Ebrei italiani, fascismo e sionismo
1. GLI EBREI IN ITALIA DALLE ORIGINI AL RISORGIMENTO
2. INTEGRAZIONE DEGLI EBREI NELL'IMPERIALISMO ITALIANO (1870 – 1918)
3. NASCITA DEL SIONISMO ITALIANO
4. EBREI E SIONISTI NELL'ITALIA DI MUSSOLINI (1918 – 1938)- Rapporti tra ebrei italiani e fascismo
- Rapporti tra sionisti italiani (maggioranza WZO) e fascismo
- Rapporti tra sionisti italiani (corrente revisionista) e fascismo
- Etiopia 19355. LA PERSECUZIONE DEGLI EBREI ITALIANI (1938 - 45)- Le Leggi Razziali del 1938
- La Shoah in Italia
- La Resistenza ebraica in Italia
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GLI EBREI IN ITALIA DALLE ORIGINI AL RISORGIMENTO
I primi ebrei arrivarono in Italia, a Roma, nel II secolo a.C., grazie agli intensi scambi commerciali nel bacino del Mediterraneo. Già nel I secolo d.C. la comunità ebraica romana era fiorente e stabile. Nel medioevo si formarono comunità significative nel meridione, per esempio a Bari e Otranto.
Verso la fine del XV secolo gli Ebrei in Italia erano complessivamente 70.000 su una popolazione totale di circa 8-10 milioni di persone, divisi in una cinquantina di comunità. La maggioranza, circa 25.000, vivevano in Sicilia.
Con il Decreto dell'Alhambra del 1492 la Spagna cattolica, nella quale lo stato nazionale tendeva a consolidarsi accentrando il capitale, ordinò la conversione obbligatoria o l'espulsione di tutti gli ebrei, e molti di essi si trasferirono nel Nord Africa o in Italia. Dopo l'espulsione degli ebrei dal Regno di Napoli nel 1533, il centro di gravità dell'ebraismo italiano si spostò al nord. Ma nel corso del XVI secolo molti scelsero di lasciare l'Italia e di emigrare in Polonia e Lituania, dove la comunità era più numerosa.
Nel 1516 la Repubblica di Venezia confinò gli ebrei sull'isola che fungeva da fonderia pubblica, ove il metallo veniva raffinato (ghettato) con la ghetta, il diossido di piombo. Nacque così il primo “ghetto” della Storia. Gli ebrei avevano l'obbligo di rientrare la sera, e le porte dell'isola venivano chiuse la notte.
Nel 1637 il rabbino di Venezia vide pubblicata a Parigi la propria Historia de riti Hebraici la prima opera intesa a spiegare l'ebraismo ai non ebrei e a combattere i pregiudizi antisemiti del tempo. Destinata per un pubblico protestante anglosassone, l'opera anticipò il dibattito sulla riammissione degli ebrei in Inghilterra, sancita dalla rivoluzione di Cromwell nel 1648 (erano stati espulsi nel 1290). Nel 1638 un altro rabbino di Venezia, Simone Luzzatto, pubblicò il Discorso circa lo stato de gl'Hebrei, sulla tolleranza religiosa ed i vantaggi reciproci dell'integrazione degli ebrei a Venezia.
Le porte del Ghetto di Venezia furono abbattute nel 1797 con la conquista da parte di Napoleone, che impose l'emancipazione. Nel corso del Risorgimento gli ebrei furono progressivamente emancipati in tutta la penisola, a cominciare dal Regno di Sardegna. A differenza del processo di formazione delle prime monarchie nazionali europee (Inghilterra, Francia, Spagna), l'unificazione dello stato italiano avvenne dunque all'insegna dell'emancipazione degli ebrei dalle discriminazioni subite in precedenza, soprattutto da parte della Chiesa cattolica.
Verso la fine del XV secolo gli Ebrei in Italia erano complessivamente 70.000 su una popolazione totale di circa 8-10 milioni di persone, divisi in una cinquantina di comunità. La maggioranza, circa 25.000, vivevano in Sicilia.
Con il Decreto dell'Alhambra del 1492 la Spagna cattolica, nella quale lo stato nazionale tendeva a consolidarsi accentrando il capitale, ordinò la conversione obbligatoria o l'espulsione di tutti gli ebrei, e molti di essi si trasferirono nel Nord Africa o in Italia. Dopo l'espulsione degli ebrei dal Regno di Napoli nel 1533, il centro di gravità dell'ebraismo italiano si spostò al nord. Ma nel corso del XVI secolo molti scelsero di lasciare l'Italia e di emigrare in Polonia e Lituania, dove la comunità era più numerosa.
Nel 1516 la Repubblica di Venezia confinò gli ebrei sull'isola che fungeva da fonderia pubblica, ove il metallo veniva raffinato (ghettato) con la ghetta, il diossido di piombo. Nacque così il primo “ghetto” della Storia. Gli ebrei avevano l'obbligo di rientrare la sera, e le porte dell'isola venivano chiuse la notte.
Nel 1637 il rabbino di Venezia vide pubblicata a Parigi la propria Historia de riti Hebraici la prima opera intesa a spiegare l'ebraismo ai non ebrei e a combattere i pregiudizi antisemiti del tempo. Destinata per un pubblico protestante anglosassone, l'opera anticipò il dibattito sulla riammissione degli ebrei in Inghilterra, sancita dalla rivoluzione di Cromwell nel 1648 (erano stati espulsi nel 1290). Nel 1638 un altro rabbino di Venezia, Simone Luzzatto, pubblicò il Discorso circa lo stato de gl'Hebrei, sulla tolleranza religiosa ed i vantaggi reciproci dell'integrazione degli ebrei a Venezia.
Le porte del Ghetto di Venezia furono abbattute nel 1797 con la conquista da parte di Napoleone, che impose l'emancipazione. Nel corso del Risorgimento gli ebrei furono progressivamente emancipati in tutta la penisola, a cominciare dal Regno di Sardegna. A differenza del processo di formazione delle prime monarchie nazionali europee (Inghilterra, Francia, Spagna), l'unificazione dello stato italiano avvenne dunque all'insegna dell'emancipazione degli ebrei dalle discriminazioni subite in precedenza, soprattutto da parte della Chiesa cattolica.
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INTEGRAZIONE DEGLI EBREI NELL'IMPERIALISMO ITALIANO
(1870 - 1918)
Gli ebrei si integrarono profondamente nell'apparato del nuovo stato italiano, sia nel periodo liberale che nel successivo periodo fascista, e per questa ragione il sionismo in Italia ebbe uno sviluppo piuttosto lento e difficile.
Lo storico americano dell'ebraismo Cecil Roth afferma che dopo il 1870 rispetto all'Italia non vi era paese al mondo dove le condizioni degli ebrei “fossero o potessero essere migliori”:
Lo storico americano dell'ebraismo Cecil Roth afferma che dopo il 1870 rispetto all'Italia non vi era paese al mondo dove le condizioni degli ebrei “fossero o potessero essere migliori”:
Non solo furono tolte le discriminazioni, come avvenne anche altrove in questo importante periodo, ma gli ebrei erano liberamente e spontaneamente accettati come membri del popolo italiano, su un piano di completa eguaglianza con i loro connazionali...L'ebreo italiano non possedeva alcun connotato di straniero. Installatosi nel paese già da duemila anni, era un elemento altrettanto autoctono di qualsiasi altra componente del popolo italiano... Il nuovo antisemitismo, che cominciò a mostrare il suo volto sinistro a nord delle Alpi, verso la fine del secolo, non ebbe alcuna ripercussione nel paese. E anche dopo lo scoppio della persecuzione nell'impero russo, negli anni 1880, quando masse di fuggitivi si riversarono nel mondo di lingua inglese, nessun gruppo apprezzabile raggiunse questo paese latino, povero e poco industrializzato, alterandone l'equilibrio... 1
Antonio Gramsci nei Quaderni del Carcere, riprendendo lo storico Arnaldo Momigliano, sottolinea come gli ebrei italiani avessero maturato una coscienza nazionale italiana nello stesso periodo e nello stesso modo dei loro connazionali non ebrei.
Arnaldo Momigliano fa alcune giuste osservazioni sull’ebraismo in Italia. «La storia degli Ebrei di Venezia, come la storia degli Ebrei di qualsiasi città italiana in genere, è essenzialmente appunto la storia della formazione della loro coscienza nazionale italiana. Né, si badi, questa formazione è posteriore alla formazione della coscienza nazionale italiana in genere, in modo che gli Ebrei si sarebbero venuti a inserire in una coscienza nazionale già precostituita. La formazione della coscienza nazionale italiana negli Ebrei è parallela alla formazione della coscienza nazionale nei Piemontesi o nei Napoletani o nei Siciliani: è un momento dello stesso processo e vale a caratterizzarlo... Come dal XVII al XIX secolo, a prescindere dalle tracce anteriori, i Piemontesi o i Napoletani si sono fatti italiani, così nel medesimo tempo gli Ebrei abitanti in Italia si sono fatti Italiani. Il che naturalmente non ha impedito che essi nella loro fondamentale italianità conservassero in misura maggiore o minore peculiarità ebraiche, come ai Piemontesi o ai Napoletani il diventare Italiani non ha impedito di conservare caratteristiche regionali». In Italia non esiste antisemitismo proprio per le ragioni accennate dal Momigliano, che la coscienza nazionale si costituì e doveva costituirsi dal superamento di due forme culturali: il particolarismo municipale e il cosmopolitismo cattolico, che erano in stretta connessione fra loro e costituivano la forma italiana più caratteristica di residuo medioevale e feudale. Che il superamento del cosmopolitismo cattolico e in realtà quindi la nascita di uno spirito laico, non solo distinto ma in lotta col cattolicismo, dovesse negli ebrei avere come manifestazione una loro nazionalizzazione, un loro disebreizzarsi, pare chiaro e pacifico.
Tra le spiegazioni di questo fenomeno ci sono l'esiguità numerica della comunità ebraica italiana e il suo carattere socialmente borghese e non proletario: un “pregio” sottolineato nel 1934 da Luigi Villari, storico e tra i principali ambasciatori del fascismo nel mondo anglosassone:
In una popolazione di 42 milioni solo l'un per mille sono ebrei... Pochissimi tra gli ebrei italiani sono poveri e non vi sono turbolente masse di ebrei proletari che altrove sono causa di sì tante perturbazioni di carattere sociale ed economico. E soprattutto gli ebrei italiani sono nella maggior parte residenti nel paese da molte generazioni e se anche essi conservano la loro religione – alla quale infatti molti di loro sono profondamente attaccati – si sono completamente amalgamati con il corpo della nazione e si considerano e sono dai loro concittadini considerati italiani al cento per cento... oggi, nel governo fascista, il ministro delle Finanze, Guido Jung, è di origine ebraica, mentre molti altri ebrei occupano posizioni elevate nella pubblica amministrazione.2
Un ragionamento simile veniva da un avversario implacabile del fascismo come Gaetano Salvemini:
Mussolini non ha mai scatenato in Italia un'ondata di antisemitismo paragonabile a quella cui stiamo assistendo oggi in Germania... Gli ebrei italiani sono soltanto 40.000 su una popolazione di 42 milioni, ovvero meno dell'uno per mille... L'equivalente italiano dell'antisemitismo tedesco è la persecuzione della massoneria. Tutte le disgrazie dell'Italia sono attribuite dai dottori del fascismo alla democrazia, al socialismo e alla massoneria, laddove invece i nazisti tedeschi attribuiscono tutte le sfortune della Germania alla democrazia, al socialismo e ai bruni non ariani, che hanno contaminato la bionda razza germanica.3
Nei primi anni del Novecento l'Italia ebbe due Primi ministri ebrei: Sidney Sonnino e Luigi Luzzati. Con poche eccezioni, gli ebrei italiani appoggiarono entusiasticamente l'intervento coloniale in Libia nel 1911 e la partecipazione alla Prima guerra mondiale. Come vedremo la fedeltà degli ebrei italiani si mantenne anche nel periodo fascista.
Anche in Germania la comunità ebraica era poco numerosa e in genere benestante: nel 1910 essa contava circa 600.000 individui su 65 milioni di abitanti (circa l'1% della popolazione), con una forte presenza nell'imprenditoria e nelle professioni come quella di medico o di avvocato.
A Berlino erano concentrati circa 145.000 ebrei. Ma, fin dall'inizio del Novecento, il nazionalismo tedesco fu caratterizzato dalla forte impronta conservatrice dei proprietari terrieri latifondisti, gli junker, alla quale gli ebrei tedeschi erano estranei. Ciononostante, nella Prima carneficina mondiale l'ebraismo tedesco fu in genere fedele al Kaiser, con 12.000 caduti (su un totale 2,5 milioni di vittime tedesche). La sconfitta nella guerra, con lo strangolamento economico operato dai vincitori di Versailles, diede impulso alla propaganda antisemita di una frazione della piccola borghesia tedesca rovinata contro un'altra frazione della stessa classe (quella ebraica appunto), contro “i banchieri ebrei” di Londra e Parigi e contro la rivoluzione sovietica, vista come un “complotto giudaico-bolscevico”. Con la catastrofe economica del '29, le divisioni trasocialdemocratici e i comunisti tedeschi aprirono a Hitler la strada verso la conquista del potere.
Invece la borghesia italiana, ebraica e non, nonostante le devastazioni della guerra poté sedere a Versailles al tavolo della spartizione delle spoglie degli imperi tedesco e austro-ungarico, e condivise in maniera compatta l'appoggio al fascismo come baluardo contro la rivoluzione proletaria. Fino alla metà degli anni '30 in Italia l'antisemitismo fu sostanzialmente assente, e ad essere perseguitati erano gli oppositori politici del regime.
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NASCITA DEL SIONISMO ITALIANO
delegati italiani al Primo congresso sionista mondiale, Basilea 1897 |
Proprio a causa dell'integrazione della comunità ebraica nell'apparato dell'imperialismo italiano, all'inizio del Novecento l'affermazione del sionismo al di qua delle Alpi fu un processo lento e difficile, venendo a mancare un ingrediente fondamentale: l'ostilità da parte dei “gentili” verso gli ebrei.
Comunque dopo il Primo Congresso Sionista mondiale (Basilea 1897), anche in Italia si formarono piccoli gruppi di sostenitori della nuova ideologia, rappresentata come una sorta di versione ebraica del Risorgimento italiano. I nuclei sionisti nacquero a Ferrara, Modena, Livorno e Ancona, e poi a Firenze, Pisa, Milano, Genova, Padova, e Trieste.
Nel 1901 nacque la Federazione Sionistica Italiana, presieduta dal ferrarese Felice Ravenna. Questi nel 1904 accolse a Ferrara Theodor Herzl, presidente dell'Organizzazione Sionista Mondiale (WZO), e lo accompagnò nei suoi colloqui romani con Vittorio Emanuele III e papa Pio X.
A Trieste la comunità ebraica, affacciata verso l'Europa orientale, si aprì marcatamente al movimento sionista, e il locale Corriere Israelitico divenne sostenitore di questa posizione, soprattutto dal 1903 quando Dante Lattes ne divenne direttore.
Tuttavia il periodico della FSI, L'Idea Sionnistica, che si stampava a Modena, promuoveva il progetto sionista soltanto come sostegno umanitario ai progetti di emigrazione dall'Europa orientale e dall'Impero zarista, dove gli ebrei erano perseguitati. Quando nel 1911 scoppiò la guerra italo – turca, il periodico sospese le pubblicazioni come segno di appoggio alla causa italiana, poiché qualcuno aveva adombrato che i sionisti fossero favorevoli alla Turchia perchè all'epoca la WZO trattava con l'Impero ottomano per la concessione della Palestina.
Fu il fiorentino Alfonso Pacifici, ispirato dal rabbino capo della città toscana, il galiziano Shmuel Margulies, a dare al sionismo italiano un'impronta più assertiva e politica. Nel 1915 La Settimana Israelitica, diretta da Pacifici, si fuse con il Corriere Israelitico di Lattes, nel frattempo trasferitosi a Firenze. Dal 1916 iniziò così le pubblicazioni il settimanale Israel, che criticava fortemente l'assimilazionismo degli ebrei allo stato italiano e perorava la causa dello stato ebraico in Palestina.
Fu intorno a Israel che il sionismo politico italiano si estremizzò e rafforzò. Nel 1918 Lattes divenne segretario della Federazione Sionistica Italiana, e iniziò la collaborazione con Moshe Beilinson, medico russo e esponente di spicco del sionismo socialista, che rimase sei anni nella penisola prima di trasferirsi in Palestina.
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EBREI E SIONISTI NELL'ITALIA DI MUSSOLINI
(1918 – 1938)
Rapporti tra ebrei italiani e fascismo
Mussolini attraversò una prima, breve fase di antisemitismo nel periodo della Rivoluzione russa e della Dichiarazione Balfour. L'11 novembre 1917 sul suo giornale interventista Il Popolo d'Italia denunciò la presa bolscevica del potere come una cospirazione dell'alto comando tedesco con la “sinagoga” (Lenin, Trockij, Zinovev, Kamenev). Successivamente, nel 1919 Mussolini scrisse che il bolscevismo era una cospirazione mondiale della plutocrazia ebraica contro la razza ariana e il cristianesimo.
Ma queste posizioni provocarono le reazioni dei numerosi ebrei facenti parte del nascente movimento fascista. In quegli anni infatti 79 ebrei parteciparono alla spedizione di D'Annunzio per prendere la città istriana di Fiume; tra i 119 fondatori dei Fasci di combattimento (23 marzo 1919) vi furono anche cinque ebrei, e tre ebrei furono in seguito celebrati come “martiri della rivoluzione fascista” negli scontri con i socialisti occorsi tra il 1919 e il 1922.
“Nel ferrarese non vi è dubbio che molti ebrei sostennero attivamente il fascismo esquadre di Italo Balbo; alcuni latifondisti ebrei ebbero in questo senso un ruolo tutt'altro che trascurabile”.4 “L'avvocato Renzo Ravenna, squadrista ferrarese ebreo, ricoprì per oltre quindici anni la carica di podestà”5 e “tre ebrei triestini, i fratelli Forti, furono i fondatori del fascio giuliano”6 “Nei convulsi giorni che precedettero la marcia su Roma... si videro tra gli attori principali due ebrei vicini al futuro duce: Aldo Finzi e Gino Olivetti, famoso industriale filo-fascista”7. Per quanto concerne la marcia vera e propria, “230 furono gli israeliti (227 italiani e 3 stranieri) che ottennero il 'brevetto della marcia su Roma' – incerta risulta la loro reale presenza – e 746 erano quelli che risultavano allora iscritti al Partito Nazionale Fascista oppure al Partito Nazionalista, che si fusero nel marzo del 1923” 8.
Mussolini fu dunque condotto a rivedere le proprie teorie. Nel 1920 Il Popolo d'Italia cominciò a distinguere il bolscevismo dall'ebraismo, a sottolineare che in Italia l'antisemitismo non esisteva, e a sostenere che gli ebrei non avevano bisogno di emigrare in Palestina, perchè “la 'nuova Sionne' gli ebrei italiani l'hanno qui, in questa adorabile terra, che, del resto, molti di essi hanno difeso eroicamente col sangue”9.
Negli anni '30 l'adesione degli ebrei al fascismo aumentò considerevolmente. Gli israelitipossesso della tessera del fascio erano “5.800 nell'ottobre del 1933”10, e nel 1938 erano arrivati intorno ai 7.000.
Da un punto di vista qualitativo, tra gli ebrei che arrivarono ai ranghi più alti del regimefurono ad esempio Aldo Finzi (sottosegretario agli Interni), Dante Almansi (prefetto e poi vicecapo della Polizia), Maurizio Rava (vicegovernatore della Libia e poi governatore della Somalia).
Ma queste posizioni provocarono le reazioni dei numerosi ebrei facenti parte del nascente movimento fascista. In quegli anni infatti 79 ebrei parteciparono alla spedizione di D'Annunzio per prendere la città istriana di Fiume; tra i 119 fondatori dei Fasci di combattimento (23 marzo 1919) vi furono anche cinque ebrei, e tre ebrei furono in seguito celebrati come “martiri della rivoluzione fascista” negli scontri con i socialisti occorsi tra il 1919 e il 1922.
“Nel ferrarese non vi è dubbio che molti ebrei sostennero attivamente il fascismo esquadre di Italo Balbo; alcuni latifondisti ebrei ebbero in questo senso un ruolo tutt'altro che trascurabile”.4 “L'avvocato Renzo Ravenna, squadrista ferrarese ebreo, ricoprì per oltre quindici anni la carica di podestà”5 e “tre ebrei triestini, i fratelli Forti, furono i fondatori del fascio giuliano”6 “Nei convulsi giorni che precedettero la marcia su Roma... si videro tra gli attori principali due ebrei vicini al futuro duce: Aldo Finzi e Gino Olivetti, famoso industriale filo-fascista”7. Per quanto concerne la marcia vera e propria, “230 furono gli israeliti (227 italiani e 3 stranieri) che ottennero il 'brevetto della marcia su Roma' – incerta risulta la loro reale presenza – e 746 erano quelli che risultavano allora iscritti al Partito Nazionale Fascista oppure al Partito Nazionalista, che si fusero nel marzo del 1923” 8.
Mussolini fu dunque condotto a rivedere le proprie teorie. Nel 1920 Il Popolo d'Italia cominciò a distinguere il bolscevismo dall'ebraismo, a sottolineare che in Italia l'antisemitismo non esisteva, e a sostenere che gli ebrei non avevano bisogno di emigrare in Palestina, perchè “la 'nuova Sionne' gli ebrei italiani l'hanno qui, in questa adorabile terra, che, del resto, molti di essi hanno difeso eroicamente col sangue”9.
Negli anni '30 l'adesione degli ebrei al fascismo aumentò considerevolmente. Gli israelitipossesso della tessera del fascio erano “5.800 nell'ottobre del 1933”10, e nel 1938 erano arrivati intorno ai 7.000.
Da un punto di vista qualitativo, tra gli ebrei che arrivarono ai ranghi più alti del regimefurono ad esempio Aldo Finzi (sottosegretario agli Interni), Dante Almansi (prefetto e poi vicecapo della Polizia), Maurizio Rava (vicegovernatore della Libia e poi governatore della Somalia).
...sotto il fascismo il numero degli ebrei tra i docenti universitari continuò ad essere molto elevato, e così pure tra i generali e gli ammiragli...Guido Jung, dopo la nomina a ministro delle Finanze, divenne membro ex officio del Gran Consiglio del fascismo...Margherita Sarfatti fu la prima biografa ufficiale del duce nonché condirettrice del mensile Gerarchia, cui solo a fidati fascisti era permesso di collaborare. Gino Arias fu il principale teorico dello stato corporativo, e assiduo collaboratore di Gerarchia e del Popolo d'Italia; un altro collaboratore fu Carlo Foà, eminente fisiologo ebreo. Giorgio Del Vecchio fu il primo rettore fascista dell'Università di Roma.11
Nell'ottobre 1930 il governo fascista emanò la cosiddetta legge delle Comunità, con la quale veniva ufficialmente istituita l'Unione delle Comunità Israelitiche Italiane (UCII), sotto la vigilanza e tutela dello stato italiano. “Nel complesso, la nuova legge fu accolta dalla stragrande maggioranza degli ebrei molto favorevolmente”.12
L'adesione più fervente al fascismo venne dal gruppo di ebrei che si formò nel 1934 intorno al periodico La Nostra Bandiera. Per spiegare la nascita di tale giornale occorre tenere presente che la vittoria di Hitler in Germania, nel 1933, aveva fatto emergere anche nel fascismo italiano una latente corrente antisemita, protagonista nel 1933 - 34 di una campagna di stampa contro gli ebrei compiuta soprattutto per iniziativa del gerarca Roberto Farinacci. In una serie di articoli Farinacci chiese espressamente agli ebrei di scegliere tra il fascismo e il sionismo, poiché quest'ultimo a suo dire rappresentava una distrazione dalla patria italica.
Tra le reazioni alla campagna di Farinacci e dei suoi vi fu anche quella di Felice Ravenna, uno dei padri del sionismo italiano e presidente, dal 1933, dell'Unione delle Comunità Israelitiche Italiane, il quale in una lettera pubblicata da Il Regime Fascista, il giornale diretto da Farinacci, spiegò che:
Lo stesso Ovazza fu a questo punto tra i fondatori de La Nostra Bandiera, organo degli ebrei “fascistissimi”, uscito il 1 maggio 1934 e diretto, oltre che dal suddetto banchiere, dal generale Guido Liuzzi e dal giornalista Deodato Foà.
Questo giornale rispose alle sollecitazioni di Farinacci criticando il sionismo e celebrando l'affinità tra il fascismo e l'ebraismo in generale. Parlando di una conferenza tenuta dal professor Anselmo Colombo, La Nostra Bandiera scrisse che “il conferenziere volle e riuscì egregiamente a dimostrare che Ebraismo e Fascismo nei loro ammirevoli intenti si eguagliano: mirano meravigliosamente al perfezionamento assoluto, dell'individuo, della famiglia e della società”.14 E l'ingresso del generale Liuzzi nella Giunta dell'Unione delle Comunità Israelitiche fu accolto con entusiasmo:
Per tutto il periodo 1918 – 38, dunque, si possono considerare in minoranza gli ebrei che si opposero alla ascesa e all'affermazione del fascismo (come del resto accadde per tutta la popolazione italiana). Tra costoro vanno menzionati i comunisti Umberto Terracini, Rita e Mario Montagnana, Emilio Sereni (fratello del sionista Enzo), Giorgina Levi. Il socialista Claudio Treves nel 1915 aveva sfidato Mussolini a duello, e in seguito si rammaricò «di non aver affondato la lama». Il senatore Vittorio Polacco pronunciò un vibrante e coraggioso discorso di dissenso, che ebbe grossa risonanza nel paese; Eucardio Momigliano si staccò dal fascismo quasi subito, fondando l'Unione Democratica Antifascista; Pio Donati, deputato socialista, aggredito più volte e costretto all'esilio, morì in solitudine nel 1927. Dei pochi professori universitari che nel 1931 si rifiutarono di sottoscrivere il giuramento di fedeltà al regime, quattro furono ebrei: Giorgio Errera, Giorgio Levi della Vida, Fabio Luzzatto e Vito Volterra. Il presidente della Corte Suprema Lodovico Mortara rassegnò le dimissioni più o meno nel periodo in cui – maggio del 1925 – il Manifesto degli intellettuali antifascisti, redatto da Giovanni Gentile, veniva sottoscritto da trentatré esponenti della cultura di religione ebraica. Carlo Rosselli nell'agosto del 1929 fondò a Parigi il movimento di Giustizia e Libertà, con lo scopo di unire gli antifascisti non comunisti e lavorare per il rovesciamento del regime di Mussolini. Insieme al fratello Nello fu ucciso in Francia nel 1937, su ordine del duce. Del gruppo piemontese di Giustizia e Libertà fecero parte tra gli altri Barbara Allason, Vittorio Foa, Leone Ginzburg, Sion Segre Amar.
Nel 1918 Il Popolo d'Italia ospitò una serie di articoli a favore del sionismo, probabilmente opera del futuro deputato fascista Agostino Lanzillo, membro della “Pro-Israele”, un'associazione di simpatizzanti non ebrei del sionismo attiva a Roma.
Ma la crescente rivalità italiana con l'Inghilterra, nuova padrona della Palestina e sponsor del sionismo, fece sì che Mussolini si convincesse che quest'ultimo era un pupazzo nelle mani degli inglesi. Nel 1921 - 22 la sua propaganda andò quindi contro i sionisti (e ovviamente contro quella minoranza di ebrei che si dichiaravano antifascisti), nell'ottica di difendere gli interessi imperialistici dell'Italia, danneggiata dalla spartizione del Medio-Oriente tra Inghilterra e Francia. La posizione antisionista di Mussolini in quel periodo fu per lo più condivisa dai membri del governo italiano, compresi i ministri degli Esteri di origine ebraica Sindey Sonnino (in carica dal 19141919) e Carlo Schanzer (1922).
Con la Marcia su Roma (28 ottobre 1922) e con l'avvento del fascismo al governo, gli ebrei italiani, sionisti e non, si preoccuparono per le manifestazioni di entusiasmo per il nuovo regime provenienti dagli antisemiti europei e tedeschi, tra cui il quasi sconosciuto Hitler. Ne seguirono alcuni incontri di chiarificazione tra ebrei, sionisti e nuovo potere. A novembre un membro del governo assicurò il rabbino capo di Roma, il sionista Angelo Sacerdoti, che il fascismo, nonostante le voci che affermavano il contrario, era completamente privo di tendenze antisemitiche. E il 20 dicembre il duce ricevette una delegazione sionista composta da Sacerdoti, Dante Lattes e Moshe Beilinson, per esaminare un possibile modus vivendi fra sionismo e fascismo.
Secondo Meir Michaelis,
Weizmann fu ricevuto da Mussolini il 3 gennaio 1923. Dopo il colloquio si recò dall'ambasciatore inglese a Roma, sir Ronald Graham, e quest'ultimo relazionò al ministero degli Esteri inglese:
Il 26 ottobre 1927 fu la volta di Nahum Sokolow, futuro presidente della WZO. Stando al resoconto di Michael Ledeen,
Weizmann incontrò nuovamente Mussolini il 26 aprile 1933, convocato da quest'ultimo. I contenuti di questo incontro sono poco noti, mentre più conosciuto è il colloquio che i due ebbero il 17 febbraio 1934, quando Weizmann era responsabile per l'insediamento in Palestina degli ebrei tedeschi: una importante carica introdotta l'anno precedente dall'Esecutivo Sionista dopo avere stipulato l'Haavara Agreement coi nazisti, ovvero l'Accordo di Trasferimento in Palestina di quote di ebrei residenti in Germania, che potevano esportare i propri averi a patto di investirli nell'acquisto di beni materiali tedeschi (macchinari agricoli o altro) da utilizzare nella “Terra Promessa”.
Nell'incontro Mussolini si dichiarò a favore di un piccolo stato sionista indipendente, e aggiunse che avrebbe aiutato i sionisti a istituire una propria marina mercantile, riferendosi evidentemente al progetto di Jabotinsky a Civitavecchia (vedi oltre).
Il 13 novembre 1934 a recarsi dal duce fu Nahum Goldmann, presidente del World Jewish Congress, organismo di rappresentanti dell'ebraismo mondiale nato per reagire all'ondata di antisemitismo in Germania e Austria, ma molto moderato e dominato dai sionisti. Goldmann nella propria autobiografia afferma di aver detto a Mussolini che il WJC scoraggiava le manifestazioni di protesta contro Hitler e il cancelliere austriaco Schuschnigg, ma contava su di lui per un cambio di atteggiamento dei nazisti verso gli ebrei. Mussolini replicò:
La linea filo-sionista seguita da Mussolini dal 1926 in avanti favorì lo sviluppo anche in Italia della corrente di destra del sionismo, il cosiddetto revisionismo, fondata da Vladimir Jabotinsky, che annoverava nelle sue file dichiarati sostenitori del fascismo e aveva il “pregio” di non essere legata all'imperialismo inglese come la corrente maggioritaria della WZO di Weizmann e Sokolow.
Jabotinsky era sempre stato un ammiratore dell'Inghilterra e politicamente vi faceva sempre riferimento, ma aveva passato alcuni anni giovanili in Italia, innamorandosi della cultura latina. Sin dal 1921, quando era ancora all'interno della WZO, in Italia prese contatto con l'ebreoSalonicco Isacco Sciaky, che fu uno dei pionieri del revisionismo nella penisola.
Anche se Jabotinsky a parole prese sempre le distanze dal fascismo, nella pratica la sua condotta era simile a quella di un “duce”, e il movimento revisionista nell'ambito del sionismo mondiale fu riconosciuto e a volte si autodefinì come “fascismo ebraico”. Ad esempio in Palestinadirigente revisionista Abba Achimeir teneva sul periodico Doar Hayom la rubrica “Appunti di un fascista”.
Il 25 aprile 1934 su The Nation uscì una importante sintesi del giornalista sionista laburista William Zuckerman, intitolata The Menace of Jewish Fascism, che tratteggiò le caratteristiche fondamentali del revisionismo:
Mussolini, dal canto suo, nel 1935 disse a David Prato che “affinchè il sionismo abbia successo, deve ottenere uno stato ebraico, con una bandiera ebraica e una lingua ebraica. La persona che veramente capisce questo è il vostro fascista, Jabotinsky”.24
In occasione del Congresso Sionista Mondiale del 1929 Sciaky fu tra gli autori di un volantino propagandistico per l'elezione dei delegati, nel quale si leggeva tra l'altro:
Nei primi anni '30 il movimento revisionista stava rompendo con la WZO, e i contatti con il regime fascista si fecero sempre più frequenti. Nel 1931 Jabotinsky scrisse a Leone Carpi, intermediario tra il movimento e il governo di Mussolini, con la proposta di costituire una scuola di partito revisionista in Italia, in particolare rivolta ai membri del Betar, il settore giovanile. Questa intenzione si trasformò nell'istituzione di un corso di addestramento per i giovani sionisti del Betar presso la Scuola Marittima di Civitavecchia, a partire dall'ottobre 1934.
Nel gennaio 1935 il progetto, già avviato, fu approvato ufficialmente dal Consiglio dei Ministri del governo fascista:
Nell'autunno del 1936, al termine di uno dei corsi, gli aspiranti marinai compirono una crociera (Civitavecchia – Napoli – Genova – Livorno – Civitavecchia). Alla partenza Isacco Sciaky raccomandò ai marinai:
A partire dal 1935, furono la questione dell'Etiopia e la Guerra di Spagna a orientare il regime fascista verso la Germania.
Alla fine del 1934 tra Italia e Germania esistevano molti motivi di contrasto, tanto che il 7 gennaio 1935 a Roma Mussolini firmò un accordo franco-italiano con il ministro degli Esteri francese Pierre Laval: scambio di territori tra l'Eritrea italiana e la Somalia francese e appoggio italiano alla Francia contro la Germania in cambio del via libera francese alla conquista italiana dell'Abissinia. Tre mesi dopo (11 – 14 aprile) l'Italia formò con Francia e Inghilterra la coalizione anti-tedesca nota come Fronte di Stresa.
Ma l'invasione italiana dell'Etiopia (3 ottobre 1935) incontrò l'opposizione della Società delle Nazioni, che condannò l'attacco (6 ottobre) e approvò alcune sanzioni (18 novembre), peraltro moderate, contro il regime di Mussolini. In tali circostanze Mussolini cercò di appoggiarsi ai suoi sodali ebrei e sionisti. Fu così che “l'Unione delle Comunità Israelitiche Italiane, su consiglio e invito di un alto ufficiale ebreo della marina italiana...inviò due emissari (Dante Lattes e Angelo Orvieto) a Londra allo scopo di mobilitare l'opinione anglo-ebraica contro la politica delle sanzioni”.31 Essi incontrarono vari leader ebraici tra cui Weizmann, ma quest'ultimo rimase fedele all'Inghilterra e non difese l'Italia dalle sanzioni.
Roma inviò allora l'ebreo fascista (e non sionista) Corrado Tedeschi in Palestina, a suggerire ai sionisti laggiù che un atteggiamento di apertura verso l'Italia avrebbe loro giovato in quanto avrebbe condizionato il governo mandatario inglese. Tedeschi vide diversi esponenti sionisti, sia della fazione di Jabotinsky che dell'Agenzia Ebraica, in particolare il “ministro degli Esteri” di quest'ultima Moshe Sharett. Nel suo rapporto finale Tedeschi scrisse che “il sionismo era al tempo stesso una forza con cui fare i conti e un potenziale alleato contro la Gran Bretagna; l'amicizia degli ebrei in Palestina era pertanto un obiettivo da perseguire...”32 altrimenti l'Italia ci avrebbe rimesso a vantaggio esclusivo della Gran Bretagna.
Proclamato l'Impero etiopico il 9 maggio 1936, l'Italia aveva in mente di farne una testa di ponte per un'ulteriore espansione, verso l'Egitto e i domini inglesi in Medio Oriente. A tale scopo ipotizzò il trasferimento degli ebrei in Abissinia, in preparazione di un loro uso contro gli inglesi in Palestina (inglesi che nel frattempo avevano sospeso l'immigrazione in Palestina a causa della Grande Rivolta Araba). Nel luglio 1936 al Cairo si svolse un colloquio tra il locale rappresentante dell'Agenzia Ebraica, Nahum Wilenski, e l'emissario fascista Ugo Dadone. Una nota sulla conversazione riporta che per Dadone l'intenzione degli italiani è che gli ebrei si stabiliscano nella zona di Gojjam in Abissinia... Egli si rende conto che l'insediamento ebraico non può costituire un obiettivo finale per gli ebrei. Ma l'Italia è pronta a favorire, in cambio dell'assistenza ebraica in questa vicenda, la creazione di uno stato ebraico in Palestina...Successivamente, questo stesso signore si è incontrato con rappresentanti della comunità ebraica egiziana al Cairo, e ha fatto loro identiche proposte.33
Ma questi abboccamenti ebbero scarso successo: l'Organizzazione Sionista Mondiale rimaneva prevalentemente fedele all'Inghilterra, e i suoi rapporti con l'Italia fascista avevano raggiunto l'apice nel 1934, prima di iniziare un progressivo declino. L'ultimo abboccamento di rilievo ebbe luogo il 4 maggio 1937 tra Nahum Goldmann e il ministro degli Esteri fascista Ciano, ma si risolse in un nulla di fatto. Avvicinandosi alla Germania nazista, Mussolini e il governo italiano tendevano a mantenere maggiori contatti con l'ala revisionista del sionismo, che nel frattempo si era strutturata a livello internazionale con la creazione, nel 1935, della Nuova Organizzazione Sionista.
I vertici dell'ebraismo italiano nel frattempo rimanevano per lo più fedeli al fascismo e alle sue imprese coloniali. Israel del 25 marzo 1937 scrisse sulla visita di Mussolini in Libia, paese ove l'Italia aveva compiuto un vero e proprio genocidio contro i beduini arabi guidati da Omar Mukhtar:
Il graduale riavvicinamento con la Germania giocò un ruolo cruciale nell’emanazione delle leggi razziali in Italia, ma secondo De Felice e Candeloro (volume IX della «Storia dell’Italia moderna», Feltrinelli) ancora nel febbraio 1938 Mussolini cercava di agire con moderazione e non voleva andare oltre un blando antisemitismo. Lo testimonierebbe il numero 14 dell’«Informazione diplomatica», emanata il 16 febbraio, in cui si affermava che il governo vigilava affinchè «la parte degli ebrei nella vita dell’insieme della nazione non sia sproporzionata ai meriti intrinseci e individuali e all’importanza numerica della comunità». Mussolini suggeriva ancora di risolvere il «problema» con la creazione di uno «Stato ebraico», non più in Palestina per non irritare gli arabi, ma pensando probabilmente, come abbiamo già visto, all’Africa Orientale Italiana.
La svolta decisiva verso la politica antisemita probabilmente venne compiuta dopo la visita in Italia di Adolf Hitler dal 3 all’8 maggio. Un viaggio che apparentemente non produsse grandi frutti diplomatici se non rafforzare l’amicizia tra i due regimi, ma che di fatto diede impulso ai provvedimenti antisemiti. Non vi sono documenti né testimonianze di esplicite richieste avanzate da Hitler, se non una frase che Mussolini avrebbe riferito a Dino Grandi. Ma è evidente che dopo il suo viaggio a Roma, durante il quale papa Pio XI, inorridito dall’uso blasfemo della croce nazista, si ritirò a Castel Gandolfo, l’antisemitismo fascista subì una decisa accelerazione. Un grande passo, prima dell’emanazione delle leggi, fu la pubblicazione il 14 luglio, sul «Giornale d’Italia» del «Manifesto della razza». Il documento, cui avevano collaborato molti professori universitari, ma che era stato rivisto a fondo da Mussolini, apparve prima in forma anonima, e soltanto il 25 luglio un comunicato del Partito fascista rese noti i nomi degli estensori.
In quel testo, composto da dieci punti, si affermava tra l’altro: «Gli ebrei rappresentano l’unica popolazione che non si è mai assimilata in Italia, perché essa è costituita da elementi razziali non europei, diversi in modo assoluto dagli elementi che hanno dato origine agli italiani».
L’antisemitismo era assurto così a dottrina di Stato e gli esponenti del razzismo più estremo presero sempre più piede. Il 5 agosto, accompagnato da un grande battage, venne pubblicato il primo numero del quindicinale «La difesa della razza» diretto da Telesio Interlandi. Molti intellettuali in quei mesi si unirono alla propaganda razzista e antisemita. Ad esempio il Corriere della sera del 1 novembre 1938 conteneva un’entusiastica recensione di Guido Piovene: «Si deve sentire d’istinto e quasi per l’odore quello che v’è di giudaico nella cultura. Gli ebrei possono essere solo nemici e sopraffattori della nazione che li ospita». Sul medesimo giornale l'11 giugno 1939 Paolo Monelli sosteneva che «gli ebrei appaiono tutti uguali come i cinesi... come i cavalli, adeguati agli incroci consanguinei, dall’eguale vita dagli squallidi orizzonti».
Le prime leggi antisemite, emanate tra il 2 e il 3 settembre 1938, vietavano tra l’altro la dimora in Italia degli ebrei stranieri e la revoca della cittadinanza per chi era arrivato dopo il 1918.
Gli ebrei vennero esclusi dagli insegnamenti di ogni ordine e grado e fu loro vietato di frequentare le scuole pubbliche. Giuseppe Bottai, ministro dell’Educazione nazionale, si mostrò particolarmente solerte e intransigente nell’applicazione dei provvedimenti antisemiti. Ne fa fede il suo stesso diario. E Galeazzo Ciano commentò così quella seduta del massimo organo del fascismo: «Bottai mi sorprende per la sua intransigenza». Il ministro dell’Educazione era ben allineato perché fu lo stesso Mussolini a confidare a suo genero: «Anche se stasera sono conciliante sarò durissimo nella preparazione delle leggi». E infatti, a breve, il 17 novembre 1938, fu emanato il secondo e duro decreto legge con cui gli ebrei venivano esclusi dal servizio militare, dalle cariche pubbliche, erano limitati nel campo della proprietà immobiliare, nella gestione delle aziende private e nell’esercizio delle professioni. Venivano inoltre stilati i criteri per stabilire chi era da considerarsi ebreo.
Mussolini temeva la reazione di due autorità autonome: la monarchia e il Vaticano. Da Vittorio Emanuele III venne una blanda obiezione sugli ebrei che si erano distinti in azioni patriottiche o erano mutilati di guerra. Ciò diede luogo a una serie di esenzioni. Ma alla fine il re firmò le leggi razziali. Ben diverso e più combattivo fu l’atteggiamento di papa Pio XI. Il 28 giugno 1938, durante una riunione con gli allievi del collegio della Propaganda Fide, il pontefice attaccò il razzismo italiano, fatto per imitare la Germania. Mussolini contrattaccò personalmente. Ma lo scontro più duro si ebbe sul tema dei matrimoni misti non riconosciuti dalla nuova legislazione antisemita, che violava alcuni articoli del Concordato. Pio XI, che meditava un nuovo attacco in occasione del decennale dei Patti lateranensi, morì il 10 febbraio 1939 in seguito a due crisi cardiache. Gli succedette il più diplomatico Pio XII, che, scrive De Felice, «preferì arrivare prudentemente a una distensione di fatto e tollerare la violazione fascista del Concordato».
Le Leggi Razziali del 1938 determinarono l'allontanamento di migliaia di ebrei dalla penisola, e l'espulsione di migliaia di altri da professioni e funzioni pubbliche. Tuttavia fu solo con l'occupazione nazista del 1943 che iniziò la tragedia vera e propria per gli ebrei italiani.
La prima retata delle SS ebbe luogo a Trieste il 9 ottobre 1943. In questa, e in un'altra retata successiva (19 gennaio 1944) vennero arrestati nella città giuliana 710 ebrei. Pochi giorni più tardi (16 ottobre1943), un rastrellamento di grandi proporzioni fu effettuato presso il ghetto di Roma provocando l'arresto di 1.259 ebrei; due giorni dopo 1.023 vennero deportati ad Auschwitz (solo diciassette sopravvissero). Successivamente altre retate operate dai nazisti nella capitale portarono il numero totale degli ebrei romani scomparsi durante l'occupazione tedesca a 2.021. La Carta di Verona (novembre 1943) della appena sorta Repubblica Sociale Italiana definiva il problema dell'ebraismo d'Italia nel capitolo settimo: «Gli ebrei sono stranieri e parte di una nazione nemica». Ogni proprietà ebraica nella Repubblica di Salò venne sequestrata ed assegnata alle vittime dei bombardamenti anglo-americani. Al momento della Liberazione i decreti di confisca erano approssimativamente ottomila: la RSI confiscò alla gente ebraica beni fra immobili e preziosi del valore approssimativo di due miliardi di lire del tempo.
Nel febbraio del 1944 il comando tedesco assunse possesso in via diretta del campo di concentramento di Fossoli vicino a Modena, da dove gli ebrei vennero mandati nei campi dell'Europa orientale.
L'antisemitismo non attecchì granché fra la popolazione italiana, trovando per contro forte opposizione specialmente in certi gruppi intellettuali, nel proletariato e nei ceti a più basso reddito.
Sono moltissimi i casi registrati di ebrei e/o di ebrei aderenti a movimenti di sinistra tenuti nascosti durante i rastrellamenti. Una città in cui questo fenomeno fu ragguardevole è stata quella di Genova, mentre storicamente accertati sono i contributi dati in questo senso da molte personalità divenute poi figure storiche, come Giovanni Palatucci e Giorgio Perlasca.
Secondo i dati riportati da Liliana Picciotto Fargion gli ebrei arrestati e deportati in Italia furono 6.807; gli arrestati e morti in Italia 322; gli arrestati e scampati in Italia 451. Tolti quelli morti in Italia, gli uccisi nella Shoah furono 5.791, quindi circa il venti per cento degli ebrei italiani. Di 950 persone mancano notizie attendibili.
Nell'Italia settentrionale (controllata dai nazifascisti) erano presenti circa 43.000 ebrei: quelli deportati tra il 1943 e il 1945 saranno circa 7.500, di cui ne sopravviveranno solo 610. Ai morti deportati vanno poi aggiunti gli ebrei uccisi sul territorio nazionale, stimati tra i 200 e i 400. Altre centinaia troveranno rifugio in Svizzera e nel sud Italia.
Rispetto agli altri paesi occupati o alleati della Germania, la percentuale di ebrei sopravvissuta è molto maggiore (più dell'80%).
La DELASEM (Delegazione per l'Assistenza degli Emigranti Ebrei) fu fondata con l'autorizzazione del governo fascista il 1o dicembre 1939 dall'UCII, per l'assistenza e la distribuzione degli aiuti internazionali alle migliaia di profughi ebrei che cercavano rifugio in Italia per l'espatrio in paesi neutrali. Dopo l'8 settembre 1943, la DELASEM proseguì clandestinamente la sua azione anche durante il periodo dell'occupazione tedesca e della Repubblica Sociale Italiana, con centrali a Roma e Genova, fornendo aiuti economici e carte di identità false ai correligionari perseguitati, potendo godere di una vasta rete di complicità e supporto anche tra non ebrei. Tra gli ebrei italiani direttamente impegnati nell'organizzazione si ricordano in particolare: Lelio Vittorio Valobra e Massimo Teglio a Genova, Giorgio Nissim a Lucca, Mario Finzi a Bologna, Nathan Cassuto, Raffaele Cantoni e Matilde Cassin a Firenze, Settimio Sorani e Giuseppe Levi a Roma, Salvatore Jona in Piemonte.
Circa 2000 furono gli ebrei che parteciparono attivamente alla Resistenza, con la massima concentrazione (circa 700) in Piemonte. La percentuale, pari al 4 per cento della popolazione ebraica italiana, è di gran lunga superiore a quella degli italiani nel loro complesso. Circa 100 caddero in combattimento o, arrestati, furono uccisi nella penisola o in deportazione; otto furono insigniti di medaglia d'oro alla memoria (Eugenio Colorni, Eugenio Curiel, Eugenio Calò, Mario Jacchia, Rita Rosani, Sergio Forti, Ildebrando Vivanti, Sergio Kasman). Fra i caduti vanno ricordati il 13enne bolognese Franco Cesana, i torinesi Emanuele Artom e Ferruccio Valobra, i triestini Eugenio Curiel e Rita Rosani, il milanese Eugenio Colorni, il toscano Eugenio Calò, gli emiliani Mario Finzi e Mario Jacchia, e l'intellettuale Leone Ginzburg.
L'adesione più fervente al fascismo venne dal gruppo di ebrei che si formò nel 1934 intorno al periodico La Nostra Bandiera. Per spiegare la nascita di tale giornale occorre tenere presente che la vittoria di Hitler in Germania, nel 1933, aveva fatto emergere anche nel fascismo italiano una latente corrente antisemita, protagonista nel 1933 - 34 di una campagna di stampa contro gli ebrei compiuta soprattutto per iniziativa del gerarca Roberto Farinacci. In una serie di articoli Farinacci chiese espressamente agli ebrei di scegliere tra il fascismo e il sionismo, poiché quest'ultimo a suo dire rappresentava una distrazione dalla patria italica.
Tra le reazioni alla campagna di Farinacci e dei suoi vi fu anche quella di Felice Ravenna, uno dei padri del sionismo italiano e presidente, dal 1933, dell'Unione delle Comunità Israelitiche Italiane, il quale in una lettera pubblicata da Il Regime Fascista, il giornale diretto da Farinacci, spiegò che:
La Rivoluzione Fascista...si è svolta e ha trionfalmente realizzato l'unità morale e militante di tutto il popolo italiano...senza che il Duce...abbia mai sentito il bisogno di fare distinzioni di razza o di religione nella unità vivente e compatta del popolo, in mezzo al quale gli Ebrei hanno sempre fatto, come gli altri, tutto il loro dovere.13Quando, poi, nel marzo 1934 vennero arrestati, a Torino, gli ebrei antifascisti appartenenti a Giustizia e Libertà, le reazioni nell'UCII furono di panico. Il presidente della Comunità di Milano, l'imprenditore Federico Jarach, iscritto al PNF dal 1926, diramò un comunicato nel quale sconfessava l'operato degli antifascisti torinesi e invocava un'udienza dal duce per esternargli la devozione degli ebrei italiani. A Torino in segno di allineamento pro-regime si decretò lo scioglimento del consiglio della Comunità ebraica e la nomina di un commissario, il banchiere Ettore Ovazza, squadrista della prima ora.
Lo stesso Ovazza fu a questo punto tra i fondatori de La Nostra Bandiera, organo degli ebrei “fascistissimi”, uscito il 1 maggio 1934 e diretto, oltre che dal suddetto banchiere, dal generale Guido Liuzzi e dal giornalista Deodato Foà.
Questo giornale rispose alle sollecitazioni di Farinacci criticando il sionismo e celebrando l'affinità tra il fascismo e l'ebraismo in generale. Parlando di una conferenza tenuta dal professor Anselmo Colombo, La Nostra Bandiera scrisse che “il conferenziere volle e riuscì egregiamente a dimostrare che Ebraismo e Fascismo nei loro ammirevoli intenti si eguagliano: mirano meravigliosamente al perfezionamento assoluto, dell'individuo, della famiglia e della società”.14 E l'ingresso del generale Liuzzi nella Giunta dell'Unione delle Comunità Israelitiche fu accolto con entusiasmo:
“...ci rallegriamo in quanto oggi il nuovo spirito che anima l'Unione coincide con nuove superbe realizzazioni fasciste ed affermazioni del Regime in ogni campo”.15
Per tutto il periodo 1918 – 38, dunque, si possono considerare in minoranza gli ebrei che si opposero alla ascesa e all'affermazione del fascismo (come del resto accadde per tutta la popolazione italiana). Tra costoro vanno menzionati i comunisti Umberto Terracini, Rita e Mario Montagnana, Emilio Sereni (fratello del sionista Enzo), Giorgina Levi. Il socialista Claudio Treves nel 1915 aveva sfidato Mussolini a duello, e in seguito si rammaricò «di non aver affondato la lama». Il senatore Vittorio Polacco pronunciò un vibrante e coraggioso discorso di dissenso, che ebbe grossa risonanza nel paese; Eucardio Momigliano si staccò dal fascismo quasi subito, fondando l'Unione Democratica Antifascista; Pio Donati, deputato socialista, aggredito più volte e costretto all'esilio, morì in solitudine nel 1927. Dei pochi professori universitari che nel 1931 si rifiutarono di sottoscrivere il giuramento di fedeltà al regime, quattro furono ebrei: Giorgio Errera, Giorgio Levi della Vida, Fabio Luzzatto e Vito Volterra. Il presidente della Corte Suprema Lodovico Mortara rassegnò le dimissioni più o meno nel periodo in cui – maggio del 1925 – il Manifesto degli intellettuali antifascisti, redatto da Giovanni Gentile, veniva sottoscritto da trentatré esponenti della cultura di religione ebraica. Carlo Rosselli nell'agosto del 1929 fondò a Parigi il movimento di Giustizia e Libertà, con lo scopo di unire gli antifascisti non comunisti e lavorare per il rovesciamento del regime di Mussolini. Insieme al fratello Nello fu ucciso in Francia nel 1937, su ordine del duce. Del gruppo piemontese di Giustizia e Libertà fecero parte tra gli altri Barbara Allason, Vittorio Foa, Leone Ginzburg, Sion Segre Amar.
Rapporti tra sionisti italiani (maggioranza WZO) e fascismo
Nel 1918 Il Popolo d'Italia ospitò una serie di articoli a favore del sionismo, probabilmente opera del futuro deputato fascista Agostino Lanzillo, membro della “Pro-Israele”, un'associazione di simpatizzanti non ebrei del sionismo attiva a Roma.
Ma la crescente rivalità italiana con l'Inghilterra, nuova padrona della Palestina e sponsor del sionismo, fece sì che Mussolini si convincesse che quest'ultimo era un pupazzo nelle mani degli inglesi. Nel 1921 - 22 la sua propaganda andò quindi contro i sionisti (e ovviamente contro quella minoranza di ebrei che si dichiaravano antifascisti), nell'ottica di difendere gli interessi imperialistici dell'Italia, danneggiata dalla spartizione del Medio-Oriente tra Inghilterra e Francia. La posizione antisionista di Mussolini in quel periodo fu per lo più condivisa dai membri del governo italiano, compresi i ministri degli Esteri di origine ebraica Sindey Sonnino (in carica dal 19141919) e Carlo Schanzer (1922).
Con la Marcia su Roma (28 ottobre 1922) e con l'avvento del fascismo al governo, gli ebrei italiani, sionisti e non, si preoccuparono per le manifestazioni di entusiasmo per il nuovo regime provenienti dagli antisemiti europei e tedeschi, tra cui il quasi sconosciuto Hitler. Ne seguirono alcuni incontri di chiarificazione tra ebrei, sionisti e nuovo potere. A novembre un membro del governo assicurò il rabbino capo di Roma, il sionista Angelo Sacerdoti, che il fascismo, nonostante le voci che affermavano il contrario, era completamente privo di tendenze antisemitiche. E il 20 dicembre il duce ricevette una delegazione sionista composta da Sacerdoti, Dante Lattes e Moshe Beilinson, per esaminare un possibile modus vivendi fra sionismo e fascismo.
Secondo Meir Michaelis,
Mussolini cominciò con lo spiegare ai suoi interlocutori le ragioni della sua freddezza verso il “focolare nazionale ebraico”: il sionismo era uno strumento dell'imperialismo inglese; gli scopi dei sionisti erano “utopistici”; e la partecipazione di cittadini italiani al movimento poteva provocare un conflitto nei loro sentimenti patriottici. I delegati cercarono di respingere queste accuse, sottolineando che i sionisti non avevano alcuna intenzione di fare il gioco degli inglesi; che i loro obiettivi non erano affatto incompatibili con le legittime aspirazioni degli arabi; che l'Italia avrebbe avuto da guadagnare dalle attività sioniste in Palestina; e che i sionisti italiani erano altrettanto fedeli alla loro patria quanto il resto della popolazione. Al che il duce si addolcì e accettò di incontrarsi con il presidente dell'Organizzazione sionista mondiale, il dottor Chaim Weizmann.16
Weizmann fu ricevuto da Mussolini il 3 gennaio 1923. Dopo il colloquio si recò dall'ambasciatore inglese a Roma, sir Ronald Graham, e quest'ultimo relazionò al ministero degli Esteri inglese:
Il signor Mussolini ha affermato, riguardo all'atteggiamento prevenuto dell'Italia verso il sionismo, che i sionisti volevano indurlo a “faire le jeu de l'Angleterre”, ma egli era deciso a non prestarvisi... Il dottor Weizmann... disse che...l'Italia avrebbe avuto da guadagnare quanto la Gran Bretagna da un indebolimento della potenza musulmana. Il signor Mussolini ha ammesso che gli arabi hanno creato problemi in Cirenaica e a Tripoli...Alla fine, il signor Mussolini ha consentito al dottor Weizmann di annunciare, ad un incontro di ebrei quella sera, che non avrebbe avuto alcuna obiezione alla nomina di un ebreo italiano a membro dell'Agenzia ebraica per la Palestina.17La politica dell'Italia verso il sionismo cambiò solo verso la metà degli anni '20, quando il consolato italiano in Palestina si rese conto che i sionisti erano laggiù per restarvi e che potevano essere usati come leva per indebolire l'Inghilterra. Il 17 settembre 1926 Weizmann fu invitato a Roma per un altro incontro, nel quale Mussolini fu molto cordiale e si offrì di aiutare i sionisti a strutturare una loro economia, proponendo che i lavori di costruzione del nuovo porto di Haifa fossero affidati a una ditta italiana.
Il 26 ottobre 1927 fu la volta di Nahum Sokolow, futuro presidente della WZO. Stando al resoconto di Michael Ledeen,
Con quest'ultimo incontro Mussolini divenne un idolo del sionismo; Sokolow non solo lo lodò come persona ma dichiarò la propria ferma convinzione che il fascismo fosse immune dai pregiudizi antisemiti... “cominciamo a capire la sua vera natura... i veri ebrei non sono mai stati contro di voi”. Queste parole, una così grande apertura, furono riprese sui periodici ebraici di tutto il mondo.18A livello internazionale molti sionisti erano di orientamento laburista e socialista, e dunque non gradirono le esternazioni di Sokolow a favore del fascismo, ma i sionisti italiani, benestanti, conservatori e antisocialisti, furono per lo più entusiasti. Nell'ottobre 1927 Sacerdoti rilasciò un'intervista a Guido Bedarida, il quale riportò:
Il professor Sacerdoti è convinto che molti dei principi fondamentali della Dottrina Fascista (rispetto delle leggi dello stato, rispetto delle tradizioni, principio dell'autorità, esaltazione dei valori religiosi, desiderio di purezza morale e fisica dell'individuo e della famiglia, lotta per l'aumento della produzione, e anche lotta contro il malthusianesimo), non sono né più né meno che principi dell'ebraismo.19Sokolow incontrò di nuovo Mussolini il 16 febbraio 1933, poche settimane prima della vittoria di Hitler in Germania. Il loro incontro fu anche in questo caso “cordiale” e secondo l'Agenzia Telegrafica Ebraica, organo ufficiale della WZO, Mussolini “dimostrò acuto interesse per i risultati ebraici in Palestina”.20
Weizmann incontrò nuovamente Mussolini il 26 aprile 1933, convocato da quest'ultimo. I contenuti di questo incontro sono poco noti, mentre più conosciuto è il colloquio che i due ebbero il 17 febbraio 1934, quando Weizmann era responsabile per l'insediamento in Palestina degli ebrei tedeschi: una importante carica introdotta l'anno precedente dall'Esecutivo Sionista dopo avere stipulato l'Haavara Agreement coi nazisti, ovvero l'Accordo di Trasferimento in Palestina di quote di ebrei residenti in Germania, che potevano esportare i propri averi a patto di investirli nell'acquisto di beni materiali tedeschi (macchinari agricoli o altro) da utilizzare nella “Terra Promessa”.
Nell'incontro Mussolini si dichiarò a favore di un piccolo stato sionista indipendente, e aggiunse che avrebbe aiutato i sionisti a istituire una propria marina mercantile, riferendosi evidentemente al progetto di Jabotinsky a Civitavecchia (vedi oltre).
Il 13 novembre 1934 a recarsi dal duce fu Nahum Goldmann, presidente del World Jewish Congress, organismo di rappresentanti dell'ebraismo mondiale nato per reagire all'ondata di antisemitismo in Germania e Austria, ma molto moderato e dominato dai sionisti. Goldmann nella propria autobiografia afferma di aver detto a Mussolini che il WJC scoraggiava le manifestazioni di protesta contro Hitler e il cancelliere austriaco Schuschnigg, ma contava su di lui per un cambio di atteggiamento dei nazisti verso gli ebrei. Mussolini replicò:
Voi siete molto più forti del signor Hitler. Quando non vi sarà più traccia di Hitler, gli ebrei saranno ancora un grande popolo... gli ebrei non devono temerlo. Noi tutti vivremo fino a vederne la fine. Voi piuttosto dovete creare uno stato ebraico. Io sono un sionista, io. L'ho detto al dottor Weizmann. Voi dovete avere un vostro paese, non la ridicola Casa Nazionale che vi hanno offerto gli inglesi. Vi aiuterò a creare uno stato ebraico. La cosa più importante è che gli ebrei abbiano fiducia nel loro futuro e non si lascino spaventare da quell'imbecille di Berlino.21
Rapporti tra sionisti italiani (corrente revisionista) e fascismo
La linea filo-sionista seguita da Mussolini dal 1926 in avanti favorì lo sviluppo anche in Italia della corrente di destra del sionismo, il cosiddetto revisionismo, fondata da Vladimir Jabotinsky, che annoverava nelle sue file dichiarati sostenitori del fascismo e aveva il “pregio” di non essere legata all'imperialismo inglese come la corrente maggioritaria della WZO di Weizmann e Sokolow.
Jabotinsky era sempre stato un ammiratore dell'Inghilterra e politicamente vi faceva sempre riferimento, ma aveva passato alcuni anni giovanili in Italia, innamorandosi della cultura latina. Sin dal 1921, quando era ancora all'interno della WZO, in Italia prese contatto con l'ebreoSalonicco Isacco Sciaky, che fu uno dei pionieri del revisionismo nella penisola.
Anche se Jabotinsky a parole prese sempre le distanze dal fascismo, nella pratica la sua condotta era simile a quella di un “duce”, e il movimento revisionista nell'ambito del sionismo mondiale fu riconosciuto e a volte si autodefinì come “fascismo ebraico”. Ad esempio in Palestinadirigente revisionista Abba Achimeir teneva sul periodico Doar Hayom la rubrica “Appunti di un fascista”.
Il 25 aprile 1934 su The Nation uscì una importante sintesi del giornalista sionista laburista William Zuckerman, intitolata The Menace of Jewish Fascism, che tratteggiò le caratteristiche fondamentali del revisionismo:
un partito fascista ebraico non solo esiste ma ha già oltrepassato la fase della lotta per il riconoscimento e aspira al potere in seno al movimento sociale ebraico meglio organizzato... L'aspetto sinistro di questo paradosso è accentuato dal fatto che il fascismo ebraico è, per origini, fini e tattiche, più prossimo al fascismo tedesco che al fascismo italiano... Vanno in Palestina non per un ideale quale che sia, ma perchè tutti gli altri posti sono stati loro interdetti e perché é l'unico paese dove possono insediare un fascismo che sia loro proprio e dove sia possibile far rivivere la gloria del loro mondo passato.22Zuckerman aggiungeva: “Il movimento sionista, come tutti i movimenti nazionalisti, è il terreno più fertile per il fascismo...In Polonia non c'è più alcuna distinzione tra la stampa sionista e la stampa fascista...La gran parte del movimento sionista gravita intorno al fascismo, anche se la maggior parte dei sionisti non ne sono consapevoli, e la maggior parte negherà le accuse con indignazione, affermando che il loro nazionalismo è puro e non egoista”.23
Mussolini, dal canto suo, nel 1935 disse a David Prato che “affinchè il sionismo abbia successo, deve ottenere uno stato ebraico, con una bandiera ebraica e una lingua ebraica. La persona che veramente capisce questo è il vostro fascista, Jabotinsky”.24
In occasione del Congresso Sionista Mondiale del 1929 Sciaky fu tra gli autori di un volantino propagandistico per l'elezione dei delegati, nel quale si leggeva tra l'altro:
Ci hanno chiamato i fascisti del Sionismo. E sia. Voglia il Signore che la nostra opera sia così provvida per le sorti di Israele risorgente come lo è stato e lo è quella del Fascismo per l'Italia.25I revisionisti italiani dal maggio 1930 pubblicarono un mensile a Milano, L'Idea Sionistica, lo stesso titolo del periodico della Federazione Sionistica Italiana all'inizio del secolo.
Nei primi anni '30 il movimento revisionista stava rompendo con la WZO, e i contatti con il regime fascista si fecero sempre più frequenti. Nel 1931 Jabotinsky scrisse a Leone Carpi, intermediario tra il movimento e il governo di Mussolini, con la proposta di costituire una scuola di partito revisionista in Italia, in particolare rivolta ai membri del Betar, il settore giovanile. Questa intenzione si trasformò nell'istituzione di un corso di addestramento per i giovani sionisti del Betar presso la Scuola Marittima di Civitavecchia, a partire dall'ottobre 1934.
Nel gennaio 1935 il progetto, già avviato, fu approvato ufficialmente dal Consiglio dei Ministri del governo fascista:
In seguito al permesso accordato dal ministero degli Interni...sono arrivati a Civitavecchia 14 giovani sionisti e altri 20 arriveranno... Questa notizia è stata accolta nel mondo sionista con grande entusiasmo. I vantaggi legati a questa iniziativa sono:
La stampa revisionista italiana fece descrizioni colme di elogi per gli organizzatori dei corsi. Davar scrisse:
- Diffusione tra i sionisti della lingua italiana, della cultura e della civiltà italiana e fascista.
- Diffusione delle idee fasciste in Palestina26
Occorre dire che tutti, Autorità governative e Consorziali, Gerarchi locali e Insegnanti della scuola, si sono prodigati con comprensione e benevolenza a far sì che i giovani, venuti da così lontano ad apprendere.... trovassero una calda e amorevole ospitalità da noi. Ed è altamente significativo che essi... siano venuti a ispirarsi e a istruirsi in questa nostra Italia fascista, risorta, duce Mussolini, a nuova vita e a più alta morale umana e religiosa.27Nel marzo del 1936 L'Idea Sionistica descrisse la cerimonia per l'inaugurazione della nuova sede del Betar:
All'ordine “Attenti!” risuonò un triplice slogan guidato dal comandante del plotone (Viva l'Italia! Viva il Re! Viva il Duce!), cui fece seguito la benedizione impartita da rabbi Aldo Lattes in italiano e in ebraico, per Dio per il Re e per il Duce... I betarim cantarono con entusiasmo Giovinezza (l'inno del partito fascista).28Sempre nel 1936 Mussolini in persona visitò la scuola, passando in rivista i betarim.
Nell'autunno del 1936, al termine di uno dei corsi, gli aspiranti marinai compirono una crociera (Civitavecchia – Napoli – Genova – Livorno – Civitavecchia). Alla partenza Isacco Sciaky raccomandò ai marinai:
Allievi! Salutate la bandiera italiana che sventola sulla nostra nave ebraica. Ricordate sempre cosa vi ha dato l'Italia fascista! Tenete presente l'amore, la stima, la simpatia che deve conservare l'allievo per il suo professore.29Durante la sosta livornese la nave venne accolta in pompa magna dalla comunità ebraica locale, presieduta da Guido Belforte: “Il Presidente Belforte ringraziò i convenuti della graditissima visita, inneggiando alla grandezza e all'ospitalità dell'Italia fascista”.30
Etiopia 1935
A partire dal 1935, furono la questione dell'Etiopia e la Guerra di Spagna a orientare il regime fascista verso la Germania.
Alla fine del 1934 tra Italia e Germania esistevano molti motivi di contrasto, tanto che il 7 gennaio 1935 a Roma Mussolini firmò un accordo franco-italiano con il ministro degli Esteri francese Pierre Laval: scambio di territori tra l'Eritrea italiana e la Somalia francese e appoggio italiano alla Francia contro la Germania in cambio del via libera francese alla conquista italiana dell'Abissinia. Tre mesi dopo (11 – 14 aprile) l'Italia formò con Francia e Inghilterra la coalizione anti-tedesca nota come Fronte di Stresa.
Ma l'invasione italiana dell'Etiopia (3 ottobre 1935) incontrò l'opposizione della Società delle Nazioni, che condannò l'attacco (6 ottobre) e approvò alcune sanzioni (18 novembre), peraltro moderate, contro il regime di Mussolini. In tali circostanze Mussolini cercò di appoggiarsi ai suoi sodali ebrei e sionisti. Fu così che “l'Unione delle Comunità Israelitiche Italiane, su consiglio e invito di un alto ufficiale ebreo della marina italiana...inviò due emissari (Dante Lattes e Angelo Orvieto) a Londra allo scopo di mobilitare l'opinione anglo-ebraica contro la politica delle sanzioni”.31 Essi incontrarono vari leader ebraici tra cui Weizmann, ma quest'ultimo rimase fedele all'Inghilterra e non difese l'Italia dalle sanzioni.
Roma inviò allora l'ebreo fascista (e non sionista) Corrado Tedeschi in Palestina, a suggerire ai sionisti laggiù che un atteggiamento di apertura verso l'Italia avrebbe loro giovato in quanto avrebbe condizionato il governo mandatario inglese. Tedeschi vide diversi esponenti sionisti, sia della fazione di Jabotinsky che dell'Agenzia Ebraica, in particolare il “ministro degli Esteri” di quest'ultima Moshe Sharett. Nel suo rapporto finale Tedeschi scrisse che “il sionismo era al tempo stesso una forza con cui fare i conti e un potenziale alleato contro la Gran Bretagna; l'amicizia degli ebrei in Palestina era pertanto un obiettivo da perseguire...”32 altrimenti l'Italia ci avrebbe rimesso a vantaggio esclusivo della Gran Bretagna.
Proclamato l'Impero etiopico il 9 maggio 1936, l'Italia aveva in mente di farne una testa di ponte per un'ulteriore espansione, verso l'Egitto e i domini inglesi in Medio Oriente. A tale scopo ipotizzò il trasferimento degli ebrei in Abissinia, in preparazione di un loro uso contro gli inglesi in Palestina (inglesi che nel frattempo avevano sospeso l'immigrazione in Palestina a causa della Grande Rivolta Araba). Nel luglio 1936 al Cairo si svolse un colloquio tra il locale rappresentante dell'Agenzia Ebraica, Nahum Wilenski, e l'emissario fascista Ugo Dadone. Una nota sulla conversazione riporta che per Dadone l'intenzione degli italiani è che gli ebrei si stabiliscano nella zona di Gojjam in Abissinia... Egli si rende conto che l'insediamento ebraico non può costituire un obiettivo finale per gli ebrei. Ma l'Italia è pronta a favorire, in cambio dell'assistenza ebraica in questa vicenda, la creazione di uno stato ebraico in Palestina...Successivamente, questo stesso signore si è incontrato con rappresentanti della comunità ebraica egiziana al Cairo, e ha fatto loro identiche proposte.33
Ma questi abboccamenti ebbero scarso successo: l'Organizzazione Sionista Mondiale rimaneva prevalentemente fedele all'Inghilterra, e i suoi rapporti con l'Italia fascista avevano raggiunto l'apice nel 1934, prima di iniziare un progressivo declino. L'ultimo abboccamento di rilievo ebbe luogo il 4 maggio 1937 tra Nahum Goldmann e il ministro degli Esteri fascista Ciano, ma si risolse in un nulla di fatto. Avvicinandosi alla Germania nazista, Mussolini e il governo italiano tendevano a mantenere maggiori contatti con l'ala revisionista del sionismo, che nel frattempo si era strutturata a livello internazionale con la creazione, nel 1935, della Nuova Organizzazione Sionista.
I vertici dell'ebraismo italiano nel frattempo rimanevano per lo più fedeli al fascismo e alle sue imprese coloniali. Israel del 25 marzo 1937 scrisse sulla visita di Mussolini in Libia, paese ove l'Italia aveva compiuto un vero e proprio genocidio contro i beduini arabi guidati da Omar Mukhtar:
Tutti i quotidiani del mondo hanno riferito, a proposito della visita del Duce in Tripolitania, le accoglienze entusiastiche e festose di quelle popolazioni ebraiche... è stato offerto al capo del governo un dono simbolico a nome della popolazione ebraica, che consiste in una ricca Hannucà d'oro massiccio del peso di kg. 3... Sulla Hannucà è pure incisa la seguente iscrizione in italiano: “A Benito Mussolini gli ebrei di Tripoli con profonda conoscenza e devozione”...L'illuminazione del quartiere ebraico...è straordinaria e sfarzosa: una grande Menorah, le lettere Dux e ai lati di esse il Fascio Littorio, il tutto artisticamente disposto con un effetto meraviglioso.34
5. LA PERSECUZIONE DEGLI EBREI ITALIANI (1938 - 45)
Le Leggi Razziali del 1938
Il graduale riavvicinamento con la Germania giocò un ruolo cruciale nell’emanazione delle leggi razziali in Italia, ma secondo De Felice e Candeloro (volume IX della «Storia dell’Italia moderna», Feltrinelli) ancora nel febbraio 1938 Mussolini cercava di agire con moderazione e non voleva andare oltre un blando antisemitismo. Lo testimonierebbe il numero 14 dell’«Informazione diplomatica», emanata il 16 febbraio, in cui si affermava che il governo vigilava affinchè «la parte degli ebrei nella vita dell’insieme della nazione non sia sproporzionata ai meriti intrinseci e individuali e all’importanza numerica della comunità». Mussolini suggeriva ancora di risolvere il «problema» con la creazione di uno «Stato ebraico», non più in Palestina per non irritare gli arabi, ma pensando probabilmente, come abbiamo già visto, all’Africa Orientale Italiana.
La svolta decisiva verso la politica antisemita probabilmente venne compiuta dopo la visita in Italia di Adolf Hitler dal 3 all’8 maggio. Un viaggio che apparentemente non produsse grandi frutti diplomatici se non rafforzare l’amicizia tra i due regimi, ma che di fatto diede impulso ai provvedimenti antisemiti. Non vi sono documenti né testimonianze di esplicite richieste avanzate da Hitler, se non una frase che Mussolini avrebbe riferito a Dino Grandi. Ma è evidente che dopo il suo viaggio a Roma, durante il quale papa Pio XI, inorridito dall’uso blasfemo della croce nazista, si ritirò a Castel Gandolfo, l’antisemitismo fascista subì una decisa accelerazione. Un grande passo, prima dell’emanazione delle leggi, fu la pubblicazione il 14 luglio, sul «Giornale d’Italia» del «Manifesto della razza». Il documento, cui avevano collaborato molti professori universitari, ma che era stato rivisto a fondo da Mussolini, apparve prima in forma anonima, e soltanto il 25 luglio un comunicato del Partito fascista rese noti i nomi degli estensori.
In quel testo, composto da dieci punti, si affermava tra l’altro: «Gli ebrei rappresentano l’unica popolazione che non si è mai assimilata in Italia, perché essa è costituita da elementi razziali non europei, diversi in modo assoluto dagli elementi che hanno dato origine agli italiani».
L’antisemitismo era assurto così a dottrina di Stato e gli esponenti del razzismo più estremo presero sempre più piede. Il 5 agosto, accompagnato da un grande battage, venne pubblicato il primo numero del quindicinale «La difesa della razza» diretto da Telesio Interlandi. Molti intellettuali in quei mesi si unirono alla propaganda razzista e antisemita. Ad esempio il Corriere della sera del 1 novembre 1938 conteneva un’entusiastica recensione di Guido Piovene: «Si deve sentire d’istinto e quasi per l’odore quello che v’è di giudaico nella cultura. Gli ebrei possono essere solo nemici e sopraffattori della nazione che li ospita». Sul medesimo giornale l'11 giugno 1939 Paolo Monelli sosteneva che «gli ebrei appaiono tutti uguali come i cinesi... come i cavalli, adeguati agli incroci consanguinei, dall’eguale vita dagli squallidi orizzonti».
Le prime leggi antisemite, emanate tra il 2 e il 3 settembre 1938, vietavano tra l’altro la dimora in Italia degli ebrei stranieri e la revoca della cittadinanza per chi era arrivato dopo il 1918.
Gli ebrei vennero esclusi dagli insegnamenti di ogni ordine e grado e fu loro vietato di frequentare le scuole pubbliche. Giuseppe Bottai, ministro dell’Educazione nazionale, si mostrò particolarmente solerte e intransigente nell’applicazione dei provvedimenti antisemiti. Ne fa fede il suo stesso diario. E Galeazzo Ciano commentò così quella seduta del massimo organo del fascismo: «Bottai mi sorprende per la sua intransigenza». Il ministro dell’Educazione era ben allineato perché fu lo stesso Mussolini a confidare a suo genero: «Anche se stasera sono conciliante sarò durissimo nella preparazione delle leggi». E infatti, a breve, il 17 novembre 1938, fu emanato il secondo e duro decreto legge con cui gli ebrei venivano esclusi dal servizio militare, dalle cariche pubbliche, erano limitati nel campo della proprietà immobiliare, nella gestione delle aziende private e nell’esercizio delle professioni. Venivano inoltre stilati i criteri per stabilire chi era da considerarsi ebreo.
Mussolini temeva la reazione di due autorità autonome: la monarchia e il Vaticano. Da Vittorio Emanuele III venne una blanda obiezione sugli ebrei che si erano distinti in azioni patriottiche o erano mutilati di guerra. Ciò diede luogo a una serie di esenzioni. Ma alla fine il re firmò le leggi razziali. Ben diverso e più combattivo fu l’atteggiamento di papa Pio XI. Il 28 giugno 1938, durante una riunione con gli allievi del collegio della Propaganda Fide, il pontefice attaccò il razzismo italiano, fatto per imitare la Germania. Mussolini contrattaccò personalmente. Ma lo scontro più duro si ebbe sul tema dei matrimoni misti non riconosciuti dalla nuova legislazione antisemita, che violava alcuni articoli del Concordato. Pio XI, che meditava un nuovo attacco in occasione del decennale dei Patti lateranensi, morì il 10 febbraio 1939 in seguito a due crisi cardiache. Gli succedette il più diplomatico Pio XII, che, scrive De Felice, «preferì arrivare prudentemente a una distensione di fatto e tollerare la violazione fascista del Concordato».
La Shoah in Italia
Le Leggi Razziali del 1938 determinarono l'allontanamento di migliaia di ebrei dalla penisola, e l'espulsione di migliaia di altri da professioni e funzioni pubbliche. Tuttavia fu solo con l'occupazione nazista del 1943 che iniziò la tragedia vera e propria per gli ebrei italiani.
La prima retata delle SS ebbe luogo a Trieste il 9 ottobre 1943. In questa, e in un'altra retata successiva (19 gennaio 1944) vennero arrestati nella città giuliana 710 ebrei. Pochi giorni più tardi (16 ottobre1943), un rastrellamento di grandi proporzioni fu effettuato presso il ghetto di Roma provocando l'arresto di 1.259 ebrei; due giorni dopo 1.023 vennero deportati ad Auschwitz (solo diciassette sopravvissero). Successivamente altre retate operate dai nazisti nella capitale portarono il numero totale degli ebrei romani scomparsi durante l'occupazione tedesca a 2.021. La Carta di Verona (novembre 1943) della appena sorta Repubblica Sociale Italiana definiva il problema dell'ebraismo d'Italia nel capitolo settimo: «Gli ebrei sono stranieri e parte di una nazione nemica». Ogni proprietà ebraica nella Repubblica di Salò venne sequestrata ed assegnata alle vittime dei bombardamenti anglo-americani. Al momento della Liberazione i decreti di confisca erano approssimativamente ottomila: la RSI confiscò alla gente ebraica beni fra immobili e preziosi del valore approssimativo di due miliardi di lire del tempo.
Nel febbraio del 1944 il comando tedesco assunse possesso in via diretta del campo di concentramento di Fossoli vicino a Modena, da dove gli ebrei vennero mandati nei campi dell'Europa orientale.
L'antisemitismo non attecchì granché fra la popolazione italiana, trovando per contro forte opposizione specialmente in certi gruppi intellettuali, nel proletariato e nei ceti a più basso reddito.
Sono moltissimi i casi registrati di ebrei e/o di ebrei aderenti a movimenti di sinistra tenuti nascosti durante i rastrellamenti. Una città in cui questo fenomeno fu ragguardevole è stata quella di Genova, mentre storicamente accertati sono i contributi dati in questo senso da molte personalità divenute poi figure storiche, come Giovanni Palatucci e Giorgio Perlasca.
Secondo i dati riportati da Liliana Picciotto Fargion gli ebrei arrestati e deportati in Italia furono 6.807; gli arrestati e morti in Italia 322; gli arrestati e scampati in Italia 451. Tolti quelli morti in Italia, gli uccisi nella Shoah furono 5.791, quindi circa il venti per cento degli ebrei italiani. Di 950 persone mancano notizie attendibili.
Nell'Italia settentrionale (controllata dai nazifascisti) erano presenti circa 43.000 ebrei: quelli deportati tra il 1943 e il 1945 saranno circa 7.500, di cui ne sopravviveranno solo 610. Ai morti deportati vanno poi aggiunti gli ebrei uccisi sul territorio nazionale, stimati tra i 200 e i 400. Altre centinaia troveranno rifugio in Svizzera e nel sud Italia.
Rispetto agli altri paesi occupati o alleati della Germania, la percentuale di ebrei sopravvissuta è molto maggiore (più dell'80%).
La Resistenza ebraica in Italia
La DELASEM (Delegazione per l'Assistenza degli Emigranti Ebrei) fu fondata con l'autorizzazione del governo fascista il 1o dicembre 1939 dall'UCII, per l'assistenza e la distribuzione degli aiuti internazionali alle migliaia di profughi ebrei che cercavano rifugio in Italia per l'espatrio in paesi neutrali. Dopo l'8 settembre 1943, la DELASEM proseguì clandestinamente la sua azione anche durante il periodo dell'occupazione tedesca e della Repubblica Sociale Italiana, con centrali a Roma e Genova, fornendo aiuti economici e carte di identità false ai correligionari perseguitati, potendo godere di una vasta rete di complicità e supporto anche tra non ebrei. Tra gli ebrei italiani direttamente impegnati nell'organizzazione si ricordano in particolare: Lelio Vittorio Valobra e Massimo Teglio a Genova, Giorgio Nissim a Lucca, Mario Finzi a Bologna, Nathan Cassuto, Raffaele Cantoni e Matilde Cassin a Firenze, Settimio Sorani e Giuseppe Levi a Roma, Salvatore Jona in Piemonte.
Circa 2000 furono gli ebrei che parteciparono attivamente alla Resistenza, con la massima concentrazione (circa 700) in Piemonte. La percentuale, pari al 4 per cento della popolazione ebraica italiana, è di gran lunga superiore a quella degli italiani nel loro complesso. Circa 100 caddero in combattimento o, arrestati, furono uccisi nella penisola o in deportazione; otto furono insigniti di medaglia d'oro alla memoria (Eugenio Colorni, Eugenio Curiel, Eugenio Calò, Mario Jacchia, Rita Rosani, Sergio Forti, Ildebrando Vivanti, Sergio Kasman). Fra i caduti vanno ricordati il 13enne bolognese Franco Cesana, i torinesi Emanuele Artom e Ferruccio Valobra, i triestini Eugenio Curiel e Rita Rosani, il milanese Eugenio Colorni, il toscano Eugenio Calò, gli emiliani Mario Finzi e Mario Jacchia, e l'intellettuale Leone Ginzburg.
Franco Cesana |
Ferruccio Valobra |
Ebrei Italiani, Fascismo e Sionismo by Klaudiko Ilgabibich on Scribd
Immagini in copertina:
– medaglia celebrativa della legge Falco (30 ottobre 1930) che all'epoca definì i rapporti tra le comunità ebraiche e il governo fascista istituendo l'Unione delle Comunità Israelitiche Italiane
– i giovani sionisti revisionisti del Betar partecipano a un'adunata fascista a Civitavecchia
Note
__________________________
1. Cecil Roth, The History of the Jews in Italy, 1946
2. Luigi Villari, Luigi Luzzatti, 1934
3. Gaetano Salvemini, Will the Lightning Follow? , 1934
3. Gaetano Salvemini, Will the Lightning Follow? , 1934
4. Renzo De Felice, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, 1961
5. Furio Bigini, Mussolini e il sionismo, 1919 – 38, 1998
6. ibidem
7. Andrea Giacobazzi, L'Asse Roma – Berlino – Tel Aviv, 2010
8. Giovanni Cecini, I soldati ebrei di Mussolini. I militari israeliti nel periodo fascista, 2008
9. In Meir Michaelis, Mussolini e la questione ebraica, 1978
10. Luca Ventura, Ebrei con il duce. “La nostra bandiera” (1934 – 38), 2002
11. Rassegna mensile di Israel, n. 5 1962
5. Furio Bigini, Mussolini e il sionismo, 1919 – 38, 1998
6. ibidem
7. Andrea Giacobazzi, L'Asse Roma – Berlino – Tel Aviv, 2010
8. Giovanni Cecini, I soldati ebrei di Mussolini. I militari israeliti nel periodo fascista, 2008
9. In Meir Michaelis, Mussolini e la questione ebraica, 1978
10. Luca Ventura, Ebrei con il duce. “La nostra bandiera” (1934 – 38), 2002
11. Rassegna mensile di Israel, n. 5 1962
12. Renzo De Felice, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, 1961
13. Il Regime Fascista, 24 settembre 1933
14. Luca Ventura, Ebrei con il duce. “La nostra bandiera” (1934 – 38), 2002
15. La Nostra Bandiera, 17 gennaio 1935
13. Il Regime Fascista, 24 settembre 1933
14. Luca Ventura, Ebrei con il duce. “La nostra bandiera” (1934 – 38), 2002
15. La Nostra Bandiera, 17 gennaio 1935
16. Meir Michaelis, Mussolini e la questione ebraica, 1978
17. ibidem
18. Michael Ledeen, Italian Jews and Fascism, 1969
19. Guido Bedarida, The Jews under Mussolini, The Reflex ottobre 1927
20. JTA, 19 febbraio 1933
19. Guido Bedarida, The Jews under Mussolini, The Reflex ottobre 1927
20. JTA, 19 febbraio 1933
21. Nahum Goldman, Autobiography, 1969
22. The Nation, 25 aprile 1934
23. ibidem
24. In Lenni Brenner, Il sionismo nell'età dei dittatori, 1983
23. ibidem
24. In Lenni Brenner, Il sionismo nell'età dei dittatori, 1983
25. Archivio Carpi
26. Archivio della Presidenza del Consiglio dei Ministri
27. Davar, 4 aprile 1935
28. In Lenni Brenner, Il Sionismo nell'Età dei Dittatori, 1983
29. L'Idea Sionistica, novembre – dicembre 1936
30. La Nostra Bandiera, 1 novembre 1936
31. Meir Michaels, Mussolini e la questione ebraica, 1978
27. Davar, 4 aprile 1935
28. In Lenni Brenner, Il Sionismo nell'Età dei Dittatori, 1983
29. L'Idea Sionistica, novembre – dicembre 1936
30. La Nostra Bandiera, 1 novembre 1936
31. Meir Michaels, Mussolini e la questione ebraica, 1978
32. ibidem
33. Public Record Office, Londra
34. Israel, 25 marzo 1937
33. Public Record Office, Londra
34. Israel, 25 marzo 1937
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