domenica 19 gennaio 2020

LA TREDICESIMA TRIBU' (Seconda Parte)




I CAZARI E L'ORIGINE DEGLI EBREI
DELL'EUROPA ORIENTALE
(rielaborazione del saggio di Arthur Koestler del 1976)


A nord del Caucaso nel settimo secolo d.C. si formò un impero la cui popolazione, di origine turca, aderì in massa all'ebraismo. Queste genti, che non avevano niente a che fare con la Palestina, in seguito migrarono verso l'Europa, ed è da esse che deriva la gran parte della comunità ebraica mondiale.









SECONDA PARTE








Veduta aerea degli scavi della fortezza cazara di Sarkel, lungo il Don
condotti negli anni '30 del Novecento
oggi l'area è sommersa da un lago artificiale



“In Cazaria pecore, miele
ed ebrei
si trovano in grande abbondanza”
Al-Muqaddasi, Descriptio Imperii Moslemici, X secolo



 Nota introduttiva
1. L'ORIGINE E L'APOGEO
2. LA CONVERSIONE
3. IL DECLINO
4. LA CADUTA
5. L'ESODO
6. LEGGENDE RENANE
7. L'ORIGINE DELL'YIDDISH




2. LA CONVERSIONE


"La religione degli ebrei - scrive Bury - aveva esercitato una profonda influenza sul credo dell'Islam ed era stata un fondamento del cristianesimo; essa aveva raccolto qualche raro proselito; ma la conversione dei cazari alla genuina religione di Jehova è un fatto unico nella storia."54

Quali furono i motivi che portarono a questo fatto unico? Non è facile mettersi nella pelle di un principe cazaro - coperta com'era di una veste di maglia metallica. Ma se ragioniamo in termini di politica di potenza, che a prescindere dalle epoche obbedisce essenzialmente sempre alle stesse regole, possiamo trovare una spiegazione discretamente plausibile.

All'inizio dell'ottavo secolo il mondo era polarizzato attorno alle due superpotenze che rappresentavano il cristianesimo e l'Islam. Le loro dottrine ideologiche si saldavano alle rispettive politiche di potenza, perseguite con i metodi classici della propaganda, della sovversione e della conquista militare. L'impero cazaro rappresentava una terza forza, che aveva dimostrato di essere pari a ciascuna delle altre due, sia come avversario che come alleato. Ma l'impero cazaro poteva continuare a mantenere la sua indipendenza solo a patto che non accettasse né il cristianesimo né l'Islam, poiché adottare una delle due religioni avrebbe automaticamente significato la sua subordinazione all'autorità dell'imperatore romano o del califfo di Baghdad.

Non erano mancati i tentativi, da entrambe le parti di convertire i cazari al cristianesimo o all'Islam, ma i loro esiti non erano andati al di là di scambi di cortesie diplomatiche, di matrimoni tra membri delle varie dinastie e di poco stabili alleanze militari, basate su reciproci interessi. Contando sulla propria forza militare il regno cazaro, con il suo retroterra di tribù vassalle, era ben determinato a salvaguardare la sua posizione di terza forza, alla testa di tutte le nazioni non allineate delle steppe.

Allo stesso tempo, gli stretti contatti avuti con Bisanzio e con il califfato avevano insegnato ai cazari che il loro primitivo sciamanesimo non solo era barbarico e antiquato in confronto con le grandi religioni monoteistiche, ma anche che non era in grado di conferire ai capi l'autorità legale e spirituale di cui godevano i sovrani delle due potenze mondiali teocratiche, il califfo e l'imperatore. Tuttavia, la conversione a una delle due religioni avrebbe significato la sottomissione, la fine dell'indipendenza, che era esattamente il contrario di ciò che con la conversione ci si proponeva di ottenere. E allora, che cosa avrebbe potuto essere più logico che l'adesione a una religione terza, non compromessa con nessuna delle altre due, e che pure costituiva la venerabile origine comune di entrambe?

L'evidente logica della decisione va attribuita ovviamente alla ingannevole chiarezza di chi guarda retrospettivamente ai fatti della storia. Nella realtà, la conversione al giudaismo richiese un colpo di genio. In ogni caso, sia le fonti arabe sia quelle ebraiche che riferiscono la storia della conversione suggeriscono tutte, a parte qualche differenza nei dettagli, il ragionamento delineato sopra. Citiamo ancora una volta Bury:
Non ci sono dubbi che nell'adozione del giudaismo il sovrano fu spinto da motivi politici.
Se avesse abbracciato la fede di Maometto sarebbe diventato dal punto di vista spirituale un subordinato dei Califfi, che tentavano di imporre la loro religione ai cazari, mentre nel campo cristiano il pericolo era quello di divenire un vassallo ecclesiastico dell'impero romano. Il giudaismo era una religione molto stimata, con libri sacri rispettati sia dai cristiani sia dai musulmani; tale religione poneva il re al di sopra dei barbari pagani e lo metteva al sicuro dalle interferenze del califfo e dell'imperatore. Ma il sovrano, insieme con la circoncisione, non adottò anche l'intolleranza del culto ebraico, e permise alla massa del suo popolo di conservare il suo paganesimo e di adorare i suoi idoli.55
Sebbene, nel convertirsi, la corte cazara avesse senza dubbio motivazioni di carattere politico, sarebbe assurdo immaginare che essa abbia d'improvviso, ciecamente, abbracciato una religione di cui ignorava il contenuto. In realtà, i cazari conoscevano bene gli ebrei e le loro osservanze religiose almeno da un secolo, attraverso il continuo flusso di rifugiati che scappavano dalle persecuzioni di Bisanzio e, in misura più modesta, che provenivano dai paesi dell'Asia minore conquistati dagli arabi. Sappiamo che la Cazaria era un paese relativamente civile tra i barbari del nord, non ancora compromesso con nessuna delle due religioni militanti; divenne perciò il rifugio naturale per le periodiche fughe degli ebrei sudditi di Bisanzio, minacciati dalle conversioni forzate e sottoposti ad altre pressioni. Le persecuzioni, in forme diverse, erano cominciate con Giustiniano I (527 -565) e assunsero particolari forme di crudeltà sotto Eraclio nel settimo secolo, Leone III nell'ottavo, Basilio e Leone IV nel nono, Romano nel decimo. Accadde che Leone III, il quale regnò nei due decenni che precedettero immediatamente la conversione cazara al giudaismo, “tentasse di porre fine all'anomalia d'un solo colpo, ordinando a tutti i suoi sudditi ebrei di farsi battezzare.”56 Sebbene l'adempimento dell'ordine fosse, a quanto pare, poco seguito, esso spinse tuttavia un numero considerevole di ebrei a fuggire da Bisanzio.

Così racconta Masudi:
In questa città (Itil) ci sono musulmani, cristiani, ebrei e pagani. Gli ebrei sono il re, il suo seguito e i cazari della sua stirpe. Il re dei cazari era già divenuto ebreo sotto il califfato di Harun al-Rashid, e a lui si unirono gli ebrei di tutte le terre dell'Islam e del paese dei greci (Bisanzio). Infatti il re dei greci all'epoca attuale, l'anno dell'Egira 332 (943 - 944), ha convertito con la forza gli ebrei del suo regno al cristianesimo... Così molti ebrei fuggirono dal paese dei greci verso la Cazaria...57
Le ultime due frasi citate si riferiscono ad avvenimenti verificatisi duecento anni dopo la conversione dei cazari, e mostrano come fossero ostinate le ondate di persecuzione che si susseguirono nei secoli. Ma anche gli ebrei erano dotati di ostinazione. Parecchi resistettero alle torture, e coloro che non ebbero la forza di resistere tornarono successivamente alla loro fede, "come i cani al loro vomito", secondo la graziosa versione di un cronista cristiano.58 Non meno pittoresca è la descrizione data da uno scrittore ebreo di uno dei metodi di conversione forzata usato ai tempi dell'imperatore Basilio nei confronti della comunità ebraica di Oria, nell'Italia meridionale:
Come li costrinsero? Chiunque rifiutasse di accettare le loro false credenze era messo nel frantoio delle olive, sotto una pressa di legno, e lì veniva schiacciato alla maniera delle olive.59
Un'altra fonte ebraica commenta come segue le persecuzioni sotto l'imperatore Romano (il "re greco" cui fa riferimento Masudi):  
"E poi arriverà un re che li perseguiterà non con la distruzione ma con la clemenza, cacciandoli dal paese."60
La sola clemenza che la storia elargì a coloro che, spontaneamente o per forza, presero la strada della fuga, fu l'esistenza della Cazaria, sia prima sia dopo la conversione.

Prima era un porto di rifugio, poi divenne una specie di focolare nazionale. I rifugiati erano portatori di una cultura superiore, e contribuirono senza dubbio a creare quel clima cosmopolita e tollerante che impressionò tanto i cronisti arabi citati prima. La loro influenza - e le senza dubbio anche il loro zelo nel fare proseliti - si fece sentire in primo luogo presso la corte e presso i capi. Nei loro sforzi missionari è probabile che essi mescolassero argomenti di carattere teologico e profezie messianiche con una accorta esposizione dei vantaggi politici che sarebbero derivati ai cazari dall'adozione di una religione "neutrale".

Gli esuli portarono con sé anche le arti e i mestieri di Bisanzio, metodi più progrediti per l'agricoltura e il commercio e l'alfabeto ebraico quadrato. Non sappiamo che tipo di scrittura i cazari usassero prima, ma dal Fihrist di Ibn Nadim, una specie di bibliografia universale scritta intorno all'anno 987, risulta che ai suoi tempi i cazari usavano l'alfabeto ebraico. Questo alfabeto serviva al duplice scopo di fornire un idioma per i discorsi dotti (paragonabile all'uso del latino medievale in Occidente), e di fungere da alfabeto scritto per i vari dialetti parlati nella Cazaria (come avveniva nell'Europa occidentale, dove l'alfabeto latino era usato per scrivere i vari vernacoli). Dalla Cazaria la scrittura ebraica sembra andasse poi a diffondendosi nei paesi vicini. E così Daniel Chwolson annota: "Furono trovate iscrizioni in una lingua non semitica (o forse in due diversi idiomi non semitici), composte in caratteri ebraici, su due pietre tombali provenienti da Fanagoria e da Partenit in Crimea; non è ancora stato possibile decifrare."61 (La Crimea, come abbiamo visto, fu dominata a varie riprese dai cazari; ma in Crimea esisteva anche una comunità ebraica, ivi stabilità da lungo tempo, e le iscrizioni potrebbero anche avere essere precedenti la conversione). Alcune lettere ebraiche ( shin e tsadei) vennero anche incorporate nell'alfabeto cirillico, e inoltre sono state trovate parecchie monete d'argento polacche, risalenti al dodicesimo e tredicesimo secolo, che portavano iscrizioni polacche in caratteri ebraici, insieme con monete recanti iscrizioni in alfabeto latino. Poliak commenta:
"Queste monete sono la prova definitiva della diffusione della scrittura ebraica dalla Cazaria ai paesi slavi confinanti. L'uso di queste monete non era in rapporto con alcuna questione religiosa. Esse venivano coniate perché parte della popolazione polacca era più abituata a questo tipo di scrittura che a quella romana, e non la considerava specificamente ebraica."62

Così la conversione, sebbene ispirata senza dubbio da motivi di opportunità, portò con sé sviluppi culturali ben difficilmente prevedibili da coloro che l'avevano promossa.

L'alfabeto ebraico fu solo l'inizio; tre secoli più tardi, il declino dello stato cazaro appare contrassegnato da ripetute esplosioni di un sionismo messianico, con pseudo-Messia come David Alroy63 (eroe di un romanzo di Disraeli) che guidano crociate di tipo donchisciottesco alla riconquista di Gerusalemme.

Dopo la sconfitta subita per mano degli arabi nel 737, l'adozione forzata dell'Islam da parte del kagan fu una mera formalità revocata poco dopo, che sembra non lasciasse la minima traccia nella popolazione. Per contro, la conversione volontaria al giudaismo era destinata a produrre effetti durevoli e profondi.

Le circostanze della conversione sono avvolte nella leggenda, ma i principali racconti arabi ed ebraici relativi a tale avvenimento hanno alcune caratteristiche fondamentali in comune.

La descrizione di al-Masudi del dominio ebraico in Cazaria, citata prima, finisce con il riferimento a una precedente opera, nella quale egli forniva un'esposizione di tali circostanze. Quest'opera di Masudi è andata perduta, ma esistono altre due narrazioni fondate su di essa. La prima è del geografo arabo Sheik Al-Dimashqi (scritta nel 1327), il quale ribadisce che, ai tempi di Harun al-Rashid, l'imperatore di Bisanzio costrinse gli ebrei a emigrare; questi emigranti giunsero al paese dei cazari, dove trovarono "un popolo intelligente ma senza istruzione, al quale essi offrirono la loro religione. Gli indigeni la trovarono migliore della propria e la accettarono."64

Il secondo racconto, assai più ricco di particolari, si trova nell'opera di al-Bakri, Il libro dei reami e delle strade (XI secolo):
La ragione della conversione al giudaismo del re dei cazari, che prima era pagano, è la seguente. Egli aveva adottato il cristianesimo. Poi ne riconobbe la falsità e discusse la questione, che lo turbava parecchio, con uno dei suoi funzionari... Così egli mandò a chiamare un vescovo tra i cristiani. Presso il re era un ebreo, abile nell'argomentare, che lo impegnò in una discussione.... Ma il vescovo non fu abbastanza abile a produrre delle prove. Allora il re mandò a chiamare un musulmano, e gli venne mandato un uomo dotto, abile e preparato alla disputa. Ma l'ebreo riuscì a conquistare il re alla sua fede, cosicché egli abbracciò il giudaismo.65
Passiamo ora dalla principale fonte araba sulla conversione (Masudi e i suoi compilatori) alla principale fonte ebraica. Si tratta della cosiddetta Corrispondenza cazara: uno scambio di lettere in ebraico tra Hasdai Ibn Shaprut, il primo ministro ebreo del califfo di Cordova, e Giuseppe, re dei cazari - o piuttosto tra i rispettivi scribi. L'autenticità del carteggio è stata oggetto di controversia, ma viene oggi generalmente accettata, con qualche riserva per le invenzioni dei copisti più recenti.

Lo scambio di lettere sembra essere avvenuto dopo il 954 e prima del 961, che era pressappoco l'epoca nella quale scriveva Masudi. Per valutarne tutto il significato occorre dire qualcosa sulla personalità di Hasdai Ibn Shaprut, che è forse il personaggio più brillante della "epoca d'oro" degli ebrei in Spagna.

Nel 929 Abd-el-Rahman III, membro della dinastia omayyade, riuscì a unificare tutti i possedimenti mori nella parte meridionale e centrale della penisola iberica sotto il suo governo, e fondò il califfato occidentale. La sua capitale, Cordova, divenne la gloria della Spagna araba, è un centro focale della cultura europea, con una biblioteca di 400.000 volumi classificati. Hasdai, nato nel 910 a Cordova da una famiglia dell'aristocrazia ebraica, attirò l'attenzione del Califfo in un primo tempo come medico, con alcune notevoli guarigioni al suo attivo. Abd-el-Rahman lo nominò medico di corte, e si fidava a tal punto del suo giudizio che Hasdai venne chiamato dapprima a mettere in ordine le finanze dello stato e poi svolgere il ruolo di ministro degli esteri e di negoziatore diplomatico nei complessi rapporti del nuovo califfato con Bisanzio, con l'imperatore di Germania Ottone, con la Castiglia, la Navarra, l'Aragona e con gli altri regni cristiani della Spagna settentrionale. Hasdai fu un vero uomo universale secoli prima del Rinascimento; un uomo che, in mezzo agli affari di stato, trovava il tempo di tradurre in arabo libri di medicina, di corrispondere con i sapienti rabbini di Baghdad e di fungere da mecenate per i poeti e i letterati ebrei.

Era un ebreo illuminato e contemporaneamente devoto, che si serviva dei suoi contatti diplomatici per raccogliere informazioni sulle comunità ebraiche disperse nelle varie parti del mondo e per intervenire in loro favore ogni volta che gli era possibile. Ebbe a preoccuparsi in particolare delle persecuzioni degli ebrei nell'impero bizantino ai tempi di Romano. Fortunatamente aveva una notevole influenza presso la corte bizantina, la quale era assai interessata a garantirsi la neutralità benevola di Cordova nel corso delle campagne contro i musulmani dell'est. Hasdai, che conduceva i negoziati, sfruttò questa opportunità per intercedere in favore degli ebrei bizantini, e con apparente successo.

Secondo il suo stesso racconto, Hasdai sentì parlare per la prima volta dell'esistenza di un regno ebraico indipendente da alcuni mercanti provenienti da Khurasan, in Persia; ma aveva dei dubbi sulla veridicità del loro racconto. In seguito si informò presso i membri di una missione diplomatica bizantina a Cordova, e costoro confermarono il racconto dei mercanti con l'aggiunta di un considerevole numero di dettagli relativi al regno cazaro, ivi compreso il nome (Giuseppe) del sovrano in carica.

Sulla base di ciò Hasdai decise di inviare dei corrieri con una lettera al re Giuseppe.

La lettera (che discuteremo nei particolari più avanti) conteneva una serie di domande sullo stato cazaro, il suo popolo, il sistema di governo, l'esercito e così via; tra l'altro domandava a quale delle dodici tribù Giuseppe appartenesse. Ciò sembra indicare che Hasdai pensasse che gli ebrei cazari provenivano dalla Palestina – come era il caso degli ebrei di Spagna – e forse che anche costituissero una delle tribù perdute. Giuseppe, non avendo ascendenze ebraiche, ovviamente non apparteneva ad alcuna tribù; nella sua risposta a Hasdai fornisce, come vedremo, una genealogia di tutt'altro genere, ma la sua principale preoccupazione è quella di fornire una versione particolareggiata, ancorché leggendaria, della conversione avvenuta due secoli prima e delle circostanze che vi avevano condotto.

Il racconto di Giuseppe comincia con l'elogio del suo antenato, il re Bulan, grande conquistatore e uomo saggio che "cacciò dalle sue terre gli stregoni e gli idolatri". Successivamente un angelo apparve in sogno al re Bulan, esortandolo a venerare il solo vero Dio, e promettendogli che in cambio Egli avrebbe "benedetto e moltiplicato la discendenza di Bulan, e consegnato i suoi nemici nelle sue mani, e avrebbe fatto durare il suo regno sino alla fine del mondo". Tutto ciò è ispirato, evidentemente, all'idea dell'alleanza contenuta nella Genesi; e significa implicitamente che anche i cazari rivendicavano la condizione di popolo eletto, che aveva stretto una propria alleanza col Signore, pur non discendendo dalla schiatta di Abramo. Però a questo punto la storia di Giuseppe prende una piega inaspettata. Il re Bulan è ben intenzionato ormai a servire l'Onnipotente, ma solleva una difficoltà:
Se io ho trovato grazia e misericordia ai tuoi occhi, ti supplico di apparire anche al Grande Principe, affinché egli mi sostenga. L'eterno udì la preghiera di Bulan, comparve in sogno a questo principe, e quando costui si alzò al mattino, andò dal re e gli fece sapere....
Né nella Genesi, né nei racconti arabi sulla conversione si parla mai di questo grande principe, di cui bisogna ottenere il consenso. Si tratta senza dubbio di un riferimento alla doppia sovranità dei cazari. Il "Grande Principe" è, con tutta probabilità, il bek; ma non sarebbe impossibile il contrario, cioè che quello chiamato re fosse il bek e il principe fosse il kagan. Inoltre, secondo alcune fonti arabe e armene, il condottiero dell'esercito cazaro che invase la Transcaucasia nel 731 (cioè pochi anni prima della data presunta della conversione) si chiamava "Bulkhan".

La lettera di Giuseppe continua raccontando in qual modo l'angelo apparisse ancora in sogno al re e gli comandasse di costruire un luogo di culto, nel quale il Signore potesse dimorare, poiché "il cielo e i cieli al di sopra del cielo non sono abbastanza grandi per contenermi". Il re Bulan risponde timidamente di non possedere l'oro e l'argento necessari per tale impresa, "sebbene sia mio dovere e mio desiderio compierla". L'angelo lo rassicura: tutto ciò che Bulan deve fare è condurre il suo esercito a Dariela e ad Ardabil in Armenia, dove un tesoro d'argento e uno d'oro lo stavano aspettando. Ciò concorda con la spedizione di Bulan o di Bulkhan che precedette la conversione, e concorda anche con fonti arabe secondo le quali i cazari controllavano a un tempo miniere d'argento e d'oro nel Caucaso. Bulan fa ciò che l'angelo gli aveva detto, ritorna vittorioso con il bottino ed edifica "un Santo Tabernacolo corredato da un sacro cofano, un candelabro, un altare e altri santi utensili che sono stati conservati fino ad oggi e sono ancora in mio possesso".

La lettera di Giuseppe, scritta nella seconda metà del decimo secolo, più di duecento anni dopo gli avvenimenti che si propone di descrivere, è evidentemente un misto di realtà e di leggenda. La descrizione dello scarno arredamento del luogo di culto è la povertà delle reliquie conservate contrastano notevolmente con ciò che egli dice in altra parte della lettera sull'attuale prosperità del suo paese. I giorni del suo antenato Bulan gli appaiono come una remota antichità, quando il povero ma virtuoso sovrano non aveva neppure il denaro per costruire il Santo Tabernacolo - che era, dopotutto, solo una tenda.

Fino a questo punto, tuttavia, la lettera di Giuseppe rappresenta appena il preludio al vero dramma della conversione, che ora egli si appresta a narrare. Evidentemente la rinuncia di Bulan all'idolatria in favore del "solo vero Dio" era soltanto il primo passo, che lasciava ancora aperta la scelta tra le tre religioni monoteistiche. Questo è, perlomeno, ciò che la lettera di Giuseppe sembra far intendere:
Dopo tali fatti d'armi, la fama del re Bulan si diffuse in tutti i paesi. Il re di Edom e il re degli ishmaelim66 sentirono la notizia e gli inviarono ambasciatori con preziosi regali, quattrini e uomini dotti per convertirlo alle loro fedi; ma il re era saggio e mandò a cercare un ebreo molto sapiente e intelligente e li mise tutti e tre insieme a discutere delle loro dottrine.
Siamo così in presenza ancora una volta di un “brains trust”, o tavola rotonda, esattamente come in Masudi, con la differenza che qui il musulmano non viene avvelenato prima del convegno. Ma l'argomento da trattare è pressappoco lo stesso. Dopo lunghe e futili discussioni, il re sospende la seduta per tre giorni, durante i quali i partecipanti vengono lasciati nelle rispettive tende a riprendere fiato; poi egli ricorre a uno stratagemma. Convoca i partecipanti separatamente. Chiede al cristiano quale delle altre due religioni sia più vicina alla verità e il cristiano risponde: “Quella degli ebrei”. Pone al musulmano la stessa domanda e ottiene la stessa risposta.

Ecco la storia della conversione. Quali altre informazioni si possono ancora trarre dalla famosa Corrispondenza cazara?

Cominciamo dalla lettera di Hasdai: essa si apre con un poema ebraico, alla maniera allora in uso del piyut, una forma poetica di tipo rapsodico che contiene allusioni nascoste o enigmi, e spesso degli acrostici.

Dopo il poema, i convenevoli e gli svolazzi diplomatici, la lettera fornisce un vivace resoconto della prosperità della Spagna dei mori e della felice condizione degli ebrei sotto il califfo Abd-el-Rahman, "quale non si era mai conosciuta... E così le pecore abbandonate sono state prese in cura, le armi dei loro persecutori sono state paralizzate e il giogo che lo abitano lo chiamano al-Andalus".

Hasdai prosegue spiegando come abbia sentito parlare per la prima volta dell'esistenza del regno ebraico dai mercanti di Khurasan, e in seguito con più particolari dagli inviati bizantini, e riferisce il resoconto di questi ultimi:
Feci loro delle domande sull'argomento ed essi risposero che era vero, e che il nome del regno è al-Khazar. Tra Costantinopoli e questo paese ci sono quindici giorni di viaggio per mare ma, essi dissero, per via di terra ci sono molti altri popoli tra noi e loro. Il nome del re in carica é Giuseppe. Imbarcazioni provenienti da quel paese portano a Bisanzio pesci, pellicce e ogni genere di mercanzia. Essi sono nostri alleati e noi li onoriamo. Scambiamo ambasciatori e regali. Essi sono potenti e dispongono di una fortezza67 per difendere i loro avamposti e le loro truppe, che di tanto in tanto escono a compiere scorrerie.
Questi elementi di informazione concernenti il paese del re sono evidentemente presentati da Hasdai a Giuseppe con lo scopo di avere da lui una risposta ricca di particolari. Un'ottima mossa psicologica: Hasdai doveva sapere che criticare un'esposizione errata è più facile che redigere una esposizione originale.

Poi Hasdai racconta i suoi tentativi precedenti di entrare in contatto con Giuseppe.

Egli aveva in un primo tempo inviato un messaggero, un certo Isaac bar Nathan, con l'incarico di raggiungere la corte cazara. Ma Isaac andò solo fino a Costantinopoli, dove venne trattato con cortesia ma gli fu impedito di continuare il viaggio. Evidentemente non era nell'interesse di Costantino favorire un'alleanza tra la Cazaria e il califfato di Cordova col suo primo ministro ebreo. Così il messaggero di Hasdai ritornò in Spagna, senza aver compiuto la missione. Ma subito dopo si presentò un'altra occasione: l'arrivo a Cordova di un'ambasceria dall'Europa orientale. Ne facevano parte due ebrei, Mar Saul e Mar Joseph, che si offrirono di consegnare la lettera di Hasdai al re Giuseppe. Secondo quanto trapela dalla risposta di re Giuseppe ad Hasdai, essa venne in realtà consegnata da una terza persona, un certo Isaac ben Eliezer.

Dopo aver descritto nei particolari come fosse arrivato a scrivere la lettera e gli sforzi compiuti per farla recapitare, Hasdai prosegue ponendo una serie di domande dirette che riflettono la sua ansia di avere altre informazioni su ogni aspetto del paese cazaro, dalla geografia ai riti dell'osservanza del sabato. Il brano conclusivo della lettera di Hasdai presenta un tono assai diverso da quello che si trova nelle frasi di apertura:
Mi preme sapere la verità, se esiste realmente un posto su questa terra nel quale Israele perseguitato possa governarsi da sé, dove non sia sottomesso a nessuno. Se io sapessi che c'è n'è davvero uno, non esiterei a lasciare tutti gli onori, a rinunciare al mio alto ufficio, ad abbandonare la mia famiglia e a mettermi in viaggio per montagne e per pianure, per terra e per mare, finché non arrivassi a quel posto dove il mio Signore, il re, regna... E devo farvi ancora una richiesta: di essere informato se voi non siate a conoscenza... dell'Ultimo Miracolo68 che, errando da un paese all'altro, noi stiamo aspettando. Disonorati e umiliati nella nostra diaspora, dobbiamo ascoltare in silenzio coloro che dicono: "Ogni nazione ha la sua terra e solo voi non possedete neppure l'ombra di un paese su questa terra".
La risposta del re Giuseppe è meno raffinata e toccante della lettera di Hasdai.
Niente di strano, come nota Cassel: "Sapere e cultura non regnavano tra gli ebrei del Volga, ma lungo i fiumi della Spagna". Il momento più alto della risposta è la storia della conversione, già citata. Senza dubbio anche Giuseppe si servì di uno scriba per redigere la sua missiva, probabilmente uno studioso fuggito da Bisanzio. Tuttavia la risposta suona come una voce uscita dal Vecchio Testamento, con un'intonazione ben lontana dalle eleganti cadenze del moderno uomo di stato del decimo secolo.

Giuseppe inizia con una fanfara di saluti, poi riprende i principali punti della lettera di Hasdai, sottolineando con fierezza che il regno cazaro fa diventare bugiardi coloro che dicono che "lo scettro di Giuda è caduto per sempre dalle mani degli ebrei" e "che non c'è posto al mondo per un regno tutto vostro". Segue poi una nota alquanto oscura sul fatto che "già i nostri padri si sono scambiati amichevoli lettere che sono conservate nei nostri archivi e sono note ai nostri anziani".

Giuseppe va poi avanti fornendo una genealogia del suo popolo. Benché sia un acceso nazionalista ebraico, orgoglioso di bandire lo "scettro di Giuda", egli non può, e non pensa neppure di farlo, rivendicare un'origine semitica; pertanto fa risalire gli antenati dei cazari non a Sem ma al terzo figlio di Noè, Jafet; o, più precisamente, al nipote di Jafet, Togarma, progenitore di tutte le tribù turche. "Abbiamo trovato nei libri di famiglia dei nostri avi - afferma Giuseppe in tono sicuro - che Togarma ebbe dieci figli, e i nomi della loro progenie sono i seguenti: uiguri, dursu, avari, unni, basilii, tarniaki, cazari, zagora, bulgari, sabiri. Noi siamo i discendenti di Khazar, il settimo figlio...".

L'identità di alcune di queste tribù è abbastanza incerta, ma ciò non ha molta importanza; il tratto più rilevante di questo esercizio genealogico è il collegamento della Genesi con la tradizione tribale turca.

Dopo la genealogia, Giuseppe fa cenno ad alcune conquiste militari dei suoi antenati che si erano spinti fino al Danubio; segue poi estesamente la storia della conversione di Bulan. "Da quel giorno in poi - continua Giuseppe - il Signore gli diede la forza necessaria e lo aiutò; egli fece circoncidere sé e i suoi seguaci e mandò a cercare saggi ebrei che gli insegnassero la Legge e gli spiegassero i comandamenti". Seguono poi altre vanterie su vittorie militari, nazioni conquistate, etc., e poi un passo interessante:
Dopo questi avvenimenti divenne re uno dei suoi nipoti; il suo nome era Obadiah, un uomo coraggioso e venerato che riformò il governo, rafforzò la legge secondo la tradizione e l'uso, costruì sinagoghe e scuole, radunò un gran numero di saggi di Israele, ai quali offri magnifici doni d'oro e d'argento e fece loro interpretare i ventiquattro libri, la Mishna e il Talmud, e l'ordine nel quale devono essere dette le preghiere liturgiche.
Questo passo sta a indicare che, circa un paio di generazioni dopo Bulan, ebbe luogo una fioritura religiosa o una riforma, forse accompagnata da un colpo di stato, secondo l'ipotesi di Artamonov. Sembra in realtà che la giudaizzazione dei cazari sia avvenuta per tappe successive. Pare assai probabile che la conversione del re Bulan e dei suoi seguaci fu un passo intermedio, che essi abbracciarono cioè una forma primitiva o rudimentale di giudaismo, fondato solamente sulla Bibbia, senza tener conto del Talmud, di tutta la letteratura rabbinica e delle osservanze che ne derivano. In questo senso essi erano assai simili ai caraiti, una setta tradizionalista che ebbe origine nell'ottavo secolo in Persia e si diffuse tra gli ebrei di tutto il mondo - in particolare nella "piccola Cazaria", cioè la Crimea. Dunlop e alcuni altri autori hanno ipotizzato che nel periodo compreso tra Bulan e Obadiah (cioè all'incirca tra il 740 e l'800) nel paese vi fu una prevalenza del caraismo, e che il giudaismo rabbinico ortodosso fu introdotto solo nel corso della riforma religiosa di Obadiah. La questione non è priva di importanza poiché chiaramente il caraismo sopravvisse in Cazaria fino alla fine, ed esistevano ancora in tempi moderni villaggi di ebrei caraiti di lingua turca, evidentemente di origine cazara.

La giudaizzazione dei cazari fu dunque un processo graduale che, introdotto come espediente politico, penetrò lentamente negli strati profondi delle mentalità e alla fine produsse il messianismo del periodo del declino. La religione sopravvisse al crollo dello stato, e si trasferì negli insediamenti cazari–ebraici della Russia e della Polonia.

Dopo aver parlato delle riforme religiose promosse da Obadiah, Giuseppe fornisce l'elenco dei suoi successori:
Hiskia suo figlio, e suo figlio Manasseh, è Chanukah fratello di Obadiah, e Isaac suo figlio, Beniamin suo figlio, Aaron suo figlio, e io sono Giuseppe, figlio di Aaron il Benedetto, e noi siamo tutti figli di re, e a nessuno straniero è mai stato consentito di occupare il trono dei nostri padri.
Poi Giuseppe tenta di rispondere alle domande di Hasdai sulla dimensione e sulla topografia del suo paese. Però non sembra avere alla sua corte nessun geografo in grado di competere con i geografi arabi, e i suoi oscuri riferimenti ad altri paesi e ad altre nazioni non aggiungono molto a ciò che sappiamo da Ibn Hawkal, da Masudi e dalle altre fonti persiane e arabe.

Nella lettera di Giuseppe non ci sono riferimenti ad un harem reale: vi si parla solo di una regina e delle sue "damigelle ed eunuchi". Queste persone, si dice, vivono in uno dei tre quartieri di Itil, la capitale di Giuseppe:
"Nel secondo vivono israeliti, ismaeliti, cristiani e persone di altre nazionalità che parlano linguaggi diversi; il terzo, che è un'isola, è quello dove abito io stesso, con i principi, i vassalli e tutti i servi che mi appartengono... Viviamo in città per tutto l'inverno, ma nel mese di Nisan69 usciamo fuori e ognuno va a lavorare il proprio campo o giardino; ogni clan ha una sua proprietà ereditaria, nella quale si ritira nei momenti di giubilo e di gioia; nessuna voce di intrusi vi si insinua, nessun nemico è in vista. Il paese non ha molte piogge, ma vi sono per contro numerosi fiumi con una moltitudine di grossi pesci e parecchie sorgenti; in genere il terreno è fertile e ci sono campi e vigneti, giardini e frutteti, che vengono irrigati dai fiumi e danno ricchi frutti... e con l'aiuto di Dio vivo in pace".

Il passo successivo è dedicato alla data della venuta del Messia:
Teniamo lo sguardo fisso ai saggi di Gerusalemme e di Babilonia e, sebbene si viva lontano da Sion, noi abbiamo tuttavia sentito che i calcoli sono errati a causa della grande diffusione di peccati, e non sappiamo nulla, solo l'Eterno sa come tenere i conti.
Non abbiamo nulla a cui far riferimento se non le proteste di Daniele, e possa l'Eterno accelerare la nostra liberazione...
Il paragrafo conclusivo della lettera di Giuseppe è una risposta all'offerta che Hasdai
sembra fare entrare al servizio del re cazaro:
Tu hai espresso nella tua lettera il desiderio di vedere la mia faccia. Anch'io spero di contemplare il tuo grazioso volto e lo splendore della tua magnificenza, della tua saggezza e della tua grandezza... tu saresti per me un padre e io sarei per te un figlio; tutto il mio popolo bacerebbe le tue labbra; noi ci comporteremmo secondo i tuoi desideri e i tuoi saggi consigli.
C'è un passo nella lettera di Giuseppe che tratta degli affari politici correnti, ed è piuttosto oscuro:
Con l'aiuto dell'Onnipotente io controllo lo sbocco del fiume e non permetto ai rus di venire con le loro navi a invadere le terre degli arabi... Conduco una dura lotta contro di loro, perché se io li lasciassi passare essi devasterebbero le terre di Ismaele fino a Baghdad.
Giuseppe sembra qui porsi come il difensore del califfato di Baghdad contro le scorrerie dei normanni–rus (vedi capitolo 3). Potrebbe sembrare una piccola mancanza di tatto, data l'ostilità esistente tra il califfato omayyade di Cordova (che Hasdai serve) e i califfi abbasidi di Baghdad. D'altra parte le stravaganze della politica bizantina nei confronti dei cazari giustificano il fatto che Giuseppe voglia apparire il difensore dell'Islam, senza riguardi per i due califfati. Egli poteva almeno sperare che Hasdai, diplomatico consumato, capisse al volo l'allusione.

L'incontro tra i due corrispondenti – quand'anche fosse mai stato inteso come una cosa seria – non ebbe poi luogo. Né sono state conservate altre lettere, se pur vennero scambiate. Il contenuto delle informazioni che si ricavano dalla Corrispondenza cazara è modesto, a aggiunge ben poco a ciò che era noto da altre fonti. Il suo fascino sta nel panorama bizzarro e frammentario che offre, come se si trattasse di un proiettore vagabondo che faccia luce a tratti nella spessa nebbia che ricopre tutto quel periodo.

Tra le altre fonti ebraiche c'è il Documento di Cambridge (così chiamato perché conservato alla biblioteca dell'Università di Cambridge). Venne scoperto alla fine del secolo scorso, insieme ad altri preziosi documenti, nella Geniza70 del Cairo, da uno studioso di Cambridge, Solomon Schechter. Questo manoscritto, in pessime condizioni, contiene una lettera (o la copia di una lettera) di un centinaio di righe in ebraico; mancano l'inizio e la fine, cosicché non è possibile sapere chi la scrisse e a chi fosse indirizzata. In essa il re cazaro Giuseppe è citato come fosse un contemporaneo, e si fa riferimento a lui come al “mio signore”; la Cazaria è chiamata “la nostra terra”; la deduzione più plausibile perciò è che la lettera sia stata scritta da un ebreo cazaro della corte di re Giuseppe, quando questi era vivo; cioè che essa sia pressappoco contemporanea della Corrispondenza cazara. Alcuni autori hanno ipotizzato che la lettera fosse indirizzata a Hasdai bin Shaprut, e consegnata a Costantinopoli al suo messaggero, che la recò con sé a Cordova (da dove il documento ripartì per il Cairo quando gli ebrei furono cacciati dalla Spagna). In ogni caso, il contenuto indica che il documento fu redatto non oltre l'undicesimo secolo, e più probabilmente nel decimo, all'epoca di Giuseppe.

Il Documento di Cambridge contiene un altro racconto leggendario della conversione, ma il suo significato più rilevante è politico. Lo scrivente parla di un attacco alla Cazaria inferto dagli alani, che agivano istigati da Bisanzio, ai tempi del padre di Giuseppe, Aaron il Benedetto. Nessuna altra fonte, greca o araba, sembra citare questa campagna. C'è tuttavia un significativo passo nel De Administrando Imperio di Costantino Porfirogenito, scritto nel 947 – 50, che conferisce una certa attendibilità alle affermazioni dell'ignoto corrispondente:
Possono dare battaglia ai cazari i ghuz, essendo loro vicini; e così pure i re di Alania, poiché i nove climi della Cazaria sono vicini alle loro terre e gli alani, se vogliono, partendo dalle proprie regioni possono lanciarsi in scorrerie nella Cazaria, causando gravi danni e distruzioni.
Ora, secondo la lettera di Giuseppe, il re degli alani pagava un tributo ai cazari; ma che pagasse o non pagasse tale tributo realmente, i suoi sentimenti nei confronti del kagan erano con tutta probabilità gli stessi che animavano il re dei bulgari. Il passo del libro di Costantino, che rivela un tentativo di spingere gli alani alla guerra contro i cazari, ricorda ironicamente la missione di Ibn Fadlan, che aveva uno scopo analogo. Evidentemente, ai tempi di Giuseppe i giorni del riavvicinamento tra cazari e bizantini erano tramontati.

Un secolo circa dopo la Corrispondenza cazara e la data presunta del Documento di Cambridge, Jehuda Halevi scrisse il suo libro Kuzari (I cazari), un tempo molto celebre.
Halevi (1085 – 1141) è generalmente considerato il più grande poeta ebreo di Spagna.

Per la verità il libro venne scritto in arabo e tradotto più tardi in ebraico; il suo sottotitolo è “Il libro della dimostrazione e argomentazione in difesa della fede disprezzata”.

Halevi morì a Gerusalemme nel corso di un pellegrinaggio; il suo libro, scritto un anno prima del decesso, è un trattato filosofico in cui si espone l'opinione che il popolo ebraico sia il solo mediatore tra Dio e il resto dell'umanità. Alla fine dei secoli tutte le altre nazioni saranno convertite al giudaismo; e la conversione dei cazari appare come un simbolo o come il pegno di quell'evento finale.

Nonostante il titolo, l'opera dice ben poco sul paese dei cazari, che serve solo da sfondo per un ulteriore racconto leggendario della conversione – il re. L'angelo, il saggio ebreo, etc. - e per i dialoghi filosofici tra il re e gli interpreti delle tre religioni.

Tuttavia nel testo si trovano riferimenti a fatti che indicano che o Halevi avesse letto la corrispondenza tra Hasdai e Giuseppe, oppure fosse in possesso di altre fonti di informazione sul paese cazaro. Ci viene così spiegato che dopo l'apparizione dell'angelo il re dei cazari “rivelò il segreto del suo sogno al generale del suo esercito”, e il “generale” apparirà ancora a lungo più avanti, altro evidente riferimento alla doppia sovranità del kagan e del bek. Halevi cita anche le “storie” e “i libri dei cazari”, il che richiama l'affermazione di Giuseppe quando parla dei “nostri archivi” in cui vengono conservati i documenti di stato. Infine Halevi, per due volte nel corso del libro, indica la data della conversione: “quattrocento anni fa” e “nell'anno 4500” (secondo il calendario ebraico).
Questa data corrisponde all'anno 740 d.C., e sembra essere la più probabile.

Complessivamente, sono ben poche le notizie concrete che si possono trarre da questo libro, che pure godette di una enorme popolarità tra gli ebrei del Medioevo. Ma la mentalità medievale si interessava meno dei fatti e assai più delle favole; e gli ebrei si curavano più della data della venuta del Messia che di qualsiasi dato geografico. E i cronisti e i geografi arabi avevano un atteggiamento altrettanto disinvolto in fatto di distanze, di date e quando si trattava di distinguere tra i fatti e la fantasia.

Ciò vale anche per il rabbino Petachia di Ratisbona, celebre viaggiatore ebreo tedesco che visitò l'Europa orientale e l'Asia minore tra il 1170 e il 1185. Il suo diario di viaggio, Sibub Ha'olam71, venne scritto con ogni evidenza da un suo discepolo, sotto dettatura o sulla base di appunti. Il diario rivela quanto il buon rabbino fosse stupito dalle pratiche primitive degli ebrei cazari a nord della Crimea, che egli attribuì alla loro adesione all'eresia caraitica:
Alla vigilia del Sabato essi affettano tutto il pane di cui si ciberanno il Sabato. Lo mangiano al buio, e stanno seduti tutto il giorno nello stesso posto. Le loro preghiere consistono solo nei salmi.72
Il rabbino fu così irritato che, quando successivamente attraversò la terra dei cazari, non ne riportò altro se non che impiegò otto giorni e udì “il lamento delle donne e il latrato dei cani.”73

Petachia narra, tuttavia, che quando si trovava a Baghdad incontrò degli inviati del regno cazaro in cerca di studiosi ebrei indigenti, provenienti dalla Mesopotamia e persino dall'Egitto, “che insegnassero ai loro figli la Torah e il Talmud”.

Pochi viaggiatori ebrei intrapresero da occidente il pericoloso viaggio verso il Volga, ma essi ebbero a registrare incontri con ebrei cazari in tutti i principali centri del mondo civile. Il rabbino Petachia né incontrò a Baghdad; Beniamino di Tudela, un altro famoso viaggiatore del dodicesimo secolo, fece visita a notabili cazari a Costantinopoli e Alessandria; Ibraham ben Daud, contemporaneo di Jehuda Halevi, narra di aver visto a Toledo “alcuni dei loro discendenti, allievi dei saggi”. La tradizione vuole che costoro fossero principi cazari.

Peraltro si trova una strana ambivalenza nell'atteggiamento verso i cazari da parte dei capi dell'ortodossia ebraica dell'Oriente, che aveva il suo centro nell'Accademia talmudica di Baghdad. Il Gaon (in ebraico “eccellenza”) che stava a capo dell'Accademia era il leader spirituale degli insediamenti ebraici sparsi in tutto il Vicino e Medio Oriente, mentre l'Esilarca o “principe della schiavitù” rappresentava il potere secolare su tutte queste comunità più o meno autonome. Saadiah Gaon (882 – 942), il più famoso di queste eccellenze spirituali, lasciò una grande quantità di scritti, in cui fa ripetuti riferimenti ai cazari. Egli cita il caso di un ebreo della Mesopotamia che andò a stabilirsi in Cazaria, come se il fatto fosse una cosa normale; parla della corte cazara in maniera oscura; altrove spiega che, nell'espressione biblica “Hiram di Tiro”, Hiram non è un nome proprio ma un titolo regale, “come Califfo nel caso del sovrano arabo o Kagan per il re dei cazari."

La Cazaria era dunque molto presente nel quadro di riferimento dei capi della gerarchia ecclesiastica dell'ebraismo orientale; ma allo stesso tempo i cazari erano considerati con una certa diffidenza, sia per ragioni razziali che per il sospetto di concedere troppo all'eresia caraitica. Un autore ebreo dell'undicesimo secolo, Japhet ibn-Ali, seguace del caraismo, spiega il termine mamzer, “bastardo”, con l'esempio dei cazari che divennero ebrei senza appartenere alla stirpe originaria. Un suo contemporaneo, Jacob è ben-Reuben, riflette l'altro aspetto di questo atteggiamento ambivalente, parlando dei cazari come di “una nazione singolare, che non si piega sotto il giogo dell'esilio ma è composta di grandi guerrieri che non pagano i tributi ai gentili”.

Riassumendo le testimonianze ebraiche sui cazari che ci sono pervenute, vi si rileva una reazione mista di entusiasmo, scetticismo e soprattutto smarrimento. Una nazione guerriera di ebrei di origine turca doveva apparire ai rabbini non meno strana di un unicorno circonciso. Nel corso di un millennio di Diaspora, gli ebrei avevano dimenticato che cosa volesse dire avere un regno e avere un paese. Il Messia appariva loro più reale del Kagan.

A mo' di poscritto alle fonti arabe ed ebraiche concernenti la conversione, è necessario ricordare che la testimonianza cristiana apparentemente più antica è anteriore sia alle une che alle altre. Prima dell'864 Christian Druthmar di Aquitania, monaco in Vestfalia, scrisse un trattato in latino dal titolo Expositio in Evangelum Mattei, nel quale riferisce che “esistono delle popolazioni sotto il cielo, in regioni dove non si trova alcun cristiano, il cui nome è Gog e Magog e che sono unni; tra queste è una popolazione, detta dei gazari, che è circoncisa e osserva integralmente le leggi della religione giudaica”. Tale osservazione compare a proposito del versetto di Matteo 24, 14,74 con il quale non ha alcun legame evidente, e poi non viene ulteriormente sviluppata.

Attorno alla stessa epoca nella quale Druthmar scriveva ciò che aveva sentito dire dei cazari ebrei, un famoso missionario cristiano, inviato dall'imperatore di Bisanzio, tentava di convertire questi ultimi al cristianesimo. Costui non era altri che san Cirillo, “l'apostolo degli slavi”, presunto inventore dell'alfabeto cirillico. San Cirillo, insieme con il fratello maggiore san Metodio, fu incaricato di questa e di altre missioni di evangelizzazione dall'imperatore Michele III, su consiglio del patriarca Fozio (quest'ultimo forse di origine cazara: si narra infatti che una volta l'imperatore, in un momento d'ira, lo chiamasse “faccia di cazaro”).

Gli sforzi di Cirillo presso i popoli slavi dell'Europa orientale furono coronati da successo, ma non altrettanto accadde con i cazari. Egli viaggiò alla volta del loro paese passando per Kherson, in Crimea. Si dice che si fermasse sei mesi a Kherson per imparare l'ebraico, in preparazione della sua missione; poi prese la “strada cazara”, cioè il passaggio dal Don al Volga fino a Itil; e da qui percorse le rive del Caspio per incontrare i kagan (non si dice dove). Seguirono i soliti dibattiti teologici, che però non fecero molto effetto sugli ebrei cazari. Persino la Vita Constantini (il nome originale di Cirillo), che è in chiave adulatoria, riferisce solo che Cirillo fece una buona impressione sul kagan, che alcune persone furono battezzate e che oltre duecento prigionieri cristiani furono liberati come gesto di buona volontà. Era il minimo che si potesse fare in omaggio all'inviato dell'imperatore, che si era dato tanta pena.




Continua...





Note

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54. John Bagnell Bury, A History of the Eastern Roman Empire, 1912
55. John Bagnell Bury, A History of the Eastern Roman Empire, 1912
56. Andrew Sharf, Bizantine Jewry. From Giustinian to the Fourth Crusade, 1971
57. Abu al-Masudi, Le praterie d'oro, X secolo
58. In Andrew Sharf, Bizantine Jewry. From Giustinian to the Fourth Crusade, 1971
59. ibidem
60. Si tratta de La visione di Daniele, una cronaca camuffata da antica profezia. In Andrew Sharf, Bizantine Jewry. From Giustinian to the Fourth Crusade, 1971
61. Daniel Chwolson, Corpus di iscrizioni ebraiche, 1865
62. Abram Poliak, Cazaria. Storia di un regno ebraico in Europa, 1951
63. David Alroy fu un predicatore ebreo del XII secolo, nato ad Amadiya, in Iraq. In quel periodo cercò di mobilitare gli ebrei oppressi del mondo arabo affinché si trasferissero Gerusalemme. Il Primo ministro inglese Benjamin Disraeli nel 1833 ne scrisse la storia romanzata: The Wondrous Tale of Alroy.
64. In Josef Marquart, Osteuropaeische und ostasiatische Streifzuge, 1903
65. Citato in D.M. Dunlop, The History of the Jewish Khazars, 1954
66. Il re di Bisanzio e il re dei musulmani
67. Si tratta probabilmente della fortezza di Sarkel, sul Don, edificata intorno all'833. Oggi la fortezza non esiste più e la località è stata sommersa da un lago artificiale.
68. La venuta del Messia
69. Marzo - aprile
70. La geniza (pronuncia gheniza) era quella parte della sinagoga destinata a servire da deposito, nella quale venivano posti i testi religiosi divenuti inutilizzabili, in attesa di essere seppelliti. La geniza più famosa della storia è proprio quella del Cairo, nella quale furono accantonati e dimenticati circa 280.000 tra frammenti e documenti, riscoperti appunto alla fine del XIX secolo.
71. Viaggio intorno al mondo
72. Citato in D.M. Dunlop, The History of the Jewish Khazars, 1954. Secondo Baron trascorrere il Sabato al buio era una ben nota usanza caraitica.
73. ibidem
74. “Questo vangelo del regno sarà predicato in tutto il mondo, perché sia testimoniato a tutte le genti; e allora verrà la fine”.


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