“Sicilia e mafia”, “Campania e camorra”, “Calabria e ‘ndragheta” sono accostamenti triti e ritriti, spesso impiegati per dipingere l’intera Italia come un Paese mafioso, corroso dal crimine, e quindi da collocare ai margini del sistema internazionale, tra gli Stati semi-falliti. È dal 1861 che il Paese affronta il problema mafioso e da allora sono state condotte migliaia di inchieste, scritti migliaia di libri, elaborate migliaia di analisi economiche e sociali: ma è possibile affrontare la questione in termini geopolitici? È possibile cavare un’asciutta verità dall’enorme e amorfa quantità di materiale concernente le mafie? Mafia, camorra e ‘ndgrangheta sono società segrete paramassoniche, inoculate dagli inglesi all’inizio dell’Ottocento per destabilizzare il Regno delle Due Sicilie e trasmesse all’Italia post-unitaria per minare lo Stato e castrarne la politica mediterranea.
Mafie e massoneria speculativa:
come Londra rovesciò il Regno delle Due Sicilie
Nella nostra recente analisi sul biennio 1992-1993 che decretò il passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica, abbiamo toccato il tema della mafia, smontando la tesi dominante sul quel
cruciale periodo della storia italiana: alla base delle stragi in
Sicilia e “sul continente”, non ci fu il braccio di ferro tra
malavita e Stato sul 41 bis, ma un più ampio ed ambizioso progetto
con cui “le menti raffinatissime” vollero ridisegnare la
mappa economica e politica dell’Italia, inserendola nella più
vasta cornice del Nuovo Ordine Mondiale. L’omicidio
dell’eurodeputato Salvo Lima va collegato alla cruciale
elezione del Presidente della Repubblica di quell’anno; l’omicidio
di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino sono analoghi
ammonimenti lanciati al Parlamento, ma allo stesso tempo sono anche
un avvertimento alla giustizia italiana affinché si fermi al livello
“insulare” delle indagini, senza approfondire i legami tra Cosa
Nostra ed i servizi segreti della NATO; le bombe del 1993 sono
un “lubrificante” per consentire agli anglofili del Britannia
di smantellare a prezzi di saldo l’IRI e l’industria
pubblica.
In questo contesto, la mafia è uno strumento
dell’oligarchia atlantica per perseguire obiettivi addirittura
in contrasto con gli interessi di Cosa Nostra: è infatti assodato
che la stagione stragista debilitò gravemente Cosa Nostra,
“spremuta” nella strategia della tensione del 1992-1993 fino
quasi a svuotarla. Allargando l’analisi, non si può certo definire
un’eccezione l’impiego del crimine organizzato da parte degli
angloamericani: anzi, sembrerebbe quasi una costante della storia
italiana. Del biennio 1992-1993 abbiamo detto a sufficienza:
passiamo ora in rassegna gli altri momenti cruciali del Bel Paese,
verificando se ci sia o meno lo zampino della malavita.
Sequestro di Aldo Moro, 16 marzo 1978: è
ormai appurato che la ‘ndrangheta abbia partecipato al commando
che rapì il presidente della DC, reo di turbare gli assetti
internazionali con la sua apertura al PCI. Non solo, il capo della
Nuova Camorra Organizzata, Raffaele Cutolo, ha ammesso che avrebbe
potuto salvare Moro se i servizi segreti non si fossero opposti.
Piazza Fontana, 12 dicembre 1969: la strage che inaugura la
strategia della tensione è perpetrata dalla destra eversiva di
Franco Freda, in stretto contatto con la ‘ndrangheta. Omicidio
di Enrico Mattei, 1962: è Cosa Nostra a sabotare all’aeroporto
di Catania Fontanarossa
il velivolo su cui trovò la morte il presidente dell’ENI,
scomodo alle Sette Sorelle. Sbarco angloamericano in Sicilia del
1943: è il mafioso Lucky Luciano a facilitare la conquista
dell’isola e papaveri di Cosa Nostra presenziano anche
all’armistizio di Cassibile, che sancisce la fine delle ostilità
tra l’Italia e gli Alleati. Sbarco di Giuseppe Garibaldi a
Marsala, 1860: i “picciotti” danno un contributo determinante
alla spedizione di Mille, benedetta e protetta da Londra.
Cosa sono dunque la mafia, la camorra e la
‘ndragheta? Perché affiorano in tutti i passaggi della storia
italiana a fianco di Londra e Washington. Perché sono
sovente associate ad un’altra organizzazione segreta di matrice
anglosassone, la massoneria speculativa?
Sul crimine organizzato che flagella il
Meridione e l’Italia sin dal 1861 sono state condotte migliaia
di inchieste giudiziarie, diverse inchieste parlamentari, sono stati
scritti migliaia di libri e girati migliaia di film e documentari: ci
campano non soltanto i malavitosi, ma anche i “professionisti
dell’antimafia” che pullulano nei tribunali, pennivendoli del
calibro di Roberto Saviano ed il variegato mondo di preti,
intellettuali e soloni che ruota attorno alla “lotta alla mafia”.
Toccare l’argomento non sarebbe solo inutile, ma addirittura
dannoso, se non fosse possibile dare un contributo originale e
chiarificatore: si rischierebbe soltanto di alzare altra
polvere. È il mestiere, detto per inciso, per cui sono
profumatamente pagati giornalisti, pubblici ministeri, politici e
membri delle forze dell’ordine. Se anche noi quindi ci occupiamo di
Cosa Nostra e delle sue sorelle, è perché abbiamo la presunzione di
avere perlomeno intuito la vera natura del crimine organizzato: la
vera natura di quella mafia che, come notò lo stesso Giovanni
Falcone, presenta forti analogie con le Triadi cinesi, la malavita
turca e la Yakuza giapponese.
Servendoci del solito procedimento di comparazione
con realtà simili, di un respiro storico più che giornalistico e di
un approccio “geopolitico”, indispensabile per capire
quali attori operano in una determinata area e quali sono i loro
interessi, siano giunti alla nostra definizione di mafia, camorra ed
‘ndragheta: sono società segrete paramassoniche dedite
al crimine, vere e proprie “sette” che rispondono alle
logge inglesi ed americane, sin dalla loro origine agli inizi
dell’Ottocento. Sia chiaro: è una verità perfettamente nota
agli “addetti ai lavori” (vertici della mafia, politici, Grande
Oriente d’Italia, CIA, MI6, etc. etc.), spesso intuita e talvolta
accennata da onesti magistrati e seri studiosi. Non ci risulta però
che nessuno abbia sinora affrontato l’argomento in maniera così
esplicita ed organica come stiamo per fare, colmando così quella che
ci sembra una lacuna dell’autocoscienza nazionale.
Cominciamo col porre il quesito chiave: perché le
mafie si sviluppano in tre regioni meridionali quasi
contemporaneamente, tra gli anni ‘10 e ‘30 dell’Ottocento?
Le risposte più frequenti, quelle fornite per stendere una cortina
attorno al fenomeno, sono di natura socio-economica e si
ripetono ossessivamente dal 1861 ad oggi: l’arretratezza del
Meridione, il retaggio della dominazione spagnola, la presenza del
latifondo, le mentalità della popolazione, la diffusione di miseria
e povertà, etc. etc.. Sono risposte fuorvianti, se non errate
tout court: il reddito pro-capite del Regno delle Due Sicilie
era paragonabile a quello del resto d’Italia,
la povertà simile a quella di alcune zone del Piemonte e del Veneto
che non produssero crimine organizzato, la dominazione spagnola aveva
interessato pure la “civilissima” Lombardia e altre regioni
meridionali persino più povere (come il Molise e la Basilicata) non
conobbero le mafie, che germogliarono invece in due ricche capitali
come Palermo e Napoli.
Per scoprire le autentiche origini del fenomeno
mafioso occorre tuffarsi nella storia, accantonando analisi
pseudo-economiche, per afferrare le forze vive e la geopolitica
dell’epoca: è lo stesso procedimento che abbiamo usato per
dimostrare come l’ISIS, il sedicente Stato Islamico
dell’Iraq e del Levante, non sia altro che uno strumento degli
angloamericani per balcanizzare il Medio Oriente e dividerlo
lungo faglie etniche e religiose, piuttosto che il frutto
spontaneo del fondamentalismo islamico o la naturale conseguenza dei
“regimi dittatoriali”.
Tra la fine del Settecento ed i primi anni
dell’Ottocento, il mondo è in fiamme per la guerra tra Francia
rivoluzionaria e le altre monarchie europee: la rivoluzione
francese, in cui Londra ha giocato un ruolo determinante (si
pensi agli “anglofili” come Honoré Mirabau, il Marchese de La
Fayette e Philippe Égalité), è sfruttata dagli inglesi per
liquidare la Francia come grande potenza marittima, estendere
i propri domini in India e rafforzare l’egemonia su un’area
chiave del mondo: il Mar Mediterraneo, da unire in prospettiva
al Mar Rosso ed all’Oceano Indiano con il canale di Suez. Il Regno
di Napoli, di fronte all’avanzata delle truppe rivoluzionarie
francesi, è costretto ad aprire i propri porti alla flotta
inglese, senza sapere che, così facendo, firma la sua condanna a
morte: gli inglesi sbarcano infatti coll’obiettivo di rimanerci
anche dopo la guerra, installandosi così nello strategico Sud
Italia che presidia il Mar Mediterraneo. Per un certo periodo,
gli inglesi diventano addirittura padroni del Regno: quando infatti
il francese Gioacchino Murat si insedia a Napoli, il re
Ferdinando IV si rifugia in Sicilia protetto dagli inglesi e Lord
William Bentinck governa l’isola come un dittatore de facto.
Arriviamo così alle origini di Cosa Nostra.
Scrive un grande esperto di mafia come Michele Pantaleone
(1911-2002):
“Il brigantaggio, comune alla Sicilia come al resto dell’Italia meridionale, si risolveva nell’attività di bande mal coordinate e spesso contrapposte (…). Soltanto dopo il 1812, quando il potere feudale venne praticamente eliminato, il brigantaggio per bande assunse una funzione, per così dire, sociale. È storicamente documentato che lo spirito di mafiosità sorse in concomitanza con la formazione delle famigerate compagnie d’armi, create dalla baronia siciliana nel 1813 a difesa dei diritti feudali. (…) È in questo periodo, dunque, che – tra il 1812 ed il 1850 – prende forma lo spirito di mafiosità. Il suo epicentro è nel palermitano e di qui si irradia verso la Sicilia orientale con manifestazioni più sfumate, via via che si allontana dalla capitale.”
Il 1812 è un anno citato in tutti i testi
di storia sulla mafia. È l’anno in cui il “dittatore” Lord
William Bentinck impone al re esule a Palermo l’adozione di una
Costituzione sulla falsariga di quella inglese, in comune
accordo con i baroni siciliani: gli stessi baroni che creano quelle
“compagnie d’armi”, prodromi della futura mafia. Strane davvero
queste “compagnie”, “consorterie” o “sette” che
iniziano a pullulare dopo il 1812: presentano singolari analogie
con la massoneria speculativa che gli inglesi innestano ovunque
arrivino: segretezza, statuti, rituali d’iniziazione, mutua
assistenza, diversi gradi di affiliazione, livelli sconosciuti
agli altri aderenti. E poi la pretesa di non essere volgari
criminali, ma “un’aristocrazia del delitto riconosciuta,
accarezzata ed onorata”, proprio come i massoni si definiscono
gli “aristocratici dello spirito” in contrapposizione
all’antica nobiltà di sangue. “Mafia” nei rioni di Palermo
significa “bello, baldanzoso ed orgoglioso”.
La Restaurazione reinsedia Ferdinando IV,
ora Ferdinando I delle Due Sicilie, sul trono di Napoli. Il re non
perde tempo a revocare (1816) la Costituzione scritta dagli inglesi,
considerata come un’insidiosa minaccia alle sue prerogative: i
germi inoculati dagli inglesi, le misteriose sette criminali che
dalla periferia di Napoli e Palermo si irradiano verso i palazzi di
baroni e notabili però crescono. Corrodono il Regno delle Due
Sicilie dall’interno, emergendo come un vero Stato
nello Stato: trascorreranno poco meno di cinquantanni prima
che contribuiscano in maniera determinante allo sfaldamento del Regno
borbonico. È tra il 1820 ed il 1830 che lo scrittore Marc Monnier
(1829-1885) situa la comparsa a Napoli di una misteriosa setta
paramassonica, la “bella società riformata”, dedita ad
attività illecite: è la futura camorra, che nel 1842 scrive
il primo statuto definendo i vari gradi di affiliazione sulla falsa
riga della libera muratoria, da “giovanotto onorato” a
“camorrista”, passando per “picciotto di sgarro” e
così via. Quasi contemporaneamente, al di là dello Stretto di
Messina, la mafia è già ad uno stadio avanzato, perché nel
1828 il procuratore di Girgenti scrive dell’esistenza di
un’organizzazione di oltre 100 membri di diverso rango, “riuniti
in fermo giuramento di non rilevare mai menoma circostanza delle
operazioni”. Idem per la ‘ndrangheta in Calabria.
Nel 1848 Londra incendia l’Europa usando
come cinghia di trasmissione la solita massoneria speculativa: è la
“Primavera dei popoli”, cui seguiranno tante altre
primavere di complotti, da quella di Praga del 1968 a quella Araba
del 2011. Nel Mar Mediterraneo gli inglesi si adoperano per staccare
la Sicilia, avamposto strategico per ogni operazione militare
e politica in quel quadrante, dal Regno Borbonico: i “baroni”,
gli stessi che comandano le malfamate “compagnie d’armi”,
insorgono contro Ferdinando II, proclamando decaduta la corona
borbonica ed affidandosi alla corona d’Inghilterra, disposta
a difendere l’indipendenza dell’isola. Il contesto internazionale
non è però favorevole alla secessione dell’isola e Ferdinando II
reprime manu militari l’insurrezione, guadagnandosi
l’appellativo di “re bomba”, dipinto dalla stampa anglosassone
come un sanguinario ed illiberale despota. Le carceri, che già
allora sono il principale centro di propagazione delle mafie,
si riempono di patrioti-liberali e “picciotti”, uniti dal
comune retroterra massonico: si saldano così legami che saranno
presto utili.
I rapporti tra Napoli e Londra, già deterioratesi
con la questione degli zolfi, sono ai minimi
termini, convincendo che Ferdinando II che è opportuno rafforzare i
legami con la Russia, allora acerrima rivale geopolitica degli
inglesi : sono gli anni del Grande Gioco e Londra e San
Pietroburgo si sfidano in Eurasia per l’egemonia mondiale.
Quando nel 1853 scoppia la guerra di Crimea,
il Regno delle Due Sicilie rimane rigorosamente neutrale e nega
addirittura alle navi inglesi e francesi dirette verso Sebastopoli di
attraccare nei propri porti per rifornirsi. Il primo ministro
inglese, Lord Palmerston, non ha dubbi: il Regno Borbonico,
nonostante la grande distanza geografica, è diventato un vassallo
della Russia. Chi partecipa alla “Guerra d’Oriente” è
invece il Regno di Sardegna, consentendo così al primo
ministro, Camillo Benso, conte di Cavour, di acquisire un
ruolo da protagonista nell’ormai imminente riassetto dell’Italia:
la storiografia certifica che Cavour, da buon reapolitiker
qual è, non ha in mente “l’unità” della Penisola, bensì
“l’unificazione” doganale, economica e militare di tre regni
autonomi. Il Regno sabaudo allargato a tutto il Nord Italia, lo
Stato pontificio ed il Regno borbonico: la soluzione, seppur
caldeggiata da francesi e russi, è però osteggiata dagli
inglesi, decisi a cancellare il potere temporale della
Chiesa Cattolica e a sostituire gli infidi Borbone con i più sicuri
Savoia, tradizionali alleati dell’Inghilterra sin dal Settecento.
È infatti “l’inglese” Giuseppe
Garibaldi, l’eroe dei due mondi celebrato dalla stampa
angloamericana nonché 33esimo grado della massoneria, a sbarcare nel
maggio del 1860 a Marsala, feudo inglese per la produzione di
vino, protetto dalle due cannoniere inglesi Argus ed Intrepid.
La reazione della marina militare borbonica è nulla, perché la
massoneria ha ormai assunto il controllo delle forze armate e dei
vertici dello Stato. Le strade e le grandi città sono invece passate
sotto il controllo del crimine organizzato: “i picciotti”,
che agiscono sempre in sintonia con i “baroni”, danno un
aiuto determinante all’avanzata dei Mille. Il Regno delle Due
Sicilie, svuotato da uno Stato parallelo che è cresciuto dentro lo
Stato di facciata, si squaglia rapidamente: Reggio Calabria non
oppone alcuna resistenza, mentre Napoli precipita nel caos, lasciando
che il vuoto di potere sia colmato la camorra, lieta di
accogliere Garibaldi e le sue truppe. Nasce così il Regno
d’Italia, che ancora oggi paga il prezzo del suo peccato
originale. È uno Stato strutturalmente debole, nato senza possedere
il monopolio della violenza, costretto a convivere con due
gemelli siamesi, le mafie e la massoneria speculativa,
che non solo altro che meri strumenti in mano a chi ha davvero
orchestrato l’Italia unita: l’impero britannico.
Londra non è certo animata da nobili sentimenti:
ha defenestrato i russofili Borbone per sostituirli con i fedeli
Savoia, ha creato a Sud delle Alpi una media potenza da opporre alla
Francia (si veda la Triplice Alleanza), ha partorito uno Stato
sufficientemente robusto da reggersi in piedi, ma altrettanto debole
da non insidiare la sua egemonia sul Mar Mediterraneo. Le stesse
mafie che hanno corroso il Regno delle Due Sicilie sono lasciate
infatti in eredità allo Stato unitario: è un’eredità avvelenata,
finalizzata a compiere una perdurante opera di destabilizzazione
nel Meridione, cosicché non possa mai sfruttare il suo enorme
potenziale geopolitico di avamposto verso Suez, il Levante ed il Nord
Africa.
Le mafie come strumento inglese di
destabilizzazione non sono una peculiarità del Sud Italia. Si
considerino ad esempio le Triadi Cinesi che smerciano
nell’Impero Celeste quell’oppio per cui Londra ha
addirittura combattuto una guerra (1839-1842): le analogie con la
mafia, come già notato da Giovanni Falcone, sono incredibili.
Tatuaggi, mutua assistenza, omertà, segretezza, riti d’iniziazione,
diversi gradi di affiliazione, struttura piramidale: anche le Triadi
sono sette criminali paramassoniche e, non a caso, quando i
comunisti prenderanno il potere nel 1949, ripareranno nella colonia
britannica di Hong Kong.
“Il vice-Regno della mafia”, il prefetto Mori ed il secondo sbarco mafioso
Scrive lo storico Domenico Novacco:
“La storia della mafia coincide con l’introduzione dell’ordinamento liberale e democratico nella comunità civile (…). Lo stato liberale e democratico enuncia diritti (statuti e costituzioni) ed assume l’impegno di farli valere ugualmente verso tutti. Di fronte a tale “pretesa” la mafia si configura, nello stato liberale, come un quid anomalo, come un conato di potere locale, come un mini-stato che non si eleva mai al rango di antistato, ma solo di co-stato, condizione ammessa, eccezione consentita e tollerata”.
Mafia ed “ordinamento liberale”, si è
visto con la costituzione del 1812 patrocinata da Lord William
Bentinck, procedono di pari passo. Non c’è alcun dubbio che
“l’Italia liberale” fondata nel 1861 sia terreno fertile per lo
sviluppo del crimine organizzato: mafia, camorra ed ‘ndrangheta si
sviluppano nelle rispettive regioni come Stati paralleli a quello
unitario, prosperando più che ai tempi del Regno delle Due Sicilie:
massoneria e mafie, benedette da Londra, sono i motori
dell’Italia liberale, un edificio che sembra spesso vicino al
crollo, totalmente ripiegato su se stesso. La mafia contribuisce
a mantenere l’Italia in un perenne stato di fibrillazione, guidando
ad esempio la rivolta del “sette e mezzo” che
paralizza la Sicilia nel 1866, quasi l’antefatto di quel 1992 che
abbiamo recentemente analizzato.
Il fenomeno mafioso è contenuto finché la
Destra storica, quella di Cavour, resta al potere, ma esplode con
l’avvento nel 1876 della Sinistra storica: sotto la
presidenza del consiglio di massoni come Agostino Depretis e
Francesco Crispi, è inaugurato il “Vice-Regno della mafia”
che dal 1880 circa si estende fino al 1920. “Lo Stato liberale
abdica a favore del baronato” e l’intera Sicilia, formalmente
governata da Roma, è in realtà un feudo anglo-mafioso: Londra
non ha bisogno di staccare l’isola del governo centrale come ai
tempi di Ferdinando II, perché esercita il controllo de facto
con la “setta” criminale paramassonica. È la stessa
organizzazione che negli Stati Uniti assume nomi evocativi come “Mano
Nera” o “Anonimi Assassini”: quando nel 1909 il commissario
delle polizia di New York, Joseph Petrosino, sbarca a
Palermo per indagare sui legami tra mafia americana e siciliana, “i
picciotti” non si fanno scrupoli a sparargli in testa.
Il trasformismo parlamentare dell’epoca
giolittiana è terreno fertile per la malavita, determinante per
l’elezione degli onorevoli espressi dalle popolose regioni
meridionali. Un cambiamento si registra dopo la marcia su Roma
del 1922: è vero che Benito Mussolini, un vecchia conoscenza
di Londra sin dalla Prima Guerra Mondiale e dalla campagna
interventista del “Popolo d’Italia”, conquista la presidenza
del Consiglio con l’appoggio determinante degli inglesi e della
massoneria di piazza del Gesù, ma tende ad emanciparsi in fretta.
L’omicidio Matteotti del 1924 può
infatti essere considerato il primo tentativo inglese di rovesciarlo
ed ha certamente un certo peso sulla decisione del 1925 di abolire
la libera muratoria (sebbene numerosi massoni, primo fra
tutti, Dino Grandi, restino al governo). Fedele alla massima “tutto
nello Stato, niente al di fuori dello Stato, nulla contro lo Stato”,
Mussolini non può ovviamente accettare la convivenza con istituzioni
parallele al governo, come la mafia. Nell’ottobre 1925 Cesare
Mori è nominato prefetto di Palermo e, in poco meno di quattro
anni, infligge un duro colpo a Cosa Nostra, avvalendosi dei “poteri
eccezionali” affidatigli da Mussolini: nel 1927 il tribunale di
Termini Imerese condanna oltre 140 mafiosi a durissime pene. Chi,
ovviamente, stigmatizza la condotta del governo italiano è
l’Inghilterra. Scrive l’ambasciatore Ronald Graham al
premier Chamberlain:
“Il signor Mori ha certamente restaurato l’ordine (…). Ha eliminato numerosi mafiosi e ras ed anche numerosi innocenti con mezzi molto dubbi, comprese prove fabbricate dalla polizia e processi di massa.”
Mafie e massoneria, sorelle inseparabili, piombano
quindi “nel sonno”, in attesa di essere risvegliate al momento
opportuno: proprio come ai tempi delle guerre napoleoniche,
sbarcheranno in Sicilia con gli inglesi, accompagnati questa volta
anche dalle forze armate statunitensi.
È il 1943 e la mafia non solo facilita lo
conquista dell’isola attraverso Lucky Luciano, ma
addirittura presenzia alla firma dell’armistizio di Cassibile nella
persona di Vito Guarrasi, lontano parente di Enrico Cuccia
(la cui famiglia è originaria del palermitano). Finché il
“continente” è occupato dai tedeschi, gli angloamericani
coltivano la ricorrente idea di separare la Sicilia dal resto
dell’Italia: è il momento d’oro del separatismo e del bandito
Giuliano, destinato a scemare man mano che le truppe alleate
risalgono la penisola. Perché infatti accontentarsi della Sicilia
se, come ai tempi d’oro dell’Italia liberale, è possibile
costruire dietro lo Stato di facciata un secondo Stato, retto
dalle mafie a dalla massoneria?
Inizia così la lunga stagione dei “misteri
italiani” dove mafia, camorra e ‘ndrangheta, figureranno a
fianco di servizi segreti “deviati” e logge massoniche in decine
di omicidi ed attentati: dal disastro aereo di Enrico Mattei alle
bombe del 1993, dal sequestro Moro al rapimento dell’assessore
campano, Ciro Cirillo. Come abbiamo appurato, il fenomeno rientra
nella norma, perché sin dalle origini nella prima metà
dell’Ottocento le mafie non altro che società segrete
paramassoniche, dedite al crimine ed obbedienti alle logge
inglesi ed americane. Ha affermato il pentito Giovanni Gullà,
spiegando agli inquirenti i meccanismi di “Mamma Santissima”, la
nuova ‘ndrangheta che contribuirà in maniera decisiva alla
strategia della tensione:
“La “Santa” si spiega nella logica della “setta segreta”: si è inteso creare una struttura di potere sconosciuta agli altri per ottenere maggiori benefici. (…) Posso affermare con convinzione che la santa, come setta segreta, è l’esatto corrispondente della massoneria coperta rispetto a quella ufficiale. (…) Va chiarito che l’appartenente alla ‘ndrangheta non può essere massone, ma questo vale per la ‘ndrangheta “minore” e la massoneria pubblica. Ma come ho già detto la “Santa” rappresenta una struttura segreta dentro la stessa ‘ndrangheta, pertanto se il fine mutualistico può essere soddisfatto con l’ingresso con l’ingresso di massoni nella struttura e viceversa, nessun ostacolo può essere frapposto”.
La “santa” è l’élite della ‘ndrangheta,
costituita negli anni ‘70 nel nome di tre personaggi storici, tutti
risalenti al Risorgimento, tutti massoni, tutti ottime conoscenze di
Londra: Giuseppe Garibaldi, Giuseppe Mazzini e Giuseppe La
Marmora.
Si è detto come l’avanzata delle mafie sia
coincisa con l’espandersi dell’ordine “liberale”, che
fu pax britannica dalla guerre napoleoniche sino al 1945 e pax
americana dal 1945 ad oggi. È un sistema internazionale entrato
ormai in crisi irreversibile, schiacciato dalla crisi del
capitalismo anglosassone e dall’emergere di nuove potenze. Lo
sfaldamento dell’egemonia angloamericana dovrebbe essere sfruttato
per liquidare anche quelle società segrete paramassoniche che da due
secoli corrodono il Meridione e l’Italia, impedendo di sfruttarne
l’enorme potenziale come ponte naturale tra Europa ed Asia.
Bibliografia
Mafia e Droga, Michele Pantaleoni, Einaudi, 1966
Mafia ieri, Mafia oggi, Domenico Novacco,
Feltrinelli, 1972
Breve storia della mafia, Rosario Minna, Editori
Riuniti, 1984
Il Regno delle Due Sicilie e le Potenze europee,
Eugenio Rienzo, Rubbettino, 2012
Atlante delle Mafie, AAVV, Rubbettino, 2013
Italia Oscura, Giovanni Fasanella e Antonella
Grippo, Sperling & Kupler, 2016
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