, la porta delle porte, era una specie di passaggio storico attraverso il quale da tempo immemorabile avevano sempre cavalcato le tribù di predoni, ivi compresi i cazari, per attaccare i paesi del sud e ritirarsi subito dopo. Ora era venuto il turno degli arabi. Tra il 642 e il 652 essi attraversarono ripetutamente il passaggio di Darband, inoltrandosi nel territorio dei cazari nel tentativo di impadronirsi della città più vicina, Balanjar, e assicurarsi così una testa di ponte sul fianco europeo del Caucaso. In questa prima fase delle guerre arabo-cazare, gli arabi furono sempre respinti; l'ultima volta, nel 652, ci fu una grande battaglia nel corso della quale entrambe le parti fecero uso di artiglierie (catapulte e balestre). Vennero uccisi quattromila arabi, e tra questi il comandante Abd-al-Raman ibn Rabiah; gli altri fuggirono disordinatamente attraverso le montagne.

Per i successivi trenta o quarant'anni gli arabi non tentarono nessun'altra sortita nella fortezza cazara. I loro principali attacchi erano ora diretti contro Bisanzio. Parecchie volte assediarono Costantinopoli per terra e per mare; se avessero avuto la possibilità di aggirare la capitale attraverso il Caucaso e il mar Nero, la sorte dell'impero romano sarebbe con tutta probabilità stata segnata. Nello stesso periodo i cazari, che avevano già soggiogato i bulgari e i magiari, completarono la loro espansione verso occidente in Ucraina e in Crimea. Peraltro non si trattava più di razzie disordinate alla volta della conquista di bottini e di prigionieri; erano vere e proprie guerre di conquista, dove i popoli vinti venivano incorporati in un impero dotato di un'amministrazione stabile, governato dal potente Kagan che, attraverso una rete di governatori provinciali, amministrava e riscuoteva tributi nei territori conquistati. All'inizio dell'ottavo secolo lo stato cazaro era abbastanza consolidato da permettersi di passare all'offensiva nei confronti degli arabi.

A più di mille anni di distanza, il periodo di guerre intermittenti che seguì (la cosiddetta "seconda guerra araba", 722-737) ci appare come una serie di fastidiosi episodi a livello locale, che si ripetono sempre sulla stessa falsariga: la cavalleria cazara con i suoi armamenti penetra attraverso il passo Darial o la porta di Darband nei domini meridionali del Califfo; poi, inseguita dagli arabi, ripercorre lo stesso passo o la stessa gola verso il Volga, per ricominciare poco dopo. Guardando attraverso la parte sbagliata del telescopio, viene in mente la filastrocca del nobile duca di York che aveva diecimila soldati: "Li fece arrampicare fino in cima alla collina. Poi li fece ritornare al punto di partenza"18. In effetti, le fonti arabe (quantunque siano spesso esagerate) parlano di eserciti di centomila e perfino di trecentomila uomini da entrambe le parti: probabilmente erano più numerosi di quelli che nella battaglia di Poitiers, che ebbe luogo pressappoco nello stesso periodo, decisero la sorte del mondo occidentale.

Il fanatismo che sfidava la morte era una caratteristica di queste guerre ed è messo in evidenza da episodi quali il suicidio collettivo di un'intera città cazara in un rogo come alternativa alla resa; l'avvelenamento delle fonti d'acqua di Bab al Abwab da parte di un generale arabo; e la tradizionale esortazione che frenava le fughe dell'esercito arabo sconfitto e prolunga il combattimento fino all'ultimo uomo: "Musulmani, al Paradiso e non al fuoco!", essendo le gioie del cielo assicurate ad ogni soldato musulmano ucciso nella guerra santa.

Una volta nel corso di questi quindici anni di lotte i cazari attraversarono la Georgia e l'Armenia, inflissero una pesante sconfitta all'esercito arabo nella battaglia di Ardabil (730), e si spinsero poi fino a Mosul e a Diyarbakir, arrivando più che a mezza strada da Damasco, la capitale del califfato. Con l'aiuto di truppe fresche l'esercito musulmano riuscì ad arginare l'invasione, e i cazari si ritirarono attraverso le montagne. L'anno successivo Maslaman ibn-Abd-al-Malik, il più famoso generale arabo del tempo, che in passato aveva comandato l'assedio di Costantinopoli, si impadronì di Balanjar, arrivando poi fino a Samandar, un'altra grande città cazara posta più a nord. Ma ancora una volta gli invasori furono incapaci di attestarsi in modo permanente, e ancora una volta furono costretti a ritirarsi attraverso il Caucaso. Il senso di sollievo provato nell'impero romano assunse una forma di riconoscenza tangibile nei confronti dei cazari con una ulteriore alleanza dinastica; infatti l'erede al trono sposò una principessa cazara, il cui figlio avrebbe regnato a Bisanzio con il nome di Leone il Cazaro.

L'ultima campagna araba fu condotta dal futuro califfo Marwan II e terminò in una vittoria di Pirro. Marwan fece un'offerta di alleanza al kagan cazaro, poi attaccò di sorpresa da entrambi i passaggi del Caucaso. L'esercito cazaro, incapace di riprendersi dal colpo iniziale, ripiego fino al Volga e il kagan fu costretto a chiedere un armistizio.

Marwan, secondo la prassi seguita negli altri territori conquistati, chiese la conversione del kagan alla vera fede. Il kagan aderì, ma la sua conversione all'Islam dovette essere un atto puramente formale, poiché nessuna fonte araba o bizantina fa menzione dell'episodio in contrasto con i durevoli effetti dell'adozione del giudaismo come religione di stato, che sarebbe avvenuta pochi anni dopo. Soddisfatto dei risultati ottenuti, Marwan si congedò dalla Cazaria e ricondusse il suo esercito nella Transcaucasia, senza lasciare dietro di sé né guarnigioni, né governatori e nessun apparato amministrativo. Al contrario, poco tempo dopo apri una trattativa per allearsi con i cazari contro le tribù ribelli del sud.

I cazari l'avevano scampata bella! Sui motivi che provocarono la evidente magnanimità di Marwan si possono semplicemente formulare congetture - come su molti altri punti di questo bizzarro capitolo di storia. Forse gli arabi si resero conto che, diversamente da quanto accadeva per popoli relativamente civili quali i persiani, gli armeni o i georgiani, questi feroci barbari del nord non avrebbero potuto essere governati da un principe fantoccio musulmano e da una piccola guarnigione. A Marwan peraltro servivano tutti gli uomini del suo esercito per sedare gravi ribellioni in Siria e in altre parti del califfato omayyade, che stava andando in pezzi. Marwan stesso fu il comandante in capo della guerra civile che segui, e nel 744 divenne l'ultimo califfo omayyade (per essere poi assassinato sei anni dopo, quando il califfato passò in mano alla dinastia abbaside). Data la situazione, Marwan semplicemente non era in grado di dare fondo alle sue risorse impegnandosi in ulteriori guerre contro i cazari. Dovette accontentarsi di impartire loro una lezione che li dissuadesse dall'intraprendere nuove incursioni attraverso il Caucaso.

Veniva così bloccata, pressappoco alla stessa epoca, da entrambe le parti la gigantesca manovra a tenaglia lanciata dai musulmani, a ovest attraverso i Pirenei e a est attraverso il Caucaso. Come i franchi di Carlo Martello salvarono la Gallia e l'Europa occidentale, così i cazari salvarono ad oriente le vie d'accesso al Volga, al Danubio e allo stesso impero romano d'Oriente. Almeno su questo punto l'archeologo e storico sovietico Artamonov e lo storico americano Dunlop sono perfettamente d'accordo. Abbiamo già avuto occasione di citare Dunlop a proposito del fatto che, in mancanza di un intervento cazaro, "la stessa Bisanzio, baluardo della civiltà europea in Oriente, si sarebbe trovata circondata dagli arabi", e di come la storia avrebbe potuto prendere un corso assai diverso.

Artamonov è della stessa opinione:
La Cazaria fu il primo stato feudale dell'Europa orientale in grado di competere con l'impero bizantino e il califfato arabo... Fu solo grazie ai potenti attacchi cazari, che richiamarono il grosso degli eserciti arabi verso il Caucaso, che Bisanzio poté resistere.19
Infine Dimitri Obolenskij, professore di storia russa all'università di Oxford, scrive:
"Il contributo principale dei cazari alla storia del mondo fu l'aver difeso con successo la linea del Caucaso dai furiosi attacchi che gli arabi sferravano verso il nord."20

Marwan non fu soltanto l'ultimo generale arabo ad attaccare i cazari; fu anche l'ultimo califfo a perseguire una politica di espansione dedita, almeno in teoria, all'ideale di far trionfare l'Islam in tutto il mondo. Con l'avvento al potere dei califfi abbasidi cessarono le guerre di conquista, la ripresa di influenza della vecchia cultura persiana favori un clima più mite e diede origine agli splendori della Baghdad di Harun al Rashid.

Durante la lunga tregua tra la prima e la seconda guerra araba, i cazari furono coinvolti in uno dei più sinistri episodi della storia bizantina. Nel 685 divenne imperatore romano d'Oriente Giustiniano II Rinotmeto, all'età di sedici anni. Gibbon, nel suo inimitabile stile, ha schizzato così il ritratto del giovane:
Le sue passioni erano violente; la sua intelligenza debole; ed era accecato da un orgoglio folle... I suoi ministri preferiti erano due personaggi privi di qualsiasi attrattiva umana: un eunuco e un monaco; il primo pretendeva di correggere la regina madre a colpi di frusta, mentre il secondo appendeva i tributari insolventi a testa in giù, sopra braci ardenti e fumanti.21
Dopo dieci anni di un simile intollerabile regime scoppiò una rivolta e il nuovo imperatore Leonzio ordinò la mutilazione è la cacciata di Giustiniano:
L'amputazione del naso e forse della lingua venne eseguita in modo imperfetto; con la notevole duttilità propria della lingua greca fu possibile creare per Giustiniano il soprannome di Rinotmeto ("naso tagliato"); poi il tiranno mutilato venne esiliato a Cherson in Crimea, una colonia isolata dove il grano, il vino e l'olio venivano importati come prodotti esotici di lusso.22
Durante il suo esilio a Cherson, Giustiniano continuò a complottare per riprendersi il  trono. Dopo tre anni di esilio, vide improvvisamente crescere le proprie possibilità, quando anche Leonzio venne detronizzato a Bisanzio, e anche a lui fu tagliato il naso. Giustiniano fuggì allora da Cherson e raggiunse la città cazara di Doros in Crimea, dove si incontrò con il kagan dei cazari, il re Busir o Bazir. Il Kagan accolse volentieri la possibilità che gli veniva offerta di immischiarsi nella politica dinastica di Bisanzio: concluse infatti un'alleanza con Giustiniano dandogli in moglie la propria sorella. Pare che questa principessa, che fu battezzata con il nome di Teodora e più tardi regolarmente incoronata, fosse il solo personaggio decente in tutta questa storia di sordidi intrighi, è che amasse sinceramente il suo marito senza naso (che doveva avere poco più di trent'anni). La coppia, accompagnata da un gruppo di sostenitori, venne trasferita a Fanagoria (l'attuale Taman), sulla riva orientale dello stretto di Kerc, città retta da un governatore cazaro. Qui si stava preparando l'invasione di Bisanzio con l'aiuto delle armate calzare che il re Busir doveva aver promesso. Ma gli inviati del nuovo imperatore, Tiberio III, convinsero Busir a cambiare idea promettendogli un ricco compenso in oro se avesse consegnato Giustiniano, vivo o morto, ai bizantini. Il re Busir diede perciò ordine a due dei suoi uomini, Papatzes e Balgitres, di assassinare il cognato. Ma la fedele Teodora ebbe sentore del complotto e avvisò il marito. Giustiniano invitò allora Papatzes e Balgitres, separatamente, nei suoi appartamenti e li strangolò uno dopo l'altro con una corda. Poi si imbarcò e attraversò il mar Nero fino all'estuario del Danubio, dove stipulò una nuova alleanza con una potente tribù bulgara. Il re di tale tribù, Terbolis, si dimostrò per il momento più fidato del Kagan cazaro; infatti nel 704 procurò a Giustiniano 15.000 cavalieri per attaccare Costantinopoli.

In capo a dieci anni o i bizantini avevano dimenticato gli aspetti negativi del precedente governo di Giustiniano, oppure trovavano il loro attuale imperatore ancor più intollerabile; giacché si ribellarono contro Tiberio e rimisero sul trono Giustiniano. Il re bulgaro fu ricompensato con "un mucchio di monete d'oro che misurò con la sua frusta scita" e tornò a casa, per poi essere coinvolto in una nuova guerra contro Bisanzio alcuni anni dopo.

Il secondo regno di Giustiniano (704 - 711) fu persino peggiore del primo: "Egli considerava la scure, la corda e la ruota i soli strumenti di governo". Divenne squilibrato: era ossessionato dall'odio per gli abitanti di Cherson, dove aveva trascorso gli anni peggiori del suo esilio, fino a inviare una spedizione contro la città. Alcuni notabili vennero bruciati vivi, altri affogati, e fu raccolta una massa di prigionieri; ma questo non bastò a placare la sete di vendetta di Giustiniano, che inviò una seconda spedizione con l'ordine di radere al suolo la città. Questa volta, tuttavia, le sue truppe vennero fermate da una potente armata cazara; dopo di che il rappresentante di Giustiniano in Crimea, un certo Bardane, cambiò schieramento e passò con i cazari. Le forze della spedizione bizantina, demoralizzate, ritirarono la loro fedeltà a Giustiniano ed elessero imperatore Bardane con il nome di Filippico. Ma poiché Filippico si trovava nelle mani dei cazari, i ribelli dovettero pagare un pesante riscatto al Kagan per la restituzione del loro nuovo imperatore. Quando l'esercito rientrò a Costantinopoli, Giustiniano e suo figlio vennero assassinati e Filippico, accolto come un liberatore, sali al trono per esserne deposto un paio d'anni più tardi e subire una condanna all'accecamento.

Lo scopo di questo sanguinoso racconto è quello di mostrare quale fosse l'influenza esercitata dai cazari in questo periodo sulle sorti dell'Impero romano d'Oriente - in aggiunta al loro ruolo di difensori dei paesi caucasici contro i musulmani. Filippico Bardane divenne imperatore poiché lo vollero i cazari e la fine del regno del terrore di Giustiniano la si deve a suo cognato, il Kagan. Scrive Dunlop: "Non deve sembrare un'esagerazione l'affermazione secondo la quale in questo periodo il Kagan era praticamente in grado di dare un nuovo capo all'impero greco."23

Dal punto di vista cronologico l'avvenimento da trattare ora dovrebbe essere la conversione dei cazari al giudaismo, avvenuta intorno al 740. Ma per situare un avvenimento così importante nella giusta prospettiva sarebbe necessario avere almeno un'idea approssimativa degli usi, dei costumi e della vita dei cazari prima della loro conversione.

Purtroppo non disponiamo di alcuna testimonianza oculare, come la descrizione della corte di Attila da parte di Prisco. Ciò che abbiamo sono narrazioni di seconda mano e compilazione di cronisti bizantini e arabi, in genere piuttosto schematiche e frammentarie ma con due eccezioni: una lettera, presumibilmente di un re cazaro, di cui parleremo più avanti, e un racconto di viaggio fatto da un buon osservatore arabo, Ibn Fadlan, il quale - come Prisco - era membro di una missione diplomatica inviata da una corte civile presso i barbari del nord.

La corte era quella del califfo al Muktadir e la missione diplomatica, partita da Baghdad, attraversò Persia e Buchara per raggiungere la terra dei bulgari del Volga. Il pretesto ufficiale per questa grandiosa spedizione fu una lettera di invito del re bulgaro, il quale chiedeva al califfo di mandargli dei predicatori religiosi per convertire il suo popolo all'Islam, e di costruire una fortezza che gli permettesse di sfidare il suo sovrano, il re dei cazari. L'invito, senza dubbio preceduto da contatti diplomatici preliminari, offriva anche la possibilità di crearsi delle simpatie tra le varie tribù turche abitanti i territori attraverso i quali avrebbe dovuto passare, con la predicazione del messaggio coranico e con la distribuzione di grandi quantità di mance in oro.

La missione avanzò lentamente e senza avvenimenti di rilievo fino alla provincia di Khwarzim, l'ultima del califfato, a sud del mare di Aral. Qui il governatore in carica della provincia tentò di impedire alla missione di proseguire oltre, affermando che tra il suo paese e il regno dei bulgari c'erano "un migliaio di tribù di infedeli" che ne avrebbero sicuramente massacrato i membri. In realtà il suo tentativo di dissuadere la missione dal procedere, disobbedendo agli ordini del califfo, doveva avere altre motivazioni: egli comprendeva che la missione era indirettamente inviata contro i cazari, con i quali aveva floridi rapporti commerciali e relazioni amichevoli. Alla fine tuttavia dovette cedere, e lasciare che la missione procedesse verso Gurganj, sull'estuario dell'Amu-Darja. Qui i componenti della spedizione svernarono per tre mesi, a causa del freddo intenso, elemento che ricorre spesso in parecchi racconti di viaggiatori arabi.
Il fiume rimase gelato per tre mesi, e osservando i dintorni noi pensammo che le porte dell'inferno di ghiaccio si fossero aperte dinanzi a noi. Vidi che la piazza del mercato e le strade erano realmente del tutto vuote a causa del freddo... Una volta uscii dal bagno e giunto a casa vidi che la barba mi si era trasformata in un blocco di ghiaccio, che dovetti sciogliere di fronte al fuoco. Rimasi per qualche giorno in una casa che stava dentro un'altra casa, nella quale si trovava una tenda turca di feltro e io, dentro la tenda, stavo tutto vestito e impellicciato, ma nonostante ciò mi gelavano spesso le guance sul cuscino...24
Verso la metà di febbraio giunse il disgelo. Per attraversare le steppe del nord la missione decise di unirsi a una grande carovana composta da cinquemila uomini e tremila animali da tiro e si procurò quindi i rifornimenti necessari: cammelli, imbarcazioni di cuoio di cammello per attraversare i fiumi, pane, miglio e carne conservata per tre mesi. Gli indigeni li avvisarono che il clima del nord sarebbe stato ancora più terribile e li consigliarono sull'abbigliamento da adottare:
Così ciascuno di noi indosso' un kurtak25 e sopra mise un caffetano di lana, poi un buslin26 e infine un burka27; e calzo' un berretto di pelliccia, sotto il quale si vedevano solo gli occhi; mise una mutanda semplice, poi una mutanda foderata e sopra i pantaloni; ai piedi scarpe di kaymhut28 con sopra un paio di stivali; e quando si saliva sul cammello non ci si poteva più muovere a causa dei vestiti.29
Ibn Fadlan, da buon arabo raffinato, non apprezzò né il clima né gli abitanti di Khwarzim:
Per aspetto fisico e lingua sono i più repellenti tra gli uomini. La loro lingua somiglia al pigolio degli storni. A una giornata di marcia c'è un villaggio chiamato Ardkwa i cui abitanti sono detti cardai; la loro parlata fa lo stesso rumore del gracidare delle rane.30
La carovana si mosse il 3 marzo 921 e si fermò per la notte in un caravanserraglio detto Zamgan, che si trovava al limite del territorio dei turchi ghuz. Da quel punto in poi la missione si trovava in territorio straniero e "la sua sorte era riposta nelle mani di Dio onnipotente e altissimo". Nel corso di una delle frequenti tempeste di neve, Ibn Fadlan si affiancò ad un turco che si lamentava: "Che cosa vuole il Signore da noi? Ci sta facendo morire di freddo. Se almeno sapessimo cosa vuole, potremmo darglielo". E Ibn Fadlan:
"Tutto ciò che vuole è che tutti voi diciate: 'Non c'è altro dio salvo Allah' ". Il turco rise: "Se fossimo certi che è così, lo diremmo".
Sono numerosi gli episodi di questo tipo che Ibn Fadlan narra, senza apprezzare lo spirito di indipendenza che essi riflettono. L'inviato della corte di Baghdad non comprendeva neppure il sostanziale disprezzo per l'autorità degli uomini delle tribù nomadi. Anche l'episodio che segue avvenne nel territorio dei potenti turchi ghuz, che pagavano il tributo ai cazari e che, secondo alcune fonti, erano strettamente legati ad essi:
La mattina successiva uno dei turchi ci si parò dinnanzi. Era di corporatura deforme, di aspetto sporco, di maniere brutali, di natura ignobile; e ci stavamo muovendo sotto una pioggia battente. Allora egli disse: " Fermi". E tutta la carovana di tremila animali e cinquemila uomini si fermò. Poi disse: "Nessuno di voi è autorizzato a proseguire". Tutti allora ci arrestammo per obbedire ai suoi ordini. Allora gli dicemmo: "Siamo amici del Kudarkin". Egli si mise a ridere e replicò: "Chi è il Kudarkin? Io gli caco sulla barba". Poi aggiunse: "Pane". Io gli consegnai alcune forme di pane. Egli le prese e disse: "Continuate il vostro cammino; ho pietà di voi".31
I metodi democratici in uso presso i ghuz per prendere le decisioni sbalordirono ancora di più il rappresentante di una teocrazia autoritaria:
Essi sono nomadi e vivono sotto tende di feltro. Si fermano in un posto per qualche tempo e poi se ne vanno. Si vedono le loro tende sparse qua e là in tutta la piana, alla maniera dei nomadi. Sebbene conducano una vita dura, si comportano come asini che hanno smarrito la strada. Non hanno alcuna forma di religione che li leghi a Dio; e non sono neppure guidati dalla ragione; non venerano nulla. Tuttavia chiamano i loro capi "signore"; quando uno di essi consulta il capo, domanda: " Signore, che cosa debbo fare per questa o per quest'altra cosa?". Decidono il proprio comportamento consultandosi tra loro; ma quando hanno deciso una cosa da fare e sono pronti a procedere all'esecuzione anche il più umile, il più piccolo tra loro può far cambiare la decisione.
I costumi sessuali dei ghuz e di altre tribù erano un notevole miscuglio di liberalismo e di barbarie:
Le loro donne non portano velo in presenza degli uomini e neppure di fronte agli stranieri. E le donne non coprono nessuna parte del loro corpo in presenza di gente. Un giorno eravamo nella casa di un ghuz, seduti in circolo; era presente anche la moglie. Mentre conversavamo la donna si scopri le parti intime e si grattò di fronte a tutti. Allora noi ci coprimmo il volto esclamando: "Che Dio mi perdoni". Il marito rise e disse all'interprete: "Dì loro che noi mostriamo ciò in vostra presenza affinché voi abbiate la possibilità di vedere e di dominarvi; ma non si può toccare. È meglio così piuttosto che tenere tutto coperto, per poi permettere di toccare". L'adulterio non è in uso tra loro, ma se scoprono qualcuno colpevole di adulterio lo spezzano in due. Fanno ciò avvicinando i rami di due alberi, legando l'uomo ai rami e lasciandoli andare. Così egli viene lacerato a metà.32
Il cronista non dice se la stessa punizione fosse prevista anche per la donna colpevole. Più avanti, quando parla dei bulgari del Volga, l'autore descrive un metodo altrettanto barbaro di spezzare in due gli adulteri, che veniva applicato sia agli uomini sia alle donne. Tuttavia, egli osserva con stupore, i bulgari di entrambi i sessi nuotano nudi nei loro fiumi e, come i ghuz, non hanno alcun senso del pudore.

Per quanto concerne la pederastia - che nei paesi arabi era considerata una cosa normale - Ibn Fadlan afferma che viene "considerata dai turchi come un peccato terribile". Ma nell'unico episodio che racconta per suffragare tale osservazione il seduttore di un "fanciullo imberbe" se la cava con un'ammenda di quattrocento pecore. Abituato agli splendidi bagni di Baghdad, il nostro viaggiatore non riusciva a sopportare la sporcizia dei turchi: "I ghuz non si lavano dopo aver defecato o urinato, e neppure si bagnano dopo le polluzioni seminali o in altre occasioni. Essi rifiutano ogni contatto con l'acqua, soprattutto d'inverno...". Allorché il comandante in capo dei ghuz si tolse il lussuoso abito di broccato per indossare quello nuovo portatogli dalla missione, o presenti videro che i suoi sottabiti erano "tutti sbrindellati e cascanti per il sudiciume; infatti è abitudine dei ghuz di non togliere mai la camicia che sta a contatto con il loro corpo finché non sia disintegrata". I membri di un'altra tribù turca, quella dei bashkiri, "si radono la barba e mangiano i loro pidocchi. Cercano nelle pieghe dei vestiti, scovano i pidocchi e li sgranocchiano tra i denti". Mentre Ibn Fadlan stava osservando un bashkiro intento a questa operazione, quello commentò: "Sono deliziosi".

In sostanza, non si tratta di un quadro molto invitante. Il disprezzo del nostro sdegnoso viaggiatore verso i barbari era profondo. Ma veniva alla luce solo rispetto alle loro sporcizie e a ciò che gli arabi consideravano indecente, cioè l'esposizione del corpo; la ferocia delle loro punizioni e i riti sacrificali lo lasciavano del tutto indifferente. Così egli descrive la punizione che i bulgari infliggevano all'omicida con distaccato interesse, senza le espressioni di indignazione che altrove sono frequenti:
"Essi costruiscono per lui una cassa di legno di betulla, lo mettono dentro, gli mettono accanto tre forme di pane e un recipiente di acqua, inchiodano il coperchio sulla cassa e la sospendono a due alti pali dicendo: 'L' abbiamo messo tra cielo e terra, in modo che sia esposto al sole e alla pioggia, e che la divinità possa forse perdonarlo'. Rimane così sospeso finché il tempo non lo distrugge e i venti lo portano via".
Egli descrive anche, con la stessa calma, il sacrificio funebre di centinaia di cavalli e di interi greggi di altri animali, nonché l'orrenda immolazione rituale di una giovane schiava rus sulla bara del padrone.

Circa le religioni pagane Ibn Fadlan ha poco da dire. Tuttavia il culto fallico dei bashkiri risveglia il suo interesse, giacché egli domanda a un indigeno, per mezzo di un interprete, che cosa lo spinga a venerare un pene di legno, e registra la sua risposta: "Perché io vengo da una cosa simile e non conosco un altro creatore che mi abbia fatto".

Aggiunge poi che "Alcuni di loro credono in dodici divinità: un dio dell'inverno, un dio dell'estate, uno della pioggia, uno del vento, uno degli alberi, uno degli uomini, uno dei cavalli, uno dell'acqua, uno della notte, uno del giorno, un dio della morte e uno della terra; mentre il dio che risiede nel cielo è il più grande di tutti, ma tiene consiglio con gli altri, così tutti sono sempre concordi su ciò che fanno gli altri... Abbiamo visto tra questa gente un gruppo che venera i serpenti, un altro che venera i pesci e un altro ancora che venera le gru...".

Tra i bulgari del Volga, Ibn Fadlan riscontra una strana usanza:
Quando notano un uomo che eccelle per sapere o per vivacità di ingegno, essi dicono: "È meglio che costui serva il Signore". Lo prendono, gli passano la corda al collo e lo appendono a un albero, dove viene lasciato marcire...33
Commentando questo passo, l'orientalista turco Zeki Validi Togan, un'autorità indiscussa nella conoscenza del testo di Ibn Fadlan e della storia dei suoi tempi, afferma: "Non c'è nulla di misterioso nel crudele trattamento riservato dai bulgari alle persone eccessivamente intelligenti. Esso si basava sul ragionamento semplice e tranquillo dei cittadini medi, che cercavano solo di condurre quella vita che essi consideravano normale e volevano evitare i rischi e le avventure nelle quali il 'genio' avrebbe potuto trascinarli".

Egli cita poi un proverbio tartaro: "Se tu sai troppo, verrai appeso; se sei troppo modesto, ti passeranno sopra". E conclude affermando che la vittima "non viene considerata semplicemente una persona colta, bensì un genio sregolato, uno di gran lunga troppo intelligente". Questo ci induce a credere che tale usanza si debba considerare come un provvedimento di difesa sociale contro ogni forma di cambiamento, una punizione per i non-conformisti e i potenziali innovatori. Ma, poche righe sotto, lo stesso studioso fornisce una diversa interpretazione:
Ibn Fadlan non descrive semplicemente l'uccisione di gente troppo intelligente, ma un'usanza pagana: un sacrificio umano con il quale gli uomini migliori venivano offerti a Dio. La cerimonia era probabilmente compiuta non già dai bulgari comuni, ma dai loro tabib, o guaritori, cioè dai loro sciamani, i cui omologhi presso i bulgari e presso i rus avevano potere di vita e di morte sulla popolazione, in nome del loro culto. Secondo Ibn Rusta, i guaritori presso i rus avevano il potere di mettere una corda al collo di chiunque e di appenderlo a un albero per invocare la misericordia divina. Dopo averlo fatto, dicevano: "È un'offerta a dio".34
Forse erano presenti entrambi i tipi di motivazione mescolati insieme: "Poiché è necessario fare i sacrifici, sacrifichiamo i disturbatori...".

Vedremo che anche i cazari praticavano sacrifici umani, ivi compresa l'uccisione rituale del re alla fine del suo regno. Se ne può dedurre che c'erano molte altre somiglianze di costumi tra i cazari e le tribù descritte da Ibn Fadlan. Quest'ultimo, sfortunatamente, non poté visitare la capitale cazara e dovette accontentarsi di notizie raccolte nei territori dominati dai cazari, in particolare presso la corte bulgara.

La missione del Califfo impiegò circa un anno (dal 21 giugno 921 al 12 maggio 922) per raggiungere la sua destinazione, cioè il paese dei bulgari del Volga. La strada diretta da Baghdad al Volga passava per il Caucaso e la Cazaria: per evitare quest'ultima la missione dovette fare una lunga deviazione e costeggiare la riva orientale del "mare dei cazari", ossia il Caspio. E tuttavia i viaggiatori ebbero un continuo sentore della vicinanza dei cazari e della loro potenziale pericolosità.

Un episodio tipico ebbe luogo durante il soggiorno presso il capo dei ghuz (quello dei sottoabiti disgustosi). Gli ospiti in un primo tempo furono bene accolti e fu offerto loro un banchetto. Ma successivamente i dirigenti ghuz ebbero dei ripensamenti, tenendo conto delle loro relazioni con i cazari. Il capo radunò i notabili per decidere cosa fare:
Il più in vista, il più influente tra loro era il Tarkhan; era zoppo, aveva una mano storpia. Il capo disse loro: "Questi sono i messaggeri del re degli arabi, e io non mi sento autorizzato a farli passare senza essermi consultato con voi". Allora parlò il Tarkhan: "Non ci era mai capitato di dover affrontare un problema simile prima d'ora; mai un ambasciatore del sultano aveva attraversato il nostro paese da quando siamo qui noi e i nostri antenati. Senza dubbio il Sultano ci vuole ingannare: questa gente egli la invia ai cazari con lo scopo di spingerli contro di noi. La cosa migliore da fare è di spezzare in due ciascuno di questi messaggeri e di confiscate tutti i loro beni". Un altro disse: "No, prendiamo i loro beni e che essi ritornino nudi là donde sono venuti ". E un altro ancora: "No, il re dei cazari ha molti nostri ostaggi, mandiamogli questa gente come riscatto".
Continuarono a discutere per sette giorni, mentre i membri della missione cominciavano a temere il peggio. Alla fine i ghuz li lasciarono andare; Ibn Fadlan non dice il perché. Probabilmente egli stesso riuscì a convincerli che la loro missione in realtà era diretta contro i cazari. I ghuz avevano combattuto in passato a fianco dei cazari contro un'altra tribù turca, quella dei peceneghi, ma più recentemente i cazari avevano mostrato un atteggiamento ostile nei loro confronti: così si spiegano gli ostaggi in mano ai cazari.

La minaccia cazara continuò per tutto il viaggio ad essere presente all'orizzonte. A nord del Caspio la missione fece ancora un'altra larga deviazione per raggiungere gli accampamenti bulgari posti vicino alla confluenza tra il Volga e il Kama. I re e i capi dei bulgari li stavano aspettando molto ansiosamente. Appena terminati cerimonie e festeggiamenti, il re chiamò Ibn Fadlan per discutere di affari. Rammentò a Ibn Fadlan con un linguaggio energico ("la sua voce risuona a come se stesse parlando dal fondo di una botte") lo scopo principale della missione, cioè il versamento della somma che gli doveva servire per "costruire una fortezza per proteggermi dagli ebrei che mi hanno soggiogato".

Purtroppo tali quattrini - una somma di quattromila ari - non erano stati consegnati alla missione, a causa di una serie di complicazioni burocratiche; sarebbero stati spediti in seguito. Nel sentire ciò il re - "un personaggio di corporatura impressionante, grande e possente" - piombo nella disperazione.

Gradualmente Ibn Fadlan riuscì a convincere il re che l'arrivo dei quattrini era solo dilazionato, ma non a placare la sua ansia. Il re continuava a ripetere che il vero scopo del suo invito era la costruzione della fortezza "perché egli aveva paura del re dei cazari". E a quanto pare aveva buone ragioni per temerlo, come spiega lo stesso Ibn Fadlan:
Il figlio del re dei bulgari era tenuto in ostaggio dal re dei cazari. Era stato detto al re dei cazari che il re dei bulgari aveva una bella figliola. Egli allora inviò un messaggero per chiederla in sposa. Ma il re dei bulgari trovò dei pretesti per rifiutare. Il re cazaro inviò allora un altro messaggero è la fece portare via con la forza, sebbene egli fosse ebreo e lei musulmana: ma alla sua corte ella morì. Il re cazaro inviò un altro messaggero per chiedere l'altra figlia del re dei bulgari. Ma, nel momento in cui arrivò il messaggero, il re dei bulgari si affrettò a darla in sposa al principe degli askil, che era un suo vassallo, temendo che il re cazaro la portasse via con la forza, come aveva fatto con sua sorella. Questa fu la ragione che aveva spinto il re dei bulgari a mettersi in contatto con il Califfo per chiedergli di costruire una fortezza, perché egli era terrorizzato dal re dei cazari.
Era un ritornello continuo. Ibn Fadlan precisa anche il tributo annuo che il re bulgaro doveva pagare ai cazari: una pelliccia di zibellino per ogni famiglia del suo regno.

Poiché il numero delle famiglie bulgare (cioè delle tende) si aggirava intorno alle cinquantamila e poiché le pellicce di zibellino bulgaro erano all'epoca molto apprezzate in tutto il mondo, si trattava di un tributo davvero considerevole.

Ciò che ci narra Ibn Fadlan dei cazari si basa – come abbiamo già detto – su informazioni raccolte nel corso del suo viaggio, ma soprattutto alla corte bulgara. Contrariamente quindi a tutto il resto del suo resoconto, sempre tratto da vive osservazioni personali, le pagine sui cazari contengono informazioni di seconda mano, spesso poco interessanti. Inoltre le fonti di informazione sono tendenziose, data l'inimicizia ben comprensibile del re dei bulgari verso il suo sovrano cazaro, e bisogna tener conto anche del risentimento del califfo nei confronti di un regno che aveva abbracciato una religione rivale.

La narrazione di Ibn Fadlan passa bruscamente da una descrizione della corte dei rus a quella della corte cazara:
Per quanto concerne il re dei cazari, il cui titolo è kagan, egli compare in pubblico solo una volta ogni quattro mesi. Viene chiamato il Gran Kagan. Il suo vice viene chiamato Kagan Bek: tocca a lui comandare e rifornire l'esercito, condurre gli affari di stato, comparire in pubblico e fare la guerra. I re vicini obbediscono ai suoi ordini. Egli compare ogni giorno al cospetto del Gran Kagan, con atteggiamento deferente e modesto, scalzo e con un pezzo di legno in mano. Fa atto di obbedienza, accende il legno e quando è tutto consumato si siede sul trono alla destra del re. Dopo di lui, in ordine di importanza viene un uomo chiamato Kndr Kagan, poi un altro, il Jawsshyghr Kagan.
È usanza del Gran Kagan non avere rapporti con il popolo, non parlare con esso né ammettere alcuno alla sua presenza, eccetto quelli che abbiamo menzionato. Il potere di legare o di sciogliere, di infliggere le punizioni e di governare il paese spetta al suo vice, il Kagan Bek.
Altra usanza relativa al Gran Kagan è legata alla sua morte. Allora per lui viene costruito un edificio di venti stanze, e in ogni stanza viene scavata una tomba. Sul pavimento viene sparsa la polvere ottenuta da sassi sbriciolati, che viene poi coperta con pece. Sotto l'edificio scorre un fiume largo e rapido. I cazari fanno passare l'acqua del fiume sopra la tomba e dicono che è fatto perché ne demoni, né uomini né vermi striscianti possano raggiungerlo. Dopo la sepoltura, coloro che hanno eseguito l'operazione vengono decapitati, cosicché nessuno possa sapere dove si trova la sua tomba. La tomba è chiamata "Paradiso" ed essi dicono: "È entrato in Paradiso". Tutte le stanze sono guarnite di broccato di seta intessuto di fili d'oro.
È abitudine del re dei cazari avere venticinque mogli; ogni moglie è figlia di uno dei re che gli deve obbedienza. Egli la prende con il loro consenso o con la forza. Egli ha anche sessanta ragazze come concubine, tutte di squisita bellezza.
Ibn Fadlan prosegue facendo una fantastica descrizione dell'harem del kagan, nel quale ciascuna delle ottantacinque tra mogli e concubine ha a disposizione un palazzo e un cameriere o un eunuco, il quale alla richiesta del re le porta nella sua alcova "in meno di un batter d'occhio". Dopo una serie di dubbie annotazioni circa i "costumi" del kagan dei cazari (vi torneremo più avanti), Ibn Fadlan fornisce finalmente alcune informazioni concrete sul paese:
Il re possiede una grande città sulle due rive dell'Itil.35 Su una sponda abitano i musulmani e sull'altra il re e la sua corte. I musulmani sono governati da un ufficiale del re che è egli stesso musulmano. Questo funzionario si occupa dei procedimenti giudiziari implicati i musulmani che vivono nella capitale cazara e i mercanti che vengono da fuori.
Nessun altro interferisce nei loro affari o si occupa di giudicarli.
La narrazione del viaggio di Ibn Fadlan, almeno nel testo che ci é stato tramandato, termina con queste parole:
I cazari e i loro re sono tutti ebrei. I bulgari e tutti gli altri popoli vicini sono soggetti a quel sovrano. Essi si comportano verso il re dei cazari con obbedienza colma di venerazione. Taluni pensano che i cazari siano il popolo di Gog e Magog.
Ho citato a lungo l'odissea di Ibn Fadlan non tanto per le scarne informazioni che fornisce sugli stessi cazari, quanto piuttosto per la luce che getta sul mondo che li circondava, sulla feroce barbarie dei popoli in mezzo ai quali vivevano, che rifletteva il loro stesso passato prima della conversione. Infatti, al tempo in cui Ibn Fadlan si recò presso i bulgari, la Cazaria era un paese sorprendentemente moderno se confrontato con i suoi vicini.

Il contrasto è reso evidente dai resoconti di altri storici arabi, e si manifesta a tutti i livelli, dall'abitazione all'amministrazione della giustizia. I bulgari vivono ancora esclusivamente in tende, ivi compreso il re, sebbene la sua tenda sia "assai spaziosa e
possa contenere anche più di un migliaio di persone."36 Per contro il kagan dei cazari vive in un castello con mura di mattoni cotti e le sue donne, ci si dice, abitano in "palazzi con tetti di tek"37, e i musulmani possiedono numerose moschee, di cui "una ha un minareto che si eleva più in alto del castello del re."38

Nelle regioni fertili, le loro terre coltivate e le loro fattorie si estendevano senza soluzione di continuità per più di cento chilometri. Avevano anche vastissimi vigneti. Così dice Ibn Hawkal: "In Kozr39 c'è una città chiamata Asmid che possiede così numerosi frutteti e giardini che da Darband a Serir l'intero territorio è coperto di coltivazioni e  piantagioni appartenenti a questa città. Si dice che ce ne siano almeno quarantamila. Parecchi appezzamenti producono uva"40.

La regione a nord del Caucaso era particolarmente fertile. Nell'anno 968 Ibn Hawkal incontrò un uomo che l'aveva visitata dopo una razzia russa: "Egli disse che per i poveracci non è rimasto nulla di commestibile nelle vigne e nei giardini, non c'è più neppure una foglia sugli alberi... (Ma) data l'eccellente qualità della terra e l'abbondanza dei prodotti, in meno di tre anni tutto sarà tornato come prima."41

Tuttavia la fonte principale di reddito per le casse reali era il commercio con l'estero. In termini di dimensioni Ibn Fadlan ci ha già indicato quale fosse la consistenza delle carovane che percorrevano le piste che dall'Asia centrale raggiungevano la regione compresa tra il Volga e gli Urali: rammentiamo che la carovana alla quale la missione Ibn Fadlan si accompagnò da Gurganj in poi era composta "da cinquemila uomini e tremila animali da tiro". Anche se si vuol tenere conto di qualche possibile esagerazione, doveva tuttavia trattarsi di una carovana cospicua, e noi non siamo in grado di sapere quante di tali carovane potessero essere in viaggio nello stesso tempo. E neppure quali prodotti trasportassero, benché sia probabile che i tessuti, la frutta secca, il miele, la cera e le spezie avessero una parte predominante. Un altro percorso commerciale importante attraverso il Caucaso portava in Armenia, Georgia, Persia e Bisanzio. Una terza via era quella del traffico sempre crescente delle barche dei mercanti rus che scendevano lungo il Volga fino alle rive orientali del mare dei cazari, trasportando soprattutto preziose pellicce molto richieste dagli aristocratici musulmani, ma anche schiavi nordici da vendere sul mercato di Itil. Su tutte queste merci in transito, ivi compresi gli schiavi, il sovrano cazaro prelevava una tassa del dieci per cento. Aggiungendo a questi incassi i tributi pagati dai bulgari, dai magari, dai burta etc., si può dedurre che la Cazaria fosse un paese prospero, ma anche che tale prosperità dipendeva in gran parte dalla sua forza militare e dal prestigio che tale forza conferiva ai suoi esattori e funzionari di dogana.

A parte le fertili regioni meridionali, con i loro frutteti e vigneti, il paese aveva scarse risorse naturali. Uno storico arabo (Istakhri) scrive che il solo prodotto indigeno esportato era la colla di pesce. Certamente si tratta ancora di un'esagerazione, ma resta il fatto che la principale attività commerciale sembrerebbe essere stata quella di riesportare materiale proveniente dall'estero; tra queste il miele e la cera per candele colpivano particolarmente la fantasia dei cronisti arabi. Così per Muqaddasi: "In Cazaria si trovavano in grande quantità pecore, miele ed ebrei."42 È vero che una fonte persiana, il Namah di Darband, cita la presenza di miniere d'oro o d'argento nel territorio cazaro, ma la loro localizzazione non è mai stata accertata. D'altra parte parecchie fonti fanno riferimento a merce cazara vista a Baghdad e citano la presenza di mercanti cazari a Costantinopoli, ad Alessandria e persino nelle lontane Samara e Fergana.

Da tutto ciò risulta che la Cazaria non era per nulla isolata dal mondo civile; anzi, paragonata alle vicine tribù del nord, era un centro di cosmopolitismo, aperto ad ogni sorta di influenze culturali e religiose, ma geloso difensore della propria indipendenza nei confronti delle due grandi potenze ecclesiastiche mondiali. E proprio questo atteggiamento, come vedremo, fu alla base del colpo di scena - o colpo di stato - che fece del giudaismo la religione di stato.

Arti e mestieri parrebbero essere stati fiorenti, ivi compresa l'haute couture.

Quando il futuro imperatore Costantino V sposò la figlia del kagan cazaro, costei portò in dote tra l'altro uno splendido abito che impressiono talmente la corte bizantina da essere adottato come abito maschile da cerimonia; lo chiamarono tzitzakion, termine derivato dal vezzeggiativo turco-cazaro della principessa, che era Chichak o "fiore". Quando un'altra principessa cazara andò sposa al governatore musulmano dell'Armenia, al suo seguito vi erano, oltre a servitori e schiavi, dieci tende montate su ruote "fatte con la seta più fine, con porte placate d'oro e d'argento e pavimenti ricoperti di pelliccia di zibellino. Altre venti tende erano cariche di stoviglie d'oro e d'argento e di altri tesori che costituivano la sua dote."43 Lo stesso kagan viaggiava in una tenda mobile addobbata ancora più lussuosamente, in cima alla quale era montata una melagrana d'oro.

L'arte cazara, come l'arte bulgara e magiara, era soprattutto d'imitazione, ricalcata sui modelli di quella persiana sassanide. L'archeologo Bader dà molta importanza al ruolo svolto dai cazari nella diffusione dell'argenteria di stile persiano nelle terre del nord.

Alcuni dei pezzi trovati potrebbero essere stati riesportati dai cazari, dato il loro ruolo di intermediari; altri erano imitazioni eseguite nelle loro botteghe, delle quali si sono trovate le rovine vicino all'antica fortezza cazara di Sarkel. I gioielli rinvenuti all'interno della fortezza erano di fabbricazione locale. L'archeologo svedese Ture Arne cita piatti ornamentali, fibbie e fermagli rinvenuti in Svezia, di ispirazione sassanide e bizantina, fabbricati in Cazaria o in territori sotto la sua influenza.

I cazari furono perciò gli artefici principali della diffusione dell'arte persiana e bizantina tra le tribù semibarbariche dell'Europa orientale. Dopo un esauriente esame delle testimonianze archeologiche e letterarie (fornite in gran parte da fonti sovietiche), Bartha conclude:
Il saccheggio di Tiflis da parte dei cazari, probabilmente nella primavera del 629, ha una particolare importanza per la nostra ricerca... Nel corso delle loro continue campagne nel Caucaso durante il settimo secolo, i cazari entrarono in contatto con una cultura che si era sviluppata prendendo le mosse dalla tradizione persiana sassanide. Di conseguenza i prodotti di questa cultura si diffusero presso i popoli delle steppe non solo attraverso il commercio ma anche per mezzo dei saccheggi e delle tassazioni... Tutte le piste che abbiamo minuziosamente battuto alla ricerca delle origini dell'arte magiara del decimo secolo, ci hanno ricondotto in territorio cazaro.44

L'ultima frase dello studioso ungherese fa riferimento alla celebre scoperta archeologica nota come il “tesoro di Nagyszentmiklos”. Il tesoro, che consiste in ventitré vasi d'oro risalenti al decimo secolo, venne rinvenuto nel 1971 nelle vicinanze del villaggio che portava quel nome. Bartha osserva che la figura del principe vittorioso che trascina un prigioniero per i capelli e la scena mitologica incisa sull'altra facciata del vaso d'oro, così come il disegno di altri oggetti ornamentali, mostrano forti somiglianze con quelli ritrovati a Novi Pazar in Bulgaria e nella Sarkel cazara. E poiché sia i magiari sia i bulgari si trovarono sotto la dominazione cazara per lunghi periodi, il fatto non è stupefacente, mentre il guerriero, insieme con tutto il resto del tesoro, ci fornisce almeno un'idea delle arti che si praticava o all'interno dell'impero cazaro (non sorprende che l'influenza persiana è bizantina vi fosse predominante).

Una squadra di archeologi ungheresi sostiene che gli artigiani che lavoravano l'oro e l'argento in Ungheria nel decimo secolo erano in realtà dei cazari. Come si vedrà più avanti, quando i magiari migrarono verso l'Ungheria nell'896 erano guidati da una tribù cazara dissidente, quella dei kabari, che si stabilì con loro nella nuova patria. I cazari-kabari erano noti come esperti nella lavorazione dell'oro e dell'argento; i magiari (che in origine erano più primitivi) acquisirono quest'arte solo nella loro nuova patria. Perciò la teoria che sostiene l'origine cazara di almeno una parte dei reperti archeologici rinvenuti in Ungheria non è senza fondamento.

A prescindere dall'origine magiara o cazara del guerriero ritratto sul vaso d'oro, in ogni caso egli ci aiuta a raffigurarci l'aspetto di un cavaliere di quell'epoca, forse appartenente a un reggimento d'élite. Al-Masudi dice che nell'esercito cazaro "settemila uomini cavalcano con il re, arcieri con corazza, elmi e giachi di maglia. Alcuni sono lancieri, armati ed equipaggiati come musulmani... Nessun altro re da queste parti dispone di un esercito regolare, salvo il re dei cazari". E Ibn Hawkal scrive: "Questo re dispone di dodicimila soldati, e quando ne muore uno che un'altra persona viene immediatamente scelta per sostituirlo".

Troviamo qui un'altra importante spiegazione della superiorità cazara: un esercito professionale permanente, con una guardia pretoriana che in tempo di pace controllava la coesistenza delle varie etnie e in tempo di guerra serviva da struttura per le orde armate, che come abbiamo visto potevano raggiungere a tratti la consistenza di centomila uomini e anche più.

La capitale di questo variopinto impero fu da principio probabilmente la fortezza di Balanjar, posta ai piedi delle montagne settentrionali del Caucaso; dopo le incursioni arabe nel corso dell'ottavo secolo, essa venne trasferita a Samandar sulla riva occidentale del Caspio, e infine fu stabilita a Itil, sull'estuario del Volga.

Disponiamo di parecchie descrizioni di Itil, che concordano bene tra loro. Era una città divisa in due parti, costruita cioè su entrambe le rive del fiume. La metà che si trovava a oriente era chiamata Cazaran, e la metà a occidente Itil; le due parti erano collegate da un ponte di barche. La parte occidentale era circondata da un muro fortificato, in mattoni; conteneva i palazzi e le corti del Kagan e del Bek, le abitazioni del loro seguito e quelle dei "cazari di razza pura". Le mura avevano quattro porte, una delle quali di fronte al fiume. Sull'altra riva del fiume, a Oriente, vivevano "i musulmani e gli adoratori di idoli"; in questa parte erano le moschee, i mercati, i bagni e le altre attrezzature pubbliche.

Parecchi autori arabi mostrarono sorpresa per il numero di moschee nel quartiere musulmano e per l'altezza del minareto principale, ne mancarono di sottolineare l'autonomia di cui godevano i tribunali e il clero musulmani. Ecco le impressioni di al - Masudi, noto come "l'Erodoto degli arabi", che egli riporta nella sua celebre opera Le praterie d'oro:
Nella capitale cazara l'uso è di avere sette giudici. Due per i musulmani, due per i cazari, che giudicano secondo la Torah (la legge mosaica), due per i cristiani, che giudicano secondo il vangelo, è uno per i saqualibah, i rus e gli altri pagani, che giudicano secondo la legge pagana... Nella sua città45 ci sono parecchi musulmani, mercanti e artigiani, che sono venuti nel suo paese proprio per la giustizia che egli vi fa regnare e per la sicurezza che offre. Essi hanno una moschea principale con un minareto più alto del castello reale, poi altre moschee e scuole dove i bambini imparano il Corano.46
Leggendo queste righe del più eminente storico arabo, scritte nella prima metà del decimo secolo, si è tentati di farsi un'idea forse un po' troppo idilliaca della vita del regno cazaro. Così leggiamo alla voce "Kazhars" della Jewish Encyclopaedia: "In un'epoca in cui il fanatismo, l'ignoranza e l'anarchia regnava nell'Europa occidentale, il regno dei cazari poteva vantare un'amministrazione giusta e liberale".

Come abbiamo visto, ciò è vero solo in parte. Non risulta che i cazari si abbandonassero a persecuzioni religiose, né prima né dopo la loro conversione al giudaismo. Sotto questo profilo essi possono essere considerati più tolleranti e illuminati dell'impero romano d'Oriente o dell'Islam nelle sue prime fasi. Peraltro sembra che conservassero taluni rituali barbarici ereditati dal loro passato tribale. Abbiamo sentito riferire da Ibn Fadlan dei massacri che accompagnavano le inumazioni regali. Egli ha ancora qualcosa da dire su un'altra usanza arcaica, quella del regicidio: "Il periodo del regno dura quaranta anni. Se il re supera questo termine anche di un solo giorno, i suoi sudditi e il suo seguito lo uccidono, dicendo: 'la sua capacità di ragionamento è diminuita, e il suo pensiero è confuso'”.47

Istakhri fornisce una versione diversa della stessa usanza:
Quando intendono mettere sul trono questo kagan, gli passano una corda di seta intorno al collo e tirano finché egli non comincia a soffocare. Allora gli chiedono: "Per quanto tempo intendi regnare?". Se egli non muore prima del termine indicato, viene ucciso quando lo raggiunge.48
Bury esprime dei dubbi sulla veridicità di queste narrazioni di viaggiatori arabi, e si sarebbe in effetti portati a non dare loro peso se il regicidio rituale non fosse un fenomeno estremamente diffuso tra i popoli primitivi (e anche tra i meno primitivi). Frazer49 diede parecchia importanza al rapporto tra il concetto della divinità del re e l'obbligo sacro di ucciderlo o dopo un periodo stabilito o quando la sua vitalità si fosse affievolita, così da permettere alla divinità di trovare una incarnazione più giovane e vigorosa.

A favore della versione di Istakhri sta il fatto che la strana cerimonia dello strangolamento del futuro re pare fosse ancora in uso, non molto tempo fa, presso un altro popolo, i turchi kok. Zeki Validi cita un antropologo francese, Stanislas Julien, che nel 1864 scriveva:
Quando il nuovo capo è stato eletto, i suoi ufficiali e i suoi servitori... lo fanno salire a cavallo. Gli legano un nastro di seta attorno al collo, senza peraltro strangolarlo del tutto; poi rallentano la stretta del nastro e gli chiedono con insistenza: “Per quanti anni potrai essere il nostro khan?”. Il re, con la mente annebbiata, non è in grado di dare una cifra e allora sono i suoi sudditi che decidono, sulla base della forza delle parole da lui emesse, se il suo regno sarà lungo o breve.50
Non siamo in grado di sapere se presso i cazari il rito dell'uccisione del re (ammesso che sia esistito) fosse caduto in disuso dopo la loro conversione al giudaismo: nel qual caso gli scrittori arabi avrebbero confuso le pratiche passate con le presenti, come facevano spesso compilando racconti di antichi viaggiatori e attribuendoli a ogni disputa, il ruolo divino attribuito al kagan, a prescindere dal fatto se ciò comportasse o meno il suo sacrificio finale. Come si è già visto egli era venerato ma virtualmente tenuto prigioniero, lontano dal popolo, fino alla sua inumazione che veniva eseguita secondo un complesso protocollo. Gli affari di stato, ivi compreso il comando dell'esercito, erano affidati al bek (detto talvolta kagan bek) che gestiva tutto il potere effettivo. Su questo punto le fonti arabe e gli storici moderni concordano, e questi ultimi descrivono di solito il sistema di governo cazaro come una "monarchia duplice", in cui il kagan rappresentava il potere divino e il bek quello secolare.

Cassel51 ha proposto una suggestiva analogia tra il sistema di governo cazaro e il gioco degli scacchi. La doppia monarchia è rappresentata sulla scacchiera dal re (il kagan) è dalla regina (il bek). Il re è tenuto in reclusione sotto la protezione della corte, ha poco potere e può muoversi solo compiendo un piccolo passo alla volta. Per contro la regina è il personaggio più importante della scacchiera, che essa domina. Tuttavia, anche se la regina è persa, il gioco può continuare senza di lei, mentre la caduta del re significa il disastro finale e pone termine immediatamente alla partita.

La doppia monarchia sembra indicare così nella mentalità dei cazari una distinzione categorica tra il sacro e il profano. Gli attributi divini del kagan sono posti bene in evidenza nel seguente passo tratto da Ibn Hawkal:
Il kagan deve sempre appartenere alla stirpe imperiale. Nessuno è autorizzato ad avvicinarlo se non per affari della massima importanza: allora i soggetti si prostrano di fronte a lui finché egli non ordina loro di avvicinarsi e di parlare. Quando un kagan... muore, chiunque passi vicino alla sua tomba deve andare a piedi a rendere omaggio al sepolcro; e quando si allontana non deve salire a cavallo finché la tomba è in vista.
L'autorità di questo sovrano è così assoluta e i suoi ordini sono seguiti così ciecamente che se a lui sembrasse giusto che uno dei suoi nobili dovesse morire e gli dicesse "Va e ucciditi", l'uomo rientrerebbe a casa e si ucciderebbe docilmente. La successione al kagan è stabilita nell'ambito della stessa famiglia; quando la successione spetta a un membro della famiglia, egli viene confermato nella sua nuova dignità anche se non possiede neppure un dirhem. E ho sentito raccontare da persone degne di fede che c'era un giovane uomo che aveva un piccolo commercio di minutaglie sulla piazza del mercato pubblico, e la gente diceva: "Quando l'attuale kagan dovrà andarsene, quest'uomo gli succederà sul trono". Ma quel giovane era musulmano, e la regalità viene conferita solo ad ebrei.
Il kagan dispone di un trono e di un padiglione d'oro: e ciò non è permesso a nessun altro. Il palazzo del kagan è il più alto di tutti gli edifici.52
Il brano sul giovane virtuoso che vende pane o altro nel bazar ricorda molto una favola su Harun al Rashid. Se egli era l'erede a un trono riservato a ebrei, perché allora venne allevato nei panni di un povero musulmano? Per dare un senso a tutta questa storia dobbiamo supporre che il kagan venisse scelto sulla base delle sue nobili virtù, ma all'interno dei membri della "stirpe imperiale" o di una "famiglia di notabili". Questa è per l'appunto l'opinione di Artamonov e di Zeki Validi. Artamonov sostiene che i cazari e altre popolazioni turche erano governati da discendenti della dinastia Turkut, che aveva regnato a suo tempo sullo scomparso impero turco. Zeki Validi pensa che la "stirpe imperiale" o "famiglia di notabili", cui il kagan doveva appartenere, potesse essere l'antica dinastia degli asena, citata in fonti cinesi, una specie di aristocrazia del deserto, dalla quale i capi turchi e mongoli per tradizione si proclamavano discendenti. La cosa potrebbe essere plausibile e aiuterebbe in qualche modo a conciliare i punti contraddittori contenuti nel testo appena citato: il nobile giovane senza un soldo in tasca, da un lato, e il fasto è tutto ciò che circonda il trono d'oro dall'altro. Siamo di fronte alla sovrapposizione di due tradizioni, come potrebbe essere l'interferenza ottica di due moti d'onda su uno schermo: l'ascetismo di una tribù di rudi nomadi del deserto e lo splendore di una corte reale prospera per il suo commercio e il suo artigianato, che tenta di superare i suoi rivali di Baghdad e Costantinopoli. Dopotutto, anche le fedi religiose professate da queste due sontuose corti avevano tratto ispirazione in passato da ascetici profeti del deserto.

Tutto ciò tuttavia non spiega la straordinaria divisione tra il potere divino e quello secolare, che sembra essere un fenomeno unico in quel periodo e in quella regione.

Secondo Bury, "non abbiamo informazioni circa il momento in cui l'autorità attiva del kagan si trasformò in una nullità divina, né attorno alle ragioni per le quali egli venne elevato a una posizione simile a quella dell'imperatore del Giappone, nella quale l'esistenza del sovrano, e non il suo governo, era considerata essenziale per la prosperità dello stato."53

Una risposta a questa domanda è stata avanzata recentemente da Artamonov. L'accettazione del giudaismo come religione di stato - suggerisce lo studioso - fu forse il risultato di un colpo di stato, che allo stesso tempo ridusse il kagan a un ruolo puramente rappresentativo, quale discendente di una dinastia pagana la cui fedeltà alla legge mosaica non poteva essere comprovata. Si tratta di una ipotesi valida tanto quanto un'altra, e come le altre difficile da suffragare con documenti storici. Appare tuttavia probabile che i due avvenimenti - l'adozione del giudaismo e l'avvento della doppia monarchia - furono in qualche modo connessi tra loro.






Note

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1. John Bagnell Bury, A History of the Eastern Roman Empire, 1912
2. D.M. Dunlop, The History of the Jewish Khazars, 1954
3. Antal Bartha, La società magiara dei secoli IX e X, 1968
4. I caraiti (la parola in ebraico significa “lettori”) erano una setta ebraica tradizionalista, incline ad un'interpretazione molto rigorosa della Torah.
5. Secondo la mitologia biblica, ripresa da Koestler, dai figli di Noé discese tutto il genere umano: Sem diede origine ai “popoli di mezzo”, Cam ai “popoli del sud”, Jafet ai “popoli del nord”.
6. Abraham Poliak, Cazaria. Storia di un regno ebraico in Europa (in ebraico), 1951
7. Paulus Cassel, Der Chasarische Koenigsbrief aus dem X Jahrhundert, 1876
8. Dal 372 al 453 d. C., anno della morte di Attila
9. Antal Bartha, La società magiara dei secoli IX e X, 1968
10. Mikhail Artamonov, Storia dei cazari, 1962
11. Ibn Said al-Maghribi, citato in D.M. Dunlop, The History of the Jewish Khazars, 1954
12. In K. Schulze, Das Martyrium oles heiligen Abo von Tiflis, 1905
13. In Joseph Marquart, Osteuropaeische und ostasiatische Streifzuege, 1903
14. Citato in D.M. Dunlop, The History of the Jewish Khazars, 1954
15. Contenuta nel testo Farsnama, una storia e geografia della Persia composta nel XII secolo da un autore sconosciuto, convenzionalmente indicato come Ibn al-Balkhi.
16. Qui e in seguito Gibbon per “turchi” intende i cazari.
17. Edward Gibbon, The History of the Decline and Fall of the Roman Empire, 1776 - 89
18. La filastrocca, di un anonimo inglese, prende in giro gli insuccessi militari di Federico Augusto di Hannover (1763 – 1827), duca di York e Albany e membro della famiglia reale.
19. Mikhail Artamonov, Storia dei cazari (in russo), 1962
20. Dimitri Obolensky, The Bizantine Commonwealth: Eastern Europe 500 – 1453, 1971
21. Edward Gibbon, The History of the Decline and Fall of the Roman Empire, 1776 - 89
22. ibidem
23. Edward Gibbon, The History of the Decline and Fall of the Roman Empire, 1776 - 89
24. In Zeki Validi Togan, Ibn Fadlan's Reisebericht, 1939
25. Camicia
26. Abito imbottito di pelliccia
27. Soprabito di pelliccia
28. Pelle di zigrino
29. In Zeki Validi Togan, Ibn Fadlan's Reisebericht, 1939
30. ibidem
31. ibidem
32. ibidem
33. ibidem
34. ibidem
35. Il Volga
36. In Zeki Validi Togan, Ibn Fadlan's Reisebericht, 1939
37. Istakhri, in Bibliotheca Geograforum Arabicorum
38. Abu al-Masudi, Le praterie d'oro, X secolo
39. In Cazaria
40. Ibn Hawkal, in Bibliotheca Geograforum Arabicorum
41. ibidem
42. In Salo Baron, A Social and Religious History of the Jews, 1952
43. Zeki Validi Togan, Voelkerschaften des Chasarenreiches im neunten Jahrhundert, 1940
44. Antal Bartha, La società magiara dei secoli IX e X, 1968
45. Del re dei cazari
46. Abu al-Masudi, Le praterie d'oro, X secolo
47. In Zeki Validi Togan, Ibn Fadlan's Reisebericht, 1939
48. Istakhri, in Bibliotheca Geograforum Arabicorum
49. James Frazer, The Killing of the Khazar Kings, 1917
50. In Zeki Validi Togan, Voelkerschaften des Chasarenreiches im neunten Jahrhundert, 1940
51. Paulus Cassel, Der Chasarische Koenigsbrief aus dem X Jahrhundert, 1876
52. Ibn Hawkal, in Bibliotheca Geograforum Arabicorum
53. John Bagnell Bury, A History of the Eastern Roman Empire, 1912


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