giovedì 29 agosto 2019



Mari caldi e dintorni


Appena ieri, veleggiando di buon mattino sul Grande Raccordo Anulare e godendo ancora dello scarso traffico estivo, mi è capitato di ascoltare la replica di una trasmissione andata in onda su Radio24, MareFuturo.


Si parlava, insieme ad Andrea Merlone, delegato italiano alla commissione mondiale di climatologia dell’ONU, di un articolo uscito molto recentemente sul GRL: Past Variability of Mediterranean Sea Marine Heatwaves

Più precisamente, l’articolo, che sta godendo di ottima stampa in chiave catastrofe climatica, ha fornito soltanto lo spunto per una disamina di tutte le più apocalittiche capriole climatiche previste, ivi compreso lo scenario della climafiction The Day After Tomorrow nonostante sia stato smentito anche su Topolino. Se vi volete allietare il podcast è disponibile qui.

Parliamo piuttosto dell’articolo.
Si tratta di un’analisi dell’andamento della temperatura delle acque del Mediterraneo eseguita allo scopo di individuare le onde di calore per diversi livelli di profondità, dalla superficie a -55 metri, livelli selezionati in base – scrivono – alla presenza di ecosistemi più esposti all’impatto di importanti e durature (seppur episodiche) variazioni di temperatura.

Misure? Poche, perché, di fatto, di misure sufficientemente affidabili per ciò che c’è sotto la superficie non ce ne sono. Quindi? Quindi, neanche a dirlo, trattasi di simulazione condotta con un modello, la cui verifica è stata possibile per l’andamento superficiale, sfruttando le informazioni disponibili grazie al programma Copernicus e per i diversi livelli di profondità utilizzando un dataset basato su osservazioni in situ con risoluzione mensile.

Tuttavia, con la loro analisi, gli autori giungono alla conclusione che le onde di calore che nel periodo 1982-2017 avrebbero interessato le acque del Mediterraneo, sono più intense e più durature ma meno frequenti e più localizzate nelle acque più profonde che in superficie. Inoltre, nel periodo in esame sembrerebbe evidente un trend positivo, con almeno tre eventi di picco nel periodo (negli anni 2003, 2012 e 2015).

Per la prima volta, quindi, è stato affrontato il tema delle onde di calore nei primi strati della superficie del Mediterraneo, simulandone – non si sa con quale precisione in assenza di verifica eccetto che per lo strato superficiale – l’occorrenza spazio-temporale.

Il tema è interessante e gli autori, giustamente, non si dilungano in previsioni di sorta, limitandosi a chiedere maggior tempo per correggere il tiro. Perché da questa ricerca possa e debba essere scaturito l’ennesimo allarme – sostenuto con efficacia anche da chi ne ha sicuramente compreso i limiti – resta come al solito nel territorio dell’informazione come minimo superficiale che riguarda purtroppo questi argomenti.

Lascio a voi il giudizio sul tema. Dal momento però che l’articolo, dopo il lancio dell’ANS(i)A che parla di 2° presi chissà dove, sta spuntando da tutte le parti mi sembrava giusto fornire qualche coordinata per un eventuale pensiero proprietario.

Enjoy.

Fonte: ClimateMonitor

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