sabato 8 febbraio 2020

BRIGATA EBRAICA L’ennesima montatura pro - Israele



25 aprile contro nazifascismo e sionismo


BRIGATA EBRAICA

L’ennesima montatura pro - Israele



Perché qualche migliaio di sionisti che ebbero un ruolo insignificante nella lotta al nazifascismo vengono così tanto celebrati dalla macchina della propaganda pro-Israele in occasione del 25 aprile? Semplicemente, perché rappresentarono uno degli embrioni dell’esercito israeliano, obiettivo accanitamente perseguito dai sionisti per tutta la prima metà del Novecento (in particolare dai sionisti revisionisti, la corrente più militarista e destrorsa). Ripercorrendo per sommi capi la storia della “Brigata ebraica” e confrontandola con quella complessiva degli ebrei che lottarono contro il nazifascismo, questa montatura appare in tutta la sua evidenza.


1. UN PO’ DI NUMERI PER INQUADRARE LA QUESTIONE  
2. BREVE STORIA DELLA BRIGATA SIONISTA 
3. IL PRECEDENTE: LA LEGIONE EBRAICA NELLA PRIMA GUERRA MONDIALE  
4. GLI EBREI LOTTANO CONTRO IL FASCISMO, I SIONISTI NO - I
Le Brigate Internazionali in Spagna.  
5. GLI EBREI LOTTANO CONTRO IL FASCISMO, I SIONISTI NO – II
La battaglia di Cable Street  
6. LA BRIGATA SIONISTA E IL 25 APRILE (ISM – Italia)  
7. CONTESTARE LA BRIGATA EBRAICA E’ UN DOVERE (Fronte Palestina) 
8. L’IDIOZIA DELLA BRIGATA EBRAICA IL 25 APRILE (Senza Tregua)

In copertina:
- Manifesto propagandistico per l’arruolamento nella Legione Ebraica, Stati Uniti, 1918
- Manifesto in onore di Jabotinskij, 1926





1. UN PO’ DI NUMERI PER INQUADRARE LA QUESTIONE1


   Complessivamente circa 1,5 milioni di ebrei combatterono negli eserciti alleati durante la Seconda guerra mondiale.

   Di questi, un terzo (500.000 uomini) facevano parte dell’Armata Rossa sovietica.
  120.000 soldati ebrei dell’Armata Rossa furono uccisi in combattimento e circa 80.000 furono fatti prigionieri e assassinati dai tedeschi. Più di 160.000 ebbero citazioni di merito e oltre 150 furono designati “Eroi dell’Unione Sovietica”, la massima onorificenza per un soldato dell’Armata Rossa.
   Più di un altro terzo (550.000 uomini) combatterono nell’esercito degli Stati Uniti, su tutti i fronti, dall’Europa al Pacifico. Circa 10.000 furono uccisi in combattimento, e più di 36.000 ebbero citazioni di merito.
   Almeno 100.000 ebrei combatterono nell’esercito polacco contro l’invasione nazista. Gli ebrei costituivano circa il 10% dell’esercito polacco, una percentuale proporzionale alla popolazione del paese. Circa 30.000 caddero in combattimento o furono fatti prigionieri dai nazisti o finirono dispersi durante la difesa della Polonia; di questi, almeno 10.000 nella difesa di Varsavia.
   In seguito migliaia di ebrei polacchi militarono nelle varie armate polacche inquadrate negli eserciti alleati.
   Circa 30.000 ebrei militarono nell’esercito inglese tra il 1939 e il 1946. Di questi, alcune migliaia di coloni sionisti in Palestina (più altri ebrei provenienti da altri paesi per un totale di circa 5.500 uomini) alla fine del 1944 furono inquadrati nell’esercito inglese come “Brigata ebraica”.
   Questa brigata combatté all’interno dell’esercito inglese in Italia, per circa un mese e mezzo (marzo – aprile 1945). Ebbe 30 caduti e 70 feriti.
   Nei ghetti la più grande dimostrazione di resistenza ebraica fu la rivolta del ghetto di Varsavia, dall'aprile al maggio del 1943, mentre stava per iniziare la liquidazione totale del ghetto con le ultime deportazioni verso i campi di sterminio. La ŻOB e altre organizzazioni più piccole resistettero ai nazisti per 27 giorni, prima di essere quasi tutte sterminate. Nello stesso anno, sommosse e sollevazioni ebbero anche luogo a Vilnius e Bialistok, così come in diversi altri ghetti.
   Ci furono tentativi di resistenza anche nei campi di sterminio. Nell'agosto 1943 scoppiò una rivolta al campo di sterminio di Treblinka. Molti edifici furono bruciati e settanta detenuti riuscirono a fuggire però altri 1.500 furono uccisi; i danni arrecati interruppero per un mese le procedure di eliminazione con le camere a gas per un mese. Nell'ottobre 1943 avvenne un'altra ribellione al campo di sterminio di Sobibór: 11 guardie delle SS furono uccise, e circa 300 dei 600 internati del campo fuggirono, dei quali circa 50 sopravvissero alla guerra. La fuga indusse le autorità naziste a chiudere il campo. Il 7 ottobre 1944 i Sonderkommando2 di Auschwitz insorsero, alcune donne prigioniere sottrassero esplosivo da un deposito di armi e fecero esplodere parte del Forno Crematorio IV. Circa 250 prigionieri tentarono la fuga ma furono uccisi tutti.

   Decine di migliaia di giovani ebrei si opposero ai nazisti scappando dai ghetti e rifugiandosi lontano dalle città, dove si unirono ai gruppi partigiani: ciò accadde in Belgio, Francia, Italia, Polonia, Jugoslavia, Grecia, e Slovacchia, Unione Sovietica etc. Anche alcuni sionisti provenienti dalla Palestina, tra cui la più famosa fu Hannah Szenes, si fecero paracadutare in Europa nel tentativo di contribuire al movimento di resistenza.

   La comunità ebraica italiana negli anni ’20 – ‘30 aveva per lo più convissuto e collaborato con il fascismo, fino al 1938 quando vennero promulgate le leggi razziali. In seguito ai rovesci della guerra, dal 1943 in poi almeno 1000 ebrei italiani parteciparono attivamente alla Resistenza all’interno di varie formazioni partigiane, in particolare in Piemonte (nelle Brigate Garibaldi e in quelle di Giustizia e Libertà).


2. BREVE STORIA DELLA BRIGATA SIONISTA


   La prima menzione tra gli artefici della Brigata ebraica della Seconda guerra mondiale non può che andare a colui che promosse lo stesso progetto già in occasione della Grande Guerra (vedi par.3), ovvero il fondatore del sionismo revisionista: Vladimir Jabotinsky.

   Subito dopo l'invasione tedesca della Polonia nel 1939, Jabotinsky chiese agli inglesi di creare una forza armata composta dai sionisti presenti in Palestina. Londra respinse la proposta, considerandola una tappa del processo di costituzione di uno Stato ebraico e paventando la reazione rabbiosa degli arabi. Jabotinsky quindi rivolse la sua attenzione verso Washington, compiendo un viaggio verso gli Stati Uniti, all'inizio del 1940, per cercare sostegno per l'idea della brigata. Dopo la sua morte, sopraggiunta il 25 agosto, la campagna per la brigata sionista fu portata avanti in maniera particolarmente intensa da due dei suoi seguaci, Hillel Kook (meglio conosciuto come Peter Bergson) e Benzion Netanyahu (storico e padre dell’attuale Primo ministro di Israele).

   Il loro "Comitato per un esercito degli ebrei palestinesi" fece annunci a tutta pagina sui giornali e lobbying verso membri del Congresso americano. La campagna attirò l'appoggio di numerosi esponenti politici, dirigenti sindacali e intellettuali di spicco, e alcune stelle di Hollywood e Broadway, grazie agli sforzi del drammaturgo Ben Hecht e dell’attrice Stella Adler.

   Verso la fine della guerra Londra si convinse. Winston Churchill, che nel luglio del 1944 aveva affossato la possibilità di una trattativa coi nazisti per la liberazione degli ebrei dai campi di sterminio3, il 29 settembre dello stesso anno diede il seguente l’annuncio al Parlamento inglese:
   “So benissimo che c’è già un gran numero di ebrei nelle nostre forze armate e in quelle americane; ma mi è sembrato opportuno che un’unità formata esclusivamente da soldati di questo popolo, che così indescrivibili tormenti ha dovuto patire per colpa dei nazisti, fosse presente come formazione a sé stante fra tutte le forze che si sono riunite per sconfiggere la Germania”.
   Dopo un primo addestramento ad Alessandria d'Egitto, la Brigata venne inviata nel novembre 1944 sul fronte italiano. Sbarcata a Taranto, dove i soldati ricevettero un ulteriore addestramento, la Brigata fu inquadrata X Corpo dell'VIII Armata Britannica, comandata dal generale Richard McCreery. Successivamente effettuò il trasferimento verso il fronte nel settore adriatico.

   Entrata in linea dal 3 marzo 1945, prese parte ai combattimenti di Alfonsine (19 e 20 marzo 1945). Il 27 marzo combatté al fianco del Gruppo di Combattimento "Friuli" contro la IV Divisione Paracadutisti del Reich. Il 9 e 10 aprile 1945 partecipò alla Battaglia dei tre fiumi assieme alle forze alleate, con la quale venne sfondata la Linea Gotica. Nel corso del ciclo operativo in Italia tra il 3 marzo ed il 25 aprile 1945 la Brigata Ebraica ebbe 30 morti e 70 feriti.

   Dopo il 25 aprile, la Brigata ebraica fu acquartierata a Tarvisio, in Friuli. Da allora, insieme agli agenti in Europa del Mossad e dell’Haganah, uomini della Brigata iniziarono a gestire l’immigrazione ebraica clandestina in Palestina, finalizzata la costruzione dello stato sionista.

   L’Italia fu la principale base di partenza delle navi cariche di sopravvissuti all’Olocausto, che venivano trasferiti (molti con l’inganno o con la forza) nella “terra promessa”.

   La Brigata ebraica si dedicò in particolare agli orfani ebrei che durante la guerra erano stati accolti da famiglie non ebree o istituzioni cristiane. Occorreva trovare questi bambini e riunirli in orfanotrofi appositamente allestiti, dove avrebbero ricevuto un’educazione sionista e sarebbero stati preparati all’emigrazione in Palestina.
   Questa procedura non era sempre semplice. Il recupero dei bambini dalle famiglie adottive richiese a volte una certa violenza. Molti nuclei familiari che li avevano salvati li trattavano ormai come figli. In alcuni casi, per riprendersi i bambini gli uomini della Brigata dovettero ricorrere alla forza...Fu in questo modo che vennero raccolti gli orfani e creati gli orfanotrofi.
   Uno dei più noti era l’orfanotrofio nella città di Selvino, in Italia settentrionale... nella casa vigevano regole di condotta rigide e ben precise...ai bambini non era consentito uscire neppure per cercare i parenti superstiti, nel timore che ciò potesse indurli ad andare in Europa invece di andare in Palestina...
   Il successo della casa di Selvino e di altre istituzioni simili fu il risultato dell’accurata preparazione dei sionisti...L’obiettivo era stabilire una testa di ponte ideologica e una base organizzativa per i superstiti, in modo che una grande quantità di ebrei, di ogni età, decidesse infine di insediarsi in Palestina.4
   La maggior parte degli uomini della Brigata tornarono poi in Palestina per partecipare alla pulizia etnica degli arabi del 1947 – 48, che permise la proclamazione dello stato sionista.
   35 uomini della Brigata divennero generali dell’esercito israeliano.




3. IL PRECEDENTE: LA LEGIONE EBRAICA NELLA GUERRA 1914 - 18


   I Mulattieri di Sion. L’idea sionista di creare una brigata composta da emigrati ebrei in Palestina, come embrione di esercito col quale rivendicare il possesso della “terra promessa”, risale all’inizio del Novecento, quando la Palestina era una provincia dell’Impero ottomano.

   Allo scoppio della Prima guerra mondiale gli emigrati sionisti russi in Palestina, guidati da David Ben Gurion e Israel Shochat, offrirono al governatore Jamal Pascià i servigi di una milizia sionista che controllasse il territorio, per liberare l’esercito turco su altri fronti. Ma il governatore turco considerò quegli emigrati dall’Impero zarista alla stregua di nemici, e ne espulse migliaia in Egitto, che allora era un protettorato inglese.

   Fu ad Alessandria d’Egitto, nel 1915, che l’ebreo sionista di Odessa Vladimir Jabotinsky, corrispondente di guerra del periodico Rus, si imbattè in quelle migliaia di suoi connazionali, ed ebbe l’idea di proporre una milizia sionista che combattesse per gli inglesi, alleati della Russia zarista.

   Il console russo in Egitto fu subito d’accordo. Quei sionisti tecnicamente avrebbero dovuto arruolarsi nell’esercito zarista, ma in quest’ultimo dominava l’antisemitismo. Ora un sionista veniva a proporre una soluzione ottimale, che avrebbe tenuto gli emigrati ebrei fuori dai piedi pur facendoli combattere contro i nemici dello Zar!

   Gli inglesi invece furono piuttosto riluttanti rispetto alla proposta di Jabotinsky. In Inghilterra non vi era ancora la coscrizione obbligatoria, il Segretario alla guerra Lord Kitchener riteneva il fronte turco periferico e non aveva per ora piani di invasione della Palestina. Alla fine fu accordato che gli ebrei esuli russi in Egitto costituissero un “Corpo dei Mulattieri di Sion” con funzioni logistiche, ma con l’intesa che avrebbero dovuto combattere su qualunque fronte fosse stato richiesto. Jabotinsky lì per lì rifiutò sdegnosamente quella soluzione di ripiego, ma dovette ricredersi quando diversi esuli accettarono la proposta, e 562 “mulattieri sionisti” parteciparono con gli inglesi alla Battaglia di Gallipoli 5. Tempo dopo Jabotinsky ebbe a dire:
   Fu quel battaglione di asini di Alessandria, schernito da tutti i buontemponi di Israele, che mi aprì le porte degli uffici governativi di Whitehall. Il ministro degli Esteri di Pietrogrado scrisse al conte Benkendorf, ambasciatore russo a Londra; l’ambasciata russa inviò rapporti al Foreign Office inglese; l’attachè capo dell’ambasciata, il defunto Costantine Nabokov che poi divenne a sua volta ambasciatore, organizzò i miei incontri con i ministri inglesi.6
   Coscrizione in Inghilterra. Dopo il disastro di Gallipoli, i Mulattieri tornarono ad Alessandria d’Egitto e smobilitarono, ma 120 di loro furono nuovamente arruolati alla fine del 1916 e inviati in Inghilterra, dove furono assegnati al ventesimo Battaglione del London Regiment.

   Jabotinskij si unì a loro nel gennaio 1917, e a Londra si diede da fare per ampliare e trasformare il contingente in una vera e propria Legione ebraica, secondo il suo piano originario. Ma in Inghilterra con l’andare del tempo lo sforzo bellico aveva sempre più prostrato la popolazione, ed egli si trovò di fronte la forte opposizione degli emigrati ebrei russi, che erano per lo più su posizioni socialiste e contrarie alla guerra, in particolare quelli del quartiere ebraico londinese, l'East End, per i quali Jabotinsky divenne “il nemico numero uno”.7
   Jabotinsky provò a costruire un supporto ebraico alla Legione attraverso una petizione, ma questa si rivelò un flop. Nelle sue note biografiche inedite in seguito scrisse che l’affare “si concluse con rivolte, disastri e fallimenti”.8 Senza la minaccia della coscrizione (che non si applicava agli esuli russi, non essendo cittadini inglesi) era impossibile convincere i lavoratori ebrei ad andare volontari a morire in una guerra imperialista. Nel suo libro Jabotinsky accusò il rivoluzionario russo Georgij Cicerin,9 che poi divenne il secondo Commissario sovietico agli Esteri, di avere mobilitato gli emigrati contro di lui. Cicerin o no, di certo la ribellione ci fu. Il primo comizio di propaganda per la Legione fu tranquillo perché i socialisti temevano che vi fosse la polizia in agguato. Quando si resero conto che Jabotinsky e i suoi si muovevano da soli, gli ebrei rivoluzionari cominciarono a presentarsi in massa. Alla fine le assemblee a favore della Legione si trasformarono in risse, nell’ultima di queste Jabotinsky ruppe gli occhiali e dovette scappare con gli operai ebrei alle calcagna.10

   Paradossalmente, la Rivoluzione del febbraio 1917 in Russia favorì gli sforzi di Jabotinsky per la creazione della Legione ebraica in Inghilterra. Infatti la caduta dello scomodo alleato zarista convinse il governo inglese a introdurre la coscrizione obbligatoria degli esuli russi in Inghilterra, pensando di avere più credito presso l’opinione pubblica ora che a Pietrogrado c'era un Governo Provvisorio “democratico”. La coscrizione obbligatoria fu introdotta in agosto, e il giorno 23 fu allestita ufficialmente la Legione. Le adunate propagandistiche ricominciarono. Questa volta, con la Legione appoggiata ufficialmente e 60 Mulattieri come guardia, i meeting non vennero disturbati.

   Ma la Legione fu sempre osteggiata dalla stragrande maggioranza degli ebrei russi in Inghilterra.

   Solo poche centinaia scelsero di aderire spontaneamente, la maggior parte furono arruolati a forza, e odiarono Jabotinsky per il suo appoggio alla coscrizione. In questo periodo più di 20.000 ebrei scelsero di ritornare nella Russia scossa dal fermento rivoluzionario, e non certo di servire nell’esercito imperialista inglese.11
   La Dichiarazione Balfour. L’opposizione alla guerra cresceva: in Inghilterra, nel resto d’Europa e soprattutto in Russia. Perciò gli inglesi decisero di blandire l’ebraismo mondiale per la continuazione dello sforzo bellico. Il 2 novembre 1917 il ministro degli Esteri britannico Arthur Balfour inviò a lord Rothschild la celebre Dichiarazione a favore dello stato ebraico in Palestina. In seguito l'allora Primo ministro Lloyd George spiegò le ragioni del governo inglese nel compiere un passo che pure esponeva gli inglesi al rischio dell’ostilità da parte del mondo arabo.
   L’esercito francese si era ammutinato, l’esercito italiano era sull’orlo del collasso e l’America aveva iniziato a prepararsi senza convinzione...Era importante per noi cercare qualunque aiuto possibile. Arrivammo alla conclusione, da informazioni ricevute da ogni parte del mondo, che fosse vitale avere dalla nostra parte la simpatia della comunità ebraica...Essi potevano aiutarci in America e in Russia, la quale in quel momento si stava staccando, lasciandoci soli.12
   Uno dei principali artefici della Dichiarazione Balfour, Chaim Weizmann, nelle sue memorie afferma che un altro obiettivo della Dichiarazione Balfour era anche di allentare il sostegno accordato agli Imperi centrali dai ricchi sionisti tedeschi, che avevano un ruolo molto influente nell’Organizzazione Sionista Mondiale (WZO). In effetti il documento, pubblicato dalla stampa internazionale il 9 novembre 1917, riorientò pressoché tutta la leadership della WZO. Sebbene i sionisti tedeschi, da buoni patrioti, non smettessero mai di riverire il Kaiser, la maggior parte improvvisamente scoprì le virtù dell’Impero britannico e fece ciò che poteva per aiutare l’Intesa.

   Le sezioni americane dei sionisti laburisti di Poalei Zion, che fino ad allora erano rimaste su posizioni pacifiste, ora divennero agenti di reclutamento inglese negli Stati Uniti, chiedendo sangue ebraico per “la realizzazione del nostro santo ideale”.13 

    L’adesione al sionismo in questo periodo in America aumentò in maniera notevole.

   La Legione in Palestina. La Legione ebraica costruita con tanta fatica arrivò in Palestina nel giugno 1918 e passò l’estate sulle colline presso Nablus. Jabotinsky, all’epoca luogotenente, diresse i pattugliamenti notturni nella boscaglia e occupò un villaggio. I suoi uomini furono inviati per sette settimane nella Valle del Giordano (egli descrisse il caldo laggiù come il purgatorio e la Geenna14), e il 23 settembre la sua compagnia strappò il guado del Giordano a Umm-esh-Shert ai turchi in ritirata.

   Per Jabotinsky il vero ruolo della Legione doveva iniziare solo dopo la partenza dei turchi.

   Se i sionisti avessero mantenuto un ruolo militare avrebbero potuto far parte del corpo di guarnigione del paese, collaborando con gli inglesi per tenere sotto controllo gli arabi. Ma qui iniziarono i problemi. Gli ufficiali inglesi del posto non avevano simpatia per il progetto di “casa nazionale ebraica”. Fin dall’inizio avrebbero voluto confinare la Legione a Gerusalemme. Erano della scuola del Cairo, arabisti, la loro legione erano le milizie di Feisal, il figlio dello Sceriffo della Mecca, che avevano compiuto il cruciale lavoro di sabotaggio della Ferrovia dell’Hijaz, isolando i turchi e demoralizzando i tecnici tedeschi. Ora che la guerra era finita, gli inglesi non avevano più bisogno di impiegare la Legione ebraica, e iniziarono a smobilitarla. Jabotinsky cercò in ogni modo di tenere insieme la sua unità, ma invano. I componenti dell’unità, per lo più coscritti dell’East End di Londra, non erano interessati alla “terra promessa”, tutto ciò che volevano era tornare a casa dalle loro famiglie. Essi consideravano i sionisti di Palestina alla stregua di “pazzi”, come lo stesso Jabotinsky ammise, e la Palestina come un qualcosa di lontanissimo,15
   Nella seconda parte del 1919 la Legione venne smobilitata, e Jabotinsky fu congedato dall’esercito inglese. Ma egli era ormai lanciato nel progetto di embrione di un esercito sionista, e qualche mese dopo (dicembre 1919) promosse la fondazione di una milizia paramilitare, l’Haganah (la Difesa). Il primo governatore militare inglese, Ronald Storrs, di fatto non si oppose al progetto, e consentì alla milizia di compiere esercitazioni alla luce del sole. In seguito nelle sue memorie avrebbe definito la presenza sionista in Palestina “un piccolo e fedele Ulster ebraico in un mare di arabi potenzialmente ostili”.16
   Pur negando un riconoscimento ufficiale all’Haganah, gli inglesi continuarono a spalleggiare i paramilitari sionisti per tenere sotto controllo gli arabi, a partire dai moti del 1920 – 21, messi in atto dalla popolazione locale quando il tradimento rappresentato dalla Dichiarazione Balfour divenne di pubblico dominio.




4. GLI EBREI LOTTANO CONTRO IL FASCISMO, I SIONISTI NO - I 

Le Brigate Internazionali in Spagna.


   I volontari delle Brigate Internazionali a difesa del governo repubblicano spagnolo, provenienti da 52 paesi dei cinque continenti, furono circa 40.000 e circa la metà morì in combattimento, fu dispersa o ferita. Altri 5.000 uomini combatterono direttamente nell'esercito repubblicano, e almeno altri 20.000 lavorarono nei servizi sanitari o ausiliari.

   I primi contingenti, organizzati dalla Terza Internazionale, entrarono clandestinamente in Spagna attraverso la frontiera francese nell'ottobre 1936 e, dopo aver ricevuto un sommario addestramento ad Albacete, raggiunsero Madrid assediata dai nazionalisti.

   La ripartizione approssimativa per paese di provenienza dei volontari delle Brigate Internazionali è la seguente: Francia 8.500, Germania 5.000, Polonia 5.000, Italia 3.350, Stati Uniti 2.800, Inghilterra 2.000, Canada 1.000. Più diverse centinaia di yugoslavi, albanesi, ungheresi, belgi, bulgari, cecoslovacchi, svizzeri, nordeuropei, messicani e africani. La partecipazione dei volontari italiani, inquadrati nel Battaglione Garibaldi, fu consistente, circa 3.350 effettivi, e mise in campo alcuni importanti esponenti dell'antifascismo: i comunisti Togliatti, Longo e Vidali, il socialista Nenni, il repubblicano Pacciardi. Tra gli italiani figuravano anche l'anarchico Camillo Berneri e il dirigente di Giustizia e Libertà Carlo Rosselli, che furono tra i primi ad accorrere in Spagna e già nell’agosto del 1936 costituirono la “Colonna Italiana”, una formazione di circa 300 volontari di ogni fede politica.

   Quanti dei 40.000 volontari erano ebrei, o di origine ebraica? Non vi è certezza, poiché molti si consideravano internazionalisti e dunque non si registrarono come ebrei. Nel Mausoleo del Fossar de la Pedrera di Barcellona, dove Franco fece inumare in un’enorme fossa comune i corpi dei repubblicani catalani fucilati dal 1939 al 1945, tra le altre lapidi commemorative una porta la seguente dedica: "Omaggio agli eroi ebrei caduti tra i 7000 ebrei volontari di tutti i paesi combattenti della Libertà in Spagna 1936-1939". Nel libro Shalom Libertad! Arno Listiger riprende il numero di 7.758 volontari ebrei, suddivisi secondo il paese d’origine, riportato dal veterano austriaco Joseph Toch sulla rivista Zeitgeschichte nel 1974. Le stesse cifre sono riprese da Albert Prago, ebreo americano di origine lettone, veterano della Brigata Lincoln, secondo il quale i combattenti ebrei furono tra 7 e 10.000, ovvero tra il 15,5 e il 17,5% del totale.



   Secondo Toch gli ebrei americani della Brigata Lincoln furono 1.250 su 2.800 (il 45% del totale). Gli ebrei polacchi furono 2.250 su 5.000, un altro 45%. La presenza degli ebrei fu non solo consistente numericamente ma anche qualitativa: infatti, tra i combattenti sono da annoverarsi diversi comandanti delle Brigate Internazionali, quali i generali Manfred Stern, Mata Zalke e Waclaw Romar. Organizzatore delle squadre di guerriglieri che operavano dietro le linee nazionaliste fu un ebreo americano, Irving Goff, cui s’ispirò Ernst Hemingway per la figura del protagonista di Per chi suona la campana?

   Alcune centinaia di combattenti ebrei provenivano anche dalla Palestina. Le stime secondo le diverse fonti variano da 267 a 500.

   La maggior parte erano militanti del Partito Comunista Palestinese, formazione antisionista a composizione arabo – ebraica, aderente alla Terza  Internazionale.

   L’Encyclopedia  of Zionism and Israel li descrive come “circa 400 comunisti”. Ma vi furono anche alcuni sionisti, che partirono per la Spagna a titolo individuale, oltre a una ventina di atleti di Hapoel, gruppo sportivo sionista laburista che si trovava a Barcellona nel luglio 1936 per un’Olimpiade alternativa ai giochi di Berlino, e si fermò a combattere.

   Ma il sionismo come movimento, e il sionismo laburista in particolare, che all’epoca in Palestina era alle prese con la Grande Rivolta Araba, non voleva che i suoi militanti di partissero per la Spagna, e si limitò a dichiarazioni di simpatia con gli antifranchisti e a qualche raccolta fondi.

   Il 24 dicembre 1937 Haaretz, quotidiano sionista in Palestina, criticò gli ebrei americani delle Brigate Lincoln perché combattevano in Spagna anziché venire in Palestina a lavorare.17 I sionisti erano contrari a una lotta internazionalista come quella spagnola perché distoglieva dall’obiettivo nazionale di formazione dello stato ebraico. Nel 1937 Berl Katznelson, editore del quotidiano sionista Davar, e figura rilevante del movimento, scrisse un pamphlet intitolato Revolutionary Constructivism, nel quale attaccava direttamente i gruppi giovanili sionisti attratti dal marxismo internazionalista, che mettevano in discussione le direttive di partito:
   Le nostre ideologie sioniste hanno sempre denunciato questo tipo di ebreo, questo mezzo rivoluzionario, che pretende di essere un internazionalista, un ribelle, un combattente, un eroe, e in realtà è così abietto, così codardo e smidollato quando l’esistenza della sua stessa nazione è in forse... Questo affarista della rivoluzione chiede continuamente: “Guardate la mia modestia, la mia pietà, guardate come osservo tutti i principi rivoluzionari, da quello più importante al più banale”. Quanto è diffuso questo atteggiamento tra noi, e quanto è pericoloso in quest’epoca, quando è fondamentale che siamo leali con noi stessi e chiari coi nostri vicini.18
   Proprio nello stesso periodo, i sionisti laburisti in Palestina avevano intrecciato alcune relazioni dirette con i nazisti, cercando di farsi appoggiare da loro presso gli inglesi e contro gli arabi in rivolta. L’8 dicembre 1936 una delegazione dell’Agenzia Ebraica, principale rappresentante dell’Organizzazione Sionista Mondiale in Palestina, andò nell’ufficio di Gerusalemme del console generale tedesco Doehle. Lo studioso sionista David Yisraeli ha descritto l’avvenimento.
   Cercarono attraverso Doehle di persuadere il governo nazista affinchè la sua rappresentanza a Gerusalemme andasse davanti alla Commissione Peel e dichiarasse che la Germania era interessata all’aumento dell’immigrazione (ebraica, nd.r.) in Palestina a causa dell’aumento dell’emigrazione dalla Germania.19
   Un agente dell’Haganah, Feivel Polkes, giunse a Berlino il 26 febbraio 1937 e gli fu assegnato Adolf Eichmann come contatto. I colloqui Eichmann-Polkes furono riportati in un resoconto redatto dal superiore di Eichmann, Franz Albert Six, che fu ritrovato tra le carte delle SS prese dall’esercito americano alla fine della Seconda Guerra Mondiale:
   Polkes è un nazional-sionista...è contro tutti gli ebrei che si sono opposti alla costruzione di uno stato ebraico in Palestina. Come uomo dell’Haganah egli combatte contro il comunismo e tutti gli obiettivi dell’alleanza arabo-inglese...egli ha sottolineato che l’obiettivo dell’Haganah è di raggiungere, quanto prima possibile, una maggioranza ebraica in Palestina. Perciò ha lavorato, a seconda delle esigenze, con o contro l’Intelligence Service inglese, la Suretè Generale, con l’Inghilterra e l’Italia...ha dichiarato di voler lavorare per la Germania nel senso di fornire informazioni finchè ciò non ostacoli i suoi obiettivi politici. Tra le altre cose avrebbe intenzione di sostenere la politica estera tedesca nel Vicino Oriente. Proverebbe a trovare risorse petrolifere per il Reich senza toccare la sfera di interessi inglesi se le regole valutarie in Germania fossero semplificate in favore degli emigranti ebrei in Palestina.
   ...Si può fare pressione sugli apparati del Reich che si occupano degli ebrei tedeschi per fare sì che gli ebrei che emigrano dalla Germania vadano in Palestina e non in altri paesi. Tali misure sono nel totale interesse della Germania e sono già in preparazione attraverso provvedimenti della Gestapo. Attraverso queste misure nel contempo verrebbero realizzati i piani di Polkes per il raggiungimento di una maggioranza ebraica in Palestina.20
   Eichmann ricambiò la visita a Polkes recandosi in Palestina nell’ottobre del 1937 in compagnia un altro agente SS, Herbert Hagen. Nel resoconto della loro spedizione Hagen e Eichmann diedero un’attenta ricostruzione delle parole di Polkes.
   Nei circoli nazionalisti ebraici la gente apprezza molto la politica radicale tedesca, poiché il rafforzamento della popolazione ebraica in Palestina può arrivare a un livello tale che gli ebrei potranno contare su una superiorità numerica nei confronti degli arabi.21
   Durante la sua visita di febbraio a Berlino, Polkes aveva proposto che l’Haganah agisse come spia dei nazisti, e ora mostrava la sua buona fede fornendo alcune informazioni di intelligence. Ancora Eichmann e Hagen:
   Il Congresso pan-islamico riunito a Berlino è in diretto contatto con due leader arabi filo-sovietici: l’emiro Shekib Arslan e l’emiro Adil Arslan...La stazione radio illegale comunista, la cui trasmissione in Germania è particolarmente efficiente, è secondo le affermazioni di Polkes installata su un furgone che si sposta lungo il confine tedesco-lussemburghese quando le trasmissioni sono attive.22
   Insomma, mentre migliaia di ebrei antifascisti combattevano e morivano in Spagna, i sionisti laburisti in Palestina ospitavano Eichmann, collaboravano coi nazisti e si offrivano di fare le spie per conto di Hitler.



5. GLI EBREI LOTTANO CONTRO IL FASCISMO, I SIONISTI NO – II La battaglia di Cable Street


   Negli anni ’30 anche in Inghilterra, in seguito alla crisi economica, si diffusero l’ideologia fascista e l’antisemitismo, soprattutto attraverso il partito British Union of Fascist (BUF), diretto da sir Oswald Mosley.

   I deputati ebrei al Parlamento inglese affrontarono il problema con colpevole indifferenza. Neville Laski, presidente del board dei deputati, affermò che “In Italia c’è un fascismo nel quale 50.000 ebrei vivono in amicizia e sicurezza...la comunità ebraica, non essendo un’entità politica in quanto tale, non dovrebbe essere trascinata in quanto tale nella lotta contro il fascismo”.23 La Federazione Sionista Inglese sin dal 1934, quando gli scontri di piazza tra comunisti e BUF erano già frequenti, sostenne che non bisognasse ostacolare il partito fascista.
   Supponendo che sotto un regime fascista vi sarebbero rappresaglie contro gli antifascisti, tutti gli ebrei ne patirebbero...dunque la questione sorge ancora una volta: dobbiamo proprio?...Nel frattempo ci sono tre ideali che chiedono a gran voce il sostegno di tutti gli ebrei...1. L’unità del Popolo Ebraico 2. Il bisogno di un più forte orgoglio ebraico. 3. La costruzione di Eretz Israel. E noi perdiamo tempo a chiederci se dobbiamo unirci a organizzazioni antifasciste.24
   Nella pratica le masse ebraiche per la maggior parte ignorarono gli appelli sionisti alla passività e seguirono i comunisti. Alla fine la posizione dei sionisti cambiò e alcuni sionisti si unirono in un gruppo di autodifesa della comunità chiamato Jewish People Council (JPC), ma l’antifascismo non divenne mai una priorità per il movimento sionista.

   La famosa Battaglia di Cable Street del 4 ottobre 1936 fu un punto di svolta nella lotta contro Mosley. William Zuckerman, uno dei più importanti giornalisti ebrei dell’epoca e allora ancora sionista, era presente e scrisse un resoconto per la Jewish Frontier di New York:
   Nessuna città anglo-sassone ha mai visto le scene che hanno avuto luogo in questa tentata manifestazione...Coloro che come me hanno avuto il privilegio di prendere parte a questo evento non lo scorderanno mai. Perché si è trattato dell’atto collettivo di una massa di persone prese da una profonda emozione e da un senso di giustizia tradita, un atto che fa la storia... E’ stata senz’altro la grande epopea dell’East End ebraico.25



   Zuckerman scrisse che la manifestazione era stata convocata dal JPC, che coinvolse “sinagoghe, circoli ricreativi e associazioni di immigrati”, e aggiunse che “i comunisti e l’Independent Labour Party devono essere accreditati quali i più attivi antagonisti dell’antisemitismo fascista di Mosley”.26 E significativo che un giornalista sionista, che scriveva per una rivista sionista, non menzioni mai la presenza dei sionisti. Il libro di Gisela Lebzelter, Political Anti-Semitism in England 1918 – 1939, dice solo che "organizzazioni sioniste" erano presenti alla conferenza di fondazione del JPC, il 26 luglio 1936. Non dice nulla invece di un eventuale ruolo che esse abbiano avuto nella campagna antifascista, che durò per diversi anni. La Lebzelter conferma la valutazione di Zuckerman e riconosce appieno il ruolo di punta dei comunisti nella campagna.







   La Brigata sionista e il 25 aprile


   Le Comunità ebraiche, con polemiche sempre più virulente, continuano a sostenere un loro diritto di partecipare alle celebrazioni del 25 aprile come Brigata ebraica, sventolando bandiere israeliane e a cercare di impedire la presenza dei sostenitori della causa palestinese. Su queste inaccettabili pretese hanno già scritto Angelo d’Orsi1 e Piero Bevilacqua.2

   È quindi necessario fare chiarezza sulla Brigata sionista, e non ebraica come si suole dire, mai tanto celebrata in Italia come in questi ultimi anni.




   Cenni storici sulla Brigata sionista


   La Brigata sionista non ha nulla a che fare con il contributo che cittadini italiani ebrei hanno dato alla Resistenza, aderendo sopratutto alle formazioni partigiane Giustizia e Libertà e Garibaldi. Questo contributo ci fu, e fu molto significativo, sia in termini numerici, oltre 1.000 ebrei ebbero il certificato di partigiano combattente, cento i caduti (numeri elevati se si pensa che erano solo 43.000 i cittadini di razza ebraica censiti nel ‘43 dal regime fascista) sia per il ruolo di primo piano che essi ebbero a livello del CLN. Si pensi a figure come Leo Valiani, Emilio Sereni, Umberto Terracini. Si pensi ai sette ebrei italiani decorati di medaglia d’oro al valor militare, Eugenio Calò, Eugenio Colorni, Eugenio Curiel, Sergio Forti, Mario Jacchia, Rita Rosani e Ildebrando Vivanti3; si pensi a Leone Ginzburg.

   La Brigata sionista ha tutt’altra genesi e la sua narrazione emerge solo di recente, dal 2004 in poi, quando rappresentanti della Brigata con le loro bandiere iniziano a partecipare alle manifestazioni del 25 aprile in Italia e vengono promosse tutta una serie di iniziative volte a celebrare il loro ruolo. L’obiettivo sembra essere quello di sostituire la narrazione reale, che ci riguarda direttamente molto meno gradita, evidentemente, perché collocata politicamente e non più in linea con le posizioni odierne delle comunità ebraiche italiane.

    Un tentativo di occupazione della memoria della Resistenza italiana.

   La Brigata sionista non comprendeva ebrei italiani, essendosi costituita nella Palestina del mandato britannico. Ne facevano parte ebrei provenienti dalla Palestina storica che sarebbe poi diventata l’attuale Israele e di ebrei provenienti da altri paesi del Commonwealth britannico, Canada, Australia, Sud Africa e di ebrei di origine polacca e russa. Era composta da tre battaglioni di fanteria, da un reggimento di artiglieria, uno di genieri e da altre unità ausiliari per un totale di 5.500 unità.

   Il corpo venne istituito nel settembre del 19444 dopo una lunga trattativa fra i rappresentanti del movimento sionista, l’Agenzia sionista e il governo britannico, presieduto dal 1940 da Winston Churchill, governo inizialmente non favorevole alla costituzione di una unità militare esclusivamente ebraica. Fu ufficialmente chiamata Jewish Infantry Brigade Group.

   Dopo un periodo di addestramento in Egitto e Cirenaica, il 31 ottobre 1944 la Brigata sionista fu imbarcata su due navi nel porto di Alessandria d’Egitto e trasferita in Italia al porto di Taranto. L’esercito inglese non volle che soldati ebrei provenienti dai territori del Mandato britannico in Palestina occupassero posizioni di rilievo nella Brigata, ma l’Haganah, gruppo paramilitare sionista organizzatosi negli anni ’20 in Palestina, creò all’interno della Brigata una sua struttura segreta di comando, che venne alla luce solo a guerra finita5 . Nei due mesi successivi la Brigata continuò il suo addestramento in Irpinia per essere poi inquadrata, il 26 febbraio del ’45, nell’VIII Corpo d’Armata Britannico.

   Il 1° marzo 1945 la Brigata fu schierata sulla linea del fronte nei pressi di Alfonsine in Romagna e combatté con le proprie insegne a fianco di unità italiane, la divisione Friuli del Corpo italiano di Liberazione, e della 3a divisione del Corpo di Armata Polacco. Partecipò a numerose operazioni militari a Riolo Terme, Imola, Ravenna. I 42 caduti riposano nel cimitero di Piangipane (RA). Per motivi di opportunità politica venne posta a riposo presso Brisighella, mentre la Brigata Maiella, il Gruppo Friuli e il Corpo polacco entravano a Bologna il 21 aprile del 45. L’apporto della Brigata sionista alla lotta di liberazione fu limitato al periodo che va dal 3 marzo ‘45 al 21 aprile del ‘45.
   La storia della Brigata sionista non termina nell’aprile del ‘45. Il 2 maggio la Brigata venne dislocata nella zona di Tarvisio, dove si dedicò a due attività: il sostegno alla emigrazione clandestina di ebrei verso la Palestina e, secondo alcuni articoli di giornali locali, tratti da libri di storia della brigata pubblicati negli ultimi anni,6 l’operazione denominata NAKAM, Vendetta, la ricerca di criminali nazisti nascosti in Carinzia, prelevati e uccisi sommariamente nei boschi del Tarvisano. L’operazione fu realizzata attraverso la costituzione, in seno alla Brigata, di cellule di 8-10 persone che agivano indipendentemente l’una dall’altra in tutta la Carinzia, fino al Tirolo orientale e anche a Vienna. Secondo la testimonianza resa nel 2009 da uno degli ultimi protagonisti, Chaim Miller, ebreo viennese, residente in Israele, in visita in Carinzia e nell’alto Friuli:
   “Ricevevamo indicazioni sulla presenza di ex nazisti dai partigiani iugoslavi. Di giorno facevamo sopraluoghi per localizzare le persone. La nostra uniforme britannica, distinta soltanto dalla stella di David su una manica, ci permetteva di attraversare il confine e di muoverci liberamente. La cattura delle persone avveniva però all’imbrunire. Bussavamo alla porta presentandoci come polizia militare. Invitavamo le persone ricercate a seguirci al comando per essere interrogate, ma anziché al comando le portavamo in Italia dove potevamo agire senza problemi. Raggiungevamo una baita in un bosco tra Tarvisio e Malborghetto, dove la persona fermata veniva interrogata da altri componenti della cellula. Se le accuse trovavano conferma lo si fucilava sul posto, seppellendolo in una fossa che prima lo avevamo costretto a scavare”.7
   Il giornalista americano Howard Blum, corrispondente del New York Times e di Vanity Fair e vincitore di due premi Pulitzer, nel 2001 scrive un libro sulla Brigata ebraica e su questi eventi8 e sostiene che una quarantina di uomini della Brigata abbiano preso parte a queste missioni uccidendo, in meno di 4 mesi, 125 tedeschi. I calcoli dei veterani fanno oscillare le esecuzioni fra 50 e 2009. In realtà l’Operazione Vendetta proseguì nella Germania occupata e in altri territori dell’Europa postbellica portando secondo stime alla eliminazione di 1.500 nazisti.

   Per il sostegno dato ai numerosi profughi ebrei che dall’Europa centrale si dirigevano o transitavano dall’Italia per raggiungere la Palestina, la Brigata venne in contrasto con i comandi britannici che cercavano di evitare questa attività di supporto all’immigrazione clandestina. Per questo motivo, nella seconda metà dell’estate del ’45, la Brigata fu trasferita in Belgio e in Olanda dove rimase per circa un anno.

   Nel luglio del 1946 a causa della tensione crescente in Palestina e del ruolo svolto dalla Brigata, il governo britannico decise di procedere al suo disarmo, alla sua smobilitazione e al rimpatrio degli ebrei nei loro paesi d’origine. Molti dei 5.500 soldati della Brigata sionista provenivano dall’Haganah10, altri vi aderirono al rientro in Palestina. L’Haganah, nel 1947-1948, insieme all’Irgun e alla banda Stern, fu protagonista della pulizia etnica della Palestina. Il 29 maggio 1948 a due settimane dalla proclamazione dello Stato di Israele, l’Haganah si trasformerà nelle Forze armate dello Stato di Israele, Tsahal o anche IDF.

   E trentacinque membri della Brigata sionista diventarono generali di Tsahal.



   La Brigata sionista e il 25 aprile del 2004, “una giornata memorabile”


Sul sito https://it.cultura.ebraica.narkive.com/RMbGugzd/brigata-ebraica-una-vittoria-culturale si si può leggere l’articolo Brigata Ebraica: una vittoria culturale dell'ADI, del quale riportiamo alcuni stralci:
   “Il 25 aprile 2004 è una giornata che noi soci ADI stenteremo a dimenticare.
   Da anni eravamo stanchi di partecipare (come singoli individui) ai festeggiamenti della Liberazione circondati da bandiere palestinesi. Due anni fa poi, il nostro Segretario Generale Davide Romano lanciò l'idea, subito accolta, di partecipare come ADI alla manifestazione del 25 aprile sotto le insegne della Brigata Ebraica.
   Solo l'anno scorso però riuscimmo ad avere i fondi (sic!) per comprare uno striscione degno di tale nome; ed i primi risultati di visibilità, oltre che di dibattito storico, si iniziarono ad intravedere.
   Per noi Amici d'Israele era importante qualificarci in maniera diversa: in primo luogo per ricordare gli eroi della Brigata Ebraica ma anche, ed è inutile nasconderlo, per non farci annoverare tra la massa dei manifestanti antiamericani o antisraeliani (o filoarafat, e quindi contro una democrazia palestinese)... Il successo della manifestazione, per il quale dobbiamo ringraziare tutti i partecipanti, è stato però più rilevante dal punto di vista culturale che dal lato delle presenze...Dal lato culturale infatti, siamo riusciti come ADI - in soli 2 anni - ad imporre all'attenzione dei mass-media e del dibattito culturale la questione (della Brigata) Ebraica. 
 Non solo: se vi soffermate sulla scritta riportata sullo striscione potrete notare la scritta:
 

   "Brigata Ebraica. Anche loro, 5.000 sionisti, liberarono l'Italia".


   L'utilizzo del termine "sionisti" è stato scelto con cura. Con tale messaggio infatti, abbiamo già voluto introdurre la prossima battaglia culturale: quella dello "sdoganamento" del sionismo. Crediamo infatti importante, nei prossimi anni, spiegare agli italiani che il sionismo è un ideale alto, nobile e giusto, al contrario di quanto sostengono le forze politiche di estrema destra e di estrema sinistra - oltre che diversi intellettuali - che lo riducono ad un movimento "colonialista" o "razzista"...Finché infatti il termine sionismo non tornerà ad avere diritto di piena cittadinanza nel dibattito politico e culturale, riteniamo che l'esistenza di Israele - che su esso si fonda - sarà sempre messa in discussione e delegittimata.
ADI - Associazione Amici d'Israele Onlus”

   Immancabile il coro dei media più importanti, sul Corsera11 del 26 aprile, si poteva leggere:
   MILANO - «Contro il nefando nemico torna finalmente lo spirito dei Maccabei. I nostri chayalim (soldati, ndr) compongono l' esercito di un popolo disarmato, non imperialista, nazionale ma non sciovinista: l'esercito più democratico del mondo».        
   Così scriveva, in una lettera ingiallita e ora custodita dai familiari, Yacob Levin, arruolato a Napoli nel '44 come traduttore e medico, nella Brigata Ebraica, e poi rinchiuso nel campo di internamento di Ferramonti di Tarsia. L'«esercito più democratico del mondo», composto da cinquemila ebrei sionisti che si arruolarono da volontari con gli inglesi e combatterono in Italia contro l'esercito tedesco. I superstiti di quella pagina rimossa della storia sono pochissimi, quasi tutti in Israele.
   La Comunità ebraica di Milano ha deciso di ricordarli nel giorno della Liberazione e così ieri, tra tricolori, bandiere arcobaleno, vessilli palestinesi e iracheni, ha sfilato, per la prima volta in un 25 Aprile, anche la «Brigata Ebraica». Una scelta che è un modo per riappropriarsi del passato ma anche per difendersi da quella che il portavoce della Comunità, Yasha Reibman, considera «un'intollerabile commistione.     

   Che ci stanno a fare quelle bandiere palestinesi, irachene, cubane? Proprio loro, cosa c' entrano con la libertà?
   L'associazione tra partigiani e terrorismo è pericolosa e rischia di legittimare l'equazione Israele uguale nazismo, che uccide la memoria di quanti hanno combattuto per la nostra libertà e falsifica la storia».
   Qualcuno grida «Ringraziate Sharon». Replica Reibman: «Magari ci fossero stati Sharon e Israele, allora»...
   Da Israele, ora, Giacomo Foà sente l' eco delle polemiche. E non capisce: «E' tutta una confusione.
   Cosa c'entra l'Iraq? Cosa c'entrano i palestinesi? La Resistenza, i partigiani, la Liberazione erano un'altra storia. Non si può fare un parallelo, è assurdo».
 

   Non è mancata qualche voce critica: il 25 aprile del 2009 Gad Lerner scriveva:             
   “Voglio esprimere in anticipo il mio disagio per l’uso e l’abuso politico dello striscione della Brigata sionista. Il primo a dichiarare che marcerà dietro a tale striscione è stato Guido Podestà, eurodeputato e candidato del PdL della provincia di Milano. A seguire altri esponenti del centrodestra. Si tratta di un abuso e di una invadenza postumi di cui gli ebrei per primi dovrebbero sentire la bassezza. Si vuole piegare quel simbolo a una parte politica e contrapporlo alla presenza altrui”.12
   Ma immediatamente ne fa ammenda: “Mi sono sbagliato, per fortuna, Esausto ma contento, torno ora da una manifestazione del 25 aprile enorme e serena, turbata solo da qualche prevedibile ma sciocca contestazione a Formigoni. Sono lieto di essermi sbagliato, e voglio scriverlo subito. La Brigata Ebraica ha ricevuto i saluti rispettosi di tutte le componenti politiche, compreso Ferrero di Rifondazione. Dietro alle bandiere israeliane e americane ho incontrato il candidato Pdl alla provincia, Guido Podestà. Gli ho stretto la mano. Le strumentalizzazioni che temevo non sono avvenute. Resta la mia impressione di un uso strumentale di quella presenza ebraica nel corteo, meno male che nessuno è caduto nella trappola.
   Stavolta sono stato troppo pessimista”, Gad Lerner, 25 aprile 2009.

http://www.gadlerner.it/2009/04/25/mi-sono-sbagliato-per-fortuna


   La Brigata sionista e il Brand Israel


   L’operazione condotta dalla Comunità ebraica di Milano, seguita successivamente dalle altre comunità, è uno dei tanti modi con i quali si vuole stravolgere la storia, è una delle tante iniziative con le quali si vuole sdoganare il sionismo e imporne una visione positiva e salvifica. Una ulteriore operazione di memoricidio dei palestinesi.
   Una operazione che nulla ha a che fare con la Resistenza italiana contro il fascismo e il nazismo, una operazione che costituisce un vulnus alla coscienza civile e democratica del paese.
   Una anticipazione del progetto del Brand Israel, basato sulla menzogna e sulla manipolazione delle menti. A pochi mesi dall’operazione Margine Protettivo, dell’ulteriore massacro nella Striscia di Gaza, le bandiere del colonialismo di insediamento sionista non dovrebbero essere presenti nelle manifestazioni del 25 aprile. Quelle stesse forze di polizia, protagoniste a Genova nel 2001, saranno pronte a proteggerle.

   Ma verrà il tempo in cui i responsabili dei crimini contro l’umanità che hanno accompagnato il conflitto israelo-palestinese e altri conflitti in questo passaggio d’epoca, saranno chiamati a rispondere davanti ai tribunali degli uomini o della storia, accompagnati dai loro complici e da quanti in Occidente hanno scelto il silenzio, la viltà e l’opportunismo.

ISM-Italia
Torino, 19 aprile 2015



CONTESTARE LA PRESENZA DELLA BRIGATA EBRAICA NELLA FESTA DELLA LIBERAZIONE NON E’ UN DIRITTO, E’ UN DOVERE!





   Le insegne della Brigata ebraica sfilano per la prima volta nel corteo del 25 Aprile 2004. Le motivazioni di questa decisione sono dichiarate ed esplicite: nel sito degli “Amici di Israele” si legge che sono costoro a decidere di sfilare sotto le insegne della Brigata ebraica perché “stanchi di partecipare circondati da bandiere palestinesi [...] e per non farci annoverare tra la massa dei manifestanti anti-americani o anti-israeliani”. La stessa associazione dichiara che la decisione di sfilare con la Brigata ebraica è solo un passaggio di un percorso che deve portare a “lo sdoganamento del sionismo” (testuale). Si legge:
   “Crediamo, infatti, importante spiegare agli italiani che il sionismo è un ideale alto, nobile e giusto”.
   È quindi espressamente dichiarato che la sfilata della Brigata ebraica è un’operazione di propaganda del sionismo ed è organizzata dalla associazione “Amici di Israele”.
   Il sionismo ha portato alla creazione dello Stato di Israele attraverso la Nakba, cioè la distruzione di oltre 500 villaggi palestinesi e l’espulsione di oltre 750.000 palestinesi dalle loro case e dalle loro terre. Israele prosegue ininterrottamente da allora nella sua politica espansionistica, occupando e colonizzando ulteriori territori palestinesi, destinati dall’ONU a quello che sarebbe dovuto essere lo Stato di Palestina. Israele, che si compiace di presentarsi come l’unica democrazia del Medio Oriente, uccide, imprigiona, tortura, ruba risorse, pratica un sistema di apartheid, assedia e bombarda Gaza, porta avanti una vera e propria pulizia etnica.
    Israele si sta configurando sempre più come stato etnocratico, teocratico, razzista!
   La totale impunità di cui gode per i suoi crimini (ampiamente documentati da Commissioni ONU, Human Rights Watch, Amnesty International per citare fonti internazionali ma non mancano fonti interne israeliane come B’Tselem e Breaking the silence) ha fatto perdere al diritto internazionale e all’ONU ruolo ed autorevolezza.
   Per tentare di mascherare questa realtà è necessaria una capillare opera di propaganda. Chi non ha avuto remore a creare attorno alla tragedia della Shoah una vera e propria industria propagandistica, non si è certo fermato dinanzi alla speculazione su una quarantina di morti (tanti sono stati i caduti della Brigata).
   Anche perché la Brigata già nasce, alla fine della guerra, come operazione di propaganda.
   Gli ebrei già combattevano contro i nazifascisti dall’Agosto 1942 inquadrati nel Palestine Regiment insieme ai Palestinesi. Altri ebrei già combattevano nelle formazioni partigiane, soprattutto “Giustizia e Libertà” e “Garibaldi”. Oltre 1000 ebrei ebbero il certificato di “partigiano combattente”, oltre 100 furono i caduti. A tutti questi ebrei combattenti per la libertà va il nostro plauso e la nostra gratitudine!
   Ben diversa la realtà della Brigata ebraica. Churchill ne annuncia la creazione nel settembre 1944. Inquadrata nella 8° Armata britannica, la Brigata attende due mesi prima di sbarcare a Taranto ed attende altri quattro mesi prima di partecipare ad alcuni scontri nella zona di Ravenna. Siamo ormai a ridosso della Liberazione: marzo/aprile 1945. A maggio inizia la smobilitazione e i reduci si dedicano in gran parte a sostenere l’immigrazione in Palestina. Non si può dire che il ruolo della Brigata nella lotta di Liberazione sia stato rilevante. Eppure c’è chi è giunto a scrivere che “la Brigata ebraica è stata in prima fila nella liberazione d’Europa”.
   Noi siamo contro l’uso della Festa del 25 Aprile per bieche operazioni propagandistiche a favore di uno Stato i cui principi fondanti sono antitetici ai valori dell’ANPI e della Resistenza.
   L’art. 2 dello Statuto dell’ANPI prevede l’obbligo di appoggiare tutti coloro che si battono per la libertà e la democrazia. Questi oggi sono i Palestinesi. Lo dice Marek Edelman, vice comandante della rivolta degli ebrei del ghetto di Varsavia; lo dice Stephane Hessel, ebreo partigiano coautore della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo; lo dice Chavka Fulman Raban, superstite del Ghetto di Varsavia, che scrive: “È vietato per noi governare un altro popolo, opprimere un altro popolo”. Lo dicono gli ebrei della Rete ECO, quelli di Not in my name, quelli che, vergognandosi delle politiche di Israele, chiedono di cancellare il nome dei loro congiunti dallo Yad Vashem.
   Come scrive l’israeliano Michael Warschawsky: “Noi non siamo 'un’altra voce ebrea', ma invece l’unica voce ebrea che abbia titolo di parlare a nome dei martiri torturati del popolo ebreo. La vostra voce è nient’altro che il vecchio clamore bestiale degli assassini dei nostri antenati”. La lettera è indirizzata ai governanti israeliani ed equipara Gaza al Ghetto di Varsavia.
   E come non ricordare che dentro la Brigata ebraica operava una struttura parallela al comando dell’Haganà, la principale organizzazione armata clandestina in Palestina, corresponsabile, tra l’altro, insieme alle truppe inglesi, della repressione della rivolta araba del 1936/39? Queste formazioni, insieme alle altre bande terroristiche Irgun e Stern, confluiranno in Tzahal, l’esercito di Israele, responsabile, insieme a poliziotti e coloni, della pulizia etnica in corso.
   E chi oggi ricorda il tributo di sangue dei Palestinesi nella lotta contro il nazismo? I morti palestinesi non fanno notizia, né ora né allora. Eppure 12.446 furono i Palestinesi arruolati dal 1939 al 1945 nell’esercito inglese, e 701 furono i caduti.
   Per questi motivi e per tanti altri che non possono trovare qui spazio diciamo NO alla presenza della Brigata ebraica che contamina i valori della Resistenza: pace, libertà, uguaglianza e giustizia.
   Come diceva Nelson Mandela: “Non c'è libertà senza la libertà della Palestina”.

VIVA LA LOTTA DI LIBERAZIONE DI TUTTI I POPOLI!
VIVA LA LOTTA DI LIBERAZIONE DEI PALESTINESI!

Fronte Palestina - Milano



L’IDIOZIA DELLA BRIGATA EBRAICA IL 25 APRILE

www.senzatregua.it, aprile 2016

   Come ogni anno, in vista del 25 aprile si prospetta l’ennesima polemica sollevata da alcuni circoli filo-israeliani che da anni tentano di partecipare alle manifestazioni del 25 aprile portando in piazza le bandiere della Brigata ebraica, accompagnate con chiaro intento provocatorio da bandiere di Israele. Anche a causa dell’ambiguità di un’organizzazione come l’ANPI, che troppo spesso ha scelto di stendere il tappeto a queste persone e sbarrare la strada a presunti “estremisti” che ne contestavano la presenza, oggi esiste una grande confusione su questo tema. Ma cos’è stata realmente la Brigata ebraica? È giusto scrivere, come si affermava in un articolo pubblicato un anno fa sul Manifesto, che “La bandiera della Brigata ebraica appartiene a una delle formazioni che sono state in prima fila nella liberazione d’Europa. È quindi a casa propria il 25 Aprile”?
   Partiamo da un concetto quasi basilare: essere contro la presenza di bandiere della Brigata ebraica non significa essere contro gli ebrei, né tantomeno significa negare il contributo degli ebrei alla Resistenza italiana. Il punto è proprio che la Brigata ebraica con la Resistenza italiana c’entra poco o nulla. La Brigata ebraica era un reparto dell’esercito britannico, reclutato nella Palestina che allora era amministrata dall’Inghilterra su mandato della Società delle Nazioni. La sua creazione fu annunciata da Winston Churchill nel settembre del 1944, come reparto volontario di fanteria inquadrato nella VIII Armata Britannica. La Brigata sbarca il 10 novembre 1944 a Taranto, nell’Italia già liberata dagli alleati, e non combatte fino al 27 marzo 1945, quando affianca l’esercito cobelligerante italiano (cioè quello Alleato) nello sfondamento della linea gotica. Nel complesso, l’attività della Brigata ebraica si limita a qualche combattimento nel Ravennate nell’ultimo mese di conflitto, quando ormai si era già a ridosso della Liberazione e dell’insurrezione del 25 aprile.
   Chi il 25 aprile scende a commemorare la Brigata ebraica, prima ancora della Resistenza insulta la memoria di centinaia di ebrei italiani, nostri fratelli e sorelle, che alla Resistenza parteciparono per davvero, spesso dando anche la vita. Il fondatore del Fronte della Gioventù per l’indipendenza nazionale e la libertà, la più nota ed estesa organizzazione giovanile partigiana di cui il FGC ha ripreso il nome, era il giovane ebreo e dirigente del PCI Eugenio Curiel, fucilato dalle camicie nere nel febbraio del ’45. Centinaia di ebrei italiani combatterono arruolati nelle Brigate Garibaldi (le formazioni partigiane legate al PCI, che costituivano la maggioranza delle formazioni partigiane) e nelle formazioni di Giustizia e Libertà. Andando oltre la Resistenza italiana, si potrebbe ricordare che migliaia di ebrei combatterono la guerra contro il Terzo Reich sin dal 1941 nel Palestine Regiment, anch’esso inquadrato nell’esercito britannico ma privo di distinzione fra palestinesi di etnia araba ed ebrei, che combattevano spalla a spalla.
   Tutto questo i sostenitori della Brigata ebraica non lo dicono, e il motivo è chiaro: l’unica ragione di esistenza della Brigata ebraica fu quello di spalleggiare il progetto di costruzione dello Stato di Israele, puntando alla costruzione di una identità “ebraica” che più che all’ebraismo era legata al sionismo più estremista e radicale che viene predicato dagli odierni circoli filo-israeliani.
   Proprio per questo, ogni volta che il PD schiera il suo servizio d’ordine al fianco di cordoni di polizia che impediscono ai comunisti di entrare nei cortei del 25 aprile per stendere il tappeto rosso a chi sventola la bandiera di Israele, i partigiani si rivoltano nella tomba. Anche, e soprattutto, i partigiani ebrei...



Note

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1. Fonte principale: www.yadvashem.org
2. Prigionieri tenuti separati dagli altri e impiegati nelle operazioni di sterminio con le camere a gas e alla cremazione dei corpi.
3. Lenni Brenner, Il sionismo nell’età dei dittatori, 1983, cap. 25
4. Yosef Grodzinsky, All’ombra dell’Olocausto, 1998
5. La Battaglia di Gallipoli (aprile 1915 – gennaio 1916) fu un tentativo anglo-francese di sottrarre ai turchi lo stretto dei Dardanelli per minacciare Costantinopoli e mettere in comunicazione la Royal Navy con la flotta russa nel mar Nero. L’esito fu la vittoria ottomana, con perdite pesantissime per l’Intesa (circa 250.000 morti).
6. Vladimir Jabotinsky, The Story of the Jewish Legion, 1928
7. Joseph Schechtman, Rebel and Statesman: the Vladimir Jabotinsky Story: the Early Years, 1956
8. ibidem
9. In quegli anni Cicerin era esule a Londra, e nel 1917 fu arrestato dagli inglesi per attività ostile all’impegno bellico.
10. Joseph Schechtman, Rebel and Statesman: the Vladimir Jabotinsky Story: the Early Years, 1956
11. Simha Flapan, Zionism and the Palestinians, 1979
12. Palestine Post, 26 giugno 1936
13. Joseph Rappaport, Zionism as a Factor in Allied – Central Power Controversy (1914 – 1918), 1958
14. Geenna: piccola valle a sud di Gerusalemme, che nell’antichità era usata come discarica e nella Bibbia viene rappresentata come l’Inferno.
15. Vladimir Jabotinskij, The Story of the Jewish Legion, 1928
16. Ronald Storrs, Orientations, 1943
17. Jewish Life, aprile 1938, p.11
18. Berl Katznelson, Revolutionary Constructivism, opuscolo 1937
19. In AA.VV., Germany and the Middle-East 1835 – 1939, 1975
20. David Yisraeli, The Palestine Problem in German Politics 1889 – 1945, 1974
21. Heinz Hohne, The Order of the Death's Head: The Story of Hitler's SS, 1967
22. Klaus Polkehn, The Secret Contacts: Zionism and Nazi Germany 1933-41, 1976
23. Gisela Lebzelter, Political Anti-Semitism in England 1918 – 1939, 1978
24. Young Zionist, agosto 1934, p. 6
25. Jewish Frontier, novembre 1936, p.41
26. ibidem, p.43



1. A. d’Orsi, La rimozione nascosta della memoria, “il Manifesto”, 10 aprile 2015.
2. P. Bevilacqua, Il 25 aprile con i palestinesi , “il Manifesto”, 14 aprile 2015.
3. M. Sarfatti, Ebrei e partigiani. Una storia da scrivere, “L’Unità”, 13 gennaio 2008.
4. Il contributo della Brigata ebraica nella campagna d’Italia, 1943-1945,
http://www.museofelonica.it/doc/stampa/Sermidiana/feb08.pdf.
5. J. Paraszczuk, ‘We proved to the world that we can fight’, The Jerusalem Post, December 3, 2010,
http://www.jpost.com/Local-Israel/Tel-Aviv-And-Center/We-proved-to-the-world-that-we-can-fight.
6. M. Di Blas, Operazione Vendetta: nei boschi di Tarvisio criminali nazisti giustiziati dalla Brigata ebraica, “Il Giornale del Friuli”, 30.5.2009; M. Di Blas, Operazione vendetta nei boschi di Tarvisio, “Il Messaggero Veneto”, 30.5. 2009; A. Cesare, Fare chiarezza su quelle esecuzioni, “il Messaggero veneto”, 31.5.2009
7. M. Di Blas, cit., “Il Giornale del Friuli”, 30.5.2009.
8. H. Blum, La Brigata. Una storia di guerra, di vendetta e di redenzione, Net 2005, tradotto da: The Brigade: An Epic Story of Vengeance, Salvation, and World War II, (2001) New York: HarperCollins,
9. G. Di Feo, La Brigata ebraica che continuò la guerra mondiale, “Corriere della sera”, 27 aprile 2000,
http://archiviostorico.corriere.it/2000/aprile/27/Brigata_ebraica_che_continuo_guerra_co_0_000427313.shtml.
10. L’Haganah è stata una formazione paramilitare sionista costituita negli anni Venti a difesa dei coloni ebrei. Nel 1936 l'Haganah mise in campo 10.000 uomini pronti alla mobilitazione, a fronte di 40.000 riservisti. Durante la Grande Rivolta Araba del 1936-1939, partecipò attivamente alla protezione degli interessi ebraici e alla repressione degli insorti arabi, http://it.wikipedia.org/wiki/Haganah.
11. A. Trocino, VENTICINQUE APRILE IL RUOLO DEGLI EBREI - «Quest' anno anche noi». Sfila la Brigata ebraica”, “Corriere della sera”, 26 4.2004
http://archiviostorico.corriere.it/2004/aprile/26/Quest_anno_anche_noi_Sfila_co_9_040426017.shtml.
12. Gli abusatori della Brigata Ebraica di Gad Lerner, sabato, 25 aprile 2009,
http://www.gadlerner.it/2009/04/25/gli-abusatori-della-brigata-ebraica


Bliografia
  • Romano Rossi, La Brigata Ebraica. Fronte del Senio 1945, Imola, Corso Bacchilega, 2005.
  • Howard Blum, La Brigata. Una storia di guerra, di vendetta e di redenzione, Net (collana storica), 2005.
  • F.Bonaiuri, V.Maugeri, La Brigata Ebraica in Emilia-Romagna, De Luca Editori d'Arte, 2005.

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