sabato 15 febbraio 2020

H. S. Haddad LE ORIGINI BIBLICHE DEL COLONIALISMO SIONISTA



H. S. Haddad

LE ORIGINI BIBLICHE

DEL COLONIALISMO SIONISTA

traduzione del saggio

The biblical bases of zionist colonialism

(Journal of Palestine Studies, 1974)









   Nello scompartimento del treno Hechler dispiegò la mappa della Palestina e mi diede istruzioni precise sulle sue frontiere: a Nord le montagne che dominano la Cappadocia, a Sud il Canale di Suez, a Est l'Eufrate. Il nostro slogan sarà: “La Palestina di Davide e Salomone”.

Theodor Herzl, Diari


Le origini bibliche del colonialismo sionista di H. S. Haddad1



1. La teologia politica di Israele


   Gli ideali, gli obiettivi, le strategie e le tattiche dell’insediamento ebraico in Palestina possono essere, per certi aspetti, paragonati ad altri regimi di insediamento. Ma c’è una differenza fondamentale. Israele, diversamente da altri colonizzatori, afferma che nel suo caso si tratta di un ritorno. Secondo i sionisti e gli israeliani lo Stato ebraico non è una nuova impresa ma la restaurazione di uno Stato temporaneamente distrutto.

   Il colonialismo europeo e i movimenti etnici di liberazione nazionale del 19° e del 20° secolo hanno senza dubbio stimolato sentimenti nazionalistici tra gli ebrei europei e portato alla costituzione del sionismo politico. Ma il nazionalismo ebraico — e la sua nemesi, l’ant isemitismo — esistevano molto prima del 19° secolo e dell’era del colonialismo europeo. Il detto ebraico «l’anno prossimo a Gerusalemme» testimonia l’esistenza di questo nazionalismo attraverso i seco li della diaspora europea, nazionalismo che prevedeva, sin dall’inizio, la colonizzazione della Palestina. Le radici del sionismo non vanno ricercate in Europa o nel 19° secolo. Già nel 16° e nel 17° secolo, movimenti messianici avevano tentato un «ritorno» in Palestina per ricreare un «Commonwealth» ebraico nella Terra promessa. Persino, nel lontano VI sec a.C., l’obiettivo degli ebrei babilonesi era il «ritorno a Sion».

   Il nazionalismo e il colonialismo del secolo scorso in Europa hanno lasciato la loro impronta più sui metodi e sulle tattiche che sulla sostanza del sionismo. Anche se il sionismo politico moderno ha tentato, a volte, di purificare il tradizionale nazionalismo ebraico di tipo messianico dei suoi elementi miracolistici, mistici ed escatologici mettendone in rilievo soprattutto gli aspetti politici e sociali, rimane il fatto che esso ha capitalizzato, per raggiungere i propri obiettivi politici, lo slancio romantico-religioso della diaspora ebraica. Il movimento sionista rimane fermamente ancorato al principio fondamentale del diritto esclusivo degli ebrei sulla Palestina come è scritto nella Torah e in altri testi religiosi ebraici. Anche i sionisti che non sono religiosi e che non osservano le pratiche rituali del giudaismo sono ancora biblici nelle loro convinzioni di base e nell’applicazione pratica degli antichi particolarismi della Torah e degli altri libri del Vecchio Testamento. Sono biblici nel collocare i loro obiettivi nazionali su un piano che trascende ogni considerazione storica, umanistica o morale.

   La Bibbia, l’Antico Testamento secondo la classificazione cristiana, è l’unico documento disponibile su un antico Stato ebraico, sulla sua origine, sulla sua ideologia e sul suo destino profetico ed escatologico. Questa raccolta di miti, leggende, narrazioni storiche, poesie, dichiarazioni profetiche e apocalittiche rappresenta il riferimento principale per le credenze, le condizioni e gli atteggiamenti che hanno dato vita al sionismo e portato, col tempo, all’occupazione e alla trasformazione della Palestina.
   Possiamo riassumere queste credenze, basate sulla Bibbia, nel modo seguente:
  1.  Gli ebrei sono un popolo separato ed esclusivo, eletto da Dio per realizzare un destino. Gli ebrei del 20° secolo hanno ereditato il patto di elezione divina e il destino storico dalle tribù di Israele risalenti a più di 3000 anni fa.
  2.  Il patto comprendeva il possesso definitivo della terra di Canaan, la Palestina, considerata patrimonio eterno degli israeliti e dei loro discendenti. A nessun titolo e a nessuna condizione un altro popolo può rivendicare diritti di proprietà su di essa.
  3.  L’occupazione e l’insediamento in questa terra, per costituirvi il loro Stato, è un dovere collettivo degli ebrei. La purezza dell’ebraicità della terra discende da un comandamento divino e per questo è una missione sacra.
   Di conseguenza, l’insediarsi in Palestina, oltre a motivazioni economiche e politiche, assume un carattere mitico e romantico. Che il sionismo affondi le proprie radici nella Bibbia è riconosciuto sia dai sionisti religiosi sia dai sionisti laici, non osservanti o agnostici. Per questo Moses Hess — che è stato il predecessore di Herzl e che è considerato uno dei padri fondatori del movimento sionista — riconosceva e predicava il principio dell’interdipendenza nella vita ebraica tra religione e nazionalismo. Per Hess, la religione ebraica era, in primo luogo, il nazionalismo ebraico2. Ben-Gurion era spesso biblico nei suoi discorsi e nei suoi scritti nei quali definiva la Bibbia come «sacrosanto atto di proprietà della Palestina» per il popolo ebraico «con una genealogia di 3500 anni»3 . Nel corso di una conferenza ideologica, tenuta nel 1953 a Gerusalemme, affermò che «tutte le sezioni della Bibbia fanno riferimento al ritorno in Israele come movimento messianico che realizza la missione dei profeti ebraici di Israele»4.
   La Bibbia — considerata generalmente un libro sacro di cui né i cristiani né gli ebrei mettono comunemente in dubbio i principi fondamentali e i contenuti storici — è definita abitualmente come il documento nazionale ebraico. Come «sacrosanto atto di proprietà della Palestina» ha causato una fossilizzazione della storia nel pensiero sionista. Israele del 20° secolo non è, secondo questo modo di pensare, un’avventura coloniale simile alla Rodesia o al Sudafrica, ma la rinascita della biblica Israele di 3000 anni fa. Gli ebrei moderni sono, quindi, i discendenti, in linea diretta, degli antichi israeliti, gli unici possibili cittadini della Terra di Palestina.
   Abba Eban, nella sua storia divulgativa degli ebrei, mette in evidenza il concetto di questa storia unica del popolo eletto5:
   L’assoluta particolarità della storia ebraica, la sua ribellione contro tutte le leggi storiche, la sua totale refrattarietà a qualsiasi altro sistema comparativo di ricerca, mi sono apparse molto chiare in ogni momento [...] Non esiste nessun altra nazione moderna i cui motivi di esistenza e di azione richiedano un riferimento così frequente a un passato lontano.
   Per passato lontano Eban intende la Bibbia. I motivi dell’esistenza di Israele e delle sue azioni, cioè, la sua politica di appropriazione della terra, il trattamento dei palestinesi, la sua politica nei confronti dei paesi vicini e i suoi piani e i suoi obiettivi, sono in larga misura ispirati dai testi biblici. «In Israele, la consapevolezza della rilevanza della Bibbia nella vita quotidiana degli ebrei permea le scuole di ogni tipo e ne plasma le idee e le espressioni [...] La Bibbia rappresenta la storia e il pensiero del periodo biblico con il quale l’Israele moderno sente una stretta affinità»6.

   Anche se alcuni pensatori sionisti cercano di descrivere il nazionalismo ebraico come un movimento moderno nato da circostanze presenti nel 19° e nel 20° secolo, rimane il fatto che ideologicamente, etnicamente e territorialmente questo movimento affonda le sue radici nell’Israele della Bibbia. Il nome «Sion» si rifà alla definizione territoriale contenuta nella Bibbia. Il nome «Israele» riflette l’intreccio tra considerazioni razziali e territoriali che si ritrovano nella Bibbia, nelle credenze tradizionali ebraiche e nella letteratura rabbinica. Di conseguenza quando i sionisti parlano del diritto storico degli ebrei alla Palestina, si riferiscono a una storia e a una filosofia storica contenuta nella Bibbia e nella letteratura rabbinica. Negare tale «diritto storico» degli ebrei alla Palestina significa tradire la Bibbia. Questo articolo di fede per alcuni ebrei è usato anche come un efficace strumento di pubbliche relazioni per influenzare il mondo cristiano7.

   Per i sostenitori del nazionalismo ebraico, i libri della Bibbia, eccetto i libri della saggezza che ne rappresentano una minima parte, contengono i riferimenti necessari alla struttura etnica e territoriale di Israele. I cinque libri della Torah, il Pentateuco — le parti della Bibbia più venerate dalla maggioranza degli ebrei — trattano delle origini e delle condizioni del «Patto» che definisce Israele come il «Popolo eletto» e la terra di Canaan come la «Terra promessa». La sacralizzazione dello Stato e del popolo rende la conquista di Canaan un dovere religioso. La legge nella Torah è interpretata come prova del patto tra Yahweh e Israele. I cananei, esclusi dal patto, non potevano essere assimilati nella legge e in Israele; infatti, come vedremo tra poco, la completa espulsione e lo sterminio dei cananei è fortemente consigliato.

   I libri storici descrivono il tentativo delle tribù d’Israele di formare il loro «primo commonwealth» che giunge al suo culmine, secondo la narrazione biblica, con il Regno di Davide prima e di Salomone poi. Ed è diventato il modello e l’ideale del successivo nazionalismo ebraico.

   I libri profetici della Bibbia sono in primo luogo una reazione alla crisi causata dalle aspettative deluse di Israele. La distruzione del Regno di Israele da parte degli Assiri, il pericolo incombente sul Regno di Giuda e la successiva cattività babilonese, tutto richiede una spiegazione dei motivi per cui il Patto non sia stato realizzato. Per gestire questo problema, i profeti rimproverano Israele di essere stato infedele al patto, in primo luogo di «aver seguito divinità straniere». Ma offrono anche un messaggio di speranza:
   Yahweh, che è sempre fedele alle Sue promesse, redimerà il popolo di Israele, lo riporterà nella Terra Promessa, lo renderà una grande nazione e farà fallire i suoi nemici.
   Quindi la Torah pone le basi della scelta esclusiva di Israele e del suo diritto alla proprietà della Palestina. I libri storici documentano i tentativi di creare uno Stato d’Israele come compimento del comandamento divino. I profeti razionalizzano il fallimento di questa impresa e ne proiettano la realizzazione in una data futura. Di conseguenza, i tre pilastri del sionismo sono: il patto di elezione divina che include il diritto degli ebrei alla proprietà della Palestina, i precedenti storici dello Stato ebraico e la realizzazione e il compimento delle profezie. La colonizzazione sionista della Palestina viene denominata aliyah, «ritorno» dimostrando l’importanza fondamentale che i sionisti e Israele attribuiscono alla Bibbia.

   Il nazionalismo e l’esclusivismo ebraici sono tra i temi principali trattati dai testi biblici. Da Isaia — il più grande profeta di Israele — ci provengono, ad esempio, le predizioni sul futuro di Gerusalemme e di Israele che oggi appaiono di grande attualità, dato che l’economia di Israele dipende dalla manodopera proveniente dai territori arabi occupati.
   Stranieri ricostruiranno le tue mura, i loro re saranno al tuo servizio [...] Perché la nazione e il regno che non vorranno servirti periranno [...] Il più piccolo diventerà un migliaio, il più insignificante un'immensa nazione; io sono il Signore: a suo tempo, lo farò rapidamente. [Isaia 60: 10, 12, 22]. Ci saranno estranei a pascere le vostre greggi e figli di stranieri saranno vostri contadini e vignaioli. Voi sarete chiamati sacerdoti del Signore, ministri del nostro Dio sarete detti. Vi nutrirete delle ricchezze delle nazioni, vi vanterete dei loro beni [Isaia 61: 5, 6]8.
   Ben Gurion espresse, nel migliore dei modi, lo spirito esclusivista della Bibbia quando, nel corso di una conferenza internazionale, dichiarò: «La visione ebraica della redenzione ha due aspetti: il ritorno degli esiliati e la continuazione del popolo ebraico nella sua terra in quanto popolo eletto e luce delle nazioni»9.

   Questa visione poteva ovviamente realizzarsi soltanto privando gli arabi palestinesi del diritto alla loro terra.

   Gli ebrei non sionisti che hanno spiritualizzato il giudaismo e la Bibbia, oltre il livello del nazionalismo etnico, si sono trovati impotenti di fronte al nazionalismo e all’esclusivismo contenuti nella Bibbia. Sublimare una affermazione, anche una affermazione biblica, è un compito molto più difficile che credervi alla lettera. Inoltre lo stile poetico dei profeti della Bibbia, la base più importante del giudaismo spiritualizzato e denazionalizzato, non è immune da uno sfruttamento ultra-nazionalistico ma è anzi una fonte suprema dell’entusiasmo sionista. La terminologia nazionalista di questi scritti si presta facilmente alle aspirazioni nazionaliste del sionismo.

   Depoliticizzare le scritture quando si arriva a mettere in relazione il materiale biblico con Israele come entità politica si è rivelato un compito molto difficile. Nel corso di una conferenza che si è svolta a Filadelfia nel 1869, molto prima della nascita del movimento sionista, i rabbini statunitensi riformisti decisero di imboccare coraggiosamente la strada verso la spiritualizzazione del patto. Dichiararono che «lo scopo messianico di Israele non è la restaurazione del vecchio Stato ebraico sotto un discendente di David»10. Nel 1885 dichiararono di nuovo: «Non ci consideriamo più una nazione, ma una comunità religiosa e, quindi, non aspiriamo a tornare in Palestina»11.

   Se, da un lato, questo atteggiamento prevale ancora tra numerosi ebrei, il giudaismo americano riformista ha iniziato a recedere da esso per indirizzarsi verso una lettura più fondamentalista della Bibbia. Nel 1937, quando il sionismo stava sfruttando in suo favore la situazione critica degli ebrei nella Germania nazista, i rabbini americani riformisti modificarono radicalmente la loro posizione riguardo alla separazione tra l’Israele politico e quello religioso: «Affermiamo che tutti gli ebrei hanno il dovere di aiutare [...] la costruzione di una patria ebraica in Palestina»12. Un rabbino riformista che non condivideva la tesi di Ben-Gurion, secondo la quale un buon ebreo doveva vivere esclusivamente in Israele e quindi riteneva di non essere sionista, a seguito degli eventi della guerra arabo-israeliana del 1967 dichiarò: «Il destino del popolo di Israele è tornato a essere, come lo era ai tempi della Bibbia, una questione di teologia politica»13. Negli stessi termini di teologia politica si espresse nella successiva descrizione della guerra che si era appena conclusa:
   Quel lunedì pomeriggio, quando iniziò la guerra e non si sapeva cosa stesse accadendo, si diffuse nel mondo ebraico un’ansia cupa. Il problema non era militare — chi avrebbe vinto — ma teologico. Dio avrebbe di nuovo abbandonato il popolo di Israele permettendo ai nemici arabi di massacrarlo? [...] Sotto giudizio non era soltanto l’esercito, ma lo stesso Dio14.
   L’atteggiamento ambivalente degli ebrei non israeliani deriva da questo intrecciarsi, nella Bibbia, di aspetti politici e spirituali nella concettualizzazione di Israele. Secondo questo punto di vista Israele come Stato ha una rilevanza religiosa per tutti gli ebrei, a prescindere dal loro luogo di nascita o di residenza. Il Rabbino prosegue:
   Sicuramente, nessuno di noi [ebrei e israeliani], si era reso conto quanto fossimo ancora profondamente radicati nella tradizione ebraica , fintanto che non ci ritrovammo di nuovo davanti al Muro Occidentale del Tempio a Gerusalemme [il Muro del Pianto N.d.T.]. Ironia delle ironie, proprio questo simbolo così arcaico rivela, più di ogni altra cosa, agli agnostici e ai liberali, ai laici e ai non osservanti, chi è il popolo di Israele15.
   Biblicismo e arcaismo sono i tratti distintivi dell’insediamento ebraico in Palestina, nonostante gli aspetti moderni della società israeliana, della sua industria e del suo apparato militare. Per spiegare e giustificare l’esistenza di Israele, tutti i segmenti della società israeliana e numerosi ebrei non israeliani, sono tornati a ispirarsi al biblicismo. Il pensiero ebraico e israeliano più estremo può addirittura essere definito atavico nel suo richiamo alla restaurazione del Tempio, all’applicazione integrale della legge mosaica, sacrificio incluso, e al ripristino del sacerdozio di Aaronne. I liberali, mossi da considerazioni umanitarie, riconoscono che gli abitanti indigeni della Palestina possono avere dei diritti. Pur riconoscendoli, non rinunciano tuttavia alla fondamentale convinzione dei diritti storici esclusivi degli ebrei alla «Terra di Israele», come indicato dalla Bibbia.
   Aire Eliav, considerato un «sionista liberale», perché si pronuncia in favore dei diritti degli arabi in Israele, rimane anche lui fedele alla biblica definizione territoriale dello Stato ebraico:
   Affermando [che anche gli arabi hanno dei diritti], non nego e non riduco di un briciolo il pieno diritto storico degli ebrei al possesso della Terra indivisa di Israele – ovvero della Terra delle Dodici Tribù di Israele16.
   La totale indifferenza per i diritti umani altrui quando si tratta del possesso della «terra santa» è evidente nelle affermazioni di Ben Gurion sull’argomento. Con un chiaro riferimento alla Bibbia il leader sionista fa una distinzione tra i diritti umani in generale e il caso specifico del sionismo nel rivendicare la Palestina: «Il diritto alla Palestina non appartiene, come accade in altri paesi, a coloro che vi risiedono, siano essi arabi o ebrei. Il nodo del problema è il Diritto al Ritorno degli ebrei della Diaspora»17.

   La distinzione tra Israele e il resto del mondo, tra i diritti di Israele e i diritti legali in generale, è sostenuta dalla fede nella supremazia della Bibbia sul pensiero umano e dai concetti sovra-razionali di «Popolo eletto» e di «Terra promessa». La Promessa, la Elezione, il Patto sono sacri e quindi producono un «diritto storico» sacro. La giustizia e i diritti umani convenzionali appartengono unicamente al regno del profano. La conquista di Canaan da parte di Mosé e di Giosué, il tentativo di Esdra e di Neemia di instaurare uno Stato ebraico all’interno dell’Impero Persiano e l’attuale colonizzazione sionista della Palestina fanno parte della medesima categoria di azioni sovra-razionali sacralizzate che trascendono le normali considerazioni di ordine giuridico e morale. I sionisti possono essere o non essere ebrei praticanti, ma un atteggiamento biblico nei confronti dello Stato, delle terre e delle popolazioni che devono o non devono viverci permea sempre e comunque i loro pensieri e le loro azioni.

   Raccontando, nel suo libro, la storia del «suo popolo», Abba Eban, un sionista moderno e «moderato», lungi dallo scusarsi per la conquista di Canaan narrata dalla Bibbia, così scrive:
   La Bibbia non descrive l’entrata degli israeliti in Canaan come la conquista da parte di un popolo straniero. L’evento è descritto come il progressivo ritorno di una tribù che abitava, in un passato lontano ma indimenticabile, quella terra. Le persone che stavano ritornando non avevano mai visto la Terra Promessa, ma l’avevano sognata per generazioni. Il ricordo di questa patria era sempre vivo nelle loro memorie come luogo in cui potevano realizzare la loro missione divina18.
   Sebbene questa descrizione si riferisca ad un evento biblico occorso più di tremila anni fa, Abba Eban sta indubbiamente tracciando un parallelo con la storia del moderno Stato d’Israele. Il mito viene legittimato come base dei diritti storici e giuridici degli ebrei europei sulla Palestina. L’autore afferma chiaramente che l’occupazione sionista della Palestina da parte di Israele non è una conquista da parte di alieni. Egli allude al lontano ma indimenticabile passato, al ritorno, alla patria viva nella memoria e infine alla missione divina che doveva essere compiuta.


2. La Terra Santa


   Sulla questione del possesso della terra, i testi biblici sono molto chiari. L’elemento territoriale del sionismo è l’aspetto meno ambiguo di tutte le problematiche relative al nazionalismo ebraico. Se la questione della «cittadinanza», chi è ebreo?, si presta a una serie di complesse interpretazioni bibliche e il problema di come trattare la popolazione indigena può essere oggetto di qualche considerazione morale, il diritto al possesso della terra è così profondamente radicato da essere difficilmente contestabile.

   Anche se nella Bibbia vengano riportate diverse definizioni dei confini della Terra Promessa, la localizzazione di Eretz Israel è chiara e costante. Che si estenda «da Dan a Beersheba» o «dal deserto al mare»19 o, più spesso, dal «Nilo all’Eufrate»20, Gerusalemme rimane sempre il centro attorno al quale questi cerchi di varie dimensioni vengono tracciati.

   Nella Bibbia la questione della territorialità va al di là di qualsiasi considerazione politica, economica e strategica. Diventa un imperativo teologico. Le affermazioni di Abba Eban, citate in precedenza, rivelano la base romantico-religiosa della conquista della Palestina, considerata l’unico luogo in cui la missione divina di Israele può trovare il suo compimento.

   Sotto l’influenza della Bibbia Gerusalemme ha acquisito una importanza che va ben oltre la sua realtà. Niente può eguagliare il livello di attaccamento mistico e romantico degli ebrei della «Diaspora» a questo angolo di terra. Il sionismo politico non ha avuto alternative a Gerusalemme e alla Palestina; nessun altro luogo ha mai avuto la minima chance di essere accettato in modo duraturo.
   Il ritorno alla terra diventa, nella Bibbia, la massima espressione della misericordia di Dio verso gli ebrei e l’annuncio dell’arrivo dell’Età dell’Oro:
   Quando tutte queste cose che io ti ho poste dinanzi, la benedizione e la maledizione, si saranno realizzate su di te e tu le richiamerai alla tua mente in mezzo a tutte le nazioni dove il Signore, tuo Dio, ti avrà disperso, se ti convertirai al Signore, tuo Dio, e obbedirai alla sua voce, tu e i tuoi figli, con tutto il cuore e con tutta l'anima, secondo quanto oggi ti comando, allora il Signore, tuo Dio, cambierà la tua sorte, avrà pietà di te e ti raccoglierà di nuovo da tutti i popoli in mezzo ai quali il Signore, tuo Dio, ti aveva disperso [Deutoronomio 30: 1-3].
   Un famoso detto rabbinico sostiene: «Dio non entrerà nella Gerusalemme celeste prima che Israele non sia entrata nella Gerusalemme terrestre»21. Senza la terra, il patto non avrebbe una sua base terrestre e una parte importante della Torah e dei Profeti non avrebbero più alcun significato. Il rabbino Wolfe Kelman, coordinatore dell’Associazione Internazionale dei Rabbini Conservatori, in un commento a un documento del Vaticano sul giudaismo, espresse un apprezzamento particolare per due affermazioni. La prima riguarda il riconoscimento della realtà dello Stato d’Israele e la seconda sottolinea che la fedeltà del popolo ebraico al Vecchio Patto stretto tra Dio e il popolo di Israele è legata al dono della terra che, nell’anima ebraica, rimane la massima aspirazione che i Cristiani devono cercare di comprendere e di rispettare22. In questa ottica, l’insediamento ebraico in Palestina diventa un atto di devozione, di giustizia, l’adempimento di un dovere religioso che in quanto tali trascendono considerazioni giuridiche e umanitarie. Nel 1968 l’allora Rabbino Capo d’Israele, Nissim, rilasciò la seguente dichiarazione:
   La Terra d’Israele e i suoi confini sono stati stabiliti per noi dalla Divina Provvidenza. Così deve essere, dice il Signore Onnipotente, e così è; nessuna potenza terrena può modificare ciò che è stato creato da Lui. Non è una questione di legge o di logica; né un argomento che possa essere affrontato con criteri umani23.
   Secondo la Bibbia, la promessa della terra a Israele è un atto di Dio inappellabile, non soggetto per l’eternità ad abrogazione. Neppure i peccati più gravi commessi dal popolo d’Israele possono invalidare questo diritto.
   No, tu non entri in possesso della loro terra a causa della tua giustizia, né a causa della rettitudine del tuo cuore; ma il Signore, tuo Dio, scaccia quelle nazioni davanti a te per la loro malvagità e per mantenere la parola che il Signore ha giurato ai tuoi padri, ad Abramo, a Isacco e a Giacobbe. Sappi dunque che non a causa della tua giustizia il Signore, tuo Dio, ti dà il possesso di questa buona terra; anzi, tu sei un popolo di dura cervice [Deutoronomio 9:5,6].
   La presunta immoralità dei cananei, gli abitanti originari della Palestina, li escludeva dal possesso della loro terra.
   Un altro testo biblico assegna la proprietà della Palestina a Yahweh , che ne vieta la vendita agli «stranieri»:
   Le terre non si potranno vendere per sempre, perché la terra è mia e voi siete presso di me come forestieri e ospiti. [Levitico 25:23]24.
   Questo testo è la base del mandato del Fondo Nazionale Ebraico che consiste nell’acquistare, sviluppare e insediarsi nei terreni per renderli — mediante clausole restrittive che ne impediscano agli arabi l’affitto o l’acquisto — «proprietà inalienabile del popolo ebraico»25. Da quel momento la politica sionista è consistita nell’acquisto delle terre palestinesi e nel divieto della loro rivendita. Come ha affermato Ben Gurion nel 1937: «Nessun sionista può rinunciare alla minima porzione della Terra di Israele»26.

   La politica condotta da Israele nei territori arabi occupati nel 1967 riflette questa visione. Essa rispetta scrupolosamente la vecchia ingiunzione biblica di non disperdere la proprietà delle terre situate all’interno della «Terra Promessa» e di non ritirarsi da alcun territorio conquistato con le armi all’interno dei confini di Eretz Israel, in conformità con un ordine diretto di Yahweh: «Ogni luogo su cui si poserà la pianta dei vostri piedi, ve l'ho assegnato, come ho promesso a Mosè» [Giosuè 1: 3].

   Alla luce di quanto appena esposto, si può meglio comprendere la ragione per la quale Israele rifiuta categoricamente di ritirarsi da Gerusalemme ed è così intransigente riguardo alla Cisgiordania e alle Alture del Golan, entrambe si trovano infatti all’interno dei confini biblici della Terra Promessa; potrebbe invece, sebbene con riluttanza, ritirarsi parzialmente — oppure totalmente se costretto — dal Sinai, che non fa invece chiaramente parte delle terre che Dio promise agli ebrei. La grande resistenza che — persino dopo la guerra dello Yom Kippur e gli accordi di disimpegno tra Israele, Egitto e Siria — il governo di Israele oppone a qualsiasi pressione finalizzata al ritiro dai territori arabi occupati non può certo essere spiegata unicamente con ragioni strategiche e di sicurezza27.

   La Bibbia fornisce diverse versioni sull’estensione geografica della Terra Promessa, la più concisa e meno estensiva è «da Dan a Beersheba». Questa superficie corrisponde all’incirca all’estensione della Palestina ritagliata dalla Siria sotto il Mandato Britannico. Inoltre, questa definizione della terra esiste solamente nei libri storici della Bibbia e non è mai indicata come un obiettivo per la grande Israele descritta dal Patto nella Torah. «Da Dan a Beersheba» è piuttosto una concreta descrizione dell’estensione del territorio degli insediamenti delle Tribù di Israele al tempo dei Giudici [Vedi: Giudici 20: 1; 2 Samuele 3: 10; 17: 11; 24:2; 1 kings 4: 25; 1 Cronache 21: 2; 2 Cronache 30: 5]28.

   Il Deuteronomio ha per Israele ambizioni molto più grandiose. Secondo la Torah, Yahweh impartisce agli israeliti ordini diretti riguardo alle terre da occupare: Il Signore, nostro Dio, ci ha parlato sull'Oreb e ci ha detto: «Avete dimorato abbastanza su questa montagna; voltatevi, levate l'accampamento e dirigetevi verso le montagne degli Amorrei e verso tutte le regioni vicine: l'Araba, le montagne, la Sefela, il Negheb, la costa del mare - che è la terra dei cananei e del Libano - fino al grande fiume, il fiume Eufrate.
   Ecco, io ho posto davanti a voi la terra. Entrate e prendete possesso della terra che il Signore aveva giurato ai vostri padri, ad Abramo, a Isacco e a Giacobbe, di dar loro e alla loro stirpe dopo di loro» [Deuteronomio 1:6-8].    
   Ogni luogo che la pianta del vostro piede calcherà, sarà vostro: i vostri confini si estenderanno dal deserto al Libano, dal fiume, il fiume Eufrate, al mare occidentale [Deuteronomio 11: 24].
   Secondo i Libri biblici di Samuele, dei Re e delle Cronache, i piani per una Grande Israele, preconizzati dal Deuteronomio, si avvicinarono molto alla loro realizzazione durante i Regni di Davide e di Salomone. Il nazionalismo ebraico estremo considera che, per Israele come entità politica, i Regni di Davide e di Salomone rappresentano una vera e propria età dell’oro. Lo stesso vale per Esdra e Neemia — vissuti attorno al V e al VI secolo a. C. — ai quali si sono ispirati svariati progetti sionisti del 20° secolo.

   Herzl basò la sua idea dell’estensione geografica dello Stato ebraico sul mito biblico del Regno di Davide. L’esatta definizione biblica dei confini del futuro Stato gli fu suggerita da un sionista cristiano: il reverendo Hechler, pastore anglicano fondamentalista e cappellano presso l’Ambasciata inglese di Vienna. Nei suoi diari29 Herzl scrive:
   Nello scompartimento del treno Hechler dispiegò la mappa della Palestina e mi diede istruzioni precise sulle sue frontiere: a Nord le montagne che dominano la Cappadocia , a Sud il Canale di Suez, a Est l’Eufrate. Il nostro slogan sarà: «La Palestina di Davide e Salomone».
   Questa lettura liberale del testo biblico illustra chiaramente fino a che punto l’espansionismo sionista sia capace di usare materiale biblico per avanzare pretese. In questo senso la Bibbia può addirittura giustificare le ambizioni di rivendicazione su tutta la Siria da parte di uno Stato d’Israele militarmente potente.

   Un recente best-seller israeliano Eretz Gedolah L’Am Gadol, [Un grande paese per un grande popolo], scritto dal leader laburista Zvi Shiloach, descrive le aspirazioni di espansione e dominazione territoriale dello Stato d’Israele che rispecchiano fedelmente gli antichi piani geopolitici contenuti nella Bibbia:
   Un nuovo Patto di Alleanza tra la nazione e la Terra d’Israele può riaccendere l’entusiasmo e lo spirito di sacrificio e diventare nuova fonte di ispirazione per gli alti ideali del Sionismo [...] il Sionismo ha sempre creduto nella formazione di una grande nazione ebraica in un grande paese ebraico [...] Oggi lo Stato ebraico è considerato una piccola nazione di cui soltanto una parte si trova nella nostra patria. Ma chi dice che gli ebrei dovranno per sempre essere una nazione piccola e povera [...] In realtà la nazione ebraica è una delle più grandi nazioni del mondo [...]. Quando a Baghdad verrà firmato un vero e proprio trattato di pace l’idea di una nuova Nazione Araba Unita cesserà d’esistere [...]. L’Egitto diventerà veramente, e in senso stretto, una nazione africana e lo Stato ebraico con il ritorno in patria vivrà un grande sviluppo, non solo proprio, ma incrementerà anche lo sviluppo della nazione araba settentrionale e favorirà gli interessi del Medio Oriente30.
   Se non fosse per gli antecedenti biblici a cui fanno riferimento, questi discorsi potrebbero essere considerati come semplice propaganda sciovinista. Il patto tra il popolo e la terra è vicino al biblicismo letterale. Le ambizioni territoriali di questo testo coincidono con la formula biblica «Dall’Eufrate al Nilo» e riprendono lo slogan di Hechler e Herzl. Il desiderato accordo di pace non verrebbe firmato a Damasco che si trova all’interno, ma a Baghdad che si trova all’esterno delle rivendicazioni territoriali della Grande Israele.


3.  La Maledizione di Canaan


   Nel suo confronto tra la politica razziale sionista e quella sudafricana, Erskine Childers cita Patrick Keatley: «Non si può fare a meno di pensare [...] che i rodesiani bianchi abbiano un desiderio inespresso: [...] quello che gli africani spariscano»31.
   Childers sottointende che i sionisti abbiano lo stesso «tacito» desiderio di vedere sparire tutti i palestinesi. Come dimostrano le testimonianze bibliche sull’argomento, la stessa cosa non si può dire degli israeliti che si stabilirono in Canaan. I testi biblici descrivono tale desiderio in modo estremamente esplicito, migliaia di parole esprimono il sogno di vedere sparire i cananei e migliaia di parole invitano al loro totale annientamento.

   Nella Bibbia, l’ira e la collera di Dio si manifestano prevalentemente nei confronti degli abitanti originari della «Terra Promessa» — siano essi cananei, gebusei, ittiti o altri popoli che vi dimoravano — e non contro coloro che catturarono, schiavizzarono ed esiliarono gli israeliti. La Bibbia infatti afferma che l’esistenza dei cananei rappresenta non soltanto una minaccia per la struttura politica del «Popolo eletto», ma che la loro continua presenza può addirittura compromettere il carattere culturale e religioso degli israeliti32.

   I. F. Stone sottolinea l’influenza determinante delle affermazioni bibliche citate sulle drammatiche condizioni dei profughi palestinesi. Al termine della guerra del 1967 così commentò il conflitto:
   La loro unica guida è ancora la Bibbia. In nessun altro luogo troviamo una analoga furia etnocentrica. Che io sappia, nella Bibbia non troviamo una sola parola di compassione per i cananei che gli ebrei hanno massacrato nel prendere possesso delle loro terre33.

   Il piano biblico per la «soluzione finale della questione cananea» consiste nel loro totale annientamento. Ove ciò non sia possibile, gli israeliti vengono incitati a boicottare totalmente la struttura economica, sociale e culturale dei cananei e ad attaccare e distruggere le loro istituzioni civili, culturali e religiose. L’esempio della conquista di Gerico — descritta nel libro di Giosuè — ci rivela come infliggere crudeltà sia stata l’unica politica raccomandata nei confronti delle città cananee conquistate: «Tutto appartiene al Signore, nessuno deve essere risparmiato». Gli israeliti distrussero quindi ogni cosa nella città, passando a fil di spada, uomini, donne, fanciulli e vecchi, e anche buoi, pecore e asini [Giosuè 6: 17, 18, 21]. La Torah e i libri storici contengono moltissimi esempi di questa crudeltà, troppo numerosi per essere qui elencati.

   Nel caso in cui la distruzione totale non sia possibile è un dovere religioso passare al boicottaggio totale. Gli ordini che Giosuè impartisce ai leader d’Israele sono espliciti:
   Abbiate gran cura, per la vostra vita, di amare il Signore, vostro Dio. Perché, se vi volgete indietro e vi unite al resto di queste nazioni che sono rimaste fra voi e vi imparentate con loro e vi mescolate con esse ed esse con voi, sappiate bene che il Signore, vostro Dio, non scaccerà più queste nazioni dinanzi a voi. Esse diventeranno per voi una rete e una trappola, flagello ai vostri fianchi e spine nei vostri occhi, finché non sarete spazzati via da questo terreno buono, che il Signore, vostro Dio, vi ha dato [Giosué 23: 11-13].
   Questo testo non lascia dubbi sull’origine religiosa della violenza inferta ai cananei. L’amore per il Signore e l’odio per i cananei sono strettamente collegati. Una interpretazione restrittiva dei passi biblici citati rende il pregiudizio razziale un vero a proprio articolo di fede.

   Le origini di questa politica si trovano nella Torah, negli ordini impartiti direttamente da Yahweh attraverso Mosè. Questa politica si basa sulla logica secondo la quale l’adorazione dell’unico vero Dio non consente l’esercizio di qualsiasi altra forma di fede capace di contaminarla: la «razza sacra» in «terra santa» deve essere libera dagli «abomini dei cananei». Agli israeliti, pronti a entrare nella Terra Promessa, Mosè da le sue istruzioni:
   ...e avrete cacciato dinanzi a voi tutti gli abitanti della terra, distruggerete tutte le loro immagini, distruggerete tutte le loro statue di metallo fuso e devasterete tutte le loro alture. Prenderete possesso della terra e in essa vi stabilirete, poiché io vi ho dato la terra perché la possediate [Numeri 33: 52, 53].
Ma è nel Deuteronomio che troviamo gli ordini più estremi e che incitano maggiormente al genocidio. Mosè istruisce il suo popolo:
   Quando il Signore, tuo Dio, ti avrà introdotto nella terra in cui stai per entrare per prenderne possesso e avrà scacciato davanti a te molte nazioni: gli Ittiti, i Gergesei, gli Amorrei, i Cananei, i Perizziti, gli Evei e i Gebusei, sette nazioni più grandi e più potenti di te, quando il Signore, tuo Dio, le avrà messe in tuo potere e tu le avrai sconfitte, tu le voterai allo sterminio. Con esse non stringerai alcuna alleanza e nei loro confronti non avrai pietà. Non costituirai legami di parentela con loro, non darai le tue figlie ai loro figli e non prenderai le loro figlie per i tuoi figli, perché allontanerebbero la tua discendenza dal seguire me, per farli servire a dèi stranieri, e l'ira del Signore si accenderebbe contro di voi e ben presto vi distruggerebbe. Ma con loro vi comporterete in questo modo: demolirete i loro altari, spezzerete le loro stele, taglierete i loro pali sacri, brucerete i loro idoli nel fuoco. Tu infatti sei un popolo consacrato al Signore, tuo Dio: il Signore, tuo Dio, ti ha scelto per essere il suo popolo particolare fra tutti i popoli che sono sulla terra [Deutoronomio 7:1-6 ].
   Le leggi del moderno Stato d’Israele che vietano, ad esempio, il matrimonio tra ebrei e non ebrei si rifanno alle parole pronunciate da Mosè. La segregazione e la discriminazione subite dagli arabi in Israele sul piano sociale, politico ed economico dimostrano la continuità dello spirito dell’esclusivismo biblico34.

   Le leggi di guerra elencate nel Deuteronomio sono tra le più brutali e disumane della Storia. Si suddividono in due categorie: il trattamento delle città conquistate al di fuori dei confini della «Terra Promessa» e al suo interno. Le prime sono caratterizzate da estrema crudeltà, le seconde da totale e implacabile distruttività [Deuteronomio 20]:
   Soltanto nelle città di questi popoli che il Signore, tuo Dio, ti dà in eredità, non lascerai in vita alcun vivente, ma li voterai allo sterminio: cioè gli Ittiti, gli Amorrei, i Cananei, i Perizziti, gli Evei e i Gebusei, come il Signore, tuo Dio, ti ha comandato di fare, perché essi non v'insegnino a commettere tutti gli abomini che fanno per i loro dèi e voi non pecchiate contro il Signore, vostro Dio [Deuteronomio 20: 16-18].
   Il fatto che la terra sia stata coltivata ed edificata dai cananei non incide in alcun modo sulla rivendicazione ebraica al suo possesso esclusivo35. Ne rappresenta, al contrario, il maggiore incentivo, come emerge chiaramente da questo ulteriore passo del Deuteronomio:
   Quando il Signore, tuo Dio, ti avrà fatto entrare nella terra che ai tuoi padri Abramo, Isacco e Giacobbe aveva giurato di darti, con città grandi e belle che tu non hai edificato, case piene di ogni bene che tu non hai riempito, cisterne scavate ma non da te, vigne e oliveti che tu non hai piantato, quando avrai mangiato e ti sarai saziato [...] [Deuteronomio 6:10,11].
   Secondo un rapporto sulle proprietà arabe della Palestine Conciliation Commission delle Nazioni Unite (UNCCP), nel 1953 più dell’80% della superficie totale di Israele e più di due terzi della sua terra coltivabile appartenevano ai palestinesi ai quali venne impedito con la forza di tornare alle loro case. Sempre secondo il rapporto citato, un terzo della popolazione ebraica d’Israele viveva nelle proprietà di arabi palestinesi assenti. Quasi tutti gli uliveti, metà degli agrumeti, decine di migliaia di negozi, di attività commerciali, di grandi magazzini appartenevano a rifugiati arabi palestinesi assenti36.


Conclusione


   Questa lettura selettiva della Bibbia ebraica si è concentrata sugli estremi dell’etnocentrismo e dell’anti-goyismo. Nonostante provengano da un lontano passato, queste caratteristiche registrate nei testi portano a una straordinaria corrispondenza con una parte significativa della filosofia, delle politiche e del carattere del sionismo moderno.

   Nella promozione e nell’esecuzione dei piani per costituire il «Terzo Commonwealth Ebraico», il sionismo si è consapevolmente posto nella tradizione biblica del Deuteronomio, di Ezra e di Neemia. Si è unilateralmente arrogato il diritto assoluto al possesso della Palestina senza tenere conto né del titolo storico di proprietà della terra da parte dei palestinesi, né del diritto internazionale sul quale questo titolo si basa, né dei principi fondamentali del diritto umanitario che avrebbero impedito l’esilio della nazione palestinese a opera di Israele. In pratica, il sionismo si è appropriato delle maledizioni e delle benedizioni bibliche, laddove le benedizioni sono riservate esclusivamente alla «razza sacra», al «popolo eletto», mentre le maledizioni marchieranno per l’eternità i goy autoctoni, siano essi chiamati cananei o palestinesi.

   H.S. Haddad è stato Professore di Storia e Rettore del Dipartimento di Storia e di Scienze Politiche al College St. Xavier, C hicago, Illinois. Le sue pubblicazioni comprendono articoli in inglese e in arabo sulla storia delle religioni nel Vicino Oriente.


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Note

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1. Questo articolo è la traduzione di H. S. Haddad, The Biblical Bases of Zionist Colonialism, «Journal of Palestine Studies», 1974, vol. 3, No. 4.
2. M. Hess: Rome and Jerusalem: a Study in Jewish Nationalism, New York, Bloch Publishing Company, 1943 [Il risveglio di Israele. Roma e Gerusalemme, l'ultima questione nazionale, Guida 2002].
3. D. Ben-Gurion, The Rebirth and Destiny of Israel, New York, Philosophical Library 1954, p. 100.
4. N. Bentwich, Judaism and Israel, in A. J. Arberry, ed., Religion in the Middle East, Cambridge, Cambridge University Press 1969, vol. 1, p. 84.
5. A. Eban, My People, The Story of the Jews, New York, Random House 1968 [Storia dello stato d'Israele, Mondadori 1974].
6. N. Bentwich, op. cit., p. 76.
7. W. G. Oxtoby, Christians and the Mideast Crisis, «Christian Century», July 26, 1967, pp. 961 ss.
8. Tutte le citazioni della Bibbia sono tratte da http://www.bibbia.net/ [N.d.T.].
9. Discorso tenuto da Ben-Gurion al Terzo Congressso Mondiale per lo Studio dell’Ebraismo, Gerusalemme, 25 luglio 1961. Ben-Gurion Looks at The Bible, New York, Jonathan David 1972, p. 111.
10. The Philadelphia Conference, 1869. Testo integrale in Yearbook of the Central Conference of American Rabbis, vol. I 1891 pp. 117 ss.
11. Ibid. pp. 120 ss.
12. Testo integrale in Yearbook of the Central Conference of American Rabbis, vol. XLVII, 1937, pp. 97 ss.
13. Rabbi E. B. Borowitz, Hope Jewish and Hope Secular, in The Future as the Presence of Shared Hope: a cura di M. Muckenhirn, New York, Sheed and Ward 1968, p. 107. Il Rabbino Borowitz ha presentato la sua relazione nel corso di una conferenza religiosa tenutasi al St. Xavier College di Chicago nel giugno 1967, subito dopo la fine della guerra arabo-israeliana.
14. Ibid.
15. Ibid, p. 109.
16.  A. Eliav, The Promised Land. La sintesi del libro è pubblicata in «Foreign Policy», 10, April 1973, pp. 62-72.
17. D. Ben-Gurion, op. cit., p. 38.
18. A. Eban, op. cit., p.17.
19. Giudici 20:1; 2 Samuele 3:10; 1 Re 4:25; 2 Cronache 30:5.
20. Esempi: Genesi 15:18; Deuteronomio 1:7; Numeri 34:1-16, ecc.
21. La grande importanza teologica e politica che la tradizionale saggezza ebraica ha da sempre attribuito a Gerusalemme è ben documentata negli scritti rabbinici. Rabbi Yohanan disse: «Il Santo, benedetto sia, disse: Io non entrerò nella Gerusalemme celeste prima che io entri nella Gerusalemme terrestre », Taanit 5a.
http://www.e-brei.net/index.php?mact=CGBlog,cntnt01,detail,0&cntnt01articleid=444&cntnt01returnid=15
Una affermazione simile si trova nello Zohar [Zohar III, 15b]. Dal Talmud emerge l’aspettativa di una futura Gerusalemme, spiritualmente e politicamente, grande e potente. Gerusalemme è, di per se, simbolo della restaurazione e della realizzazione di sogni di grandezza: «In futuro, i cancelli di Gerusalemme giungeranno sino a Damasco», Sifre Debarim, 1. Un’altra affermazione si spinge all’estremo: «In futuro, Gerusalemme diventerà la capitale del mondo», Shemot Rabbah, 23,10. Troviamo a riguardo maggiori dettagli nella seguente previsione: «In futuro, Gerusalemme si estenderà sull’intera Eretz Yisrael ed Eretz Yisrael si estenderà su tutto il mondo», Yalkut a Isaia, sec. 503. Per ulteriori indicazioni talmudiche o materiale mitico su Gerusalemme si vedano: The Talmudic Anthology a cura di L. I. Newman, New York, Behrman House, 1945 e L. Ginzberg The Legends of the Jews, Philadelphia, Jewish Publication Society of America 1910-1939), passim.
22. «Christian Century», January 24, 1970, p. 39.
23. Citato nel quotidiano israeliano «Hayom», June 7, 1968.
24. Leviticus 25:23.
25. A. Granott, Agrarian Reform and the Record of Israel, London, Eyre and Spottiswoode 1956, p. 27. Si veda: Constitution of the Jewish Agency, articolo 3d, ibid., p. 53.
26. D. Ben-Gurion, discorso tenuto al 20° Congresso Sionista, Zurigo, 15 agosto, 1937.
27. Si vedano, ad esempio, le argomentazioni di un esperto militare israeliano, Matityahu Peled, citate nel «Journal of Palestine Studies», III, 3, Spring,1974, pp. 179-181.
28. Si vedano le carte geografiche e i testi di The Land That Remains in Macmillan Bible Atlas di A. and A. Yonah, New York, McMillan 1970, p.69.
29. T. Herzl, The Diaries of Theodore Herzl, New York, Dial Press 1956, p. 124.
30. Testo citato in una lettera da M. Menuhin, in «Middle East Perspectives», August 1973, p. 6.
31. E. Childers, The Worldless Wish: From Citizens to Refugees, in The Transformation of Palestine, a cura di I. Abu-Lughod, Evanston, Northwestern University Press 1971, p. 165.
32. Ezra 9:1-2. I libri di Ezra e Neemia sono consacrati al tema della aliyah e della purezza della razza.
33. I. F. Stone, Holy War, «New York Review of Books», August 3, 1967.
34. Si veda, ad esempio, S. Jiryis, The Arabs in Israel, Beirut, Institute for Palestine Studies 1968, passim.
35. L’atteggiamento di assoluta intransigenza nei confronti dei cananei trova la sua origine in un episodio narrato nella Genesi. A causa di un peccato commesso da suo padre Cam, Canaan, il padre dei cananei, fu maledetto, insieme alla sue progenie, da suo nonno Noè. Secondo la Bibbia, infatti: Noè, ch’era agricoltore, cominciò a piantar la vigna; e bevve del vino e s’inebriò e si scoperse in mezzo alla sua tenda. E Cam, padre di Canaan, vide la nudità del padre suo, e andò a dirlo fuori, ai suoi fratelli. Ma Sem e Jafet presero il suo mantello, se lo misero assieme sulle spalle, e camminando all’indietro, coprirono la nudità del loro padre; e siccome avevano la faccia vòlta alla parte opposta, non videro la nudità del loro padre. E quando Noè si svegliò dalla sua ebbrezza, seppe quello che gli aveva fatto il suo figliuolo minore; e disse: “Maledetto sia Canaan! Sia servo dei servi de’ suoi fratelli!” E disse ancora: “Benedetto sia l’Eterno, l’Iddio di Sem, e sia Canaan suo servo! Iddio estenda Jafet, ed abiti egli nelle tende di Sem, e sia Canaan suo servo!” (Genesi 9:20-27). L’episodio biblico preparò il terreno per la conquista della terra di Canaan a opera dei discendenti di Sem, gli israeliti. Cam, colui che peccò, non sarebbe però stato maledetto, secondo una interpretazione rabbinica, perché aveva già ricevuto la benedizione che Dio aveva concesso sulla famiglia di Noè.
36. Assemblea Generale dell’ONU, Progress Report of the United Nations Conciliation Commission for Palestine. Per un’analisi completa del processo di alienazione della terra si veda J. Ruedy, Dynamics of Land Alienation in The Transformation of Palestine, pp.119-163. Per il dibattito sulla Relazione della UNCCP vedasi pag. 135.

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