martedì 21 gennaio 2020

LA TREDICESIMA TRIBÙ (Terza Parte)



I CAZARI E L'ORIGINE DEGLI EBREI
DELL'EUROPA ORIENTALE
(rielaborazione del saggio di Arthur Koestler del 1976)


A nord del Caucaso nel settimo secolo d.C. si formò un impero la cui popolazione, di origine turca, aderì in massa all'ebraismo. Queste genti, che non avevano niente a che fare con la Palestina, in seguito migrarono verso l'Europa, ed è da esse che deriva la gran parte della comunità ebraica mondiale.









TERZA PARTE








Veduta aerea degli scavi della fortezza cazara di Sarkel, lungo il Don
condotti negli anni '30 del Novecento
oggi l'area è sommersa da un lago artificiale



“In Cazaria pecore, miele
ed ebrei
si trovano in grande abbondanza”
Al-Muqaddasi, Descriptio Imperii Moslemici, X secolo



 Nota introduttiva
1. L'ORIGINE E L'APOGEO
2. LA CONVERSIONE
3. IL DECLINO
4. LA CADUTA
5. L'ESODO
6. LEGGENDE RENANE
7. L'ORIGINE DELL'YIDDISH




3 IL DECLINO


Come scrive Denis Sinor, “l'impero cazaro raggiunse il massimo splendore nella seconda metà dell'ottavo secolo,”75 cioè tra la conversione di Bulan e la riforma religiosa attuata ai tempi di Obadiah. Con ciò non si vuole implicitamente affermare che i cazari dovessero la loro fortuna alla religione ebraica. Si tratta casomai dell'inverso: la scelta di adottare l'ebraismo come collante ideologico fu un riflesso della forza economica e militare che avevano raggiunto.

Simbolo vivente della loro potenza fu l'imperatore Leone il Cazaro, che regnò su Bisanzio negli anni 775 – 80 e che doveva il suo soprannome alla madre, la principessa cazara “Fiore”. Il matrimonio di questa principessa era avvenuto poco dopo la grande vittoria cazara sui musulmani nella battaglia di Ardabil, citata nella lettera di Giuseppe e in altri documenti. I due avvenimenti, come nota Dunlop, “non sono privi di connessione.”76
Dopo la fine dell'ottavo secolo non si sente più parlare di scontri tra cazari e arabi.

Dall'inizio del nono secolo i cazari godettero – sembra – di alcune decine di anni di pace; quanto meno si parla poco di loro nelle cronache, e in sede storica nessuna nuova significa buona nuova. Le frontiere meridionali del paese erano state pacificate; i rapporti con il califfato si erano stabilizzati nel quadro di un tacito patto di non aggressione; le relazioni con Bisanzio erano ormai definitivamente amichevoli.

Ma nel bel mezzo di questo periodo relativamente idillico si verificò un episodio infausto, presagio di nuovi pericoli. Nell'833, o attorno a tale data, il kagan e il bek dei cazari inviarono un'ambasceria all'imperatore romano d'Oriente, Teofilo, per chiedergli architetti e artigiani specializzati che costruissero una fortezza nel tratto inferiore del corso del Don. L'imperatore rispose con celerità: mandò una flotta che, dopo aver attraversato il mar Nero e il mar d'Azov, risalì il corso del Don fino al punto strategico in cui doveva avvenire la costruzione. Nacque così Sarkel, la famosa fortezza e prezioso sito archeologico, il solo luogo che in pratica abbia fornito tracce della storia cazara, almeno fino a quando non fu sommerso dalla diga di Tsimlyansk, adiacente il canale che congiunge il Volga al Don. Costantino Porfirogenito narra l'episodio con tutti i particolari e dice che, non essendo possibile trovare pietre nella zona, Sarkel venne edificata con mattoni cotti in fornaci costruite appositamente. Non fa invece menzione del fatto curioso (scoperto dagli archeologi sovietici quando il luogo era ancora accessibile) che i costruttori usarono anche colonne di marmo di origine bizantina risalenti al sesto secolo, recuperate probabilmente da qualche luogo bizantino in rovina; un bell'esempio di parsimonia imperiale77.

Il nemico potenziale, contro il quale questa impressionante fortezza fu costruita dagli sforzi congiunti di bizantini e cazari, era rappresentato da quei formidabili e minacciosi nuovi venuti sulla scena mondiale che in Occidente erano chiamati vichinghi o normanni e in Oriente rhous o rhos o rus.

Due secoli prima i conquistatori arabi nella loro avanzata avevano attuato una gigantesca manovra a tenaglia, a sinistra fino a attraversare i Pirenei, a destra fino a attraversare il Caucaso. Ora, durante l'epoca dei vichinghi, la storia parve restituire una sorta di immagine speculare di quella fase precedente. La scintilla che aveva fatto esplodere le guerre di conquista musulmane si era prodotta nella regione più meridionale del mondo allora conosciuto, cioè il deserto arabo. Le conquiste e scorrerie dei vichinghi ebbero invece origine nella regione più settentrionale, la Scandinavia. Gli arabi avanzavano verso nord via terra, i normanni andavano verso sud per mare e attraverso tutte le possibili vie d'acqua. Gli arabi conducevano, almeno in teoria, una guerra santa, i vichinghi intraprendevano guerre per nulla sante, di pirateria e di rapina; ma il risultato, dal punto di vista delle vittime, era esattamente identico. Gli storici non hanno mai saputo fornire spiegazioni convincenti sulle ragioni economiche, ecologiche o ideologiche che trasformarono quasi da un giorno all'altro due regioni come l'Arabia e la Scandinavia, apparentemente inerti, in due vulcani di esuberante vitalità e temeraria intraprendenza.

Entrambe le eruzioni si esaurirono nel corso di un paio di secoli, ma lasciarono nel mondo una traccia permanente. Entrambe, in questo arco di tempo, passarono dalla barbarie e dalla distruttività a splendidi risultati culturali.

Attorno al periodo in cui veniva costruita Sarkel, per prevenire un attacco dei vichinghi a Oriente, l'avanguardia occidentale di questi ultimi era già penetrata attraverso tutte le principali vie d'acqua europee e aveva conquistato mezza Irlanda. Nel corso dei decenni immediatamente successivi colonizzarono l'Islanda, conquistarono la Normandia, saccheggiarono più volte Parigi, compirono razzie in Germania, lungo il delta del Rodano, nel golfo di Genova, circumnavigarono la penisola iberica e attaccarono Costantinopoli attraverso il Mediterraneo e i Dardanelli – e ciò in perfetta simultaneità con un attacco sferrato dai rus che erano scesi lungo il Dnepr e avevano attraversato il mar Nero. Come scrive Toynbee, “nel nono secolo, che fu il secolo durante il quale i rhos si urtarono con i cazari e con i romani d'Oriente, gli scandinavi stavano razziando, conquistando e colonizzando su un fronte immenso che si estendeva di fatto a sud-ovest... fino all'America del nord e a sud – est fino... al mar Caspio.”78

Non c'è da stupirsi che una preghiera speciale venisse inserita nelle litanie occidentali: A furore Normannorum libera nos Domine. Non c'è da stupirsi che Costantinopoli avesse bisogno dei suoi alleati cazari come di una barriera protettiva contro i draghi scolpiti sulle prue delle navi vichinghe, come ne aveva avuto bisogno un paio di secoli prima contro le verdi bandiere del Profeta. E come era accaduto in quella precedente occasione, i cazari dovettero ancora un volta sostenere l'urto dell'attacco, per vedere infine la propria capitale cadere in rovina.

I bizantini non erano i soli ad avere motivi di gratitudine verso i cazari, per l'impegno di questi ultimi nel bloccare la calata delle flotte vichinghe dal nord lungo le grandi vie d'acqua. A questo punto siamo in grado di comprendere meglio il brano che si trova nella lettera di Giuseppe a Hasdai, scritta un secolo più tardi:
“Con l'aiuto dell'Onnipotente io controllo lo sbocco del fiume e non permetto ai rus che arrivano con le loro navi di invadere la terra degli arabi... Io conduco una dura lotta”.
Quel particolare tipo di vichinghi che i bizantini chiamavano “rhos” erano definiti “varangi” dai cronisti arabi. Secondo Toynbee, la più probabile derivazione di “rhos” “è dal termine svedese 'rodher', che significa rematori”. Il termine “varangi” oltre che dagli arabi venne usato anche nell'antica Cronaca russa,79 per indicare i normanni o gli scandinavi; il Baltico era infatti chiamato “mare dei varangi”. Anche se questo ramo dei vichinghi traeva origine dalla Svezia orientale e si distingueva dai norvegesi e dai danesi che razziavano l'Europa occidentale, la loro avanzata seguiva la stessa strategia. Era di carattere stagionale, e si fondava sull'utilizzo di alcune isole situate in posizioni strategiche, che servivano da roccheforti, arsenali e basi di rifornimento per attaccare la terraferma; ma quando si presentavano condizioni favorevoli, tale avanzata mutava natura, passando dalle razzie e dal commercio forzato a stanziamenti più o meno definitivi e, infine, alla fusione con le popolazioni locali conquistate. Ad esempio, la penetrazione dei vichinghi in Irlanda iniziò con la conquista dell'isola di Rechru (Lambay) nella baia di Dublino; l'Inghilterra fu invasa partendo dall'isola di Thanet; e l'ingresso sul continente fu preceduto dall'occupazione delle isole di Walcheren (al largo dell'Olanda) e di Normoutier (nell'estuario della Loira).

All'estremità orientale d'Europa i normanni seguirono lo stesso metodo di conquista.
Attraversato il Baltico e il golfo di Finlandia, risalirono il fiume Volchov fino al lago Ilmen (a sud di Leningrado), dove trovarono un'isola adatta per i loro scopi: la Holmgard delle saghe islandesi.80 Qui si stabilirono, e il loro insediamento crebbe fino a diventare la città di Novgorod. E da questo punto fecero partire le loro scorrerie verso sud mediante le grandi vie d'acqua: il Volga per arrivare al Caspio e il Dnepr per raggiungere il mar Nero.

La prima strada passava per le terre dei bulgari e dei cazari, noti per loro bellicosità; la seconda percorreva i territori occupati da numerose tribù slave che abitavano ai limiti nordoccidentali dell'impero cazaro, e pagavano il tributo al kagan: i poliani nella regione di Kiev, i viatichi a sud di Mosca, i radimisci a est del Dnepr, i severiani sul fiume Derna eccetera.81 Pare che questi slavi avessero sviluppato metodi progrediti di coltivazione, e fossero di temperamento più mite dei loro vicini “turchi” stanziati sul Volga, per cui, come sostiene Bury, divennero la “preda naturale” dei razziatori scandinavi. Questi ultimi finirono per preferire il Dnepr, nonostante le sue pericolose cateratte, al Volga e al Don. Il Dnepr perciò divenne la “Grande via d'acqua” - la Austrvegr delle saghe nordiche – che portava dal Baltico al mar Nero, e quindi a Costantinopoli. Alle sette principali cateratte del fiume i normanni diedero nomi scandinavi, che si aggiunsero ai nomi slavi. Costantino elenca coscienziosamente entrambe le versioni.

Questi varangi – rus sembra che fossero un miscuglio unico – unico anche tra i loro fratelli vichinghi – nel quale si combinavano le caratteristiche dei pirati, dei predoni e dei mercanti disonesti, che commerciavano imponendo le proprie condizioni con la spada o con l'ascia di guerra. Barattavano pellicce, armi e ambra in cambio di oro, ma la loro merce principale erano gli schiavi. Un cronista arabo dell'epoca scriveva:
In quest'isola ci sono almeno 100.000 uomini che in continuazione partono di qui su vascelli per depredare gli slavi, e li catturano e li fanno prigionieri e poi vanno dai cazari e dai bulgari e glieli vendono. Non hanno terre coltivate, non hanno sementi, e vivono saccheggiando gli slavi. Quando nasce loro un figlio, gli mettono davanti una spada sguainata e il padre dice: “Non posseggo né oro, né argento, né ricchezze da trasmetterti; questa è la tua eredità, con la quale dovrai assicurarti la prosperità”.82
Uno storico moderno, McEvedy, compendia nitidamente il tutto:
L'attività dei vichinghi – varangi, che spaziava dall'Islanda fino ai confini del Turkestan, da Costantinopoli al circolo polare artico, era incredibilmente vitale e audace: peccato che un'energia così notevole andasse sprecata nei saccheggi. Gli eroi nordici non si degnavano di commerciare con coloro che non avevano prima sconfitto; preferivano l'oro glorioso e bagnato di sangue a un solido profitto mercantile.83
Così i convogli rus che navigavano verso sud nella stagione estiva erano allo stesso tempo flotte commerciali e squadre di navigli militari; i due ruoli erano congiunti e per ogni flotta era impossibile prevedere in quale momento i mercanti si sarebbero trasformati in guerrieri. Le dimensioni di queste flotte erano formidabili. Masudi parla di un contingente di rus che entra nel Caspio dal Volga (nel 912 – 13) e che comprende “circa 500 imbarcazioni equipaggiate con cento uomini l'una”. E aggiunge che di questi 50.000 uomini circa 35.000 vennero uccisi in battaglia. Masudi può aver esagerato, ma in realtà non tanto.

Già nei primi tempi delle loro imprese (verso l'860) i rus attraversarono il mar Nero e
assediarono Costantinopoli con una flotta che venne valutata dalle diverse fonti come compresa tra le 200 e le 230 imbarcazioni.

Data l'imprevedibile e proverbiale astuzia di questi formidabili invasori, i bizantini e
i cazari erano costretti a procedere a tentoni. Dopo la costruzione della fortezza di Sarkel, per un secolo e mezzo con i rus vi fu un'alternanza di accordi commerciali, scambi di ambascerie e guerre selvagge. Solo lentamente e gradatamente i normanni andarono modificando il loro carattere, in virtù della costituzione di insediamenti permanenti e di una progressiva slavizzazione prodotta dalla continua mescolanza con i popoli assoggettati e con quelli vassalli, fino all'adozione della fede della chiesa bizantina. Erano gli ultimi anni del decimo secolo, e allora ormai i “rus” si erano trasformati in “russi”. A poco a poco i varangi persero la loro identità di popolo a se stante, e la tradizione nordica sbiadì sino a sparire dalla storia russa.

E' difficile farsi un'idea di questo popolo singolare, i cui tratti barbarici sono tali da emergere anche in quell'epoca di barbarie diffusa. Tutte le cronache sono di parte, essendo scritte da persone appartenenti a nazioni che avevano sofferto per mano degli invasori provenienti da nord; mentre gli invasori stessi non scrissero mai la loro versione della storia, giacché la nascita della letteratura scandinava fu assai successiva al tempo dei vichinghi, quando le loro imprese erano ormai entrate nella leggenda. Tuttavia la letteratura nordica più antica sembra confermare il loro gusto sfrenato per la battaglia e l'esaltazione che li prendeva in tali occasioni; fu persino coniato un termine speciale per questo particolare stato d'animo, berserksgangr.

Tale era la situazione che i cazari si trovarono a dover fronteggiare.

Sarkel era stata costruita appena in tempo; la fortezza permetteva loro di controllare i movimenti delle flottiglie rus lungo il basso corso del Don, e il passaggio dal Don al Volga (la cosiddetta “strada cazara”). Nel complesso sembra che, durante il primo secolo della presenza dei rus sulla scena, le razzie di questi ultimi fossero dirette soprattutto contro Bisanzio (dove, ovviamente, era possibile impadronirsi di bottini più ricchi), mentre le relazioni con i cazari erano basate essenzialmente sul commercio, anche se non mancavano frizioni e scontri saltuari. I cazari restavano comunque in grado di controllare le vie commerciali battute dai rus, e di prelevare un pedaggio del dieci per cento su tutte le merci che attraversavano la loro terra per raggiungere Bisanzio o le terre dei musulmani.
I cazari esercitarono anche una certa influenza culturale sui normanni, i quali nonostante la natura violenta mostravano una ingenua volontà di imparare da tutti i popoli con i quali entravano in contatto. Sintomo di questa influenza è l'adozione del titolo di “kagan” da parte dei primi sovrani rus di Novgorod. Tutto ciò è confermato da documenti sia arabi che bizantini. Per esempio Ibn Rusta, dopo aver descritto l'isola sulla quale era stata costruita Novgorod, afferma: “Essi hanno un re che è chiamato kagan rus”. Ibn Fadlan racconta che il kagan rus ha un generale al quale sono demandati i compiti di guidare l'esercito e di rappresentare il sovrano presso il popolo. Zeki Validi ha messo in luce che tale forma di delega del comando militare era sconosciuta ai popoli germanici del Nord, per i quali al contrario il re doveva essere il primo dei guerrieri; Validi ne desume che i rus imitarono il sistema cazaro della doppia sovranità. Ciò non è impossibile, dato che i cazari furono il popolo più prospero e culturalmente più evoluto con il quale i rus entrarono materialmente in contatto nelle prime fasi delle loro conquiste. E tali contatti dovettero essere piuttosto consistenti, a giudicare dalla presenza di una colonia di mercanti rus a Itil, e anche di comunità di ebrei cazari a Kiev.

E' spiacevole dover registrare in questo contesto che, a più di mille anni di distanza dagli avvenimenti di cui stiamo parlando, il regime sovietico abbia fatto del proprio meglio per cancellare la memoria del ruolo storico e del livello culturale dei cazari. Il 12 gennaio 1952 sul Times comparve il seguente articolo:
Un altro storico sovietico è stato criticato dalla Pravda per avere minimizzato gli albori della cultura e dello sviluppo del popolo russo. Si tratta del professor Artamonov il quale, in una recente riunione del dipartimento di storia e filosofia dell'Accademia delle scienze dell'Urss, ha ripreso una propria teoria che aveva già avanzato in un libro del 1937, secondo la quale la città di Kiev avrebbe subito in modo notevole l'influenza del popolo cazaro, che egli dipinge come un popolo progredito caduto vittima delle mire aggressive dei russi.
“Tutto ciò – afferma la Pravda – non ha nulla a che vedere con i fatti storici. Il regno cazaro, che rappresentava una primitiva fusione di tribù diverse, non ebbe alcun ruolo positivo nella nascita di uno stato degli slavi orientali. Antiche fonti testimoniano che la nascita di uno stato tra gli slavi orientali è precedente a ogni testimonianza sui cazari.
Il regno cazaro, lungi dal promuovere lo sviluppo dell'antico stato russo, ritardò il progresso delle tribù slave orientali. I materiali rinvenuti dai nostri archeologi stanno a dimostrare l'alto livello culturale dell'antica Russia. Solo deformando la verità storica e trascurando i fatti si può parlare di superiorità della cultura cazara. L'idealizzazione del regno cazaro riflette evidentemente la sopravvivenza della visione errata degli storici borghesi, che minimizzavano lo sviluppo autoctono del popolo russo. L'erroneità di questo concetto è evidente, ed esso non può essere accettato dalla storiografia sovietica”.
Artamonov pubblicò il suo primo libro concernente la storia dei cazari nel 1937.
Quando la Pravda lo attaccò probabilmente stava preparando la sua opera più importante, la Storia dei cazari. Di conseguenza il libro fu pubblicato soltanto dieci anni dopo, nel 1962, con una ritrattazione finale che equivaleva a negare tutto quanto l'autore aveva sostenuto in precedenza e, in sostanza, il lavoro di tutta la sua vita. I passaggi più importanti della ritrattazione suonano così:
Il regno cazaro si disintegrò e cadde in pezzi, la maggior parte dei quali si fuse con altri popoli affini, mentre una minoranza residente a Itil perse i propri caratteri nazionali e si trasformò in una classe di parassiti con colorazione ebraica.
I russi non rifiutarono mai gli apporti culturali provenienti dall'est...Ma nulla i russi presero dai cazari di Itil... La necessità di lottare contro gli sfruttatori di Itil agì da stimolo per il trono d'oro di Kiev... creò i presupposti per una massiccia crescita non solo del sistema statale russo, ma anche dell'antica cultura russa. Questa cultura era sempre stata originale e non aveva mai subito l'influenza dei cazari. Quegli insignificanti elementi orientali filtrati nella cultura rus attraverso i cazari, ai quali normalmente si pensa quando si affronta il problema dei legami culturali tra i rus e i cazari, non penetrarono mai nel cuore della cultura russa, ma rimasero in superficie, e furono di fatto elementi di breve durata e di scarso significato. Essi non offrono dunque alcuno spunto per poter parlare di un “periodo cazaro” nella storia della cultura russa.
Le direttive di partito venivano così a completare il processo di oblio iniziato con la sommersione dei resti di Sarkel.

Gli intensi scambi commerciali non impedirono ai rus di erodere gradualmente l'impero cazaro, impadronendosi dei suoi sudditi e vassalli slavi. Secondo l'antica Cronaca russa, a partire dall'859, cioè circa 25 anni dopo la costruzione di Sarkel, i tributi pagati dai popoli slavi vennero “divisi tra i cazari e i varangi provenienti dal di là del mar Baltico”. I varangi riscuotevano il tributo dai ciudi, dai kriviciani etc., cioè dai popoli slavi stanziati più a nord, mentre i cazari continuavano a prelevare il tributo ai viatichi, ai seviani e soprattutto ai poliani, che abitavano nella regione di Kiev. Ma la cosa non durò a lungo. Tre anni dopo, stando alla datazione della Cronaca russa, la città strategica di Kiev, situata sul Dnepr, fino ad allora sottoposta alla sovranità cazara, passò nelle mani dei rus.

Questo avvenimento era destinato a rappresentare una svolta decisiva nella storia russa, sebbene a quanto pare si verificò senza lotta armata. Secondo la Cronaca, a quel tempo Novgorod era governata dal principe semileggendario Rurik. Due luogotenenti di Rurik, Oskold e Dir, navigando lungo il Dnepr scorsero una fortezza su una montagna, di cui gradirono la vista; e vennero a sapere che si trattava della città di Kiev, la quale “pagava il tributo ai cazari”. I due si stabilirono con le famiglie nella città, “richiamarono presso di sé parecchi normanni e si imposero sugli slavi dei dintorni, come Rurik governava a Novgorod. Una ventina di anni dopo giunse il figlio di Rurik, Oleg, fece uccidere Oskold e Dir e aggiunse Kiev ai propri dominii”.

L'importanza di Kiev oscurò presto quella di Novgorod. La città divenne la capitale dei varangi e “la madre delle città russe”; e il principato che ne prese il nome divenne la culla del primo stato russo.

La lettera di Giuseppe, scritta circa un secolo dopo, omette già Kiev dall'elenco dei possedimenti cazari. Tuttavia nella città, così come nella provincia circostante, continuarono ad essere presenti influenti comunità ebraico–cazare, la cui consistenza aumentò in seguito all'arrivo di grosse ondate di emigranti cazari in seguito alla distruzione del loro paese. Nella Cronaca russa si fa frequente riferimento a individui provenienti da Zemlja Zidovskaja, “la terra degli ebrei”, e uno degli accessi alle mura della città viene indicato con il nome di Porta degli Ebrei.

Siamo ora giunti con il nostro racconto nella seconda metà del nono secolo e, prima procedere con la storia dell'espansione russa, dobbiamo rivolgere la nostra attenzione ad alcuni importanti mutamenti registrati fra i popoli delle steppe, in particolare tra i magiari.

Tali avvenimenti si verificarono parallelamente alla crescita del potere russo ed ebbero influenza diretta sui cazari – e sulla mappa dell'Europa.

I magiari erano stati alleati dei cazari, e con tutta probabilità anche buoni vassalli, fin dalla nascita dell'impero di questi ultimi. Scrive Macartney che “il problema delle loro origini e le prime migrazioni hanno lasciato a lungo perplessi gli studiosi”; altrove lo stesso autore li definisce come “uno degli enigmi più oscuri della storia.”84 

Circa le loro origini, si può essere certi solamente del fatto che i magiari erano imparentati con i finlandesi e che la loro lingua appartiene alle cosiddette lingue ugro–finniche. Pertanto, non avendo in origine alcun legame con gli slavi e i turchi delle steppe, in mezzo ai quali si trovarono a vivere, i magiari costituivano una curiosità etnica, e tali sono rimasti fino ai nostri giorni. L'Ungheria moderna, a differenza di altre piccole nazioni, non ha legami linguistici con i suoi vicini; i magiari, cioè, sono rimasti una enclave etnica in Europa, con i lontani finlandesi come unici cugini.

Nel corso dei primi secoli dell'era cristiana, in una data che rimane sconosciuta, questa tribù nomade venne cacciata dalla propria regione originaria, negli Urali, ed emigrò verso sud attraverso le steppe, stabilendosi definitivamente nella regione che si trova tra i fiumi Don e Kuban. Divenne, così, vicina dei cazari, prima ancora che questi egemonizzassero la zona. Per un certo tempo i magiari fecero parte di una federazione di popoli seminomadi, gli onoguri; si ritiene che l'appellativo “ungherese” sia la versione slava di quel termine,85 mentre “magiaro” è il nome col quale essi stessi si definivano da tempo immemorabile.

Come abbiamo già detto, fra la metà del settimo e la fine del nono secolo i magiari furono sudditi dell'impero cazaro. E' degno di nota il fatto che per tutto questo periodo non siano rimaste testimonianze di un solo conflitto armato tra cazari e magiari, mentre nel contempo sia gli uni che gli altri furono coinvolti in guerre con altre tribù più o meno vicine: i bulgari del Volga, i bulgari del Danubio, i ghuz, i peceneghi etc., senza contare gli arabi e i rus. Parafrasando la Cronaca russa e fonti arabe, Toynbee scrive che per tutto questo tempo i magiari “riscossero tributi” per conto dei cazari presso i popoli slavi e finlandesi delle Terre Nere che si estendevano a nord dei propri territori, e nelle zone forestali ancor più a settentrione. La prova che in questo periodo già veniva usato l'appellativo “magiaro” si trova nella sua sopravvivenza in un buon numero di nomi di località di questa regione settentrionale della Russia. Tali toponimi indicano con ogni probabilità i luoghi nei quali si trovavano guarnigioni o avamposti magiari. Dunque i magiari sottomettevano i propri vicini slavi, e Toynbee giunge alla conclusione che per riscuotere i tributi i cazari “usavano i magiari come agenti, anche se indubbiamente questi ultimi, nell'esercitare il ruolo di esattori, ne traevano essi stessi lauti guadagni”86.

Con l'arrivo dei rus questa vantaggiosa situazione subì un mutamento radicale.
Attorno all'epoca della costruzione di Sarkel si ebbe un cospicuo movimento migratorio dei magiari, i quali attraversarono il Don per portarsi sulla riva occidentale di quel fiume. Nel periodo successivo all'830 il grosso della nazione si stanziò ancora oltre, nella regione tra il Don e il Dnepr, che più avanti prenderà il nome di Lebedia. Il motivo di questo spostamento è stato oggetto di lunghi dibattiti tra gli storici. La spiegazione fornita da  Toynbee è la più recente, e sembra anche la più plausibile:
Possiamo... desumere che i magiari occupassero le steppe situate a ovest del fiume Don con il permesso dei loro dominatori cazari... possiamo asserire che i cazari non solo avevano permesso ai magiari di stabilirsi a ovest del Don, ma di fatto li avevano essi stessi impiantati in tale regione per usarli nel proprio interesse... In questa nuova sistemazione, i magiari potevano aiutare i cazari ad arrestare l'avanzata dei rhos verso sud e sud-est. L'insediamento dei magiari a ovest del Don doveva far parte di un piano più ampio, che comprendeva anche la costruzione della fortezza di Sarkel sulla riva orientale del Don.87
Questa nuova sistemazione diede buoni risultati per circa mezzo secolo. Durante questo periodo le relazioni tra magiari e cazari si fecero ancora più strette, culminando in due eventi che lasciarono tracce durevoli sulla nazione ungherese. Primo, i cazari diedero ai magiari un re, il quale fondò la prima dinastia magiara; secondo, parecchie tribù cazare si unirono ai magiari e ne trasformarono profondamente il carattere etnico.

Il primo episodio è descritto da Costantino nel suo De Administrando Imperio (950 circa), e trova conferma nel fatto che gli stessi nomi da lui menzionati compaiano, del tutto indipendentemente, nella prima Cronaca ungherese (XI secolo). Costantino narra che inizialmente le tribù magiare non avevano un sovrano supremo, ma solo capitribù; il più importante tra questi si chiamava Lebedias:
E i magiari consistevano di sette orde, ma a quel tempo non avevano un sovrano, né indigeno né straniero... E il kagan, sovrano della Cazaria, in ragione del loro valore e del loro appoggio militare, concesse in moglie al loro capo più importante, l'uomo chiamato Lebedias, una nobile donna cazara, che avrebbe dovuto dargli dei figli; ma accadde che Lebedias non ebbe figli da questa donna cazara.88
Ecco un'altra alleanza dinastica mancata. Ma il kagan era fermamente determinato a consolidare i legami che univano Lebedias e le sue tribù al regno cazaro:
Poco tempo dopo il kagan, il sovrano della Cazaria, chiese ai magiari... di inviargli il loro capo più importante. Così Lebedias giunse di fronte al kagan della Cazaria e gli chiese perché lo avesse fatto chiamare. E il kagan ripose: “Ti abbiamo fatto chiamare per questa ragione: poiché tu sei di buona famiglia e saggio e coraggioso e il primo dei magiari, noi possiamo promuoverti a sovrano della tua stirpe, e tu puoi sottometterti alle nostre leggi e ai nostri ordinamenti.89
Ma Lebedias doveva essere un uomo molto fiero, e declinò con adeguate espressioni di gratitudine l'offerta di divenire un re fantoccio, proponendo che tale onore venisse concesso a un altro capo, di nome Almus, o al figlio di quest'ultimo, Arpad. Allora il kagan, “compiaciuto di queste parole”, rimandò Lebedias con un'adeguata scorta dal suo popolo, che scelse poi Arpad come re. La cerimonia dell'incoronazione di Arpad ebbe luogo “secondo gli usi e i costumi dei cazari, con il sollevamento del nuovo re sugli scudi”.

Arpad in effetti guidò il proprio popolo alla conquista dell'Ungheria, la sua dinastia regnò fino al 1301, e il suo nome è uno dei primi a essere appresi dagli scolari ungheresi.

Il secondo episodio sembra avere influito ancora più profondamente sul carattere nazionale ungherese. In una data non precisata, racconta Costantino, ci fu una ribellione di una parte dei cazari contro i loro governanti. Gli insorti comprendevano tre tribù, “che erano chiamate kavari, e appartenevano alla stessa razza dei cazari. Il governo ebbe la meglio: una parte dei ribelli fu massacrata e un'altra fuggì dal paese, insediandosi presso i magiari, coi quali strinse amicizia. I kavari insegnarono ai magiari la lingua dei cazari, e da quel giorno i due gruppi parlano lo stesso idioma, ma i kavari parlano anche la lingua dei magiari”.

Apprendiamo dunque con sorpresa che per lo meno fino alla metà del decimo secolo in Ungheria si parlavano sia la lingua magiara che quella cazara. Toynbee osserva che gli ungheresi, sebbene da tempo abbiano cessato di essere bilingui, lo erano quando nacque la loro entità statale, come testimoniano un paio di centinaia di termini provenienti dal vecchio dialetto ciuvascio, derivato dal turco, parlato dai cazari.

Anche i magiari, come i rus, adottarono una variante della doppia sovranità cazara.
Dice Mahmud Gardezi, storico persiano dell'XI secolo: “Il loro capo va a cavallo con ventimila cavalieri; essi lo chiamano Kanda e questo è il titolo del loro re più importante, ma il titolo di colui che realmente li governa è Jula. E i magiari obbediscono a qualunque ordine impartito dal loro Jula.”90 Ci sono vari motivi di supporre che i primi Jula d'Ungheria fossero kavari.

Ci sono anche alcuni elementi che indicano come tra le tribù dissidenti kavare, che de facto assunsero la leadership delle tribù magiare, ci fossero degli ebrei. Sembrerebbe persino possibile – come suggeriscono Artamonov e Bartha – che la rivolta dei kavari fosse in qualche modo connessa, oppure fosse una reazione, alla riforma religiosa avviata dal re Obadiah. La legge rabbinica, le rigide prescrizioni alimentari, la casistica talmudica dovettero urtare parecchio questi guerrieri delle steppe dall'armatura lucente, probabilmente più propensi ad una fede simile a quella degli antichi ebrei del deserto.

La stretta collaborazione tra cazari e magiari cessò quando questi ultimi, nell'896, diedero l'addio alle steppe eurasiatiche, attraversarono la catena montuosa dei Carpazi e conquistarono il territorio che sarebbe diventato il loro habitat definitivo. Le circostanze di questa migrazione sono ancora una volta controverse, ma si possono intuire a grandi linee, e hanno a che fare con un'altra tribù nomade turca, quella dei peceneghi, che vivevano tra il Volga e i fiumi che scendono dagli Urali e pagavano il tributo ai cazari.

Verso la fine del nono secolo i peceneghi vennero cacciati dal territorio che abitavano ad opera dei loro vicini orientali. Questi ultimi altri non erano se non quei ghuz che Ibn Fadlan così poco amava – una delle innumerevoli tribù turche che periodicamente si staccavano dalle proprie basi nell'Asia Centrale per dirigersi verso occidente. I peceneghi, cacciati dalle loro terre, tentarono di stabilirsi nella Cazaria, ma i cazari li respinsero. I peceneghi continuarono allora la loro migrazione verso occidente, attraversarono il Don e invasero il territorio dei magiari. A loro volta, i magiari furono costretti a ritirarsi verso ovest, nella regione compresa tra i fiumi Dnepr e Seret, alla quale diedero il nome di Etel-Koez, “terra tra i fiumi”. L'insediamento magiaro in questa terra sembrerebbe risalire all'889; ma nell'896 i peceneghi tornarono all'attacco con l'aiuto dei bulgari del Danubio, e perciò i magiari si ritirarono in quella che è attualmente l'Ungheria.

Sembra che i magiari si siano dati alle razzie soltanto dalla seconda metà del nono secolo – all'incirca all'epoca in cui ricevettero dai cazari quella particolare “trasfusione di sangue” rappresentata dalle tribù dei kavari. Questi ultimi, che erano “più efficienti in guerra e più valorosi”, divennero l'elemento trainante e ispirarono nei loro ospiti lo spirito d'avventura, che li avrebbe ben presto trasformati nel flagello d'Europa, come erano stati in passato gli unni. I kavari insegnarono ai magiari “quelle tattiche caratteristiche e assai singolari che erano in uso da tempo immemorabile presso tutti i popoli turchi... e che non usavano altri... la cavalleria leggera che si serviva del vecchio trucco della falsa fuga, del lancio di frecce durante la ritirata, delle cariche improvvise accompagnate dal terribile ululato dei lupi.”91

Questi metodi si dimostrarono micidiali durante il nono e il decimo secolo, quando i predoni ungheresi invasero la Germania, i Balcani, l'Italia e persino la Francia. Gli stessi metodi però non impressionarono affatto i peceneghi, che già li usavano e sapevano ululare in maniera altrettanto raggelante.

Macartney precisa la relazione tra i magiari e i kavari all'epoca dell'occupazione di quello che sarebbe diventato lo stato ungherese:
La maggior parte della nazione magiara, i veri ugro-finnici, agricoltori, relativamente (anche se non molto) pacifici e sedentari, si stabilirono nel territorio ondulato... a ovest del Danubio. La piana dell'Alfold venne occupata dalla razza nomade dei kavari, autentici turchi, pastori, cavalieri e combattenti, forza motrice e braccio armato della nazione.
Questa era la stirpe che ancora ai tempi di Costantino occupava il posto d'onore di “prima fra le orde magiare”. Fu – ritengo – soprattutto questa razza di kavari quella che dalla steppa assalì e depredò gli slavi e i russi, quella che condusse la campagna contro i bulgari nell'895, e che in seguito divenne in larga misura e per più di mezzo secolo il terrore di mezza Europa.92
Nondimeno, gli ungheresi riuscirono a conservare la loro identità etnica: “Il peso di settant'anni di guerre incessanti e spietate ricadde sui kavari, i cui ranghi dovettero uscirne ridotti in modo straordinario. Nello stesso tempo i veri magiari, vivendo relativamente in pace, aumentarono di numero”.93

Possiamo ora riprendere la storia dell'ascesa al potere dei rus dal punto in cui l'avevamo lasciata, e cioè dall'annessione incruenta di Kiev operata dagli uomini di Rurik intorno all'anno 862. L'evento si colloca approssimativamente nella stessa data in cui i magiari vennero spinti verso occidente dai peceneghi, lasciando così i cazari privi di protezione sul fianco occidentale. Ciò può spiegare perché i rus riuscissero ad assumere il controllo di Kiev con tanta facilità.

Ma l'indebolimento della forza militare cazara espose agli attacchi dei rus anche i bizantini. Poco dopo essersi stabiliti a Kiev, i rus con le loro navi scesero lungo il Dnepr, attraversarono il mar Nero e attaccarono Costantinopoli. Bury ha descritto l'avvenimento in maniera molto vivida:
Nel mese di giugno dell'anno 860 l'imperatore,94 con tutte le forze disponibili, era in marcia contro i saraceni. Probabilmente era già lontano quando ricevette le sorprendenti notizie che lo richiamarono in tutta fretta a Costantinopoli. Un'armata russa aveva attraversato l'Eusino95 con duecento imbarcazioni, era entrata nel Bosforo, aveva saccheggiato i monasteri e i sobborghi posti sulle rive e devastato le Isole dei Principi.
Gli abitanti della città furono completamente sconvolti per l'improvviso pericolo e per la propria impotenza. Le truppe che erano solitamente di stanza nei dintorni della città si trovavano lontano con l'imperatore... e la flotta era assente. Dopo aver messo a ferro e fuoco i sobborghi, i barbari si prepararono ad attaccare la città. Di fronte a questa crisi... il dotto patriarca, Fozio, si mostrò all'altezza della situazione, assumendosi l'impegno di risollevare il morale dei suoi concittadini... Il prezioso abbigliamento della Vergine Madre venne portato in processione attorno alle mura della città, e fu creduto che il manto venisse immerso nelle acque del mare allo scopo di sollevare una tempesta di vento. La tempesta non venne, ma poco dopo i russi cominciarono a ritirarsi, e con ogni probabilità quasi tutti i cittadini esultanti attribuirono la propria salvezza all'intervento diretto della regina del cielo.96
Il “dotto patriarca” Fozio altri non era che la “faccia di cazaro” che aveva mandato San Cirillo a fare proseliti. In realtà la ritirata dei rus fu dovuta al precipitoso ritorno dell'esercito e della flotta bizantini, ma la “faccia di cazaro” aveva tenuto alto il morale della plebe in quei giorni angoscianti.

Toynbee scrive che nell'860 i russi “probabilmente giunsero più vicini alla presa di Costantinopoli che mai dopo di allora”; e condivide anche l'opinione espressa da parecchi storici russi, secondo la quale l'attacco proveniente da est fu coordinato con l'attacco simultaneo sferrato da ovest da un'altra flotta vichinga, che aveva raggiunto Costantinopoli attraverso il Mediterraneo e i Dardanelli.

Tutto ciò permette di valutare la statura dell'avversario col quale i cazari erano chiamati a misurarsi. La diplomazia bizantina non impiegò molto tempo a rendersene conto e a giocare il doppio gioco che la situazione pareva richiedere, alternando la guerra (quando non poteva essere evitata) con la pace, nella pia speranza che i russi sarebbero stati infine convertiti al cristianesimo. Per quanto concerne i cazari, essi nell'immediato costituirono una importante risorsa, destinata però ad essere liquidata alla prima occasione propizia.
 
Per i successivi duecento anni, le relazioni tra russi e bizantini oscillarono alternativamente tra il conflitto armato e i trattati di amicizia. Qualche anno dopo il citato assedio di Costantinopoli, il patriarca Fozio narra che i rus inviarono ambasciatori a Costantinopoli, i quali “implorarono dall'imperatore il battesimo cristiano”. Ed ecco il commento di Bury:  
“Non siamo in grado di dire quali e quanti fossero gli insediamenti russi rappresentati da questa ambasceria, ma il suo scopo dovette essere quello di fare ammenda per la recente incursione e forse di ottenere la liberazione di prigionieri. E' sicuro che taluni dei russi accettarono di abbracciare il cristianesimo... ma il seme non cadde in un suolo molto fertile. Per oltre cento anni non si parlò più di cristianesimo dei russi, tuttavia il trattato che fu concluso tra l'860 e l'866 d.C. ebbe probabilmente altri effetti.”97

Tra questi effetti vi fu il reclutamento di marinai scandinavi nella flotta bizantina: nel 902 il loro numero raggiungeva le settecento unità. Un'altra conseguenza fu la costituzione della famosa “Guardia varangia”, un corpo scelto di rus e di altri mercenari nordici, inclusi pure degli inglesi. Nei trattati del 945 e del 971 i governanti russi del principato di Kiev si impegnarono a fornire all'imperatore di Bisanzio truppe su richiesta.98

Ai tempi di Costantino Porfirogenito, cioè a metà del decimo secolo, era ormai normale vedere flottiglie russe sul Bosforo, che non venivano più per assediare Costantinopoli ma per vendere le loro merci. Gli scambi erano regolati con estrema precisione: secondo la Cronaca russa, nei trattati del 907 e 911 si era concordato che i visitatori rus potessero entrare a Costantinopoli attraverso una sola delle porte della città, e in numero di non più di cinquanta alla volta, scorati da funzionari.

Né vennero trascurati gli sforzi di proselitismo religioso come mezzo estremo per giungere a una coesistenza pacifica con i sempre più potenti russi. Un fatto importante fu ad esempio il battesimo della principessa Olga di Kiev, avvenuto nel 957 in occasione della sua visita di stato a Costantinopoli.

Questa Olga o Helga doveva essere una terribile amazzone scandinava. Era la vedova del principe Igor, che si suppone fosse il figlio di Rurik e che la Cronaca russa descrive come un monarca, avido, stolto e sadico. Nel 941 egli aveva attaccato i bizantini con una grande flotta e “tra i prigionieri che aveva catturato, alcuni vennero straziati, altri usati come bersaglio di tiro, altri ancora afferrati e, con le mani legati dietro la schiena, ebbero la testa trapassata da chiodi metallici. Molte sacre chiese vennero date alle fiamme...”99 Alla fine gli invasori guidati da Igor furono sconfitti dalla flotta bizantina mediante l'utilizzo del fuoco greco,100 lanciato attraverso tubi montati sulla prua delle navi.

Quando Igor nel 945 fu ucciso dai derevliani, una popolazione slava cui egli aveva imposto un tributo esorbitante, la vedova Olga divenne reggente di Kiev. Ella diede inizio al proprio regno prendendosi una feroce vendetta sui derevliani, ma all'indomani del suo battesimo in quel di Costantinopoli la sua sete di sangue cessò immediatamente. Da quel giorno in poi, afferma la Cronaca russa, divenne la “precorritrice della Russia cristiana, come l'alba precede il sole, come l'aurora precede il giorno.”101 A tempo debito venne canonizzata come la prima santa russa della chiesa ortodossa.

Nonostante il grande evento del battesimo di Olga, il rapporto tra la chiesa bizantina e i russi doveva attraversare ancora fasi tempestose. Il figlio di Olga, Svjatoslav, ritornò al paganesimo, rifiutò di ascoltare le suppliche della madre, “raccolse un cospicuo e valido esercito e, spostandosi con l'agilità di un leopardo, intraprese numerose campagne,”102 tra le quali una guerra contro i cazari e un'altra contro i bizantini. Solo nel 988, sotto il regno del figlio di Svjatoslav, Vladimiro, la dinastia regnante in Russia adottò definitivamente la fede della chiesa greco-ortodossa, più o meno nel periodo in cui gli ungheresi, i polacchi e gli scandinavi, ivi compresi i lontani islandesi, si convertivano alla chiesa latina di Roma.

Cominciavano così a prendere forma le grandi linee di un duraturo assetto religioso del mondo, all'interno del quale i cazari ebrei diventavano un anacronismo. Il crescente avvicinamento tra Costantinopoli e Kiev, nonostante i suoi alti e bassi, diminuì gradatamente l'importanza di Itil; e la presenza dei cazari sulle rotte commerciali rus-bizantine divenne un fastidio sempre maggiore sia per l'erario di Bisanzio che per i guerrieri mercanti russi.

Sintomatico del mutato atteggiamento dei bizantini nei confronti dei loro ex alleati fu
la consegna di Kherson ai russi. Quando nel 987 Vladimiro occupò questo importante porto della Crimea, a Costantinopoli neppure protestarono perché, come scrive Bury, "il sacrificio non era un presso troppo gravoso in cambio della pace e amicizia perpetua con lo stato russo, il quale stava allora diventando una grande potenza.”103


Note

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75. Alla voce “Khazars” dell'Encyclopaedia Britannica, edizione del 1973.
76. D.M. Dunlop, The History of the Jewish Khazars, 1954
77. Antal Bartha, La società magiara dei secoli IX e X, 1968
78. Arnold Toynbee, A Study of History, 1934 - 61
79. Si tratta della Cronaca degli anni passati, attribuita al monaco ucraino Nestor di Pecerska (XII secolo). E' il più antico documento in lingua russa e narra la storia del Rus di Kiev dal 850 al 1110.
80. Le Saghe degli Islandesi sono storie in prosa che narrano episodi avvenuti all'epoca della colonizzazione dell'Islanda. Tramandate per tradizione orale, furono trascritte tra il XII e il XV secolo.
81. Costantino Porfirogenito e la Cronaca degli anni passati concordano perfettamente sui nomi e l'ubicazione di queste tribù.
82. In Carlile Macartney, The Magyars in the Ninth Century, 1950
83. Colin McEvedy, The Penguin Atlas of History, 1961
84. Carlile Macartney, The Magyars in the Ninth Century, 1950
85. Arnold Toynbee, A Study of History, 1934 - 61
86. ibidem
87. ibidem
88. Costantino Porfirogenito, De administrando imperio, 950 ca.
89. ibidem
90. Citato in Carlile Macartney, The Magyars in the Ninth Century, 1950
91. Carlile Macartney, The Magyars in the Ninth Century, 1950
92. Carlile Macartney, The Magyars in the Ninth Century, 1950
93. ibidem
94. Si tratta di Michele III
95. Il mar Nero
96. John Bagnell Bury, A History of the Eastern Roman Empire, 1912
97. ibidem
98. Arnold Toynbee, A Study of History, 1934 - 61
99. Cronaca degli anni passati, 1116 ca.
100. Il 'fuoco greco' era una miscela incendiaria utilizzata dai bizantini, probabilmente di pece, salnitro, zolfo, petrolio, nafta e calce viva, contenuta in otri di pelle o terracotta che venivano lanciati sulle navi nemiche. La caratteristica di questa miscela era di ravvivarsi a contatto con l'acqua.
101. Cronaca degli anni passati, 1116 ca.
102. ibidem
103. John Bagnell Bury, A History of the Eastern Roman Empire, 1912

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