venerdì 7 febbraio 2020

1950 - 51: BOMBE SIONISTE SUGLI EBREI DI BAGHDAD - Naeim Giladi



"gli ebrei dei paesi islamici non emigrarono volontariamente in Israele: per forzarli ad andarsene, ebrei uccisero altri ebrei... Scrivo di ciò che il primo premier di Israele definì 'crudele sionismo'. Ne scrivo perchè ne ho fatto parte"


Naeim Giladi


1950 - 51: BOMBE SIONISTE

SUGLI EBREI DI BAGHDAD




Come l'Haganah e il Mossad compirono attentati in Iraq per forzare l'emigrazione in Israele















nota introduttiva


  Naeim Giladi nacque nel 1929 da una prospera famiglia di ebrei iracheni, residente da secoli nel paese. Nel 1941 perse diversi giovani amici nel massacro di ebrei, fomentato dagli inglesi, che ebbe luogo a Baghdad, e negli anni successivi aderì al movimento sionista clandestino. Arrestato, torturato e condannato a morte dalle autorità irachene, nel 1949 riuscì a fuggire in Iran e di lì arrivò nel neonato Israele, nel maggio 1950.
  In Israele subì in prima persona le discriminazioni esercitate dagli ebrei europei ashkenaziti nei confronti degli ebrei dei paesi arabi come lui. Vi si oppose attivamente, diventando anche membro delle cosiddette Black Panthers israeliane negli anni '70. Nel 1982 il massacro dei palestinesi di Sabra e Chatila lo convinse ad abbandonare definitivamente lo stato sionista, rinunciando alla cittadinanza israeliana, e a trasferirsi negli Stati Uniti.
  Negli USA nel 1992 stampò a proprie spese Ben-Gurion's Scandals: How the Haganah and the Mossad Eliminated Jews, sugli attentati del 1950 – 51 compiuti a Baghdad dal movimento sionista per forzare la comunità ebraica irachena a trasferirsi in Israele. Nel 1998 trovò finalmente una casa editrice, la Dandelion Books, disposta a farsi carico di una prima pubblicazione effettiva del libro, al quale Giladi aggiunse un capitolo iniziale, intitolato The Jews of Iraq.

  Tale capitolo è tradotto quasi per intero nel presente opuscolo. L'originale inglese del libro è liberamente scaricabile da internet.

  Sul finire della Seconda Guerra Mondiale David Ben-Gurion aveva in mente di ricorrere proprio agli ebrei orientali per reperire quel "milione di ebrei" necessario a riempire la Palestina e "chiudere il conflitto con gli arabi" (vedi anche l'opuscolo Israele e lo sfruttamento dell'Olocausto). Di lì a poco però andò in Europa a visitare i campi dei sopravvissuti alla Shoah, e si rese conto che era politicamente più opportuno puntare sul trasferimento di quegli ebrei, per quanto meno numerosi e in condizioni disastrate. Presentando Israele come nuova patria e "compensazione" per le vittime della Shoah, sarebbe stato possibile vincere le resistenze della comunità internazionale al via libera per la formazione dello stato sionista.
  Il trasferimento degli ebrei orientali fu quindi posticipato di alcuni anni, dopo il ritiro degli inglesi e la cacciata dei palestinesi, nel 1948. In particolare la numerosa e prospera comunità ebraica irachena fu letteralmente sradicata dal proprio paese (dopo 2.500 anni di storia) nel 1950 – 51, con l'Operazione Ezra e Neemia, favorita da un'intensa campagna di propaganda a favore della "Terra Promessa" e dai vari attentati sulla cui responsabilità Naeim Giladi fornisce diverse convincenti prove.

Iraq e Palestina durante la Seconda guerra mondiale




1950 - 51: BOMBE SIONISTE
SUGLI EBREI DI BAGHDAD

(titolo originale: The Jews of Iraq, 1998)



  Scrivo questo articolo per la stessa ragione per cui ho scritto il mio libro: per dire al popolo americano, e in particolare agli ebrei americani, che gli ebrei dei paesi islamici non emigrarono volontariamente in Israele; che, per forzarli ad andarsene, ebrei uccisero altri ebrei; e che, per guadagnare il tempo di confiscare ancor più terra araba, gli ebrei in numerose occasioni respinsero le sincere iniziative di pace dei loro vicini arabi. Scrivo di ciò che il primo Premier di Israele definì "crudele sionismo". Ne scrivo perchè ne ho fatto parte.


1.La mia storia


  Ero giovane, idealista, e pronto a rischiare la vita per le mie convinzioni.

  Era il 1947 e non avevo ancora 18 anni quando le autorità irachene mi arrestarono per collaborazione all'espatrio clandestino di giovani ebrei iracheni come me, verso l'Iran e di lì nella Terra Promessa, nel futuro Israele.

  Ero un ebreo iracheno nel movimento sionista clandestino. I miei carcerieri iracheni fecero tutto ciò che potevano per ottenere i nomi dei miei compagni.

50 anni dopo sento ancora pungere il dito del piede destro – un ricordo del giorno in cui i miei carcerieri usarono le pinze per strapparmi le unghie. In un'altra occasione mi trascinarono sul tetto a terrazza della prigione, mi denudarono completamente (era gennaio) e mi gettarono addosso un secchio di acqua fredda. Mi lasciarono là per ore, incatenato alla ringhiera. Ma non pensai neanche per un momento di dare loro le informazioni che volevano. Ero davvero convinto.

  La mia preoccupazione durante ciò che definisco i miei "due anni all'inferno" fu legata alla sopravvivenza e alla fuga. Allora non mi curavo per nulla della cancellazione della storia ebraica in Iraq, anche se la mia famiglia era stata parte di essa fin dall'inizio. In origine eravamo Haroon, una numerosa e importante famiglia della "Diaspora Babilonese". I miei antenati si erano stabiliti in Iraq più di 2.600 anni fa – 600 anni prima del Cristianesimo, e 1.200 prima dell'Islam. Io discendo da ebrei che costruirono la tomba di Ezechiele, un profeta ebraico dei tempi pre-biblici. La mia città, ove nacqui nel 1929, è Hillah, non lontano dal sito originario di Babilonia.

  Gli ebrei dell'antichità trovarono in Babilonia, nutrita dai fiumi Tigri ed Eufrate, un terra di latte, miele, abbondanza e opportunità. Come ebrei, al pari di altre minoranze in quello che divenne l'Iraq, vissero periodi di oppressione e discriminazione a seconda dei governanti del momento, ma in generale nell'arco di 2.500 anni la loro parabola fu verso l'alto. Durante l'ultimo periodo ottomano, ad esempio, le istituzioni sociali e religiose ebraiche, le scuole e le strutture mediche fiorirono senza interferenze esterne, e gli ebrei avevano ruoli importanti nel governo e negli affari.
  Sedendo nella mia cella, ignaro che presto mi sarebbe arrivata una condanna a morte, non avrei potuto riferire di alcun problema che i miei familiari potessero avere avuto nei confronti del governo, o della maggioranza musulmana. La nostra famiglia si era trovata bene e aveva prosperato, iniziando come agricoltori, con circa 50.000 acri dedicati a riso, datteri e cavalli arabi. Poi, con gli Ottomani, compravamo e raffinavamo l'oro che giungeva per mare a Istanbul per essere trasformato in moneta. I turchi cambiarono il nome della nostra famiglia per rappresentare la nostra attività: diventammo Khalaschi, che vuol dire "creatori di purezza".

  Non rivelai di mia iniziativa a mio padre che mi ero unito al movimento sionista clandestino. Egli lo scoprì pochi mesi prima del mio arresto, quando mi vide scrivere in ebraico e usare parole ed espressioni a lui non familiari. Fu ancora più sorpreso nell'apprendere che, sì, avevo deciso che presto me ne sarei andato in Israele. Fu sprezzante. "Tornerai con la coda tra le gambe", predisse.

  Tra la fine degli anni '40 e il 1952, circa 125.000 ebrei lasciarono l'Iraq per Israele, la maggior parte ingannati e spaventati da quelle che in seguito appresi essere bombe sioniste. Fisicamente non tornai mai più in Iraq – in ogni caso avevo bruciato quel ponte – ma il mio cuore si è recato laggiù tante e tante volte. Mio padre aveva ragione.

  Fui imprigionato nel campo militare di Abu Ghraib, a circa 7 miglia da Baghdad.          

  Quando il tribunale militare mi comminò la sentenza di morte per impiccagione, non avevo altro da perdere se non tentare la fuga che avevo pianificato da molti mesi.

  Una strana ricetta per un'evasione: un pezzetto di burro, una buccia d'arancia, e un'uniforme militare che avevo chiesto a un amico di comprare per me a un mercatino. Mangiai deliberatamente quanto più pane potevo per ingrassare un pò prima di compiere i 18 anni, quando mi poterono accusare formalmente di un crimine e quindi attaccare alla catena con la sfera di 50 libbre che spettava di regola a tutti prigionieri.

  Poi, quando fui messo ai ferri, iniziai una dieta feroce per cui spesso non riuscivo neanche ad alzarmi. Il pezzo di burro servì a lubrificare la mia gamba alla scopo di sfilarla dall'anello di metallo. La buccia d'arancia la infilai nella serratura della cella la notte in cui avevo programmato la fuga, dopo aver studiato il modo in cui poteva essere posizionata in modo da impedirne la chiusura.
  
  Come i carcerieri se ne furono andati dopo avere chiuso la porta, misi la vecchia uniforme, indistinguibile da quelle che indossavano loro – un lungo soprabito verde e un berretto di lana che mi calai su buona parte del volto (era inverno). Quindi aprii lentamente la porta e mi unii a un gruppo di soldati che attraversavano l'atrio verso l'uscita. Salutai il guardiano di turno dicendo "buonanotte" e me ne andai. Un amico mi attendeva con un auto, per portarmi lontano.

  In seguito feci il mio viaggio nello stato di Israele, arrivando nel maggio 1950. Il mio passaporto recava il nome in arabo e inglese, ma l'inglese non poteva rendere il suono "kh", dunque c'era scritto semplicemente Klaski. Alla frontiera, il personale dell'immigrazione segnò il termine inglese, che dava l'idea di un cognome dell'Europa orientale, ashkenazita. Questo "errore" mi avrebbe permesso di scoprire molto presto come funzionasse il sistema delle caste israeliane.

  Mi chiesero dove volessi andare e cosa volessi fare. Ero figlio di un agricoltore, e conoscevo i segreti del mestiere, così mi offrii di andare a Dafna, un kibbutz nell'alta Galilea.

  Vi rimasi poche settimane. Ai nuovi immigrati davano le cose peggiori. Il cibo era uguale per tutti, ma era l'unica cosa che avevamo in comune. Per il resto, ai nuovi immigrati pessime sigarette, e persino un pessimo dentifricio. Tutto. Me ne andai.

  Quindi, tramite l'Agenzia Ebraica, mi fu consigliato di andare ad al-Majdal (in seguito ribattezzata Ashkelon), una città araba a circa 9 miglia da Gaza, sul Mediterraneo. Il governo israeliano aveva in programma di trasformarla in una colonia agricola, perciò le mie competenze laggiù sarebbero state utili.

  Quando mi presentai all'ufficio di collocamento di al-Majdal, videro che sapevo leggere e scrivere in arabo ed ebraico e dissero che potevo trovare un buon impiego negli uffici del governatore militare. Gli arabi erano sotto l'autorità di questo governatore militare israeliano.

  Un impiegato mi consegnò un pacco di fogli in arabo ed ebraico. Ora capii. Prima di creare la propria colonia agricola, Israele doveva liberare al-Majdal dagli autoctoni palestinesi. I fogli erano petizioni agli ispettori delle Nazioni Unite che chiedevano il trasferimento da Israele a Gaza, che era sotto controllo egiziano.

  Lessi la petizione. Firmandola, il palestinese dichiarava di essere pienamente consapevole e di fare la richiesta di trasferimento libero di pressioni o costrizioni.         

  Ovviamente non c'era altro modo per mandarli via se non costringendoli. Queste famiglie avevano abitato là per centinaia di anni, come agricoltori, artigiani e tessitori. Il governatore militare proibì loro di guadagnarsi da vivere – lì assediò finchè persero ogni speranza di poter riprendere le precedenti attività. Ecco perchè firmavano per andarsene.

  Ero là e sentivo i loro lamenti. "I nostri cuori sono gonfi di dolore quando guardiamo gli aranci che abbiamo piantato con le nostre mani. Per favore lasciateci, lasciateci bagnare quelle piante. Dio si arrabbierà con noi se lasciamo le sue piante senza cura". 

  Chiesi al governatore militare di accontentarli, ma egli disse: "No, vogliamo che se ne vadano".

  Non potevo più essere complice di questa oppressione e me ne andai.

  Quei palestinesi che non firmarono per il trasferimento furono portati via con la forza – caricati su camion e scaricati a Gaza. In un modo o nell'altro, circa 4.000 persone furono cacciate da al-Majdal. I pochi rimasti erano collaboratori delle autorità israeliane.

  Feci domande per un impiego governativo altrove, e ottenni subito molte risposte e richieste di venire a colloquio. Allora scoprivano che il mio viso non corrispondeva al mio nome polacco/ashkenazita. Chiedevano se parlassi yiddish o polacco, e quando rispondevo di no mi chiedevano come mai avessi un nome polacco. Nel disperato tentativo di ottenere un lavoro, di solito dicevo che presumibilmente il mio bisnonno era polacco. Più e più volte mi congedarono dicendo "le faremo sapere".

  Alla fine, tre o quattro anni dopo il mio arrivo in Israele cambiai il nome in Giladi, simile al nome in codice (Gilad) che avevo nel movimento sionista. Il nome Klaski in ogni caso non mi portava nulla di buono, e i miei amici orientali mi rimproveravano sempre per quel nome che nascondeva le mie origini di ebreo iracheno.

  Fui deluso da ciò che trovai nella Terra Promessa, deluso personalmente, deluso dal razzismo istituzionale, deluso da ciò che stavo iniziando ad apprendere sulle atrocità del sionismo. Il principale interesse di Israele per gli ebrei dei paesi islamici era verso la loro manodopera a basso costo, specialmente nel lavoro agricolo diretto dagli ebrei urbanizzati dell'Europa dell'Est. Ben-Gurion aveva bisogno degli ebrei "orientali" per coltivare le migliaia di acri di terra abbandonati dai palestinesi che furono cacciati dalle forze israeliane nel 1948.

  Iniziai a venire a conoscenza dei metodi barbari usati per liberare il neonato stato da quanti più palestinesi possibile. Oggi il mondo inorridisce al pensiero della guerra batteriologica, ma Israele probabilmente fu il primo a metterla in pratica nel Medio Oriente. Nella guerra del 1948 le forze ebraiche svuotarono i villaggi arabi dei loro abitanti, spesso con le minacce, talvolta fucilando una mezza dozzina di arabi disarmati come esempio per gli altri. Per essere sicuri che gli arabi non potessero ritornare per riprendere una nuova vita in quei villaggi, gli israeliani misero i batteri di tifo e dissenteria nelle sorgenti d'acqua.

  Uri Mileshtin, uno storico ufficiale dell'Israeli Defense Force, ha scritto e parlato dell'uso di armi batteriologiche.1 Secondo Mileshtin Moshe Dayan, all'epoca comandante di divisione, nel 1948 diede ordine di cacciare gli arabi dai loro villaggi, di abbattere le loro case e di rendere l'acqua inutilizzabile con i batteri del tifo e della dissenteria.

  Acri era in una posizione tale da poter essere difesa con un unico cannone, perciò l'Haganah mise i batteri nell'acqua che riforniva la città. La sorgente si chiamava Capri, e si trovava a nord, vicino a un kibbutz. L'Haganah mise i batteri del tifo nell'acqua che fluiva verso Acri, gli abitanti si ammalarono e le forze ebraiche occuparono la città. Poichè il trucco funzionava, mandarono uomini dell'Haganah in abiti arabi a Gaza, dove c'erano le forze egiziane, e gli egiziani li catturarono mentre versavano due taniche di acqua contaminata da tifo e dissenteria nella rete idrica della città, senza alcun riguardo per la popolazione civile. "In guerra i sentimenti non contano" avrebbe detto uno degli uomini dell'Haganah fatti prigionieri.

  Il mio attivismo in Israele iniziò poco dopo che ricevetti una lettera dal partito sionista socialista che mi chiedeva di collaborare al suo giornale in arabo. Quando mi presentai negli uffici della sede centrale di Tel Aviv, chiesi a chi dovessi rivolgermi.

  Mostrai la lettera a un paio di persone e quelli, senza neanche guardarla, mi congedarono con le parole "Stanza 8". Vedendo che non leggevano per niente la lettera, chiesi ad altri.

  Ma la risposta era sempre la stessa, "Stanza 8", senza uno sguardo sul foglio posto di fronte a loro.

  Così andai alla Stanza 8 e vidi che era il "Dipartimento degli ebrei dei paesi islamici".  

  Fui disgustato e irato. O sono un membro del partito oppure no.

  Ho forse una ideologia o una politica differente perchè sono un ebreo arabo? E' segregazione, pensai, proprio come un "dipartimento per i negri". Girai i tacchi e uscii. Quello fu l'inizio delle mie proteste alla luce del sole. Quello stesso anno organizzai una manifestazione ad Ashkelon contro le politiche razziste di Ben-Gurion, alla quale parteciparono 10.000 persone.

  Per noi cittadini di seconda classe non vi erano molte opportunità di farci valere quando Israele era in guerra contro un nemico esterno. Dopo la guerra del 1967 io stesso fui nell'esercito, di stanza nel Sinai dove vi erano continui combattimenti lungo il Canale di Suez. Ma il cessate il fuoco del 1970 con l'Egitto ci diede spazio. Scendemmo in strada e ci organizzammo politicamente per chiedere l'uguaglianza dei diritti. Se era il nostro paese, nel quale ci chiedevano di rischiare la vita in una guerra di confine, allora ci aspettavamo di essere trattati alla pari.

  Lottammo così tenacemente e ottenemmo una notorietà tale che i governanti israeliani cercarono di screditare il nostro movimento chiamandoci "Pantere Nere di Israele". Essi chiaramente pensavano in termini razzisti, ritenendo che il pubblico israeliano avrebbe osteggiato un'organizzazione la cui ideologia era comparabile a quella dei neri radicali negli Stati Uniti. Ma vedevamo che le nostre azioni non erano diverse da quelle che i neri americani compivano contro la segregazione, la discriminazione, i trattamenti ineguali.

  Invece di rifiutare l'appellativo, lo adottammo orgogliosamente. Appesi nel mio ufficio avevo poster di Martin Luther King, Malcolm X, Nelson Mandela e altri attivisti per i diritti civili.

  Con l'invasione del Libano e il massacro impunito di Sabra e Chatila, ne ebbi abbastanza di Israele. Divenni cittadino americano e feci in modo di cancellare la cittadinanza israeliana. Non avrei mai potuto scrivere e pubblicare il mio libro in Israele, con la censura che vi avrebbero imposto.

  Anche in America ebbi grandi difficoltà a trovare un editore, poichè molti sono soggetti a pressioni di ogni tipo da parte di Israele e dei suoi amici. Alla fine pagai di tasca mia 60.000 dollari per pubblicare Ben Gurion's Scandals: How the Haganah and the Mossad Eliminated Jews, praticamente tutto il ricavato della vendita della mia casa in Israele.

  Temevo anche che la tipografia si ritirasse, o che fossero intentati procedimenti legali per bloccare la pubblicazione, come il governo israeliano fece nel tentativo di impedire che l'ex agente operativo del Mossad Victor Ostrovsky pubblicasse il suo primo libro. Ben-Gurion's Scandals fu tradotto in inglese da due lingue. Lo scrissi in ebraico quando ero in Israele e speravo di pubblicare il libro laggiù, e poi lo completai in arabo dopo essere arrivato negli Stati Uniti. Ma ero così preoccupato che qualcosa potesse bloccare la pubblicazione, che dissi al tipografo di non attendere che le traduzioni fossero rivedute e corrette. Ora mi rendo conto che una causa legale avrebbe soltanto creato maggiore interesse per un libro controverso.

  Mi sto affidando al caveau di una banca per conservare i preziosi documenti che comprovano quanto ho scritto. Questi documenti, compresi alcuni che ho copiato illegalmente dagli archivi dello Yad Vashem, confermano ciò che vidi con i miei occhi, che mi fu detto da altri testimoni, e che autorevoli storici hanno scritto riguardo agli attentati sionisti in Iraq, alle proposte arabe di pace respinte, ai casi di violenze e uccisioni perpetrate da ebrei contro ebrei allo scopo di creare Israele.




2. La rivolta del 1941


  Se, come ho detto, la mia famiglia in Iraq non fu direttamente perseguitata e in quanto membro della minoranza ebraica non soffrii alcuna privazione, cosa mi portò a un passo dalla forca come membro del movimento sionista clandestino? Per rispondere a questa domanda è necessario ricostruire il contesto del massacro che ebbe luogo a Baghdad il 1 giugno del 1941, quando alcune centinaia di ebrei iracheni furono uccisi in una rivolta che coinvolse giovani ufficiali dell'esercito iracheno. Io avevo 12 anni e molti degli uccisi erano miei amici. Ero arrabbiato e molto confuso.

  Ciò che non sapevo all'epoca era che la rivolta molto probabilmente fu fomentata dagli inglesi, in collaborazione con la leadership irachena filo-inglese.

  Con la caduta dell'Impero ottomano alla fine della Prima guerra mondiale, l'Iraq finì sotto "tutela" inglese. Amin Faysal, figlio dello sceriffo Hussein che aveva guidato la rivolta contro il Sultano ottomano, fu portato dalla Mecca dagli inglesi per diventare re dell'Iraq nel 1921. Molti ebrei vennero posti in ruoli amministrativi chiave, compreso quello di ministro dell'Economia.

  L'Inghilterra deteneva l'ultima parola sulle questioni interne ed estere. Ma la linea filo-sionista dell'Inghilterra in Palestina generò una crescente reazione anti-sionista in Iraq, così come in tutti i paesi arabi. Alla fine del 1934 sir Francis Humphreys, ambasciatore britannico a Baghdad, scrisse che mentre prima della Grande Guerra gli ebrei avevano goduto della posizione più favorevole rispetto a tutte le altre minoranze nel paese, da allora "il sionismo ha seminato zizzania tra gli ebrei e gli arabi, e tra i due popoli si è sviluppata un'acredine che prima non esisteva".2
  Re Faysal morì nel 1933. Gli successe il figlio Ghazi, che morì in un incidente d'auto nel 1939. La corona allora passò al figlio di 4 anni di Ghazi, Faysal II, il cui zio Abd al-Ilah fu nominato reggente. Abd al-Ilah scelse Nouri el-Said come Primo ministro.

  El-Said sosteneva gli inglesi e, quando l'odio verso i dominatori crebbe, nel marzo 1940 fu scalzato da quattro alti ufficiali dell'esercito che invocavano l'indipendenza dell'Iraq dall'Inghilterra. Autonominatisi "Quadrato d'Oro", gli ufficiali costrinsero il reggente a nominare come Primo ministro Rashid al-Kilani, leader del Partito della Fratellanza Nazionale.

  Era il 1940 e l'Inghilterra stava vacillando sotto una forte offensiva tedesca. Al-Kilani e il Quadrato d'Oro videro ciò come un'opportunità per liberarsi degli inglesi una volta per tutte. Cautamente iniziarono a negoziare il supporto tedesco, il che portò il reggente filo-inglese Abd al-Ilah a dismettere al-Kilani nel gennaio 1941. Entro aprile, tuttavia, gli ufficiali del Quadrato d'Oro avevano reinsediato il Primo ministro.

  Ciò spinse gli inglesi a inviare una forza militare a Bassora, il 12 aprile 1941. 
  Bassora, la seconda città dell'Iraq, era abitata da 30.000 ebrei, la maggior parte dei quali erano commercianti, cambiavalute, venditori al dettaglio, o lavoravano in aeroporti, porti e ferrovie, o negli uffici governativi.

  Lo stesso giorno, il 12 aprile, dei sostenitori del reggente filo-inglese informarono i leader ebrei che il reggente voleva incontrarli. Questi ultimi, come era loro abitudine, portarono dei fiori destinati al reggente.

  Contrariamente al solito, le automobili che li portavano al luogo d'incontro si fermarono nel punto ove erano concentrati i militari inglesi.

  Il giorno dopo sui giornali apparvero le fotografie degli ebrei con il titolo "GLI EBREI DI BASSORA ACCOLGONO CON FIORI LE TRUPPE INGLESI". Quello stesso giorno, il 13 aprile, gruppi di giovani arabi infuriati pianificarono vendette nei confronti degli ebrei. Alcuni notabili musulmani di Bassora lo vennero a sapere, e calmarono gli animi. In seguito, si seppe che il reggente non era in città e che si era trattato di una provocazione dei suoi sostenitori filo-inglesi, per fomentare una guerra inter-etnica e dare all'esercito inglese il pretesto per intervenire.

  Gli inglesi continuarono a mandare militari a Bassora e dintorni. Il 7 maggio 1941 la loro brigata Gurkha, composta di soldati indiani dell'omonima etnia, occupò il quartiere di el-Oshar, abitato da numerosi ebrei. Il soldati, guidati da ufficiali inglesi, iniziarono il saccheggio. Molti negozi della zona commerciale furono devastati, le case private violate. Si riportarono casi di tentati rapimenti. I residenti, sia arabi che ebrei, si difesero con pistole e vecchi fucili, ma le loro pallottole non poterono competere coi Tommy Gun dei soldati.

  In seguito, si seppe che i soldati avevano agito col consenso, se non con l'incitamento, dei comandanti inglesi. Occorre ricordare che i soldati indiani, specialmente quelli della brigata Gurkha, erano noti per la loro disciplina, ed è molto improbabile che avessero compiuto quei saccheggi senza ordini.

  L'obiettivo inglese chiaramente fu creare il caos e offuscare l'immagine del governo nazionalista a Baghdad, dando così alle forze inglesi il pretesto per avanzare sulla capitale e rovesciare al-Kilani.

  Baghdad cadde il 30 maggio. Al-Kilani fuggì in Iran, così come gli ufficiali del Quadrato d'Oro. Le stazioni radio controllate dagli inglesi riportarono che Abd al-Ilah stava tornando in città e che migliaia di ebrei si preparavano ad accoglierlo. Ma chi fece maggiormente infuriare i giovani iracheni nei confronti degli ebrei fu Yunas Bahri, speaker della radio tedesca "Berlin", che riportò in arabo che gli ebrei di Palestina stavano combattendo al fianco degli inglesi contro i soldati iracheni vicino alla città di Falluja. La notizia era falsa.

  Domenica 1 giugno a Baghdad scoppiò una rissa tra alcuni ebrei che stavano ancora celebrando la festività del shavuot3 e giovani iracheni che pensavano che stessero festeggiando il ritorno del reggente filo-inglese. Quella sera un gruppo di iracheni fermò un autobus, fece scendere i passeggeri ebrei, ne uccise uno e ne ferì mortalmente un secondo.

  Il mattino dopo alle 8,30 circa circa 30 uomini con uniformi di militari e polizia aprirono il fuoco lungo el-Amin Street, una piccola via del centro le cui gioiellerie, sartorie e drogherie erano di proprietà di ebrei. Verso le 11, una folla di iracheni con coltelli e mazze attaccò le case ebraiche della zona.

  La rivolta continuò per tutto il lunedi 2 giugno. Molti musulmani intervennero in soccorso dei loro vicini ebrei, e diversi ebrei riuscirono a difendersi con successo.         

  Secondo un resoconto scritto da un inviato dell'Agenzia Ebraica che si trovava in Iraq in quel periodo, ci furono 124 morti e 400 feriti. Altre stime, forse meno affidabili, indicano un numero di vittime più elevato, fino a 500, e da 650 a 2.000 feriti. Da 500 a 1.300 negozi e più di 1.000 case e appartamenti furono saccheggiati.

  Chi c'era dietro la rivolta nel quartiere ebraico?

  Yosef Meir, uno dei principali attivisti nel movimento sionista clandestino in Iraq, allora conosciuto come Yehoshafat, afferma che c'erano gli inglesi.

  Meir, che ora lavora per il ministero della Difesa israeliano, sostiene che gli inglesi, allo scopo di far apparire il reggente come un salvatore che tornava per ristabilire la legge e l'ordine, fomentarono la rivolta contro la parte più vulnerabile e in vista della città, gli ebrei. Non a caso la rivolta terminò non appena i soldati fedeli al reggente entrarono nella capitale.4
  Le mie personali ricerche di giornalista mi portarono a ritenere che Meir avesse ragione. Inoltre, ritengo che le sue affermazioni siano basate sui documenti negli archivi del ministero della Difesa israeliano, l'ente che ha pubblicato il suo libro. E, ancor prima dell'uscita del libro, ebbi una conferma indipendente da un uomo che avevo incontrato in Iran nei tardi anni '40.

  Il nome di costui, un armeno iracheno, era Michel Timosian. Quando lo incontrai, lavorava come infermiere all'Anglo – Iranian Oil Company ad Abadan, nel sud dell'Iran. Ma il 2 giugno 1941 egli si trovava all'ospedale di Baghdad, dove furono portate molte vittime della rivolta. La maggior parte di queste erano ebrei.

  Timosian disse che due pazienti avevano particolarmente suscitato il suo interesse, poichè il loro comportamento era insolito. Uno era stato colpito da una pallottola alla spalla, e l'altro da una nel ginocchio destro. Dopo che il dottore ebbe rimosso i proiettili, gli infermieri cercarono di cambiare loro gli abiti insanguinati. Ma i due uomini respinsero quei tentativi e diedero a intendere di essere muti, benchè fosse evidente che non erano sordi.

  Per calmarli, il dottore iniettò loro un anestetico e, mentre dormivano, Timosian cambiò i loro abiti. Scoprì che uno di loro aveva una piastra identificativa del tipo in uso presso le truppe inglesi, mentre l'altro aveva sul braccio destro tatuaggi con iscrizioni indiane e la spada caratteristica dei Gurkha.

  Il giorno successivo, quando Timosian tornò al lavoro, gli fu detto che un funzionario inglese, il suo sergente e due soldati indiani Gurkha erano venuti all'ospedale quel mattino presto. Membri del personale li udirono parlare coi due feriti, che non erano affatto muti come avevano dato a intendere. I pazienti salutarono i visitatori, si misero le scarpe e, senza firmare il necessario foglio di dimissioni, lasciarono con loro l'ospedale.

  Oggi in cuor mio non ho dubbi che la rivolta anti-ebraica del 1941 fu orchestrata dagli inglesi a fini geopolitici. David Kimche è certamente un uomo che si trovava nella condizione di conoscere la verità, ed egli ha parlato in pubblico delle responsabilità inglesi. Kimche aveva fatto parte dell'intelligence inglese durante il secondo conflitto mondiale e del Mossad dopo la guerra. In seguito divenne direttore generale del ministero degli Esteri israeliano, posizione che ricopriva nel 1982 quando intervenne a un convegno al British Institute for International Affairs a Londra.

  Rispondendo a domande ostili sull'invasione israeliana del Libano e sui massacri nei campi di rifugiati a Beirut, Kimche replicò ricordando agli astanti come vi fosse stato scarso interesse al Foreign Office quando le brigate dei Gurkha inglesi parteciparono al massacro di 500 ebrei nelle strade di Baghdad nel 1941.




3. Gli attentati del 1950 – 51


  La rivolta anti-ebraica del 1941 non solo creò per gli inglesi il pretesto per entrare a Baghdad e reinstallare il reggente filo-inglese e il suo Primo ministro, Nouri el-Said. Essa diede anche ai sionisti in Palestina il pretesto per creare un movimento sionista clandestino in Iraq, prima a Baghdad e poi in altre città come Bassora, Amara, Hillah, Diwanyya, Erbil e Kirkuk.

  Dopo la Seconda guerra mondiale, in Iraq si susseguirono diversi governi di breve durata. La conquista sionista della Palestina, in particolare il massacro dei palestinesi nel villaggio di Deir Yassin, rafforzarono il movimento iracheno anti-inglese. Quando il governo di Baghdad nel febbraio 1948 siglò un nuovo trattato di amicizia con Londra, scoppiarono tumulti in tutto il paese. Il trattato fu rapidamente annullato e Baghdad chiese la rimozione del contingente militare inglese che aveva controllato l'esercito iracheno per 27 anni.

  Nel corso del 1948 l'Iraq mandò un distaccamento militare in Palestina per combattere i sionisti, e quando Israele nel maggio dichiarò l'indipendenza Baghdad chiuse l'oleodotto che portava il proprio petrolio alla raffineria di Haifa. Ma Abd al-Ilah era ancora reggente, e il lacchè degli inglesi, Nouri el-Said, era di nuovo Primo ministro. Io nel 1948 ero nella prigione di Abu Ghraib, ove sarei rimasto fino alla mia fuga in Iran, nel settembre 1949.

  Sei mesi dopo – la data esatta era il 19 marzo 1950 – una bomba esplose all'American Cultural Center and Library di Baghdad, causando danni materiali e ferendo diverse persone. Il centro era un luogo di ritrovo frequentato da giovani ebrei.

  La prima bomba lanciata direttamente contro ebrei esplose l'8 aprile 1950, alle 21,15. Un'auto con tre giovani a bordo gettò la granata verso il caffè El-Dar el-Bida, dove si stava celebrando la Pasqua ebraica.

  Quattro persone furono seriamente ferite. Quella notte furono distribuiti volantini che invitavano gli ebrei a lasciare immediatamente l'Iraq.

  Il giorno dopo molti ebrei, la maggior parte poveri senza nulla da perdere, affollarono gli uffici per l'emigrazione per rinunciare alla cittadinanza e chiedere il permesso di partire per Israele. Lo fecero in numero tale che la polizia dovette aprire degli uffici di registrazione in scuole ebraiche e sinagoghe.

  Il 10 maggio alle 3 del mattino una granata fu lanciata verso la vetrina della Beit-Lawi Automobile Company, di proprietà ebraica, distruggendo parte dell'edificio. Nessuno fu ferito.

  Il 3 giugno 1950 un'altra granata fu gettata da un'auto in corsa nel quartiere di el-Atawin a Baghdad, dove vivevano gli ebrei più ricchi e gli iracheni della classe media. Nessuno fu colpito, ma dopo l'esplosione gli attivisti sionisti inviarono telegrammi in Israele chiedendo che le quote per l'immigrazione dall'Iraq fossero innalzate.

  Il 5 giugno 1950 alle 2,30 del mattino una bomba esplose vicino all'edificio della Stanley Shashua, di proprietà ebraica, facendo danni materiali ma nessuna vittima.

  Il 14 gennaio 1951 alle 7 del mattino una granata fu gettata contro un gruppo di ebrei fuori dalla sinagoga Masouda Shem Tov. L'esplosione colpì un cavo dell'alta tensione fulminando tre ebrei, di cui un ragazzo, Itzhak Elmacher, e ferendone più di 30. A seguito dell'attacco, l'esodo degli ebrei balzò a una quota di 600 – 700 al giorno.

  Gli apologeti sionisti sostengono ancora che gli attentati in Iraq furono perpetrati da iracheni antisemiti, che volevano che gli ebrei lasciassero il paese.

  La terribile verità è che le granate che uccisero e mutilarono gli ebrei iracheni e danneggiarono le loro proprietà furono gettate da ebrei sionisti.

  Tra i più importanti documenti nella prima edizione del mio libro, credo, vi sono le copie di due volantini diffusi dal movimento sionista clandestino che invitavano gli ebrei a lasciare l'Iraq. Uno è datato 16 marzo 1950, l'altro 8 aprile 1950. La differenza tra i due sta nel fatto che entrambi recano la data di pubblicazione, ma solo quello dell'8 aprile riporta un orario: le 16. Perchè l'ora? 

  Una tale precisazione era senza precedenti. Anche il giudice istruttore, Salaman el-Beit, lo trovò sospetto. Chi scrisse "ore 16" voleva un alibi per un attentato che sapeva sarebbe avvenuto cinque ore dopo? Se così, come sapeva dell'attentato? Il giudice stabilì che lo sapeva poichè esisteva un legame tra il movimento sionista clandestino e gli autori dell'attentato.

  Questa fu anche la conclusione di Wilbur Crane Eveland, un ex veterano della CIA, che ebbi l'opportunità di incontrare a New York nel 1988. Nel suo libro, Corde di sabbia, la cui pubblicazione fu ostacolata dalla CIA, Eveland scrive:
  Nel tentativo di far passare gli iracheni come anti-americani e di terrorizzare gli ebrei, i sionisti misero bombe alla biblioteca del Servizio Informazioni americano e in alcune sinagoghe. Presto comparvero volantini che esortavano gli ebrei a fuggire in Israele...La polizia irachena in seguito fornì alla nostra ambasciata prove evidenti che gli attentati a biblioteca e sinagoghe, così come i volantini anti-ebraici e anti-americani, erano stati opera di un'organizzazione clandestina sionista, ma la maggior parte dell'opinione pubblica mondiale credette a chi diceva che il terrorismo arabo aveva provocato la fuga degli ebrei iracheni, che i sionisti avevano "salvato", in realtà allo scopo di accrescere la popolazione ebraica di Israele.5
  Eveland non dettaglia le prove che legano i sionisti agli attentati, ma nel mio libro io lo faccio. Per esempio nel 1955 in Israele creai un gruppo di procuratori ebrei di origine irachena per gestire le cause degli ebrei iracheni che avevano ancora delle proprietà in Iraq. Un procuratore ben noto, che mi chiese di non rivelare il suo nome, mi confidò che dei test di laboratorio in Iraq avevano confermato che i volantini anti-americani trovati all'American Cultural Center furono redatti con la stessa macchina da scrivere e duplicati con la stessa stampatrice usate per i volantini distribuiti dal movimento sionista appena prima dell'attentato dell'8 aprile.

  Altri test mostrarono anche che l'esplosivo usato nell'attentato alla Beit-Lawi recava tracce di materiale trovato nella valigia di un ebreo iracheno di nome Yosef Basri. Basri, un giurista, insieme a un calzolaio di nome Shalom Salih fu processato per gli attentati nel dicembre 1951, e giustiziato il mese successivo. Entrambi erano membri dell'Hashura, il braccio militare del movimento sionista clandestino in Iraq.

  Salih alla fine confessò di aver compiuto gli attentati, con Basri e un terzo uomo, Yosef Habaza.

  All'epoca delle esecuzioni, nel gennaio 1952, solo 6.000 dei circa 125.000 ebrei iracheni non erano fuggiti in Israele. Inoltre, il fantoccio filo-inglese e filo-sionista el-Said fece sì che tutte le loro proprietà fossero bloccate, inclusi i depositi bancari. C'erano altri modi per portare fuori i dinari iracheni, ma quando gli immigrati andarono a cambiarli in Israele scoprirono che il governo israeliano tratteneva il 50% della valuta. Anche quegli ebrei iracheni che non si erano registrati per l'emigrazione, ma per caso si trovavano all'estero, rischiarono di perdere la cittadinanza se non fossero tornati entro breve tempo.

  Una comunità antica, istruita, prospera è stata sradicata, e il suo popolo trapiantato in un paese dominato dagli ebrei dell'Europa dell'est, la cui cultura era non solo estranea per loro, ma anche ostile.




4. I peggiori criminali


  a) I dirigenti sionisti.
  Fin dall'inizio essi sapevano che per creare uno stato ebraico dovevano espellere la popolazione indigena palestinese negli stati islamici confinanti, e importare gli ebrei da quegli stessi stati. Theodor Herzl, l'architetto del sionismo, pensava di farlo attraverso l'ingegneria sociale. Nel suo diario alla pagina del 12 giugno 1895 scrisse che i coloni sionisti avrebbero dovuto "incentivare la popolazione non abbiente a oltrepassare il confine, procurando loro impieghi nei paesi di transito, e impedendo qualunque impiego nel nostro paese".6
  Vladimir Jabotinsky, progenitore ideologico del Primo ministro Netanyahu, ammise francamente che tale trasferimento di popolazioni poteva compiersi soltanto con la forza.

  David Ben Gurion, primo premier israeliano, disse a una conferenza sionista del 1937 che qualunque ipotetico stato ebraico avrebbe dovuto "trasferire le popolazioni arabe al di fuori della propria area, se possibile di loro volontà, altrimenti con la coercizione".7 Dopo la cacciata di 750.000 palestinesi e la confisca delle loro terre nel 1948 – 49, Ben-Gurion dovette volgersi ai paesi islamici per gli ebrei che riempissero il mercato del lavoro che si era creato. In quei paesi furono mandati "emissari" per "convincere" gli ebrei a partire, con l'inganno o con la paura.

  Nel caso dell'Iraq, furono usati entrambi i metodi: agli ebrei poco istruiti si raccontò di un'Israele messianica in cui i ciechi vedevano, gli storpi camminavano e le cipolle crescevano grandi come meloni; agli ebrei istruiti si tirarono le granate.

  Pochi anni dopo gli attentati, nei primi anni '50 in Iraq uscì un libro in arabo intitolato Veleno della vipera sionista. L'autore era uno di coloro che indagarono sulle bombe del 1950 – 51. Nel suo libro egli chiama in causa gli israeliani, in particolare uno degli emissari inviati in Iraq da Israele, Mordechai Ben-Porat. Non appena il libro fu pubblicato, tutte le copie sparirono, anche dalle biblioteche. Corse voce che agenti del Mossad, tramite l'ambasciata degli Stati Uniti, comprarono tutte le copie e le distrussero. In tre diverse occasioni provai a farmene mandare una in Israele, ma ogni volta la censura israeliana bloccò la richiesta negli uffici postali.

  b) I dirigenti inglesi.
  L'Inghilterra agì sempre per il proprio migliore interesse coloniale. Per tale interesse il ministro degli Esteri Arthur Balfour nel 1917 inviò la sua famosa lettera a lord Rothschild, in cambio del sostegno sionista nella Prima guerra mondiale. Durante la Seconda guerra mondiale gli inglesi furono soprattutto attenti a tenere i propri stati vassalli nel campo occidentale, mentre i sionisti badarono soprattutto all'emigrazione ebraica in Palestina, anche se questo significò cooperare coi nazisti.

  Dopo la guerra lo scacchiere mondiale vide i comunisti contro i capitalisti. In molti paesi, incluso gli Stati Uniti e l'Iraq, gli ebrei erano una grossa componente del partito comunista. In Iraq, l'intellighenzia ebraica occupava centinaia di ruoli chiave nei partiti comunisti e socialisti.

  Per tenere i suoi stati vassalli nel campo capitalista, l'Inghilterra doveva fare sì che i loro governi fossero diretti da capi pro-inglesi. E se questi capi fossero stati rovesciati, allora una o due rivolte anti-ebraiche avrebbero fornito un pretesto utile per invadere la capitale e reinsediare il governo "giusto".

  Inoltre, se vi era la possibilità di rimuovere l'influenza comunista dall'Iraq trasferendo l'intera comunità ebraica in Israele, beh, perchè no? A maggior ragione se i dirigenti israeliani e iracheni cospiravano a tale scopo.

  c) I dirigenti iracheni
  Sia il reggente Abd al-Ilah che il suo Primo ministro Nouri el-Said erano diretti da Londra. Verso la fine del 1948 el-Said, che aveva già incontrato il neo Primo ministro di Israele Ben-Gurion, iniziò a parlare coi suoi accoliti iracheni e inglesi della necessità di uno scambio di popolazioni. L'Iraq avrebbe inviato gli ebrei in Israele a bordo di camion militari attraverso la Giordania, e avrebbe accolto alcuni dei palestinesi cacciati da Israele. La proposta includeva la confisca delle proprietà da ambo le parti. Londra bocciò l'idea in quanto eccessiva.

  El-Said quindi avviò il suo "piano di riserva" e iniziò a creare le condizioni per rendere la vita degli ebrei iracheni talmente difficile da indurli a partire per Israele. Gli impiegati governativi ebrei furono licenziati; ai commercianti ebrei furono negate le licenze di import/export; la polizia iniziò ad arrestare ebrei per ragioni futili. Ma ancora gli ebrei che partivano non erano molto numerosi.

  Nel settembre 1949 Israele inviò in Iraq la spia Mordechai Ben-Porat, quella menzionata in Veleno della vipera sionista. Una delle prime cose che Ben-Porat fece fu avvicinare el-Said e promettergli incentivi finanziari se avesse fatto una legge che privava gli ebrei della cittadinanza irachena.

  Poco dopo, rappresentanti sionisti e iracheni iniziarono a formulare una bozza della legge, basandosi su quanto ordinato da Israele attraverso i suoi agenti a Baghdad. La legge fu approvata dal Parlamento iracheno nel marzo 1950. Essa permetteva al governo di rilasciare visti di espatrio "una tantum" agli ebrei che volevano lasciare il paese. In marzo iniziarono gli attentati.

  Sedici anni dopo la rivista israeliana Haolam Hazeh, pubblicata da Uri Avnery, allora membro della Knesset, accusò Ben-Porat degli attentati di Baghdad. Ben-Porat, in seguito a sua volta membro della Knesset, negò le accuse ma non denunciò mai la rivista per diffamazione. E gli ebrei iracheni in Israele lo chiamano ancora "Morad Abu al-Knabel", "Mordechai delle Bombe".

  Come ho detto, tutto ciò andava al di là della comprensione di un giovane.
  
  Io sapevo che degli ebrei erano uccisi e che esisteva un'organizzazione che ci poteva portare nella Terra Promessa. Dunque contribuii all'esodo verso Israele.

  In seguito, talvolta, in Israele mi imbattei in alcuni di questi ebrei iracheni. Più di una volta mi esternarono l'idea di potermi uccidere per ciò che avevo fatto.




Note

____________________________

1. Hadashot, 13 agosto 1993
2. Marion Woolfson, Prophets in Babylon: Jews in the Arab World, 1980
3. Pentecoste.
4. Yosef Meir, Beyond the Desert: the Pioneering Underground in Iraq, 1973
5. W.C. Eveland, Ropes of Sand: America's Failure in the Middle East, 1980
6. Theodor Hertzl, The Complete Diaries 1895 – 1904, ed. 1960 - 62
7. Resoconto del Congresso Mondiale di Poale Zion, 29 luglio – 7 agosto 1937

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.