Mari caldi e dintorni
Appena ieri, veleggiando di buon mattino sul Grande Raccordo Anulare e godendo ancora dello scarso traffico estivo, mi è capitato di ascoltare la replica di una trasmissione andata in onda su Radio24, MareFuturo.
Si parlava, insieme ad Andrea Merlone, delegato italiano alla
commissione mondiale di climatologia dell’ONU, di un articolo uscito
molto recentemente sul GRL: Past Variability of Mediterranean Sea Marine Heatwaves
Più precisamente, l’articolo, che sta godendo di ottima stampa in
chiave catastrofe climatica, ha fornito soltanto lo spunto per una
disamina di tutte le più apocalittiche capriole climatiche previste, ivi
compreso lo scenario della climafiction The Day After Tomorrow
nonostante sia stato smentito anche su Topolino. Se vi volete allietare il podcast è disponibile qui.
Parliamo piuttosto dell’articolo.
Si tratta di un’analisi dell’andamento della temperatura delle acque
del Mediterraneo eseguita allo scopo di individuare le onde di calore
per diversi livelli di profondità, dalla superficie a -55 metri, livelli
selezionati in base – scrivono – alla presenza di ecosistemi più
esposti all’impatto di importanti e durature (seppur episodiche)
variazioni di temperatura.
Misure? Poche, perché, di fatto, di misure sufficientemente
affidabili per ciò che c’è sotto la superficie non ce ne sono. Quindi?
Quindi, neanche a dirlo, trattasi di simulazione condotta con un
modello, la cui verifica è stata possibile per l’andamento superficiale,
sfruttando le informazioni disponibili grazie al programma Copernicus e
per i diversi livelli di profondità utilizzando un dataset basato su
osservazioni in situ con risoluzione mensile.
Tuttavia, con la loro analisi, gli autori giungono alla conclusione
che le onde di calore che nel periodo 1982-2017 avrebbero interessato le
acque del Mediterraneo, sono più intense e più durature ma meno
frequenti e più localizzate nelle acque più profonde che in superficie.
Inoltre, nel periodo in esame sembrerebbe evidente un trend positivo,
con almeno tre eventi di picco nel periodo (negli anni 2003, 2012 e
2015).
Per la prima volta, quindi, è stato affrontato il tema delle onde di
calore nei primi strati della superficie del Mediterraneo, simulandone –
non si sa con quale precisione in assenza di verifica eccetto che per
lo strato superficiale – l’occorrenza spazio-temporale.
Il tema è interessante e gli autori, giustamente, non si dilungano in
previsioni di sorta, limitandosi a chiedere maggior tempo per
correggere il tiro. Perché da questa ricerca possa e debba essere
scaturito l’ennesimo allarme – sostenuto con efficacia anche da chi ne
ha sicuramente compreso i limiti – resta come al solito nel territorio
dell’informazione come minimo superficiale che riguarda purtroppo questi
argomenti.
Lascio a voi il giudizio sul tema. Dal momento però che l’articolo, dopo il lancio dell’ANS(i)A
che parla di 2° presi chissà dove, sta spuntando da tutte le parti mi
sembrava giusto fornire qualche coordinata per un eventuale pensiero
proprietario.
Enjoy.
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