martedì 14 gennaio 2020

L'invenzione dell'Esilio: Breve storia degli ebrei dell'antichità


L'invenzione dell'Esilio

Breve storia degli ebrei dell'antichità dalla quale tra le altre cose si evince che la maggior parte non se ne andarono mai dalla Giudea, si convertirono all'islam e divennero i palestinesi di oggi









In copertina: Particolare dell'Arco di Tito a Roma. Portatori romani trasportano la menorah e altri arredi prelevati a Gerusalemme dopo la distruzione del Secondo Tempio nel 70 d.C.



Indice


Nota introduttiva e cronologia

1. L'origine del regno ebraico
2. Divisione del regno
3. La cattività babilonese e l'inizio della diffusione dell'ebraismo
4. La diffusione dell'ebraismo nell'età ellenistica
5. La diffusione dell'ebraismo in epoca romana
6. Classi sociali nella Giudea romana
7. Le Rivolte giudaiche
8. Le Rivolte giudaiche e l'invenzione dell'Esilio

9. Crisi dell'impero e affermazione del cristianesimo
10. Il cristianesimo e la nascita del mito dell'Esilio
11. Proselitismo ebraico in Arabia

12. Proselitismo ebraico nel Maghreb (e origine dei sefarditi)
13. Proselitismo ebraico nelle steppe del Volga (e origine degli ashkenaziti)
14. La nascita dell'islam
15. La conquista araba della Palestina e la conversione degli ebrei all'islam
16. I pionieri sionisti e l'invenzione dell'Esilio



Nota introduttiva


Dopo essere stato forzatamente esiliato dalla sua terra, il popolo le rimase fedele attraverso tutte le dispersioni e non cessò mai di pregare e di sperare nel ritorno alla sua terra e nel ripristino della libertà politica. Spinti da questo attaccamento storico e tradizionale, gli ebrei di ogni generazione successiva aspirarono a tornare a stabilirsi nella loro antica patria.
Dichiarazione di indipendenza dello Stato di Israele, 1948

A seguito della catastrofe storica in cui il re romano Tito distrusse Gerusalemme ed esiliò Israele dalla sua terra, sono nato in una delle città dell'Esilio; ma mi sono sempre considerato gerosolimitano.
Shmuel Yosef Agnon, discorso per il conferimento del premio Nobel, 1966


Anche gli israeliani che non conoscono la Dichiarazione di indipendenza hanno di sicuro avuto in tasca la banconota da cinquanta sheqel sulla quale sono impresse le parole dello scrittore Shmuel Yosef Agnon in occasione del conferimento del premio Nobel. Per costui, proprio come per gli autori della Dichiarazione di indipendenza e per la maggior parte dei cittadini israeliani, la “nazione ebraica” era stata costretta all'esilio con la distruzione del secondo Tempio nell'anno 70 d.C., ad opera dei romani, e da allora non aveva smesso di errare per il mondo portando nel cuore la propria antica patria.

Quelli di espulsione ed esilio sono concetti profondamente radicati nella tradizione ebraica. Il significato ad essi attribuito è però mutato nel corso del tempo. Il mito dello sradicamento e dell'esilio si sviluppò dapprima nella tradizione cristiana, da questa penetrò in seguito in quella ebraica e poi assunse una connotazione laica, cristallizzandosi nell'ideologia sionista moderna.

Ripercorrendo per sommi capi la storia degli ebrei nell'antichità fino alla nascita del mito dell'Esilio, si può vedere come veramente andarono le cose: la maggioranza della popolazione ebraica non fu mai cacciata dalla Palestina, e la diffusione dell'ebraismo nel mondo antico, che iniziò ben prima del 70 d.C., avvenne o per emigrazione volontaria o per la conversione, forzata o spontanea, di altri popoli alla nuova religione.

L'invenzione dell'Esilio è il titolo del terzo capitolo del libro L'invenzione del popolo ebraico dello storico di Tel Aviv Shlomo Sand, pubblicato in Israele nel 2008. Il presente testo prende spunto soprattutto da quel lavoro, integrandolo tra l'altro con i contributi di alcuni storici materialisti come Karl Kautsky (L'origine del cristianesimo, 1909) e Abram Leon (La concezione materialistica della questione ebraica, 1942).


Cronologia essenziale


Circa 1200 – 1050 a.C. Gli ebrei, popolo nomade proveniente dalla penisola arabica, si insediano progressivamente nell'odierna Palestina, sottomettendo le popolazioni indigene (cananei, filistei) e creando un regno unitario con capitale Gerusalemme.
Circa 1010 – 970 a.C Sotto la monarchia di Davide il regno ebraico vive un periodo di splendore ed espansione.
Circa 970 – 930 a.C. Durante la monarchia del successore di Davide, Salomone, viene completato il Tempio a lui dedicato, che diventa luogo simbolo della religione ebraica. Alla morte di Salomone, nel 930 a.C., il regno viene diviso in due parti: regno di Israele a nord (o regno di Samaria, dal nome della sua principale città e regione) e regno di Giuda a sud.
722 a.C. Dopo un periodo di vassallaggio e dopo aver subito un assedio di tre anni, il regno di Samaria cade sotto il dominio degli assiri, che deportano la classe dirigente ebraica in Assiria. Il regno di Giuda mantiene la propria indipendenza per altri 135 anni.
587 a.C. I babilonesi sotto la guida di Nabucodonosor conquistano e distruggono Gerusalemme e il Tempio di Salomone, deportando la classe dirigente ebraica a Babilonia.
538 a.C. I persiani occupano Babilonia e il loro re Ciro permette agli ebrei che lo desiderano di ritornare a Gerusalemme e ricostruire il Tempio di Salomone.
516 a.C. Consacrazione del Tempio di Salomone ricostruito, o Secondo Tempio.
336 – 331 a.C. Alessandro il Macedone guida le sue truppe alla conquista e distruzione dell'Impero persiano, inaugurando l'epoca ellenistica.
Circa 300 a.C. La Giudea passa sotto il controllo del nuovo re dell'Egitto, Tolomeo, un luogotenente di Alessandro. La dinastia tolemaica regna per cento anni circa e favorisce la comunicazione tra Gerusalemme ed Egitto.
Circa 200 a.C. I tolomei vengono sconfitti dal re di Siria Antioco III, e la Giudea passa sotto il controllo della dinastia seleucide.
188 a.C. I seleucidi vengono sconfitti dai romani e, costretti a pagare un elevato tributo, si rifanno a spese della casta sacerdotale giudaica, iniziando a prelevare ingenti quantità di ricchezze da Gerusalemme.
166 – 140 a.C. E' l'epoca delle rivolte giudaiche contro i re di Siria, inaugurate da Giuda Maccabeo e che si concludono vittoriosamente con l'instaurazione della dinastia asmonaica.
125 a.C. Il re asmoneo Giovanni Ircano I conquista il territorio abitato dagli idumei, corrispondente all'odierno Negev, e ne converte a forza gli abitanti all'ebraismo.
104 a.C. Giuda Aristobulo, figlio e successore di Giovanni Ircano, conquista la Galilea e costringe la popolazione locale, gli iturei, a convertirsi all'ebraismo.
63 a.C. Pompeo assedia ed entra a Gerusalemme, e al Giudea diventa un regno vassallo di Roma.
4 a.C. Morte del re Erode il Grande, vassallo di Roma. Tentativo di rivolta giudaica represso dalle legioni di Publio Quintilio Varo.
6 d.C. La Giudea viene posta direttamente sotto l'amministrazione romana, con conseguente aggravamento delle tasse. La risposta è un nuovo tentativo di rivolta, guidato da Giuda il Galileo, che tenta di allearsi con i farisei di Gerusalemme, ma senza successo. Giuda viene sconfitto e ucciso.
30 d.C. Il regno di Adiabene, situato nella Mesopotamia del nord, si converte all'ebraismo.
66 – 70 d.C. Prima rivolta giudaica, detta anche Grande rivolta per l'entità e la durata. Guidata da Eleazar Ben Yair. Repressa dai romani dopo quattro anni, nel 70 d.C. Tito fa distruggere il Secondo Tempio.
115 – 117 d.C. Seconda rivolta giudaica, scoppiata sotto l'impero di Traiano, che coinvolge gli strati popolari delle comunità in Cirenaica, Egitto, Cipro e Mesopotamia.
132 – 135 d.C. Terza rivolta giudaica a Gerusalemme e in Giudea, guidata da Simone Bar Kochba.
Terzo secolo d.C. L'ebraismo raggiunge il massimo di diffusione nell'impero romano: circa 4 milioni di fedeli, il 7-8% della popolazione.
Quarto secolo d.C. Il cristianesimo si afferma come religione ufficiale dell'impero, e soppianta in parte l'ebraismo: quest'ultimo si sposta nelle aree periferiche, dalla penisola arabica all'Africa settentrionale.
351 – 52 d.C. Alcune città della Galilea si rivoltano contro l'occupazione romana e il proselitismo cristiano. Sanguinosa repressione per ordine del cesare d'Oriente Costanzo Gallo.
390 – 420 d.C. Durante la monarchia di Abukarib Asad il regno dell'Himyar (Arabia meridionale) si converte al giudaismo.
523 d.C. Il re dell'Himyar Dhu Nuwas ordina il massacro degli abitanti di Najran, città a maggioranza cristiana. Due anni dopo il re viene sconfitto e il regno dell'Himyar passa sotto le forze cristiane.
614 d.C. In Giudea rivolta contro il dominio bizantino, guidata da Beniamino di Tiberiade. Si conclude dopo dieci anni con l'adesione di quest'ultimo al cristianesimo.
638 – 643 d.C. L'esercito musulmano conquista la Palestina e la maggioranza della popolazione si converte all'islam.
689 d.C. Africa settentrionale. La regina berbera Dihya al Kahina, convertita all'ebraismo, riunisce le tribù della regione dell'Aurés e per alcuni anni resiste all'avanzata musulmana.
711 – 18 d.C. I musulmani conquistano la penisola iberica. Per gli ebrei inizia un periodo di tolleranza che si trasformerà in prosperità sotto il Califfato di Cordoba.
Circa 740 d.C. L'impero cazaro, a nord del Caucaso, si converte in blocco all'ebraismo per iniziativa del re Bulan.


L'invenzione dell'Esilio

Breve storia degli ebrei dell'antichità




1. Origine del regno ebraico


L'ipotesi che attualmente gode del maggiore consenso tra gli studiosi è che gli ebrei (o israeliti, cioè i figli di Israele - Giacobbe, il mitico capostipite di cui parla la Bibbia) si siano affacciati sulla scena della storia verso la fine del secondo millennio a.C. con le migrazioni dei popoli nomadi, di origine semitica, provenienti dalla penisola arabica e diretti verso l'odierna Palestina.

Questi popoli dapprima si insediarono nelle aree montuose dell'interno e poi entrarono in contatto con i popoli della costa mediterranea, i cananei e i filistei. I contatti, dapprima pacifici, si trasformarono in seguito in una guerra che portò all'assoggettamento dell'intera regione e all'unificazione delle varie tribù israelitiche in un regno unitario, con capitale Gerusalemme.

In base alle fonti archeologiche è da escludere quanto raccontato nel libro biblico dell'Esodo, ovvero di una popolazione ebraica sottomessa in Egitto e poi sfuggita alla schiavitù e stabilitasi in Palestina dopo aver vagato per 40 anni nel deserto del Sinai.

La base materiale di tale elaborazione può essere il fatto che da secoli i mercanti cananei si recavano in Egitto, e altrettanto possono avere fatto alcuni ebrei, venendo a dipendere nel bene e nel male dai regnanti che li ospitavano, i quali potrebbero anche averne resi schiavi alcuni. Ma non ci sono evidenze storiche che attestino un qualunque esodo di massa dall'Egitto.

Durante il regno di Davide (circa 1010 – 970 a.C.) gli ebrei acquisirono il controllo pressoché totale del commercio con l'Egitto, sottomettendo le tribù di predoni beduini di stanza presso il mar Rosso. Fu l'epoca d'oro di Israele. Per un breve periodo, il nuovo stato sembrò poter puntare a un'espansione e a una stabilizzazione.
Come dappertutto nell'antichità, anche in Palestina l'agricoltura rimase il fondamento della società, e il possesso della terra la proprietà più sicura e onorevole. 
Come altrove, anche in Palestina gli elementi arricchiti cercavano di acquistare proprietà terriere o, se già ne avevano, di ingrandirle. Anche qui cominciò la tendenza alla formazione di latifondi.1
Ingrandendosi, il nuovo stato pretese dai suoi sudditi il servizio militare, ma così allontanò il contadino dalla sua terra, rendendolo schiavo:
Il servizio militare rovina adesso il contadino e lo rende dipendente dal vicino che possiede più denaro...dal quale dipende il cacciarlo dal suo poderetto o il lasciarvelo, ma come schiavo...che deve ammortizzare il suo debito...Sappiamo infatti solo poco, in Palestina, di schiavi stranieri comprati.2
L'eco della ribellione di classe a questo sfruttamento si ritrova in un alcuni passi dei profeti biblici, in particolare Isaia:
Guai a voi, che aggiungete casa a casa e campo a campo, finché non ci sia più spazio e voi soli possediate il paese! Questo mi ha detto all'orecchio il signore degli eserciti: in verità, molte case saranno rese deserte, grandi e belle case saranno private di abitanti.3 
Guai ai giureconsulti, che fanno leggi ingiuste per violentare la causa dei miseri e spogliano del loro diritto i poveri del mio popolo!4


2. Divisione del regno


L'incipiente società schiavistica non fece in tempo ad affermarsi nel regno israelitico, che presto si ritrovò preso tra i due fuochi dell'espansionismo egiziano da una parte e assiro dall'altra.


Alla morte del successore di Davide, Salomone, il regno ebraico si divise in due: quello di Israele (capitale Samaria), orientato - dipendente dall'Assiria, e quello di Giuda (capitale Gerusalemme), più orientato commercialmente verso l'Egitto. Il regno settentrionale, costituito da una pluralità di tribù, non sviluppò un sentimento nazionale e presto cadde sotto l'influenza dei forti Assiri, che imposero una serie di tributi finché nel 722, dopo un assedio di tre anni, presero possesso di Samaria, deportando la classe dirigente ebraica in Assiria. Il regno di Giuda sviluppò invece un più forte sentimento nazionale, anche per la forza centralizzatrice di una grande città come Gerusalemme.


3. La cattività babilonese e l'inizio della diffusione dell'ebraismo


Nel 701 il sovrano assiro Sanherib marciò su Gerusalemme ma fu costretto a tornare indietro da rivolte interne al suo paese. Il regno di Giuda rimase in una condizione di vassallaggio nei confronti degli assiri fino al 587, quando i babilonesi, sotto la guida di Nabucodonosor, conquistarono e distrussero Gerusalemme.

Così il Libro dei Re descrive la deportazione di una parte della popolazione ebraica
compiuta dal re babilonese:
Tutta Gerusalemme e i suoi capi e tutti gli uomini atti alle armi condusse via come prigionieri, in numero di 10.000, e tutti i fabbri e gli stagnini; non vi rimase altro che la parte più povera della popolazione della campagna. E deportò Joachim in Babilonia, e la madre del re così come le mogli del re e dei suoi cortigiani e i notabili del paese portò via prigionieri da Gerusalemme a Babilonia...5
 Nel 538 Babilonia fu conquistata dai persiani (senza colpo ferire), e già un anno dopo il loro re Ciro permise ai giudei il ritorno a Gerusalemme. Ma quest'ultima, salvo un breve periodo durante il I secolo a.C, non ridiventò mai più capitale di uno stato pienamente autonomo, limitandosi a svolgere il ruolo di centro religioso del giudaismo, mentre la propensione al commercio sviluppata a Babilonia venne mantenuta dai giudei abbienti per tutta la successiva epoca ellenistica. Non tutti i giudei rientrarono da Babilonia a Gerusalemme: la comunità ebraica di Babilonia mise radici, e divenne uno dei centri propulsori del giudaismo. Basti pensare alla quantità di miti di origine babilonese che finirono nella Bibbia: la creazione del mondo, il paradiso, il peccato originale, la torre di Babele, il diluvio universale, la rigorosa celebrazione del sabato.6

Se si può concedere ai sostenitori del mito dell'Esilio che la comunità ebraica di Babilonia nacque, almeno inizialmente, in conseguenza della deportazione di una quota di ebrei da Gerusalemme, per quanto riguarda gli altri insediamenti ebraici nel bacino del Mediterraneo essi non furono affatto frutto di uno sradicamento forzato.

In Egitto la più antica comunità ebraica di cui si ha notizia è quella dell'isola di Elefantina, presso l'odierna diga di Assuan. Si trattava di un accampamento militare di soldati ebrei persiani, che nel sesto secolo a.C. fondarono un tempio per il culto del dio Yahvè, in seguito distrutto all'inizio del quarto secolo.

Altre comunità ebraiche in questo periodo si formarono nel resto dell'Egitto, e in tutta la Mesopotamia.


4. La diffusione dell'ebraismo nell'età ellenistica


La vera diffusione delle comunità ebraiche nel mondo antico ebbe inizio con la distruzione dell'impero persiano a opera di Alessandro Magno, e l'inizio dell'età ellenistica. Lo sfaldamento dei rigidi confini del regno persiano determinò una straordinario movimentazione di merci e idee che produsse un nuovo tessuto culturale, più aperto e vasto. “La religione ebraica si levò sulle ali dell'aquila greca per involarsi sul Mediterraneo”.7

Alla morte di Alessandro Magno, dopo una fase di lotta per la successione nelle varie parti dell'impero da lui conquistato, la Giudea finì sotto la dominazione dei Tolomei, eredi dei faraoni d'Egitto. Costoro favorirono la diffusione della cultura ellenistica, e la comunicazione tra Gerusalemme e Alessandria d'Egitto. Nel corso del terzo secolo a.C. ad Alessandria comparve la versione in greco della Bibbia, la cosiddetta celebre Versione dei Settanta, che permetteva l'esportazione della dottrina ebraica in larga parte del mondo antico.

Nel 200 a.C i Tolomei furono sconfitti dal re di Siria Antioco III, e la Giudea passò sotto la dominazione dei Seleucidi di Siria. Il regno seleucide, sconfitto dai romani nel 188 e obbligato a pagare una cospicua indennità di guerra, aveva bisogno di ricchezze e di un rigido controllo sui propri possedimenti, e iniziò a prendere di mira i tesori del Tempio di Gerusalemme e gli affari della casta sacerdotale giudaica. La situazione precipitò sotto il nuovo re Antioco IV, che nel 169 a.C. entrò in Gerusalemme e prelevò ingenti ricchezze e due anni dopo vi insediò una guarnigione permanente. Una parte dei giudei reagì con la rivolta armata, inizialmente con operazioni di guerriglia sui monti e nel deserto e poi dal 166 a.C. su scala più ampia, per iniziativa di un membro della casta sacerdotale di nome Mattatia, della famiglia degli Asmonei, e dei suoi cinque figli, detti Maccabei (martellatori) dal soprannome di uno di essi, Giuda (gli altri si chiamavano Giovanni, Simone, Eleazaro e Gionata). Tra il 166 e il 140 a.C. la guida della resistenza passò, in successione, a Giuda, Gionata e Simone. Sfruttando anche l'appoggio di Roma, interessata all'indebolimento del regno seleucide, i Maccabei riuscirono a rendere il regno di Giudea indipendente. La dinastia degli Asmonei durò fino al 63 a.C., anno in cui Gerusalemme fu occupata da Pompeo e il regno finì sotto il controllo di Roma.

In tutta questa fase assistiamo all'espansione dell'ebraismo, sia mediante l'emigrazione dalla madrepatria, sia mediante la conversione forzata di interi popoli, sia attraverso l'attività di proselitismo svolta dagli emigranti.

Lo storico Giuseppe Flavio racconta che con la conquista della Giudea e della Samaria ad opera di Tolomeo I un certo numero di prigionieri ebrei vennero trasferiti in Egitto, e qui furono accolti come sudditi rispettati e con pari diritti. Di conseguenza “Non pochi giudei andarono in Egitto, attratti dall'eccellenza del paese e dalla liberalità di Tolomeo”.8 I rapporti tra le due regioni si fecero più stretti e incentivarono l'emigrazione di commercianti, mercenari e intellettuali giudei soprattutto verso Alessandria, che si andava configurando come grande metropoli dell'antichità.

Nei due secoli successivi il numero di ebrei in Egitto andò crescendo al punto che nel primo secolo d.C. il filosofo ebreo Filone Alessandrino (20 a.C. - 50 d.C.), con la tendenza a esagerare tipica degli antichi, dichiarava che raggiungevano il milione. La stima di Filone è evidentemente eccessiva, ma è verosimile che all'epoca vivessero già nel paese del Nilo un numero di ebrei non molto inferiore a quelli nel regno di Giuda.

Numerosi seguaci della religione mosaica si stabilirono anche a Cirene e Berenice, città a ovest dell'Egitto ma sempre sotto il controllo tolemaico, e in Siria (Damasco) e Asia minore (Antiochia), dove regnava la dinastia dei Seleucidi.

Il re asmoneo Giovanni Ircano nel 125 a.C. conquistò il territorio abitato dagli Idumei, la parte meridionale della Palestina, e ne convertì a forza gli abitanti all'ebraismo. Gli ebrei convertiti di origine idumea si mescolarono con i giudei, e alcuni di loro in seguito rivestirono un ruolo determinante nella storia del regno ebraico. A quanto pare il re Erode Antipatro, capostipite dell'omonima dinastia, aveva orgine idumee, e così anche molti capi zeloti della successiva rivolta contro Roma.

Nel 104 a.C. il figlio di Giovanni Ircano, Giuda Aristobulo, annettè la Galilea al regno asmoneo, imponendo la religione ebraica al popolo ivi egemone, gli Iturei. Anche Alessandro Ianneo, fratello e successore di Aristobulo, cercò di convertire le popolazioni assoggettate.

Secondo lo storico Giuseppe Flavio, egli fece demolire la città di Pella, oltre il Giordano, perché gli abitanti non volevano convertirsi. In questo periodo altre poleis ellenistiche furono distrutte perché rifiutarono la conversione all'ebraismo: Samaria, Gaza, Ghedera.

Le conversioni in epoca asmonaica rappresentarono una parte del processo di diffusione dell'ebraismo nel mondo ellenistico. Oltre alle già menzionate consistenti porzioni di popolazione di Alessandria d'Egitto e Damasco, nel primo secolo d.C. si convertì all'ebraismo il regno di Adiabene, situato in un'area settentrionale della Mesopotamia, non lontano dal Caucaso. Il regno di Adiabene fu la prima entità politica al di fuori della Giudea che si convertì in blocco alla religione ebraica.

Ci sono molti passi della Bibbia che potrebbero essere citati a sostegno della tendenza al proselitismo e della forte inclinazione del primo monoteismo ebraico a rivolgersi ai gentili. Essendo la Bibbia stata redatta da molti autori, e rielaborata ripetutamente da altri nel corso degli anni, vi abbondano le contraddizioni. Per ogni espressione di biasimo, rifiuto o alterigia nei confronti dei non ebrei è possibile trovare segni che rimandano implicitamente o esplicitamente a una predicazione della fede ebraica.

Uriel Rapaport, rinomato storico israeliano, nella sua tesi di dottorato nel 1965 cercò di attirare l'attenzione dei suoi colleghi sulla questione delle conversioni, concludendo il suo lavoro con le seguenti parole: “L'espansione dell'ebraismo nel mondo antico non può essere ricondotta, per via dell'ampiezza del fenomeno, a un incremento naturale delle popolazioni, a un'emigrazione dalla madrepatria o a un'altra ragione che non tenga conto di un'integrazione dall'esterno”.9 Parole in linea con quanto sostenuto da una serie di studiosi non ebrei dell'antichità, tra i quali Theodor Mommsen per il quale “l'ebraismo dell'antichità non era affatto chiuso ed esclusivo; al contrario, era fanaticamente propagandistico non meno di quanto in seguito sarebbero stati il cristianesimo e l'Islam”.10


5. La diffusione dell'ebraismo in epoca romana


Con l'espansione dell'imperialismo romano, cominciano a registrarsi testimonianze di una presenza ebraica a Roma. Già nel 59 a.C. Cicerone, parlando della nazione ebraica, si lamenta di “quanto violenta essa sia, quanto coesa nei suoi membri e come sappia farsi valere nelle adunanze”.11 Le iscrizioni scoperte nelle catacombe romane offrono indicazioni della intensa vita religiosa e del successo economico di questi ebrei.

La diffusione dell'ebraismo giunse al massimo grado nel corso dell'espansione dell'impero.

Si stima che al culmine del processo, all'inizio del III secolo d.C., il 7 – 8% degli abitanti dell'impero romano professasse l'ebraismo, soprattutto tra la popolazione urbana.

In termini assoluti questo numero ammontava a circa 4 milioni di individui, dalla Spagna alla Gallia a Babilonia, di cui una grossa quota viveva ad Alessandria d'Egitto, con una tale influenza che nel I secolo d.C. un ricco ebreo, Tiberio Giulio Alessandro, divenne governatore della città. Centinaia di migliaia di ebrei continuarono ad abitare in Palestina, a fianco di tribù miste di egiziani, arabi e fenici. Gerusalemme, il centro religioso del giudaismo, era una grande e ricca città di 200.000 abitanti.

Dal punto di vista della collocazione di classe, in epoca romana una grossa quota di ebrei si arricchì con il commercio, ma nelle grandi città si venne creando un largo strato di popolo, composto da venditori ambulanti, scaricatori, piccoli artigiani, mentre in Palestina i contadini dispersi nelle campagne e i proletari di Gerusalemme erano molto più numerosi dei membri privilegiati delle caste sacerdotali depositarie del culto del Tempio di Jahvé. Nell'epoca imperiale queste masse ebree costituirono una fonte continua di agitazioni e sollevazioni dirette allo stesso tempo contro Roma e contro i ricchi, e fu da questo milieu nacque il cristianesimo. Per i giudei ricchi il declino progressivo dell'impero, e di conseguenza del commercio, fu foriero dell'ostilità da parte del popolino e delle altre classi:
Quanto più cresceva il disagio sociale, tanto più aumentava l'inimicizia verso i giudei. Essa già allora era il mezzo più ovvio e meno pericoloso per esprimere la rabbia per la decadenza dello Stato e della società...Agli inizi dell'età imperiale, quando l'impoverimento dei contadini era salito già ad un alto grado, si raccolse nelle grandi città un sottoproletariato di massa, che desiderava il saccheggio ed arrivava di quando in quando a veri e propri pogrom.12
Così, quella sorta di tutela di cui i mercanti ebrei avevano goduto sotto i primi imperatori (Cesare e Augusto) venne meno progressivamente sotto i loro successori. Il celebre storico Tacito (I secolo d.C.) nelle sue Historiae stigmatizza i giudei affermando che “presso di loro è empio tutto ciò che presso di noi è sacro; ed è permesso, presso di loro, a sua volta, ciò che per noi è nefando...I costumi dei giudei sono assurdi e miserabili”. Nella sua quattordicesima satira, Giovenale critica i giudei che “adorano solo le nuvole e la divinità del cielo. Credono che la carne del maiale non sia differente dalla carne umana...Si tolgono subito anche il prepuzio e disprezzano le leggi dei romani”. Durante il breve regno di Caligola, nel 38 d.C. ad Alessandria avvenne forse il primo pogrom anti-ebraico della storia, istigato dal governatore locale romano e messo in atto dai poveri della città: “le loro case (degli ebrei)...furono saccheggiate e date alle fiamme; le navi giudaiche ancorate nel porto depredate; bistrattati e trucidati i giudei incontrati nei quartieri non loro”.13  Seneca definì il rispetto del sabato una “usanza di un popolo di mascalzoni”.


6. Classi sociali nella Giudea romana


In epoca romana Gerusalemme era una città grande e ricca, ma non traeva più, come sotto Davide e Salomone, la sua grandezza e la sua ricchezza dalla forza militare o dal commercio dei popoli della Palestina, bensì dal Tempio di Jahvè. Ogni giudeo, dovunque abitasse, doveva contribuire alla sua manutenzione e doveva versare ogni anno, come tributo per il tempio, una doppia dracma, che veniva inviata a Gerusalemme. Al santuario affluivano doni straordinari, e ogni pio giudeo era tenuto ad andare in pellegrinaggio, almeno una volta nella sua vita, nel luogo dove abitava il suo dio.

L'afflusso di tributi e di pellegrini manteneva una gran quantità di uomini: innanzitutto i sacerdoti del tempio e gli scribi, ma anche merciai, cambiavalute, artigiani e anche la gente della campagna, agricoltori, allevatori di bestiame, pescatori di Giudea e Galilea che trovavano nella città un ottimo smercio per il loro frumento, miele, agnelli, capretti e pesce, pescato nel mare o sulle coste del lago di Tiberiade.

I sadducei (termine derivante dal nome Sadoq, il sommo sacerdote al tempo di Salomone) erano i rappresentanti della nobiltà sacerdotale, che fin dall'epoca di Ciro di Persia aveva acquisito uno status dominante. A tale classe pervenivano tutti i tributi destinati al tempio, compresi gli animali destinati ai sacrifici e grandi quantità di derrate alimentari. L'aristocrazia sacerdotale progressivamente si staccò sempre più dalla massa del popolo, e aprendosi all'ellenizzazione e alla classe dominante romana prese a desiderare e ad acquistare prodotti di lusso provenienti dall'estero, snobbando quelli della popolazione locale.

Quanto più diventava ricca, tanto più la casta sacerdotale trascurava l'attività scientifica, letteraria, legislativa, giudiziaria, lasciandola poco a poco quasi completamente nelle mani di elementi colti provenienti dal popolo. Costoro, gli “scribi” o “rabbi” (maestri), col passare del tempo svilupparono un vero e proprio movimento, quello dei farisei (termine di origine ebraica che vuol dire “distinti, separati”): i loro scritti messianici esprimevano un'etica rigorosa, volta all'abbattimento del dominio romano sulla Giudea.

Ma oltre ai farisei, nelle città popolate da giudei e anche nella stessa Gerusalemme con la pauperizzazione provocata dall'imperialismo romano si andarono sempre più formando strati di proletari e sottoproletari, numerosi e bellicosi. I proletari di Gerusalemme trovarono un valido sostegno nelle aree rurali, in particolare della Galilea:
Come dappertutto nell'impero romano, anche là i piccoli contadini e i pastori venivano dissanguati all'estremo dalla pressione tributaria e dall'usura, gettati nella servitù per debiti o espropriati..anche là i più energici tra gli espropriati e spinti alla disperazione si diedero alla sollevazione violenta, al brigantaggio. La vicinanza del deserto, che teneva ancora in vita le abitudini del beduini, facilitava la lotta. Esso forniva numerosi nascondigli, che trovavano solo i conoscitori della regione...La bandiera sotto cui i briganti combattevano era l'attesa del Messia.14
Alla fine del primo secolo a.C. i briganti della Galilea e i proletari di Gerusalemme formarono un movimento comune in opposizione ai farisei, quello degli zeloti (in ebraico kanai, tradotto in greco con zelotès, “seguaci”).

Infine, sin dal II secolo a.C. nelle campagne della Giudea si andarono organizzando le comunità monastiche degli esseni (termine probabilmente derivante dall'aramaico “religiosi”), caratterizzate da un sistema di vita comunistico.


7. Le Rivolte giudaiche


L'imperialismo di Roma più di ogni altro si basava sulla spoliazione e il saccheggio dei paesi conquistati. In contrasto con l'imperialismo moderno che si basa essenzialmente sullo sviluppo delle forze produttive, l'imperialismo antico non si poneva l'obiettivo di aprire nuove vie ai prodotti e ai capitali, ma quello di predare i vinti.

Un tale sistema non poteva durare a lungo. Il livello produttivo arretrato dell'antichità riusciva a mantenere l'elevato livello di vita delle classi possidenti dei conquistatori solo mediante la rovina, più o meno rapida, dei popoli conquistati. La prima ad essere spogliata fu la stessa penisola italiana, ove le piccole proprietà agricole, che erano state alla base dell'ascesa di Roma repubblicana, vennero progressivamente sostituite dal latifondo, che soddisfaceva i lussi dell'aristocrazia romana attraverso il lavoro degli schiavi. Le prime rivolte di schiavi contro le orribili condizioni di vita cui erano sottoposti risalgono al 135 a.C., per arrivare al picco rappresentato dall'insurrezione di Spartaco del 73 – 71 a.C. Nel frattempo l'attività di spoliazione da parte di Roma si spostò alle province, mentre la produzione veniva orientata sempre più verso i prodotti di lusso (vite, olivo), trascurando i prodotti indispensabili per la produzione e riproduzione della forza lavoro (grano e altri cereali).

I primi consistenti atti di ribellione giudaica al dominio romano risalgono alla fine del regno di Erode il Grande (37 – 4 a.C.). A Gerusalemme un falso annuncio della morte del monarca (che sarebbe avvenuta pochi giorni dopo) spinse due farisei, di nome Giuda e Mattia, ad abbattere l'aquila d'oro che il re aveva fatto collocare sulla porta del tempio di Jahvè. La guarnigione locale li trucidò insieme a numerosi loro compagni, e ciò scatenò un'insurrezione della città, selvaggiamente repressa dalle legioni romane di Publio Quintilio Varo. Contemporaneamente scoppiò la rivolta nella campagna: i briganti di Galilea formarono veri e propri eserciti, e i loro capi si fecero proclamare re dei giudei. Alla fine della rivolta duemila prigionieri furono crocifissi e molti altri venduti come schiavi.15

Dopo alcuni anni di tregua, nel 6 d.C. la Giudea venne posta direttamente sotto l'amministrazione romana, con conseguente aggravamento delle tasse. La risposta fu un nuovo tentativo di rivolta, guidato da Giuda il Galileo, che tentò di allearsi con i farisei di Gerusalemme, ma senza successo. Giuda fu sconfitto e ucciso.

Da allora in poi, in Giudea e Galilea il fuoco della rivolta non si spense mai completamente.

Sotto l'imperatore Caligola (37 – 41 d.C.) ricominciarono i tumulti, e durante il governo del procuratore di Giudea Marco Antonio Felice (52 – 60 d.C.) dagli zeloti si sviluppò la setta ultra-radicale dei sicarii (dal termine sica, la spada corta di cui si servivano per le uccisioni).

La scintilla della Grande rivolta giudaica del 66 d.C. (imperatore era Nerone) scaturì ancora una volta nel tempio di Jahvè e fu sprigionata da un gruppo di sacerdoti guidati da un aristocratico, Eleazar ben Yair, i quali imposero la sospensione di un sacrificio che quotidianamente veniva celebrato in onore dell'imperatore. Tra i seguaci di Eleazar vi era anche colui che poi divenne lo storico Giuseppe Flavio, autore de Antichità giudaiche e Le guerre giudaiche. Per far fronte alla repressione, Eleazar si alleò con alcuni gruppi di rivoltosi di estrazione non sacerdotale, provenienti dalle campagne, guidati da un capo di nome Menachem, figlio o più probabilmente nipote di Giuda il Galileo. Tra Eleazar e Menachem scoppiarono dissidi; alla fine Menachem restò ucciso e i suoi seguaci abbandonarono la città rifugiandosi nella fortezza di Masada, presso il mar Morto. Eleazar rimase padrone del campo, e il consenso nei suoi confronti toccò l'acme dopo la vittoriosa resistenza agli attacchi del governatore di Siria Caio Cestio Gallo.

All'inizio del 67 d.C. Vespasiano, incaricato direttamente da Nerone, partì da Antiochia per la riconquista della Giudea, mentre il figlio Tito con altre legioni muoveva da Alessandria d'Egitto.

Giuseppe Flavio, all'epoca seguace di Eleazar e governatore militare della Galilea per conto dei ribelli, si arrese a Vespasiano e gli permise di avvicinarsi a Gerusalemme, mentre migliaia di rivoltosi affluivano nella città per difenderla. La campagna si interruppe nel 68 con l'uccisione di Nerone (9 giugno) e l'inizio della sanguinosa faida romana per la successione. I giudei avrebbero potuto approfittarne per contrattaccare, ma i capi farisei erano titubanti e tendenti all'accomodamento con il temibile nemico, e questo spinse il popolo a impadronirsi del comando della lotta con una feroce rivolta. I sacerdoti, gli scribi e i mercanti ricchi che non si erano portati al sicuro furono massacrati dalla piccola borghesia e dal proletariato zelota di Gerusalemme, con l'ausilio dei contadini della Galilea che li avevano raggiunti.

Nel 70 Vespasiano fu acclamato imperatore e andò a Roma. Tito assunse il comando delle legioni romane. L'assedio di Gerusalemme iniziò verso la fine di aprile, e durò circa 3 mesi. I ribelli zeloti sopravvissuti, guidati ancora da Eleazar Ben Yair, riuscirono a rifugiarsi nella fortezza di Masada, che fu espugnata dai romani solo nel 73 d.C. Entrati nella cittadella, i romani vi trovarono i cadaveri di quasi tutti gli assediati, che si erano suicidati in massa.

Nel 115 – 117 d.C., sotto l'impero di Traiano, scoppiò una Seconda rivolta giudaica che coinvolse gli strati popolari delle comunità in Cirenaica, Egitto, Cipro e Mesopotamia, mentre la classe giudaica abbiente se ne stava ferma. In particolare ad Alessandria d'Egitto la rivolta assunse le caratteristiche di uno scontro etnico con la comunità greca della città, più tendente ad accettare il dominio romano. A Cipro i ribelli distrussero la città di Salamina annientando gli abitanti; di conseguenza, dopo la repressione, a nessun giudeo venne permesso di mettere piede sull'isola pena la morte.

La Terza rivolta giudaica ebbe luogo di nuovo in Giudea, nel 132 – 135 d.C., sotto Adriano. La ribellione scoppiò per due imposizioni specifiche sulla regione da parte dell'imperatore: il divieto di circoncisione e il progetto di costruire una nuova città sulle rovine di Gerusalemme, per insediarvi il culto di Giove. La rivolta scoppiò all'improvviso, ma era stata preparata con cura da Simone Bar Kochba, che si autoproclamò messia. I ribelli si diedero all'attività di guerriglia, evitando scontri in campo aperto con le preponderanti forze nemiche e infliggendo gravi danni ai romani. Visti gli scarsi risultati, l'imperatore Adriano tolse il comando al governatore Rufo per assegnarlo a Giulio Severo, che riuscì a tagliare i collegamenti e i rifornimenti dei ribelli, isolando le varie unità e affrontandole singolarmente.

L'ultima decisiva battaglia si svolse nel 135 vicino a Gerusalemme e in quel frangente lo stesso Simone Bar Kochba morì. I rabbi che maggiormente si erano distinti nel sostegno della guerra vennero catturati ed uccisi, e ai circoncisi fu temporaneamente impedito di entrare in città, pena la morte.


8. Le rivolte giudaiche e l'invenzione dell'Esilio


In merito alla questione della presunta cacciata degli ebrei all'indomani delle rivolte giudaiche, e in particolare della prima, occorre innanzitutto chiarire che i Romani non esiliavano mai interi popoli. Nelle regioni periferiche dell'Impero essi potevano essere molto duri nel reprimere la popolazione ribelle: mettevano a morte i rivoltosi, facevano prigionieri per venderli come schiavi, a volte esiliavano re e principi; ma certamente non deportarono mai la popolazione sottomessa nelle regioni orientali sotto il loro controllo, né avrebbero avuto i mezzi per poterlo fare, non esistendo ancora camion, treni o grandi navi come nel mondo moderno.

Ciò vale per la rivolta scoppiata in Giudea nel 66 d.C. I Romani non reagirono devastando l'intero territorio, ma si concentrarono principalmente su Gerusalemme e su alcune città fortificate.

Tito, distruttore del Tempio, di certo fece un gran numero di morti e prigionieri, ma non mandò in esilio il popolo ebraico. Contrariamente a quanto viene insegnato nelle scuole israeliane, sull'arco di Tito, eretto a Roma in onore dell'imperatore, sono i soldati romani a portare sulle spalle come bottino la menorah, il candelabro a sette bracci simbolo della religione ebraica, e non gli ebrei a trascinarsela dietro mentre se ne vanno in esilio. Non esiste in tutta la ricca documentazione romana né una prova né un accenno a un qualsiasi esilio dalla Palestina, come del resto non sono state rinvenute prove di un'ampia concentrazione di rifugiati ai confini della Giudea in seguito alla rivolta, a cui si sarebbe indubbiamente assistito se ci fossero stati consistenti spostamenti di popolazione.

Lo stesso si può dire per la seconda rivolta giudaica anti-romana, nota come rivolta di Bar Kochba, che scoppiò nel 132 d.C. sotto l'imperatore Adriano e durò per tre anni. Sicuramente anche in questa circostanza la repressione dei Romani fu feroce. Il nome di Gerusalemme fu cambiato in Aelia Capitolina, e la città fu temporaneamente interdetta ai circoncisi. Per tre anni furono emanati severi editti contro la popolazione. Possiamo supporre che i rivoltosi fatti prigionieri furono ridotti in schiavitù, mentre altri presumibilmente riuscirono a fuggire. Ma anche in quest'occasione nessun esilio fu imposto alla popolazione ebraica.

Il nome della provincia della Giudea fu mutato in Syria Palaestina, ma nel secondo secolo gli abitanti rimasero sostanzialmente quelli che c'erano prima, cioè gli ebrei, e la popolazione ricominciò a vivere e prosperare. Tra la fine del secondo secolo e l'inizio del terzo sul piano culturale si ebbe il periodo aureo del rabbino Yehuda ha-Nasi (Giuda il Principe), normalizzatore dei rapporti con i Romani e redattore dei libri della Mishnah, uno dei testi più importanti dell'ebraismo.

Ad ulteriore dimostrazione che la popolazione ebraica era rimasta dov'era, vedremo che in Palestina avranno luogo altre due rivolte ebraiche contro i Romani: quella del 351 – 52 d.C., contro il rappresentante dell'imperatore Costanzo Gallo, e quella scoppiata nel 614 contro l'imperatore romano d'Oriente Eraclio, pochi anni prima della conquista musulmana.



9. Crisi dell'Impero e affermazione del cristianesimo


Dopo la rivolta di Bar Kochba il malcontento delle masse popolari continuò a dilagare in tutto l'impero romano. La Spagna si rifiutò di fornire soldati, la Gallia era piena di disertori, l'Africa in perenne rivolta. Durante il regno di Settimio Severo il banditismo raggiunse dimensioni senza precedenti, mentre gruppi di senza tetto devastavano l'impero. La povertà delle masse urbane e rurali offrì un fertile terreno alla propagazione del cristianesimo, variante più semplice e duttile dell'ebraismo. Probabilmente la nuova fede nacque proprio in seno alle masse popolari ebree, come reazione al dominio della classe dei mercanti ricchi. La stessa cacciata dei mercanti dal Tempio da parte di Gesù, narrata nel Vangelo, è espressione dell'ostilità dei poveri di Gerusalemme contro chi traeva profitto dal culto di Jahvè. Si ebbe così un'ampia assimilazione al cristianesimo degli strati più poveri del giudaismo, mentre gli ebrei ricchi respingevano sdegnosamente la nuova religione ugualitaria. Dopodiché la religione che proclamava “beati i poveri, perchè per loro è il regno di Dio”, o “Guai ai ricchi!...perché avrete fame”16 uscì dall'ambito giudaico, diffondendosi a macchia d'olio in tutto l'impero.

Ma in breve tempo il cristianesimo perse lo slancio rivoluzionario e antiplutocratico degli inizi: già il Vangelo secondo Matteo si adatta alle classi sociali più abbienti, ponendo il regno di dio al di fuori del mondo terreno e su un piano non materiale: “Beati i poveri in spirito, perchè di essi e il regno dei cieli...Beati gli affamati e gli assetati di giustizia, perché saranno soddisfatti”.

Tra la fine del terzo e l'inizio del quarto secolo le riforme decentralizzatrici di Diocleziano e Costantino posero le basi per la nascita, dalle ceneri dell'impero in disfacimento, del nuovo sistema feudale, fondato sulla piccola proprietà del contadino incatenato alla terra. Il cristianesimo, che con l'Editto di Milano del 313 divenne liberamente praticabile, si affermò come involucro ideologico del nuovo sistema (Concilio di Nicea, 325 d.C.).

Come abbiamo già visto, nonostante la repressione romana la Palestina anche dopo la fine della rivolta di Bar Kochba continuò ad essere abitata dagli ebrei, dediti soprattutto all'agricoltura e all'allevamento del bestiame. L'oppressione nei loro confronti continuò, anche dopo che nel 324 Costantino ebbe trasferito la sede dell'impero da Roma a Bisanzio (ribattezzata nel 330 Costantinopoli). Nel 351 d.C. gli ebrei della città di Zippori, in Galilea, si rivoltarono contro il governatore Costanzo Gallo, genero dell'imperatore Costanzo II. Nel 380 l'Editto di Tessalonica sancì il cristianesimo quale religione ufficiale dell'impero, secondo i canoni stabiliti al Concilio di Nicea. Agli ebrei non fu permesso di possedere schiavi, costruire nuove sinagoghe, ricoprire cariche pubbliche. I matrimoni misti furono dichiarati un reato capitale, come anche la conversione di un cristiano all'ebraismo. In realtà, gli imperatori bizantini non avevano truppe sufficienti per far rispettare i loro dettami, e nel V secolo nonostante l'alto numero sinagoghe convertite in chiese, altre ne sorsero.

Alla luce della nuova realtà, l'élite rabbinica della minoranza ebraica cominciò a vedere nel proselitismo una minaccia per l'esistenza della comunità. La politica identitaria ebraica cambiò orientamento, piegandosi giocoforza alle imposizioni dell'impero cristiano e trasformando la comunità dei fedeli in un gruppo chiuso su se stesso, che guardava con repulsione e sospettonuovi seguaci. Questa politica identitaria divenne la condizione necessaria per la sopravvivenza nel mondo cristiano. Comunque neppure l'oppressione e l'assimilazione che ebbero luogo in epoca bizantina riuscirono a estinguere la forza della fede e del culto ebraici, o a porre fine all'edificazione di nuove sinagoghe. Ne è dimostrazione la rivolta della Galilea al dominio bizantino, guidata da Beniamino di Tiberiade nel 614 d.C.

Il fulcro dell'ebraismo in questo periodo divenne Babilonia, che aumentò considerevolmente la sua popolazione. In questa grande città sorsero scuole e accademie ebraiche, furono redatti testi sacri in ebraico e aramaico, e i rabbini ivi residenti divennero punto di riferimento per l'ebraismo di tutto il mondo. Vicino a Babilonia nacque la città di Nehardea, abitata pressoché esclusivamente da ebrei.




10. Il cristianesimo e la nascita del mito dell'Esilio


Possiamo far risalire a quest'epoca l'inizio dell'elaborazione del mito dell'Esilio degli ebrei dalla Terra santa, cosa che avvenne su iniziativa dei propagandisti cristiani impegnati a combattere ideologicamente la religione giudaica. Ad esempio San Giustino martire a metà del terzo secolo riprese l'episodio dell'espulsione dei circoncisi da Gerusalemme dopo la rivolta di Bar Kochba, spiegandola come una punizione divina collettiva contro coloro che avevano crocifisso Gesù. Altri scrittori cristiani seguirono il suo esempio, individuando ogni presenza di ebrei al fuori della Terra santa come un segno dei loro peccati.

Con l'affermazione sempre crescente del cristianesimo, divenuto all'inizio del quarto secolo la religione ufficiale dell'Impero romano, gli ebrei che risiedevano in altre zone iniziarono ad accettare la logica dell'esilio come un verdetto di ispirazione divina. Il mito del popolo ebraico errante, punito per la propria condotta, divenne parte integrante sia della religione cristiana che di quella ebraica. E da questo momento in poi il concetto di esilio acquisì una precisa valenza metafisica, che andava al di là del semplice fatto di trovarsi al di fuori della propria patria: l'Esilio divenne una condizione esistenziale, indipendente dal luogo fisico, dunque attribuita anche a coloro che continuavano a vivere in Terra santa.



11. Proselitismo ebraico in Arabia


Costretto a chiudersi parzialmente su se stesso dalle barriere innalzategli intorno dal cristianesimo, l'ebraismo nel contempo portò avanti la propria opera di proselitismo in zone che non erano ancora state raggiunte dal monoteismo, e si trovavano in una fase di passaggio da una società di tipo tribale a una di tipo statuale.

Con la Siria e l'Egitto, la penisola arabica era uno dei territori più vicini alla Giudea e quindi non stupisce che fin da un'epoca relativamente antica vi si riscontrino tracce di religione ebraica.

A cavallo tra il quarto e il quinto secolo d.C. l'ebraismo si diffuse nelle oasi arabe di Tayma, Khaybar e Yathrib (in seguito Medina), e numerose tribù di lingua araba si convertirono alla religione giudaica.

Molti storici sottolineano i collegamenti tra la diffusione del monoteismo ebraico nella penisola arabica e la successiva affermazione dell'islam. Nel Corano compaiono numerose espressioni, storie e leggende tratte dalla Bibbia, e le figure di Abramo, Giuseppe, Mosè, Davide, Salomone. Nel medesimo periodo anche il cristianesimo si affacciò sulla soglia della penisola arabica: nel Corano Gesù è riconosciuto come un profeta che ha preparato la venuta di Maometto.



Ma soprattutto l'attività missionaria ebraica in questo periodo portò alla conversione di un intero regno nel sud della penisola arabica, nella regione che i romani avevano chiamato Arabia felix. Si tratta del regno di Himyar, che iniziò a consolidarsi  intorno all'omonima tribù a partire dal secondo secolo a.C. Sua capitale era la città di Zafar, nella quale si strutturarono un apparato amministrativo e un ceto nobiliare, formato dai capi delle varie tribù della regione.

Il peggior rivale del regno himyarita era il regno etiope di Aksum, al di là del mar Rosso, i cui eserciti attraversavano di tanto in tanto lo stretto di Bab el-Mandeb mettendo sotto assedio i ricchi vicini.

Dall'ultimo quarto del quarto secolo d. C. fino al primo quarto del sesto, ossia per centoventi - centocinquanta anni, nel Himyar regnò una solida monarchia ebraica monoteista. La tradizione musulmana collega la conversione all'ebraismo all'epoca del re Abukarib Asad, che regnò probabilmente tra il 390 e il 420 d.C. Sono state ritrovate anche fonti del 440 d.C. che attestano la fede ebraica di Sarahbi'il Yafur, figlio di Asad. Molte leggende arabe menzionano la storia dell'uccisione di Azqir, un missionario cristiano della città di Najran, nell'Himyar settentrionale, come segno della rigidità di Yafur.

Dopo la morte di quest'ultimo il regno entrò in una fase di declino: i due figli non riuscirono a sostenere la pressione degli etiopi, che penetrarono nel Himyar riuscendo per un certo periodo a consolidare la posizione dei cristiani rimasti, loro alleati. Il regno di Aksum era infatti sotto l'influenza dell'impero bizantino.

Dopo anni di egemonia cristiana, l'ebraismo tornò a dominare con la figura di Dhu Nuwas, l'ultimo sovrano ebreo himaryta. Dhu Nuwas organizzò una resistenza sui monti e riuscì a riconquistare Zafar, controllata dagli etiopi, imponendo il proprio dominio su tutto il regno. I ceti nobiliari si schierarono con lui e coloro che non si erano ancora convertiti lo fecero dopo la sua vittoria. A quanto pare con la conquista del potere da parte di Dhu Nuwas giunsero nella regione alcuni saggi da Tiberiade, per consolidare la fede mosaica.

Con la nuova ascesa al potere dell'ebraismo la città di Najran, a maggioranza cristiana, si ribellò un'altra volta. Il re himaryta dovette imporle un lungo assedio prima di conquistarla nel 523 e di mettere a morte migliaia di rivoltosi. Il re etiope Ella Asbeha colse l'occasione per scatenare una guerra contro l'Himyar ebraico. Con il sostegno e l'appoggio logistico dell'impero bizantino, che fornì la flotta, le armate cristiane attraversarono il mar Rosso e nel 525 Dhu Nuwas fu sconfitto dopo una lunga e sanguinosa battaglia. La capitale Zafar fu distrutta, cinquanta membri della dinastia reale furono ridotti in schiavitù e il regno ebraico fu definitivamente annientato.

Cinquant'anni dopo ci fu un tentativo di rivolta ebraica capeggiata da Sayf Dhu Yazan, un discendente di Dhu Nuwas, che tuttavia non ebbe successo.

Nel 570 d.C. la regione passò sotto il dominio persiano; si registrò quindi una battuta d'arresto nel processo di cristianizzazione. La comunità ebraica himaryta comunque continuò a esistere, sia sotto la dominazione etiope che sotto quella persiana. Ne è prova la lettera con cui Maometto nel 629 avvertì i comandanti dell'esercito musulmano di non costringere con la forza gli ebrei e i cristiani locali a convertirsi all'islam.

Il tipo di tasse imposte agli ebrei himaryti consente di stabilire che fossero in maggioranza contadini, ma non è possibile calcolare quanti di essi continuarono a restare fedeli alla propria religione e quanti invece preferirono adottare quella dei conquistatori. Si può solo supporre che molti ebrei si fossero già convertiti al cristianesimo, e altri in seguito passassero all'islam.

Un piccolo gruppo, però, si mantenne fedele al giudaismo, e grazie ai rapporti con i centri teologici babilonesi continuò a sopravvivere fino al ventesimo secolo.

Come è noto, la comunità ebraica yemenita fu sradicata quasi completamente dalla propria terra nel 1949, dopo la fondazione di Israele, con un ponte aereo atto a rimpinguare il neonato stato sionista con il necessario materiale umano.



12. Proselitismo ebraico nel Maghreb (e origine dei sefarditi)


La diffusione dell'ebraismo nell'Africa settentrionale fu particolarmente capillare, sin dall'epoca ellenistica, e proseguì anche nell'era volgare, mentre in Egitto, Asia Minore, Grecia e Italia il numero dei convertiti si riduceva per l'avanzata del cristianesimo. Lo storico francese Marcel Simon fa risalire l'inizio della diffusione dell'ebraismo in quest'area al tempo dell'affermazione del regno di Cartagine, colonia fenicia abitata anche da ebrei. Esiste un'affinità tra l'ebraico del Pentateuco e l'antica lingua dei punici (i fenici africani), e si ha notizia che alcuni di questi ultimi fossero circoncisi.

Con la diffusione del cristianesimo in molte città africane fiorirono comunità sincretiste tendenti a mescolare le due religioni. L'avanzamento della chiesa romana subì una temporanea battuta d'arresto con la conquista dei Vandali. Queste tribù germaniche giunte dall'Europa occuparono l'Africa settentrionale tra il 430 e il 533 d.C., fondando un regno orientato verso l'eresia ariana, che ebbe con gli ebrei rapporti migliori di quelli tra questi ultimi e la chiesa ufficiale in via di consolidamento.

Nel sesto secolo la riaffermazione dell'autorità bizantina sancì nuovamente il primato della chiesa, il che presumibilmente determinò la migrazione di una parte degli ebrei della costa verso l'interno o verso occidente. Ebbe così inizio una nuova fase di conversioni all'ebraismo da parte delle tribù indigene, le quali furono descritte da Ibn Khaldun, il grande storico arabo vissuto nel quattordicesimo secolo:
Tra i Berberi ebrei c'era la tribù dei Jerawa, che abitava la regione dell'Aures, a cui apparteneva al-Kahina, che fu uccisa dagli arabi all'epoca delle prime invasioni. Le altre tribù ebraiche erano i Nefusa, che erano berberi dell'Africa, i Fendelawa, i Mediuna, i Behlula, i Ghiatha e i Fazaz, che erano berberi dell'estremo Maghreb...17
Le tribù di proseliti elencate dallo storico erano grandi e potenti, e disseminate per tutta l'Africa settentrionale. Malgrado le conversioni di massa all'islam che si verificarono a seguito della vittoriosa conquista araba, nelle aree corrispondenti grossomodo alle zone di insediamento di queste tribù continuarono a esistere comunità ebraiche fino all'epoca moderna.

Ibn Khaldun e altri storici arabi raccontano l'epopea della regina berbera dei monti dell'Aurés, Dihya al-Kahina. Questa sovrana dei berberi convertita all'ebraismo era considerata un'indovina, da cui l'appellativo kahina, sacerdotessa. Guidò il proprio regno con grande determinazione e di fronte ai reiterati tentativi dei musulmani di conquistare l'Africa settentrionale, nel 689 d.C. riunì alcune potenti tribù e con esse riuscì a sconfiggere militarmente l'esercito invasore. Alcuni anni dopo giunsero i rinforzi arabi: l'esercito della coraggiosa berbera fu annientato e lei perì in battaglia.

I suoi figli si convertirono all'islam e si unirono ai conquistatori.



Paul Wexler, professore all'Università di Tel Aviv, nel suo saggio The Non-Jewish Origins of the Sephardic Jews avanzò la seguente tesi: “Gli ebrei sefarditi sono in primissimo luogo discendenti degli arabi, berberi ed europei che si convertirono all'ebraismo nel periodo tra la formazione delle prime comunità ebraiche in Asia occidentale, Africa settentrionale ed Europa meridionale e il dodicesimo secolo”.18

Naturalmente era possibile che tra queste comunità vi fossero anche discendenti degli abitanti della Giudea, ma si sarebbe trattato comunque di una parte di popolazione assai ridotta. Come fece Wexler a giungere a una conclusione tanto blasfema per il sionismo, in contrasto con il discorso dominante del mondo accademico cui lui stesso apparteneva?

Mancando le fonti storiche sulla formazione delle comunità ebraiche nella penisola iberica, disse Wexler, era necessario basarsi sull'evoluzione linguistica e sui dati etnografici. Muovendosi su quel terreno, egli giunse alla conclusione che gli ebrei sefarditi avevano origini eterogenee ma quasi sicuramente non discendevano dai giudei; la maggior parte di essi sarebbe giunta in Spagna dall'Africa settentrionale con la conquista musulmana, all'inizio dell'ottavo secolo. La lingua e la cultura giudeo-iberiche conservano infatti tracce di termini giudeo-arabi magrebini e di usanze berbere. Inoltre – e questo forse è il principale contributo di Wexler – testi scritti in ebraico e aramaico fecero la loro comparsa in Spagna soltanto all'inizio del decimo secolo: cioè, l'ebraico fu innestato come lingua sacra, aulica, alla corte del califfato di Cordoba, e non fu prodotto di uno sviluppo linguistico autoctono.

La teoria di Wexler può spiegare l'enigma sinora insoluto dell'esistenza in Spagna nell'Alto Medioevo di una comunità ebraica popolosa, vivace e produttiva, che superava di gran lunga le dimensioni dei fedeli ebrei in Italia, nella Gallia meridionale o nelle terre germaniche.

Alla conquista musulmana della Spagna, iniziata nel 711 d.C., parteciparono soprattutto truppe berbere, e non è fuori luogo ipotizzare che ne facessero parte molti proseliti ebrei. Fonti cristiane dell'epoca stigmatizzano il tradimento degli ebrei, che in diverse città avevano accolto a braccia aperte l'esercito invasore ed erano stati reclutati come truppe ausiliarie nella conquista.

Mentre i cristiani fuggirono in massa, ai loro rivali ebrei furono affidati incarichi di governatorato in molte città. Laddove ai musulmani fu impedito di proseguire, cioè oltre Poitiers in Francia, le comunità ebraiche rimasero estremamente ridotte, e il cristianesimo si affermò in maniera perentoria.

La prosperità degli ebrei a Sefarad (il nome ebraico della penisola iberica) iniziò nel 756, con l'insediamento del califfo Abd el-Rahman, appartenente alla dinastia omayyade che era stata detronizzata in Medio Oriente. Abd el-Rahman e i suoi successori rafforzarono l'esercito e la burocrazia, ricreando a Cordoba lo splendore di Baghdad e favorendo la pacifica convivencia di musulmani, ebrei e cristiani.



13. Proselitismo ebraico nelle steppe del Volga (e origine degli ashkenaziti) 19


Il massimo risultato in termini di proselitismo l'ebraismo lo conseguì allorquando un intero impero medievale, il regno di Cazaria, si convertì alla religione giudaica.



Formatosi all'inizio del VII secolo d.C. a nord del Caucaso e abitato da popoli di origine indoeuropea e di lingua turca, il regno di Cazaria fu un importante centro economico e politico, luogo di incontro e di reciproco influsso tra lingue, culture e religioni diverse. Intorno al 740 d.C., a quanto pare, il re Bulan impose a tutta la popolazione la conversione all'ebraismo. Dunque, all'epoca in cui Carlo Magno si faceva incoronare sacro imperatore cristiano, nei territori compresi tra il Caucaso e il Volga un impero la cui religione era il giudaismo viveva il suo massimo splendore.

Più tardi, verso l'inizio del XIII secolo, quando i mongoli di Gengis Khan dilagarono dai confini della Cina fin quasi alle pianure ungheresi, costituendo il loro immenso impero nomade, l'entità politica dei cazari si dissolse e se ne persero le tracce. In quel periodo la popolazione cazara, fuggendo verso ovest, andò a stabilirsi in Russia, Lituania e soprattutto Polonia, ove sorse la più numerosa comunità ebraica dell'età moderna, alla quale solo in un secondo momento si aggiunsero alcune élite ebraiche provenienti dall'Europa occidentale. Dunque i cosiddetti ebrei “ashkenaziti”, protagonisti della colonizzazione sionista della Palestina, non sono affatto originari di Ashkenaz (il nome che gli ebrei davano alla Valle del Reno), bensì discendono in gran parte dai cazari del Caucaso, convertiti al giudaismo.


14. La nascita dell'islam


Mentre l’impero romano andava disfacendosi, la lontana penisola arabica godeva ancora di una relativa prosperità e stabilità. Abitata da epoca immemorabile da tribù nomadi (i beduini, in arabo “abitanti della steppa”, da cui verso la fine del II millennio si staccarono gli ebrei), l’Arabia si trovava a metà strada lungo la rotta che dal Mediterraneo, passando lungo il mar Rosso, portava fino in India e in Cina; dunque aveva sviluppato una propensione commerciale, soprattutto in alcune città costiere come Mekka e Yahtrib (la futura Medina). Come abbiamo visto, le tribù ebraiche erano numerose, e nella parte più meridionale della penisola si era formato un regno ebraico. Erano presenti anche numerose comunità cristiane.

Questa relativa stabilità venne turbata nel VI secolo d.C. da una serie di invasioni di popoli etiopi, di fede cristiana, scacciati solo dopo decenni di guerra e con l’intervento dei popoli persiani da nord. A seguito delle lunghe devastazioni il commercio e l’agricoltura entrarono in crisi e questa calamità colpì anche la ricca famiglia di mercanti di Mekka alla quale apparteneva Maometto. Nato nel 570 d.C., a partire dal 610 Maometto iniziò una serie di predicazioni. Secondo la tradizione egli viene ispirato dall’arcangelo Gabriele a portare un messaggio di salvezza per i popoli arabi: unirsi sotto un unico dio, praticare la carità e le opere buone in favore dei poveri, non arricchirsi in modo smodato, svolgere un percorso di purificazione che distolga dai beni di questo mondo. Insomma una sorta di reazione alla degenerazione della vita cittadina attraverso un “riformismo beduino”, centrato sul pilastro dello “zakat”, la “purificazione” dei propri averi.

Maometto e i suoi primi seguaci si ritenevano gli ultimi profeti della sottomissione (islam) al dio unico Allah, al culmine del percorso svolto dai loro antesignani Abramo, Ismaele, Mosè e Gesù, anch’essi muslimun (sottomessi) alla volontà di dio.

Nel 622 d.C. Maometto compì il lungo trasferimento da Mekka alla città-oasi di Yathrib, poi ribattezzata Medina (Città del Profeta), invitato dai suoi abitanti per dirimere le controversie tra le tribù. Egli le riunì intorno alla nuova fede dell'islam. Due delle tre tribù ebraiche della città non accettarono la nuova “Costituzione di Medina”, e furono affrontate e sconfitte militarmente, eferocemente decimate. Nel 628 d.C. fu conquistata l'oasi di Khaybar, abitata da ebrei, dopo un assedio durato un mese e mezzo. In base al trattato di pace, Maometto consentì agli ebrei di seguitare a vivere nell'oasi, cedendo però ai musulmani la metà del prodotto agricolo (per lo più datteri): un trattamento assai meno feroce di quello messo in atto a Medina.

Nel 638 il secondo successore di Maometto, il califfo (vicario) Omar, entrò in Gerusalemme.

La conquista araba proseguì repentinamente, giungendo in Spagna (711 – 18) fino ad essere bloccata in Francia, con la battaglia di Poitiers del 732.



15. La conquista araba della Palestina e la conversione degli ebrei


La conquista araba della Palestina è un altro fatto storico utilizzato per alimentare il mito dell'Esilio del popolo ebraico nel mondo. Lo storico sionista Ben Zion Dinur, nell'introduzione alla sua opera Yisrael ba-golah (Israele in esilio), scrive:
Dato l'inizio dell'epoca di Israele in esilio con la conquista araba della Palestina. Non prima. Fino ad allora la storia d'Israele fu quella della nazione ebraica nel proprio paese... È vero che nella tradizione e concezione popolare non si fa alcuna distinzione tra la perdita del dominio del popolo sulla terra e la sottrazione ad esso della terra, ma le si considera un fenomeno solo. Tuttavia, da una prospettiva storica dev'essere tracciata una distinzione tra queste due condizioni, che non risalgono alla stessa epoca e sono storicamente distinte.20
Gli storici sionisti non sbagliano affermando che la presenza ebraica in Palestina si ridimensionò con la conquista musulmana del settimo secolo. Ciò però non avvenne a seguito dell'espulsione dei giudei dal loro paese, di cui non si ha alcuna attestazione storica. La Palestina non fu affatto sconvolta da ondate migratorie provenienti dai deserti della penisola arabica, aventi l'intento di cacciare la popolazione autoctona. Non fu questa la politica messa in atto dai conquistatori.

Innanzitutto, l'esercito musulmano che tra il 638 e il 643 conquistò la regione era relativamente poco numeroso. Si stima che contasse al massimo 46mila soldati, la maggior parte dei quali fu presto inviata a combattere su altri fronti, ai confini con l'impero bizantino. Si può supporre che alcuni terreni conquistati fossero assegnati agli invasori e alle loro famiglie, ma questo non può in alcun modo aver determinato cambiamenti radicali nella composizione della popolazione.

Uno dei segreti dell'esercito musulmano era il suo essere "liberale" e moderato nei confronti delle nazioni assoggettate. Nella già citata lettera di Maometto ai capitani dell'esercito che operavano nell'Arabia meridionale si puntualizza: "Quegli ebrei e cristiani che abbracciano completamente l'Islam, e professano realmente la religione dell'Islam, appartengono anch'essi ai credenti, e hanno i medesimi diritti e doveri di costoro. Chi invece rimane nella fede cristiana o ebraica non deve essere costretto a rinnegare la sua fede, ma ogni uomo o donna, libero o schiavo deve pagare un dinar pieno".21 Non c'è dunque da stupirsi se, dopo aver subito le pesanti persecuzioni dell'impero bizantino, gli ebrei accolsero i conquistatori arabi di buon grado, quando non addirittura con entusiasmo. Fonti arabe ed ebraiche parlano infatti di un aiuto militare fornito all'esercito arabo da parte degli ebrei.

Nella penisola araba le conquiste di Maometto avevano comportato alcuni massacri di ebrei, ma l'avvento dell'islam in Palestina fu salutato da molti come una liberazione dalle persecuzioni e persino come un annuncio dell'adempimento della promessa messianica. Nella lettera di un ebreo dell'epoca si legge che la conquista maomettana di Gerusalemme fu accompagnata dall'ingresso di un certo numero di ebrei nella città:
Quando...giunsero a Gerusalemme, con loro c'erano degli israeliti. Mostrarono loro il luogo del Tempio e dimorarono con loro da allora fino ai nostri giorni. Imposero loro delle condizioni, che rispettassero il Tempio preservandolo da ogni profanazione e pregassero alle sue porte e nessuno avrebbe contestato il loro potere.22
La conquista islamica di Gerusalemme suscitò negli ebrei la speranza di poter ricostruire il Tempio distrutto sei secoli prima:
I re ismaeliti erano soliti comportarsi con benevolenza nei loro confronti, e concessero a Israele di entrare nel Tempio e costruirvi una casa di preghiera e di studio. Tutte le comunità della Diaspora d'Israele vicine al Tempio vi si recavano in pellegrinaggio in occasione delle feste e delle ricorrenze per pregarvi...23
Ma, considerati i benefici che garantiva la conversione all'islam, il fenomeno preponderante fu il passaggio in massa alla nuova religione. L'esenzione dalle tasse valeva bene una conversione, soprattutto se il nuovo dio era così simile al proprio.

Gli elementi di affinità tra le religioni, la relativa tolleranza dell'islam nei confronti degli altri monoteismi e la politica tributaria spinsero ebrei e cristiani in Palestina a convertirsi alla religione islamica. Ne deriva il fatto che da un punto di vista etnico per la stragrande maggioranza i palestinesi di oggi sono i discendenti degli ebrei di ieri, che non hanno mai subito alcun Esilio e non sono mai andati via dalla loro terra.



16. I pionieri sionisti e l'invenzione dell'Esilio


All'inizio del Novecento i pionieri sionisti, alla ricerca di una giustificazione scientifica, positivista delle loro imprese, riconobbero la continuità dal punto di vista etnico tra gli ebrei e i palestinesi, e usarono tale argomento a favore della colonizzazione che si accingevano a compiere. Israel Belkind (1861 – 1929), che si stabilì in Palestina durante la Prima Aliyah nel 1882, affermò che tra gli ebrei antichi e la popolazione palestinese a lui coeva vi fosse un forte legame storico, e che ad esempio dopo la rivolta di Bar Kochba furono soltanto “i ceti più elevati ad abbandonare il paese: i dotti, gli studiosi della Torah, che scelsero la religione invece della terra”24

Ber Borochov, uno dei maggiori teorici dell'organizzazione sionista laburista Poale Zion, era esattamente della stessa opinione. Nel 1905, ribattendo a chi considerava plausibile l'ipotesi di uno stato ebraico in Uganda, egli affermò che l'unica opzione in grado di assicurare il successo all'impresa sionista fosse l'insediamento in Palestina, perché
Dal punto di vista razziale la popolazione locale della Palestina è più prossima agli ebrei che a qualunque altro popolo, persino tra quelli semiti; è un'affermazione altamente verosimile quella secondo cui i fellahin25 in Palestina siano la diretta progenie di quanto rimasto della popolazione rurale dell'insediamento ebraico e cananaico, con una minima presenza di sangue arabo; perché come è noto gli arabi, orgogliosi conquistatori, si mescolarono molto poco con le popolazioni dei paesi che conquistarono...La differenza razziale tra un ebreo della diaspora e i fellahin palestinesi non è più marcata di quella tra un ebreo ashkenazita e uno sefardita.26
Una tale argomentazione voelkisch ed etnocentrica a favore del sionismo la si ritrova anche in altri due alti dirigenti di Poale Zion, David Ben Gurion e Yitzhak Ben Zvi, i quali nel 1918 in giovane età scrissero il libro Eretz Israel nel passato e nel presente, che ebbe un'ampia diffusione.

Nel secondo capitolo, che riguarda la storia dei contadini palestinesi, i due autori affermano che
I fellahin non discendono dai conquistatori arabi che s'impadronirono della terra d'Israele e della Siria nel settimo secolo dell'era volgare. Gli arabi non sterminarono la popolazione rurale che trovarono nel paese; espulsero soltanto i dominatori stranieri bizantini, senza fare alcun male alla popolazione locale.27

Analogamente,
Sostenere che con la conquista di Gerusalemme da parte di Tito e con il fallimento della rivolta di Bar Kochba gli ebrei smisero di lavorare la terra della Palestina significa dimostrare un'assoluta ignoranza della storia e della letteratura ebraica dell'epoca...Il contadino ebreo, come ogni altro contadino, non si separava facilmente dalla terra che aveva irrigato con il proprio sudore e con quello dei suoi avi...28

 Ben Zvi tornò sull'argomento in un'altra pubblicazione nel 1929, ove ribadiva l'idea degli antichi contadini ebrei costretti o indotti a convertirsi, dapprima al cristianesimo e poi all'islam.

Secondo Ben Zvi, pur essendo giunti immigrati da molti luoghi diversi e pur essendo la popolazione locale diventata molto composita, le tracce rimaste nella lingua, nella toponomastica, nelle feste popolari condivise come quella di Nabi Musa29 e in altre pratiche culturali non lasciavano alcun dubbio sul fatto che “la grande maggioranza dei fellahin non discende dai conquistatori arabi ma dai fellahin ebrei, che prima della conquista dell'islam costituivano il nucleo centrale degli abitanti del paese”.30

Proprio la sollevazione araba del 1929, però, e in misura definitiva la Grande Rivolta del 1936 – 39, fecero sì che questa tendenza conciliatrice del sionismo venisse accantonata, cedendo il passo alla narrazione secondo la quale i fellahin palestinesi erano giunti sul posto in tempi recenti (pochi decenni prima!), in una terra rimasta vuota per secoli dopo la cacciata degli ebrei nel settimo secolo. Il dogma cristiano della persecuzione degli ebrei venne dunque ripreso e inserito nella propaganda nazionalista, per dare una legittimazione etica alla colonizzazione. Da quel momento in poi il sionismo sostenne la tesi che la conquista araba del settimo secolo aveva cacciato gli ebrei dalle loro terre, e questa tesi andò spesso a sostituire anche il mito della cacciata seguita alla distruzione del Secondo Tempio.

Del resto, la datazione dell'espulsione è di importanza secondaria: quello che conta, per il sionismo, è perpetuare l'invenzione dell'Esilio.




“Una nazione...è un gruppo di persone
unito da un errore comune sulla propria discendenza
e una comune antipatia verso i propri vicini”
Karl Deutsch, Nationalism and its Alternatives, 1969


“Forse l'ebraismo
è soltanto un'affascinante religione”
Shlomo Sand





Note:


1. Karl Kautsky, L'origine del cristianesimo, 1909
2. ibidem
3. Isaia, 5: 8-9
4. Isaia, 10: 1
5. Re, 24: 12-15
6. Solo dopo 1400 anni di storia e prosperità, gli ebrei iracheni furono brutalmente sradicati dal loro paese dal sionismo, nel 1950 – 51.
7. Shlomo Sand, L'invenzione del popolo ebraico, 2008
8. Giuseppe Flavio, Antichità giudaiche, I secolo d.C.
9. Uriel Rapaport, La propaganda religiosa degli ebrei e la conversione all'ebraismo all'epoca del Secondo Tempio, tesi di dottorato 1965
10. Theodor Mommsen, Storia di Roma, 1854 - 56
11. Cicerone, Orazione per Lucio Flacco, 59 a.C
12. Karl Kautsky, L'origine del cristianesimo, 1909
13. Theodor Mommsen, Storia di Roma, 1854 - 56
14. Karl Kautsky, L'origine del cristianesimo, 1909
15. Giulio Firpo, Le rivolte giudaiche, 1999
16. Vangelo secondo Luca
17. Ibn Khaldun, Storia dei berberi e delle dinastie musulmane dell'Africa settentrionale, XIV secolo
18. Paul Wexler, The Non-Jewish Origins of the Sephardic Jews, 1996
19. Per approfondire nello specifico questo argomento vedi l'opuscolo La tredicesima tribù. I cazari e l'origine degli ebrei dell'Europa orientale
20. Ben-Zion Dinur, Israele in esilio, 1958
21. Shlomo Sand, L'invenzione del popolo ebraico, 2008
22. Ben-Zion Dinur, Israele in esilio, 1958
23. ibidem
24. Israel Belkind, Gli arabi in Palestina, 1928
25. contadini
26 Ber Borochov, Sulla questione di Sion e del territorio, 1905
27. David Ben Gurion, Yitzhak Ben Zvi, Eretz Israel nel passato e nel presente, 1918
28. ibidem
29. La celebrazione musulmana del Nabi Musa (Profeta Mosè) corrisponde alla Pasqua ebraica: entrambe durano una settimana, si svolgono in primavera e riguardano la figura di Mosè, profeta in entrambe le religioni.
30. Yitzhak Ben Zvi, La nostra popolazione nel paese, 1929



Fonte  Antisionismo


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